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ers il Giovane: (Galle ria di li Dresda)

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I FILOSOFI

GLI OCCULTISTI

A cura di GIULIO ALLINEY

GARZANTI

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PRIMA EDIZIONE 1951

PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA

Stampato in Italia . Printed in Itely, 1951) i

BIBLIOTECA CIVICA BERTOLIANA-VICENZA

Milano » Officine Grafiche Aldo Garzanti, Editore - 23-4-1951

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INTRODUZIONE

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L'’OCCULTISMO

Il discredito in cui è caduto l’occultismo risale all’affermarsi della concezione galileiana della na- tura. Non alla filosofia, ma alla scienza spetta il merito di avere sfollato la terra e il cielo dalle in- finite legioni di spiriti, che se ne erano divisi il pos- sesso secondo un meticoloso ordinamento fewdale.

Il Bodin nella sua Daemonomania (1581) fece l’in- ventario della potente monarchia diabolica è trovò che essa comprendeva 72 principati, con una popo- È lazione complessiva, salvo errore di calcolo, di 7.405.926 demoni. Col sorgere della scienza moderna

matematico-meccanica, la natura, ridotta a massa é

movimento, divenne inabitabile a questi ospiti seco»

lari, Certo, la demonologia non è tutto l’occultismo, ne è anzi la parte più puerile e superstiziosa; ma è un fatto che i demoni si trovano chez-soî solamen=

| te in un mondo che non si presti ad essere trascritto x in formule algebriche; essi dimostrano, non diver-

| samente da molti uomini, una antipatia invincibile per le matematiche. Più accetta a loro era la filoso- fia animistica e vitalistica del Rinascimento, alla quale appunto si deve se l’occultismo nel Rinasci- mento ebbe una lussureggiante fioritura, quale non

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1. Gli occultisti.

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s'era più veduta dai tempi di Apuleio. Il Medioevo aveva dimostrato, in questo campo, maggiore mo- derazione, non soltanto per l’ostilità ecclesiastica alle pratiche occulte (che del resto non diminuì nel Rinascimento), ma soprattutto per il carattere del- la cultura medievale, rattrappita negli schemati- smi logici della Scolastica. Nel Medioevo I’oc- cultismo si limita generalmente alla « bassa ma- gia » delle fattucchiere. La grande magia è rina- scimentale.

Oggi, il nostro atteggiamento non è ben definito.

L'interesse, circoscritto ma tenace, per i fenomeni spiritici e medianici è già un indice di questa in- certezza. In generale, noi risentiamo di una dupli- ce eredità storica. Da un lato, sopravvive in noi lo sprezzante atteggiamento illuministico, di origine cartesiana e galileiana. Dall’altro, questo disprez- zo si mescola ad una vaga apprensione di trascu- rare qualcosa che nell’occultismo ci potrebbe essere di positivo. Il romanticismo, Goethe, Novalis han- no ancora sufficiente autorità per suggerirci alme- no il valore estetico dell’occultismo. Nel Faust sentiamo la nostalgia per l'universo qualitativo e differenziato, che sta alla base anche della goe- thiana Farbentheorie. Ma indubbiamente una ri- valutazione della magia, dell’astrologia, dell’alchi- mia (l’elenco completo delle arti occulte compor- terebbe centinaia di nomi) sotto l’aspetto del loro specifico contenuto ci appare senz’altro assurda.

Anche l'uso di leggere la vita nelle linee della mano 0 di trarre l'oroscopo è considerato un passa- tempo. Se dunque l’occultismo merita ancora in qualche modo la nostra attenzione, è soltanto per il suo valore formale, come prospettiva spirituale

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Si tratta di vedere se esso rappresenta semplice»

mente un fatto patologico della nostra psiche o se invece dobbiamo riconoscergli il rango di una vera e propria forma dello spirito, come l’arte e la religione.

