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I giochi e le regole: ruolo, simulazione e arbitraggio

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Academic year: 2022

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I giochi e le regole: ruolo, simulazione e arbitraggio

Negli scorsi articoli ci siamo concentrati sulla differenza tra giochi regolati e giochi non regolati. Posto quindi che non tutti i giochi hanno delle regole, si tratta di vedere come vengono usate dai giochi che le possiedono.

Non osservare, ma gioca!

Quali sono i tipi di regole dei giochi regolati?

Paglieri differenzia le pratiche ludiche in cui si gioca seguendo delle regole (“playing by the rules”) dalle pratiche in cui si gioca con le regole stesse (“playing with the rules”)1. Certamente il gioco delle Leggi proposto alla fine dello scorso articolo è uno dei massimi esempi di come si può giocare con le regole, ma ce ne sono molti altri. Abbiamo già visto come i bambini passino dal considerare sacre le regole per poi iniziare a modificarle liberamente mentre si gioca, secondo il modello “make up the rules as we go along “ esposto da Wittgenstein2. La categorizzazione operata da Paglieri coglie molto bene il punto, si tratta ora di trovarne delle specificazioni un po’ meno generiche.

Nel primo articolo abbiamo accennato al dibattito sulle regole costitutive: alcuni filosofi, soprattutto di formazione giuridica, ritengono che esse creino da se stesse oggetti che esistono in seguito senza l’ausilio del soggetto. Alcuni logici credono perfino che le regole costitutive non abbiano destinatari e non siano violabili, ma il linguista Żełaniec ha chiarito una volta per tutte che ogni regola è sia regolativa (regola un comportamento precedente) che costitutiva (istituisce un dovere che prima di essa non c’era)3. I giochi regolati possono porre l’accento sulla parte regolativa delle regole (giochi regolativi) oppure su quella costitutiva (giochi costitutivi).

I primi sono giochi che attraverso le regole formalizzano un’attività ludica precedente (ad esempio le regole del nascondino certamente formalizzano un’attività che già i bambini piccolissimi svolgono in modo chiaro senza far uso di regole), i secondi invece usano le regole per porre i giocatori di fronte ad attività che senza le regole non esisterebbero (l’esempio più lampante sono gli scacchi: nessuno si diverte a spostare pezzi di legno su di un tavolo).

Accanto a queste due forme di gioco regolate, esistono i loro contraltari: i giochi deregolativi e quelli decostitutivi. I deregolativi sono vere e proprie trasgressioni, mentre i decostitutivi smontano le convenzioni culturali mostrando la loro origine umana. I giochi deregolativi stanno alla fiction di evasione come i giochi decostitutivi stanno alla fiction critica. La migliore distinzione tra fiction di evasione e fiction critica la si deve involontariamente a Tolkien, che disse di scrivere di elfi e draghi perché avrebbe voluto che esistessero. La fiction di evasione consiste quindi nel produrre o nel fruire di arte che si compone di elementi che non esistono nella realtà di tutti giorni e che si desidera vivere. La fiction critica, invece, descrive la realtà di tutti i giorni in modo da percepirla da un altro punto di vista. Entrambe le forme d’arte possono comportare bellezza formale, non si tratta qui di distinguere tra livelli artistici. Come si sarà già

1 Il cognitivista italiano scrive purtroppo quasi solo in inglese: Playing by and with the rules: Norms and morality in play development, in “Topoi” XXIV, 2, 2005.

2Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino 2009, paragrafo 83. Rimando instancabilmente a Wittgenstein, un filosofo che ha saputo coniugare alla perfezione ragionamento e osservazione empirica.

3 Di Żełaniec si veda Sull’idea stessa di regola costitutiva, in P. Di Lucia (a cura di) Ontologia sociale. Potere deontico e regole constitutive, Quodlibet, Macerata, 2003.

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intuito esistono giochi di evasione e giochi critici, che quasi sempre collimano con deregolativi e decostitutivi.