La nostra cultura si è espressa negativamente su questo punto. Vediamo un Gundolf studiare Paracelso come un precursore del mondo moderno, mentre la sua tipica qualità di oceultista si per- de sotto gli attributi razionalistici. Non diversa- mente, quando si è studiato l’occultismo non più nelle eminenti personalità rinascimentali, ma nelle manifestazioni collettive offerte dai popoli primi.

tivi (questi nostri « antenati contemporanei »), si è caduti nel pregiudizio di considerare queste socie- tà come « prelogiche ». Questi studi non perdono tuttavia nulla della loro importanza; costituisco- no una enorme quantità di elementi messi a nostra disposizione. Anche se non si sono recati perso»

nalmente tra gli Esquimesi o i Papua, i sociologi hanno compulsato le memorie degli esploratori, i diari di bordo, sono risaliti alle relazioni dei pri- mi missionari del Settecento e del Seicento. Ma le loro analisi delle « società magiche » sono ge- neralmente di sapore illuministico. Essi sono del- l'opinione che queste società rappresentino uno stadio infantile che prelude necessariamente all’età matura e razionale, quasi che la magia fosse una sorta di anticipazione immaginosa e mitica della scienza positiva, in cui sarebbe destinata a risol versi senza lasciar traccia. Si muovono dunque nell’orbita dell’ideologia spenceriana e dell’evolu- zionismo sociologico. Sottintendono una superio- rità gerarchica dell’ordine logico su quello magico,

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senza sospettare che i due ordini potrebbero an- che essere divergenti. In realtà il « primitivo prelo- gico » dei moderni sociologi è un mito, come era- no miti il «buon selvaggio » del Settecento e il

« selvaggio-bestia feroce » di Darwin. il Lévy- Bruhl, studiando la mentalità primitiva, ha no- tato queste caratteristiche: una» scarsa sensibilità alla contraddizione logica; indifferenza alle cause seconde, cioé naturali, osservabili; il conseguente

ricorso alle cause occulte, ai capricciosi interventi di spiriti e animali magici; e di qui la cieca fede nei sogni e nei presagi. Ma ciò non è sufficiente per supporre che quelle società siano irrigidite in uno stato di infanzia prolungata. Anzi, il loro mon- do è maturo e perfetto. I missionari non si capaci.

tavano dell’aria di sufficienza con cui gli indigeni assistevano ai loro sforzi per spiegare che un uomo non può essere simultaneamente in ‘due luoghi e che non si può imputare ad un uomo un’azione che gli si è vista commettere in sogno. Tra il sogno e la veglia i primitivi non vedevano nessuna differenza e quando sognavano che la propria moglie li tradi- va, la punivano come per adulterio commesso real- mente. La vittima accettava in piena persuasione questa che a noi appare una stridente assurdità e una mostruosa ingiustizia. Ma ciò significa che al posto delle nostre categorie i primitivi ne possie- dono altre non meno solide e certo più ampie; ai loro occhi l'essenza di un individuo si manifesta nei modi più meravigliosi, violando il principio di identità e il principio di ragion sufficiente; il loro mondo è infinitamente più vasto e più libero del nostro. Per tradurne in qualche modo il sen- so nel nostro linguaggio, noi siamo soliti servirci

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del termine « partecipazione », che sta ad indicare una rete di rapporti fra gli enti individuali incom- parabilmente più intima di quella prevista dalla tabella delle nostre categorie. Non è dunque esatto il voler stabilire confronti e gerarchie tra i due mondi. Le società magiche non sono infantili, anzi hanno raggiunto uno stadio di sviluppo equivalen- te alla civiltà meccanica americana, ma nel senso

opposto, cioè magico. i

Dunque l’occultismo testimonia una condizione di verginità alogica, non prelogica. E° un atteggia- mento originario ed autonomo, sempre possibile, anche nel pieno rigoglio delle culmre razionalisti- che. Le condizioni storiche o etniche favoriscono senza dubbio le sue manifestazioni, e particolar- mente quelle di carattere sociale, come ne deter- minano il contenuto; ma non ne spiegano il cen- tro animatore, la prospettiva generale. La even- tualità di accettare la visione magica del mondo sussiste sempre, giacché la magia non può essere assorbita dialetticamente dalla scienza. La scienza la esclude, ma non la risolve. Nella scienza as- sistiamo alla metodica spersonalizzazione dello studioso che viene lentamente assorbito dal siste- ma universale della ragione. 'L’occultista invece siede al centro di un universo magico di cui pos- siede l’«apriti, sesamo! »:; in questo universo fer- mentante di potenze misteriose che convergono come fili invisibili nel suo pugno, il suo piccolo io umano si esalta e si dilata infinitamente, diventa il microcosmo capace di dominare il macrocosmo attraverso una sottilissima rete di affinità e di in- finenze. La scienza è osservazione disinteressata,

la magia è potenza. Ed è ben vero che la scienza.

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pi moilerna yuol conoscere i fenomeni naturali per Li dominarli, sieché alcuni (Jaspers, ad esempio) la iN vorrebbero accostare alla magia; ma i mezzi con

cui essa intende giungere a quel dominio sono trop- po diversi da quelli usati dalla magia. Inoltre la

VA scienza moderna vuol dominare i «fenomeni», mentre la magia è assai più esigente e mira alle es- senze dei fenomeni. Meno lontana dalla magia era, | se mai, la scienza scolastico-aristotelica prima di i Galileo. Alla domanda perché Poppio faccia dor- i mire, gli scolastici risposero quia habet virtutem | dormitivam. Con ciò, non facevano tuttavia della pi magia. Non hasta affermare le virtutes e qualitates occultae delle cose per essere occultisti: bisogna il essere convinti di partecipare altivamente ad esse.

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ii Le nostre abitudini mentali ci conducono ad una considerazione logico-concettuale della realtà, che ci sembra perfettamente naturale. Non soltanto la scienza galileiana quantitativo-meccanica, ma anche la vecchia filosofia-scienza medioevale rientra in questo quadro, Il filosofo medioevale trasformava la qualità delle cose in altrettante essenze occulte, invece di ridurle ai loro elementi misurabili e di ricercarne le leggi di variazione; ma non per tanto tilt egli rinunciava a ordinare concettualmente le essen- ze secondo la gerarchia logica dei generi e delle spe- cie, ché anzi proprio in ciò consisteva tutto il suo lavoro. Sicché il suo universo, sebbene qualificato ed essenzializzato, era pur sempre rigorosamente logico. Ma l’occnltista spezza alla base la piramide à (01 dei concetti generici e specifici, abolisce ogni ordi-

Vi namento e pone le essenze in assoluta libertà, i Il punto di deviazione dell’occultismo rispetto

al tradizionale pensiero logico-concettuale sta dun-

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que nel particolarizzare le essenze, di maniera che, mentre queste tradizionalmente erano enti universali (che abbracciavano tutti gli individui di una specie, tutte le specie di un genere, o ad- dirittura i fondamenti di tutti i generi), ora espri- mono caratteri singolarissimi di determinati indi- vidui, variabili anche tra gli individui della me- desima specie. Il rifiuto delle essenze logico-univer- sali priva il divenire cosmico di ogni legge for- male e lo impernia invece attorno alle essenze individuali. Queste ultime vengono ad assumere la funzione di poli attorno a cui si va raccogliendo la massa dinamica dei fenomeni. Come questo possa accadere, è inutile domandare, poiché costituisce un problema del tutto estraneo al clima magico.

Noi non riusciamo a concepire razionalmente un universo ridotto ad un agglomerato di essenze in- dividuali ex lege; non comprendiamo come in mancanza di qualunque lesse generale queste essen- ze abbiano la possibilità di agire le une sulle altre.

Ma il sacrificio della logica è condizione prelimi- nare per penetrare nell’occultismo. Ogni essenza è capace di una occulta irradiazione e il giuoco re- ciproco di queste irradiazioni costituisce l’equili- brio instabile dell’universo magico.

Non mancano peraltro, nelle opere degli occul- tisti, frequenti accenni ad un Principio supremo;

ma, se vogliamo cogliere l’essenza pura dell’oc- cultismo, dobbiamo accuratamente distinguere in quelle opere la genuina ispirazione dalle sopra- strutture religiose, filosofiche e metafisiche in ge- nere. Anche il misticismo non va confuso con l’occultismo, sebbene vi si mescoli quasi conti- nuamente, Questo nostro criterio è confermato dal-

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l’esame delle società magiche dei primitivi, nelle quali manca ogni traccia di intuizione metafisica unitaria, mentre il «misticismo » che ad esse si attribuisce è una espressione del tutto impropria.