Analizzare i generi di gioco praticati da una comunità permette di comprendere molto della comunità stessa. Ad esempio le comunità in cui ritroviamo solo giochi con forti elementi deregolativi sono molto spesso società legate ad un sistema di vita eccessivamente codificato, in cui l’individuo ha poco controllo della propria vita individuale4. Dato che abbiamo compreso nello scorso articolo che il gioco non è un oggetto ma un modo di percepire e di agire, non possiamo che notare che anche giochi nati senza essere deregolativi possono diventarlo nelle mani dei giocatori. Uno dei generi di videogioco più in voga al momento è il cosiddetto open world5, all’interno del quale si può far liberamente vagare ed agire il proprio avatar su schermo, senza un fine specifico, secondo il principio della giocabilità non lineare tipica dei giochi interpretativi (quelli con le bambole, ad esempio). Il punto è che, sebbene il gioco open world non lo richieda espressamente, moltissimi utenti si divertono a giocare facendo trasgredire al proprio personaggio le regole che nella vita reale non è possibile trasgredire, a partire dal passare col rosso al semaforo, finendo con il tradire amicizie e commettere omicidi. Pertanto si può giocare deregolativamente con qualsiasi gioco, anzi si può giocare deregolativamente con qualsiasi cosa.

L’effetto collaterale dei giochi deregolativi non è quello creduto da alcuni educatori, ossia di portare i giocatori ad abituarsi a trasgredire alle regole, bensì esattamente il contrario: trasgredire le regole per gioco significa sfogare il proprio desiderio di metterle in discussione, secondo il ben noto principio della catarsi aristotelica. Lo status quo non ha nulla da temere dai giochi deregolativi, bensì deve fare i conti con i giochi decostitutivi, quelli che insegnano che le regole le fa l’uomo e non sono date una volta per sempre6. Ma forse i più sovversivi di tutti sono i cosiddetti giochi metacostitutivi, che non solo insegnano che le regole hanno origine umana, ma che educano anche a come è meglio costituirle perché possano funzionare. I giochi metacostitutivi a volte sono giochi regolati (come è il caso del gioco delle Leggi proposto sul numero scorso) e a volte no (ad esempio in Calvinball per fare le regole non è necessario seguire delle regole7).

Su questo piano del discorso troviamo inoltre i giochi ambigui, che combinano sia elementi dei deregolativi che elementi dei decostitutivi. Deregolativamente si gioca a trasgredire una regola, chiedendosi al contempo se si stia giocando o meno: tipico di alcune forme di scherzo e dei giochi erotici. Situazione simile ma non identica è quello in cui ci si ritrova giocando con regole vaghe, per le quali non è chiaro quali siano i casi in cui debbano essere applicate né come. Nei giochi a regole vaghe il momento centrale è l’esegesi delle regole, che non è possibile ricondurre a delle regole scritte male. Una variante del gioco delle Leggi composto solo da regole sullo stile della Legge Regolativa n° 6 porrebbe i giocatori in continua esegesi. Pare che anche le incongruenze di molti giochi di ruolo siano volute, per spingere master e giocatori a contrattare sul modo di interpretarle. Ma vediamo meglio come usano le regole i giochi di ruolo.

Giochi di ruolo e videogiochi

4 Si veda il famoso saggio di Geertz Il combattimento di galli a Bali, presente in italiano nella raccolta Interpretazione di culture, edito da Il Mulino, Bologna, 1998.

5 Esempi antelitteram di open worlds sono The Sims di Will Wright ed il fantascientifico Elite di David Braben.

Appartenenti al sottogenere del freeroaming (altrimenti detto sandbox) sono le saghe di Fable di Peter Moulyneux, quella di Grand Theft Auto di Houser-Jones, e quella di Fallout di Taylor-Boyarski-Cain. Infine vi sono i MMORPG (Massive Multiplayer Online Role Playing Games), sostanzialmente dei vastissimi open world sulla rete, in cui milioni di persone si collegano ogni giorno per far interagire i loro avatar.