Per quanto il coronamento mistico sembri legittima- mente innestarsi sull’edificio magico, tuttavia ma- gia e mistica sono due atteggiamenti ben distin- ti. La confusione nasce dal fatto che il « miste- rioso » della magia e l’ineffabile della mistica ven- gono abitualmente proiettati sul medesimo piano soprannaturale. Ma in realtà la magia vede il misterioso nella natura stessa. La magia naturalis, o philosophia occulta. del Rinascimento non ha nulla che vedere con la fuga dal mondo dei mi- stici. Nel preciso momento in cui la magia ab- handona la mirabolante rapsodia delle essenze par- ticolari per sollevarsi ad un ineffabile univer- sale e soprannaturale, essa affoga nella mistica.

L'equilibrio dell’universo magico non ha quin- di nulla di sistematico e di unitario. Alla Unità si contrappone la varietas rerum di Cardano, la variopinta esperienza, rivelatrice di sfumature in- finite. I confini di questo universo sono oscillan- ti e brumosi, i suoi fondamenti non vengono mai vagliati. Anche la sympathia o antipathia rerum non va intesa come una legge nel senso concettuale;

è una generalizzazione empirica, formulata in un

momento di riflessione, che non adempie nessun ufficio sintetico nell’esperienza magica. Questa ri- mane arbitraria, rapsodica, dispersiva. Mentre la logica è centripeta, la magia è centrifuga. La lo- gica si sforza di costringere ogni cosa nel letto di Procuste dell’Uno; la magia interroga amorosa- mente cosa per cosa e riconosce non già le rela-

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zioni che una singola cosa può avere col Tutto, ma piuttosto quelle, segrete e private, che annoda con le altre cose singole, secondo misteriose di- sposizioni di simpatia o antipatia che non ven- gono mai formulate esattamente, ma si traducono in interminabili esemplificazioni. Appunto in de- serizioni ed esemplificazioni si esaurisce l’occul- tismo, indifferente ad ogni forma di sintesi. Le proprietà magiche di una cosa non possono venir

fissate astrattamente, ma vengono descritte caso

per caso, nei diversi incontri e combinazioni con la proprietà di altre cose. Né la loro determina zione è regolata da una sperimentazione meto- dica. Esse appaiono capricciosamente, senza nes- suna base induttiva. Un corno d’ariete, sotter- rato e putrefatto, si trasforma in asparago; un lente di cavallo appeso al collo preserva dai brutti sogni; la lucertola è ghiotta della saliva umana. Talvolta, è vero, si constata uno spun- to sperimentale; ma l'attendibilità del rapporto magico non ne viene accresciuta, e del resto quello spunto viene subito alterato in bizzarre analogie. Per operare un maleficio, si raccoman- da di usare l’orina e i capelli della vittima stes sa; e in ciò vediamo un nesso tra le sostanze do- tate di potere malefico e la persona contro cui debbono agire, poiché si tratta di sostanze apparte- nenti alla persona stessa; senonché il maleficio sarà più efficace se si aggiungeranno orina e peli di cane, e qui il nesso si smarrisce in una analo- gia incerta.

Forse è lecita la supposizione che Patteggiamen- lo magico sia stato suggerito da quel sruppo di esperienze fisiologiche che va sotto il nome di

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idiosinerasie e che nemmeno l'odierna chimica fi- isiologica riesce a spiegare esaurientemente. L’in-

‘sofferenza di certi organismi per le fragole può suggerire l’idea di una segreta antipatia tra l’uo- mo e la fragola. Posta su questa via, l’immaginazio- ne scorge dovunque simpatie e antipatie, miste- riosamente distribuite. Ed è poi inevitabile che la conoscenza di questi rapporti sia applicata ad un fine pratico. Si cerca così di provocare arti- ficialmente determinati inconiri e combinazioni, per sfruttarne gli effetti. Anzi l'applicazione pra- tica diventa il momento dominante, o addirittura esclusivo, dell’oceultismo. Questo spiega ulterior- mente quell’assoluta assenza di spirito critico che abbiamo già veduta implicita nell’essenza conosci- tiva dell’occultismo. La bramosia di risultati pra- tici distrae sempre più la mente dalla possibilità di valutare razionalmente le sue credenze; tuttavia non sarebbe esatto attribuire soltanto all’urgenza pratica l’indifferenza critica dell’occultismo: dob- biamo infatti riconoscergli il carattere di atteg- giamento conoscitivo alogico, secondo quanto si è discorso. Ma rimane vero che la potenza personale è la meta e il coronamento di tutta l’attività di un occultista. Nelle società magiche questa tumescen- za individuale si verifica ovviamente nei capi sa- cerdotali, che non vanno però considerati volter- rianamente come « preti ciurmadori », sebbene pos- sa darsi il caso che, non credendo più alla magia, essi l’esercitino ‘a vantaggio proprio e non a van- taggio del corpo sociale; ma questa mistificazione segna la decadenza delle società magiche. Negli occultisti sporadici del Medioevo e del Rinascimen- to l’apogeo della potenza è rappresentato dal lapis

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philosophorum, o pietra filosofale, cioè dall’elemen-

to capace di tramutare una sostanza in qualunque

altra, non esclusa la più preziosa che è l'oro. Evi- dentemente la credenza in questa virtù del Zapis presuppone la validità della « partecipazione ». Se una sostanza può partecipare alle proprietà di un’altra sostanza, è ammissibile la ricerca delle condizioni adatte al verificarsi di questa parteci- pazione o trasmutazione.

Bisogna però notare che il problema della pie- tra filosofale segna la decadenza dell’occultismo europeo. Finché la potenza dell’occultista si mani- festava in formule e gesticolazioni, la magia si conservava genuina; ma quando la sua ambizio- ne divenne al tempo stesso più vasta e più posi- tiva, l’importanza dell’alchimia divenne prepon- derante su tutte le altre arti magiche. L’alchimia contiene assai più elementi positivi dell’antica ar- te spargirica; in essa si possono addirittura rin- tracciare rozze anticipazioni della chimica. Sicché, se Ja ricerca del /apis era originariamente un tema schiettamente magico, conteneva però le premesse per un abbandono della magia. Infatti questa pie- tra, per quanto immaginaria, aveva una superio- rità indiscussa su tutte le altre sostanze e quindi rappresentava in qualche modo un principio di unificazione del mondo magico; e unificare è già razionalizzare. Toccò insomma all’alchimia di rom»

pere dal di dentro il cerchio magico, che era già stato neutralizzato dal di fuori mercé la scienza moderna, ))

1) A proposito dell’istinio di potenza dell’occultista si potrebbe affacciare una interpretazione psicanalitica. In questa luce, lot enltista sarebbe nun soggetto estremamente ambizioso. in eni un

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La selezione dei testi, che presentiamo in questo volume, si ispira al criterio quassù discorso di distinguere nei limiti del possibile l'occultismo puro dalle soprastrutture mistiche o razionali che lo accompagnano. Non è nostra intenzione offri.

re un quadro completo dell’opera degli autori di cui riportiamo i testi, ma piuttosto di scegliere quei testi in cui il loro carattere di occultisti è più evi- dente. Non abbiamo quindi preso in considera- zione lo scetticismo di Agrippa, la medicina di Pa- racelso, la « filosofia iridescente » di Cardano, l’ot- tica di Della Porta; ma abbiamo piuttosto cercato di rendere il clima magico caratteristico di ciascu- no di loro. E, poiché il nostro proposito era di cogliere l'essenza dell’occultismo e non di .trae-

ciarne la storia, non dovrebbe stupire l’assenza di nomi come Reuchlin, Pico della Mirandola, Cam-

complesso d’inferiorità ha provocato il réfoulement della libido di potenza, determinandone la riapparizione in forma onirica.