6 Ricordo che nel primo articolo abbiamo trattato di giochi decostitutivi quali gli scherzi e la satira. Si veda I giochi e le regole, “Tangram. Rivista di cultura ludica”, Onlus Gioco e Dintorni, VIII, 23, Salerno 2010.

7 Nel Calvinball l’unica regola è non poter applicare due volte la stessa regola. Si vedano i fumetti di Calvin e Hobbes di Bill Watterson, pubblicati in italiano principalmente dalla Comix ed in parte dalla Rizzoli.

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I giochi di ruolo nascono come pratiche a sfondo ludico negli anni settanta, ad opera di Gary Gygax che pubblica Dungeons & Dragons8, ma hanno una radice molto più antica, situandosi entro quelli che Caillois definisce giochi Mimicry9 e che consistono nell’assumere un ruolo fittizio entro un’ambientazione irreale. Il gioco di ruolo moderno è strutturato seguendo delle regole e generalmente si gioca in più giocatori ed un master che svolge il ruolo dell’ambiente entro il quale i giocatori si muovono. Il gioco di ruolo si può svolgere attraverso descrizioni verbali oppure con l’ausilio di oggetti e computer o perfino dell’interpretazione gestuale in costume.

Le regole nei giochi di ruolo hanno un fine in parte simulativo (vedremo in seguito cosa significa), in parte costitutivo. Si va da precisissime regole che descrivono il modo di simulare attraverso il lancio di dadi praticamente ogni aspetto della vita, a regole generali da dover di volta in volta adattare alle situazioni venutesi a creare. Negli ultimi anni, come risposta al diffondersi dei giochi di ruolo per computer, si è diffuso un nuovo modo di intendere il gioco di ruolo, denominato new wave. Nei giochi di ruolo new wave si tende a ridurre le regole al minimo o addirittura a farle svanire, in favore dell’interpretazione e dell’interazione tra i giocatori. Il master, che in origine era stato introdotto per sopperire all’impossibilità di regolare in modo preciso ogni aspetto del gioco, non solo fa qui le veci del regolamento ma si sostituisce del tutto ad esso, mutando un gioco regolato in una sorta di finzione interattiva guidata.

Abbiamo detto che la new wave dei giochi di ruolo è una reazione ai giochi di ruolo per computer che, lasciando al calcolatore la gestione delle regole, le trasformano in routine alle quali il giocatore non deve obbedire come nel gioco di ruolo classico, ma con le quali confrontarsi in modo simile a come farebbe con oggetti fisici. Gli enti virtuali non sono regole, ma veri e propri oggetti ai quali non ci si può ribellare se non agendo fisicamente su di essi (ad esempio facendo il crack del programma). I giochi di ruolo per computer richiedono quindi non tanto di obbedire a delle regole, quanto di saper risolvere rompicapi con l’intelligenza o passare ostacoli con l’abilità manuale: al massimo richiedono di seguire delle regole strategiche, ma mancano le regole prescrittive vere e proprie. Una sottocategoria dei giochi di ruolo per computer, quella dei giochi di ruolo online, riporta in auge una parte delle regole dei giochi di ruolo classici, ma solamente quelle prodotte dai giocatori stessi nel tentativo di strutturare le relazioni con gli altri utenti.

Le piattaforme di gioco online sono spesso state utilizzate come laboratori di esperimenti sociologici, in quanto presentano le caratteristiche necessarie alla sperimentazione: libera strutturabilità, adesione volontaria, totale assenza di conseguenze sul piano concreto. Second Life è un gioco modello in questo senso, perché in esso le sperimentazioni sono rese ancora più fertili a causa della mancanza di trame narrative o fini specifici per i giocatori10. Ogni evento in Second Life deriva dalla pura inventiva dei giocatori e dalle interazioni tra essi. Ad esempio esistono gruppi entro i quali si viene ammessi solo se si rispettano alcune regole: ma non si tratta di regole necessarie a giocare, bensì di regole interne al gioco, simili a quelle del fair play degli sport agonistici.

In ogni caso, se si vuole giocare a Second Life oppure a World of warcraft senza seguire alcuna norma, si è liberi di farlo. La differenza tra videogiochi che richiedono regole e videogiochi che non ne richiedono (il 99%) è ben rappresentata dalla trasposizione su schermo del gioco da tavolo di maggior successo degli ultimi venti anni, Magic the Gathering11, che curiosamente è un gioco sulla gestione delle regole. Nel gioco da tavolo i giocatori devono combinare centinaia di diverse regole sotto forma di carte da gioco. La ditta

8 Pubblicato dalla Tactical Studies Rules, Lake Geneva 1974.

9 L’imprescindibile saggio di Caillois è I giochi e gli uomini, Bompiani, Milano 2004.

10 Second life (Linden lab. 2003), non è esattamente il più diffuso modo di intendere un gioco di ruolo online, che forse è rappresentato da World of Warcraft (Blizzard 2004).

11 Il matematico Richard Garfield è l’autore di Magic, Wizards of the Coast, Renton 1993.

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che produce Magic si è occupata di farne una trasposizione videoludica, denominata Magic Online12, nella quale i videogiocatori utilizzano delle carte virtuali che non appena poste sul piano di gioco eseguono il proprio effetto (ad esempio l’effetto della carta “il giocatore avversario perde 5 punti vita” viene eseguito immediatamente dal computer). Questo fa di Magic Online un tipico videogioco strategico, all’interno del quale dover scegliere tra diverse opzioni che verranno gestite poi dal calcolatore. Per ovviare al costo di certo non esiguo richiesto al giocatore per partecipare a Magic Online (il costo di un pacchetto reale di carte di Magic è identico al costo di un pacchetto virtuale di carte di Magic Online) gli utenti hanno creato diversi simulatori virtuali di Magic, il più famoso dei quali è forse Magic Workstation13. Attraverso l’interfaccia grafica di questo software, in grado di simulare anche altri giochi di carte, il giocatore viene messo in collegamento con un altro e le carte selezionate dai giocatori non hanno effetti immediati sul gioco. I giocatori devono far salire e scendere i propri punti in modo “manuale”, ed applicare le regole seguendo gli stessi meccanismi che seguirebbero dal vivo. Pertanto ci si ritrova spesso a dire (in chat) “ops, ho sbagliato mossa, mi permetti di rifarla?”, oppure “le regole non ti permettono di pescare una carta in questo momento”, o ancora “stai barando!”. Barare, su Magic Workstation, non significa fare il crack del programma, ma svolgere delle azioni letteralmente non permesse dalle regole e che l’avversario non si rende conto essere illegali.

Spero di aver ulteriormente chiarito la differenza che intercorre tra giochi con regole e giochi senza regole, questa volta in relazione ai videogiochi. Credo che allo stato attuale i simulatori di giochi da tavolo siano i soli videogiochi ad avere regole vere e proprie. I videogiochi commerciali infatti non hanno regole, ma solo enti virtuali.

La questione della virtualità degli enti presenti in mondi video ludici è da tempo molto discussa nell’ambito della semiotica informatica. L’opinione oggi più diffusa si orienta nel considerare gli enti virtuali come enti del tutto reali: a dimostrazione di questa tesi vengono spesso riportati dei dati concreti sul modo in cui gli enti virtuali si collegano agli enti reali in termini del tutto materialistico-economici. Gli esempi cardine sono parecchi: si va dall’attestata esistenza di commercio di enti virtuali (armi, vestiario, edifici e terreni virtuali) su siti specializzati o addirittura all’interno del gioco, si passa per le professioni che di virtuale hanno solo l’ambientazione e si arriva persino allo sfruttamento di lavoratori “virtuali”. Esiste tutta una dimensione di sfruttamento del lavoro minorile costituito dai cosiddetti gold farmers cinesi, intenti a giocare al posto dei loro coetanei occidentali per far sviluppare i loro alter ego “virtuali”14.

Per mostrare la realtà degli enti virtuali è necessario mostrare la loro riducibilità a beni di consumo? Uno studio spicca su tutti per significatività: Nick Carr ha calcolato il consumo in termini di energia elettrica di un avatar in Second Life15. La cifra calcolata da Carr corrisponde ad una media di dispendio energetico relativa all’intero fenomeno Second Life, basata sui consumi costanti dei computer necessari a far girare il gioco (i

12 Wizards of the coast, 2002.

13 Apprentice (Dragonstar Studios, 1996) è stato il primo tentativo di trasporre Magic sulla rete, ma quello riuscito meglio è proprio Magic Workstation della Magi-Soft.

14 Ecco dove trovare un articolo che ne parla in modo interessante: In Cina i "minatori" dei giochi online, http://www.corriere.it/Primo_Piano/Scienze_e_Tecnologie/2006/04_Aprile/18/goldfarmers.shtml

15 Lo studio è stato effettuato calcolando la quantità di energia necessaria ad alimentare i 4000 server della Linden Lab, la ditta produttrice di Second Life, sommandola alla quantità necessaria ad alimentare i 12500 computer degli utenti che sono costantemente collegati al gioco (è una media sul numero di utenti online ogni istante). La stima finale è pari a 1,752 kWh all’anno per ogni avatar. Considerando che nel mondo ogni essere umano consuma circa 2,436 kWh all’anno, e che in Brasile (importante comunità online di Second Life) la cifra si aggira sui 1,884 kWh, il paragone è impressionante. Ci sono alcune discordanze sull’attendibilità dei calcoli effettuati da Carr, in quanto non ha senso calcolare il dispendio di un singolo avatar: preso singolarmente un avatar spende molto meno, considerato che ogni avatar non è collegato costantemente in rete con la sua controparte umana (anzi lo è molto poco). Ma la cifra è significativa e va presa in quanto tale, simbolicamente. Si veda l’articolo del 2006 Avatars consume as much electricity as Brazilians, http://www.roughtype.com/archives/2006/12/avatars_consume.php

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server della Linden Lab) sommati al numero di computer degli utenti collegati in ogni istante. Il risultato è sorprendente: un avatar consuma energia elettrica quanto un essere umano reale.

Boardgame VS Brettspiele

Questo genere di studi è necessario a chiarire che gli enti virtuali hanno un peso socioeconomico identico a quello degli enti reali, ma noi sappiamo che la somiglianza si pone anche a livello ontologico: un muro in Super Mario16 ha delle caratteristiche oggettive che non possono essere superate con la semplice volontà, esattamente come un muro reale. Le regole invece stanno su di un altro piano.

Il peso economico degli enti virtuali sembra crescere sempre di più ed il crollo delle borse a causa dei titoli tossici, del tutto virtuali, ne è una prova. Crescono i consumi di prodotti virtuali e con essi crescono i consumi di prodotti ludici, anche di quelli che di virtuale non hanno nulla. Sempre più spazio stanno trovando tra i consumi degli adulti non solo i videogiochi e gli sport in generale, ma anche i giochi da tavolo.

Da una parte sono cresciuti i bambini sottoposti al boom di questo genere di prodotto, dall’altra è cresciuto il tempo libero dedicato al gioco.

Le caratteristiche dei giochi si sono evolute con la crescita dell’età media dei giocatori, a partire dalle scatole: non più scatoloni larghi e piatti da mettere sotto il letto della cameretta, ma eleganti confezioni da esporre in libreria, accanto ai volumi di saggistica ed alle action figures dei personaggi dei fumetti (che in effetti non vengono usate ma solo mostrate come delle statue, sebbene nel nome portino ancora il loro retaggio ludico). La durata delle sessioni necessarie a giocare ad un gioco da tavolo è vertiginosamente diminuita, adattandosi ad un pubblico adulto al quale mancano lunghi pomeriggi da dedicarvi. Dal punto di vista delle regole si ha una bipartizione netta tra i cosiddetti boardgame (o “giochi all’americana”) ed i brettspiele (o “giochi alla tedesca”).

Boardgame quali Warhammer17 o Civilization18, in modo simile a come fanno i wargame (che nascono in Germania, ma si sviluppano nel mondo anglosassone), simulano gli eventi in modo realistico attraverso l’uso di dadi, pedine, mappe e sono caratterizzati dal tentativo di simulare battaglie ed altre situazioni attraverso un sistema di regole. I brettspiele al contrario partono da un sistema di regole dalle quali vengono a posteriori dedotte delle ambientazioni. Ad esempio per realizzare Euphrat und Tigris19 il matematico Knizia ha strutturato una serie di algoritmi in modo che creassero un set di regole ludiche e solo in seguito la casa editrice si è occupata di trovarvi un’ambientazione adeguata.

I risultati dei due modelli di regolamento sono molto diversi ed attirano tipologie diverse di acquirenti. Nei boardgame le regole matematiche sono state dedotte dagli eventi da simulare, mentre nei brettspiele sono le ambientazioni ad essere dedotte dalla struttura delle regole. Nei boardgame viene usato molto il dado, che sopperisce bene ai difetti di formalizzazione matematica dovuti alla difficoltà di dover trasporre degli eventi reali in un sistema di regole: moltissimi sono gli elementi non riducibili a formule e di cui non si conoscono i meccanismi, pertanto è necessaria l’introduzione del caso. Nei meccanicissimi brettspiele, invece, l’ambientazione è spesso fredda e surrettizia, dovendosi applicare a delle regole astratte normalmente troppo complicate da poter giocare senza dare un nome di uso comune ai vettori ed alle regole matematiche che ne strutturano le dinamiche. Anche la componentistica commerciale diverge in modo evidente: i giochi all’americana sono pieni di miniature realistiche, carte illustrate e plance ben

16 Miyamoto-Tezuka, Super Mario Bros., Nintendo, Kyoto 1985.

17 Warhammer Fantasy Battle di Priestley (Games workshop, Nottingham 1983) è un wargame tridimensionale in cui far scontrare eserciti di miniature attraverso l’uso di dadi speciali.

18 Civilization di Tresham, edito dalla britannica Avalon Hill nel 1981, simula l’evolversi di varie civiltà in conflitto, dai tempi antichi ad oggi.

19 Di Reiner Knizia, Euphrat und Tigris, Hans im Glück, Monaco di Baviera, 1997.

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dettagliate, mentre i giochi alla tedesca presentano solo cubetti di legno colorati, che però, ovviamente, non fungono da dadi, ma da anodine pedine.

La creazione di un tipico boardgame avviene induttivamente, attraverso il tentativo di cogliere delle regolarità da dover esprimere attraverso delle regole. La creazione di un classico brettspiele avviene invece attraverso l’individuazione di un algoritmo matematico inedito e particolarmente efficace nel generare situazioni competitive, dal quale vengono poi dedotte, come si è detto, delle ambientazioni. La relazione tra regola e ambientazione è nei brettspiele del tutto costitutiva, mentre nei boardgame la realtà che viene simulata attraverso le regole non costituisce le regole stesse, che invece possiedono un valore descrittivo dello stesso tipo delle “leggi” fisiche. Ma se le leggi fisiche sembrano descrivere la realtà fisica senza prescrivere nulla, le regole dei giochi all’americana, in quanto simulative, svolgono il doppio ruolo di descrivere delle regolarità (ambientazione) e istituire costitutivamente dei comportamenti ludici (finalità competitive).

La simulazione sovrappone la struttura descrittiva della regola, che ha come fine la ricostruzione dell’evento o della realtà simulata, alla struttura prescrittiva delle regole costitutive. Pertanto vediamo che la simulazione ludica corrisponde sul piano epistemologico alla modellizzazione della scienza moderna, mentre sul piano pratico somiglia alle regole prescrittive delle ricette culinarie: le regole di una simulazione descrivono uno stato di cose modellizzandolo ed al contempo prescrivono un comportamento atto a ricreare il modello proposto. In effetti una descrizione (che non abbia un fine prescrittivo come simulare una battaglia storica) non viene svolta attraverso delle regole o delle formule, ma attraverso immagini e racconti. In effetti finché la scienza non cercava di essere scienza applicata, non ha prodotto descrizioni del mondo sotto forma di regola. Pertanto anche la scienza moderna, come i migliori boardgame, simula gli eventi attraverso regole in modo da prevederne il comportamento, prescrivendo al contempo un modo per agire su di essi.

“Chi controlla i controllori?”: per una definizione del gioco

Abbiamo visto che nei boardgame le regole simulano l’ambientazione, mentre nei brettspiele è l’ambientazione a simulare le regole. Regole ed ambientazione costituiscono il sostrato di ogni gioco regolato, ma quali dei due ha il peso maggiore nell’influenzare lo sviluppo cognitivo?

Giocattoli e giochi senza regole (come i videogiochi) portano a sviluppare il lato creativo dell’immaginazione, mentre i giochi regolati richiedono una immaginazione concreta, atta a risolvere i problemi posti dalle regole. Le regole del gioco vanno interpretate e per vincere è necessario imparare come agire al loro interno, superando gli ostacoli che producono. Ma anche le regole sul come giocare, quelle del fair play, pongono una serie di difficoltà che i giocatori sono costretti a superare, formandosi le capacità che sarà necessario loro utilizzare in altri contesti non ludici. Nei giochi non regolati manca del tutto questo aspetto del fair play, che rimane ad un livello del tutto inconscio e molto spesso involuto. Una delle maggiori difficoltà per i giocatori dei giochi competitivi sta nel capire come gestire le infrazioni alle regole, ed eventualmente come strutturare ulteriori regole atte a gestirle.

Il primo passo da fare è scegliere un giocatore cui rifarsi per i casi di infrazione alle regole oppure adottare specifiche regole secondarie che riguardino le infrazioni. Eppure anche con le regole secondarie ci va un soggetto che le interpreti e che sanzioni le infrazioni commesse. La funzione arbitrale può essere svolta da un individuo preposto a farlo, insomma da un arbitro, oppure dall’insieme dei giocatori, che in qualche modo sono portati ad autoregolarsi. Sia chiaro che questo secondo caso non coincide con quello analizzato all’inizio dell’articolo, in cui i giocatori inventano o modificano le regole durante il corso del gioco. Fin qui per i giochi di gruppo, ma nei solitari regolati, ad esempio in quelli di carte, c’è bisogno dell’arbitraggio?

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Di fatto, tra i giocatori solitari c’è chi non bara mai, chi bara senza sanzionarsi e chi cambia le regole in corso. C’è però il caso del giocatore che si accorge di aver infranto le regole del gioco quando il “danno” è ormai fatto. Alcuni rari casi di giochi da tavolo in solitario che richiedono sessioni di molte ore prevedono perfino una sanzione per questi casi, il che permette al giocatore di continuare a giocare senza sentire di aver irrimediabilmente compromesso il regolare svolgimento della partita. In questi casi si verifica uno sdoppiamento del soggetto in giocatore A nel tempo T e giocatore A1 nel tempo T1.

La funzione sanzionatoria dell’arbitraggio è quindi una funzione che si applica esclusivamente ad un gruppo o ad una pluralità di soggetti. In alcuni casi la sanzione è l’esclusione dal gioco, ma in generale la sanzione serve a continuare a giocare nonostante le regole del gioco siano state infrante. Eppure non tutte le regole possono essere infrante senza percepire chiaramente di stare giocando ad un altro gioco.

Benoist20, riprendendo una distinzione di Searle, ritiene che in un gioco vi siano regole più essenziali di altre. Se vengono violate quelle più essenziali non è più possibile riconoscere il gioco a cui si sta giocando.

D’Agostino porta un esperimento mentale complesso ma illuminante: “considera – scrive – una regola r del gioco G, e poi considera il gioco G’, il quale differisce da G solo nel fatto che r non è una regola di G’.

Siccome r, in quanto regola non essenziale, non definisce G, i giochi G e G’ sono lo stesso gioco”21. È chiaro che due pratiche possono essere ritenute lo stesso gioco anche se differiscono per una regola, se quella non è una regola essenziale. Le regole essenziali sono le regole che definiscono un gioco, quelle che permettono di riconoscere se un gioco è quel gioco oppure un altro.

Un fatto interessante è che soggetto diversi definirebbero quali sono le regole essenziali di uno stesso gioco in modo diverso. Perché, in fin dei conti, è il soggetto a definire se il gioco a cui sta giocando è un gioco ed eventualmente di quale gioco si tratta. Abbiamo infatti visto che giochi costitutivi possono essere mutati in deregolativi semplicemente facendo cose diverse da quelle attese. Il soggetto è centrale nel discorso sul gioco, lo si può notare perfino nel caso dell’arbitraggio. Gli arbitri hanno un potere sanzionatorio esclusivamente in quanto sono i giocatori a donarglielo. Si può notare nella relazione arbitro-giocatori la stessa dialettica presente nella relazione servo-padrone22.

Abbiamo visto che i giochi possono essere regolati come non esserlo, simulare i fenomeni come introdurre nuovi fenomeni, rispecchiare lo status quo come permettere di andarvi oltre, ma rispetto alla realtà i giochi non si pongono del tutto fuori da essa. I giochi, compresi quelli primitivi che corrispondono alla variazione o alla reiterazione di piccoli movimenti, sono brevi cosmi privati. Questi cosmi sono ludici rispetto al grande cosmo pubblico entro il quale si situa la vita che il giocatore considera serie e reale, quella fatta di vincoli legali e valori economici, del tutto dipendenti dal soggetto ma sui quali egli non sente di poter incidere come invece fa sui suoi brevi cosmi privati, piccoli cosmi interni al grande cosmo nei quali egli si trova ad occupare il ruolo centrale dell’onnipotente creatore.

Il gioco è una finzione interattiva, laddove per finzione intendiamo la coscienza da parte del soggetto di essere il creatore dei mondi possibili entro i quali si situano le sue azioni. Tale coscienza invece manca in relazione ai mondi possibili che costituiscono la realtà sociale: forse gli attori sociali avrebbero da reimparare la loro capacità di essere attori tout court, per non credere del tutto alle convinzioni che portano a far scatenare guerre e dittature. Il grande inventore di giochi Alex Randolph una volta disse che

“imparare a giocare significa imparare a perdere, e imparare a perdere significa imparare a vivere”23.

20 Di Benoist si veda Quand’è che smettiamo di giocare ad un gioco?, presente nel bel volume curato da Di Lucia Ontologia sociale. Potere deontico e regole costitutive, Quodlibet, Macerata 2003.

21 “Consider… a regulative rule r of G, and the game G’, which differs from G only in that r is not a (constitutive or regulative) rule of G’. Because r does not define G, the games G and G’ are, according to formalism, the same game”.

D’Agostino F. The ethos of the game, in Morgan, W. J. / Meier, K. V. (a cura di), Philosophic inquiry in Sport, Champaign 1995, p. 45.

22 Si veda Hegel, Fenomenologia dello spirito, Einaudi, Torino 2008.

23 Devo questa considerazione alla segnalazione di Dario De Toffoli, che saluto.

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