Senza dubbio intendere la magia come sogno importa una note.

vole difficoltà. Ma, se si considera che di tutte le credenze oc- cultiste (non parliamo delle credenze marginali che, per la loro parziale oggettività, sono state capitalizzate dalla scienza) nes- suna aveva un fondamento attendibile e che tuttavia venivano ciecamente accettate, si può anche concedere che un così enor- me illusionisgmo costituisca una specie di stato onirico e che dunque la magia sia un ininterrotto sogno ad occhi aperti, Se- nonché, concesso questo, non sì andrebbe oltre la mera condizio- ne psicologica dell’occultismo. Qui, come sempre, i psicanalisti si dimostrano incapaci di distinguere il valore spirituale di una esperienza dalla sua condizione psicologica e credono di poter assorbire quello in questa. I rapporti tra la psicanalisi e l°oc- cultismo sono stati scarsamente studiati. Il Totem e tabù di fceud riguarda la magia primitiva. Uno studio psicanalitico, a dire il vero di mediocre valore, è il Paracelso di R. ALLENDY (trad, ital. Milano, Bocca, 1942).

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panella, Fracastoro ecc., 0, scendendo ad un livel- lo ciarlatanesco, come Nostradamo o Cagliostro.

Ma crediamo che la nostra esemplificazione di testi magici sia sufficiente a dare un'idea comples- siva dell’oceultismo. Limitandola a quattro rap- presentanti, e non tutti tra i maggiori, abbiamo cercato di fissare quattro momenti che si ritrovano nell’occultismo come in qualunque altro atteggia- mento spirituale. Un primo stadio di latenza è impersonato in Agrippa, il cui misticismo medioe- vale minaccia di compromettere la validità della fi- losofia occulta da lui stesso propugnata. Si passa poi alla pienezza trionfante di Paracelso. In Car- dano assistiamo all’esteriorizzarsi della fede magi- ca in una zona periferica, estetizzante; e infine in Della Porta la vediamo degradarsi in una punti»

gliosa velleità o addirittura in una curiosità acca- demica.

Enrico Cornelio Agrippa di Nettesheim 2) manca di un equilibrio sicuro, quale gli poteva venire dal- la piena e gioiosa dedizione all’occultismo. Agli entusiasmi giovanili per la pietra filosofale, rin-

2) Nato a Colonia nel 1486, viaggiò in Italia e in Francia.

Seguì l’imperatore Massimiliano nella guerra contro Venezia e fu nominato cavaliere sul campo. Entrò poi in rapporti con il Connestabile di Borbone, di cui avrebbe profetato la morte al sacco di Roma, e con Francesco I, Che il suo contegno non fosse limpido, si desume dalla prigionia subita in Francia, Lo vedia- mo postulare invano una pensione dal Duca di Savoia, quindi tenere delle letture su Ermete Trismegisto a Pavia, infine otte- nere la nomina di storiografo da Margherita d’Austria, alla quale aveva dedicato il suo trattatello in lode delle donne. La morte di Margherita lo priva della pensione e lo espone alle persecuzioni per la sua Philosophia occulta; incarcerato a Bru- xelles, ripara nuovamente in Francia e, dopo una terza pri.

gionia, muore a Grenoble, pare all’ospedale (1535).

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novatisi poi al contatto con l'abate 'Iritemio e alla lettura di Reuchlin, seguono smarrimenti e agitazioni e polemiche. L'opzione della prospettiva magica in lui non è radicale. Nel suo De incertitu- dine et vanitate scientiarum lo scetticismo sem- bra intaccare anche la filosofia occulta, che si va dissolvendo in una forma di misticismo religioso

Ben più organica è la figura di Teofrasto Bom- basto di Hohenheim,*} il principe degli occultisti (il nome di Paracelso è una sua libera derivazio ne da Hohenheim). Intorno alla sua complessa per- sonalità si è scritto moltissimo e la sua opera fu studiata in tutti gli aspetti, particolarmente in quel.

lo medico. Ma, per quanto nella sua medicina si siano volute vedere prodigiose anticipazioni, essa ha caraitere magico e si collega con l'astrologia e l’alchimia. Infatti, da un laio le forze vitali del l'organismo sono in immediata relazione con le potenze celesti, non diversamente dalle erbe medi- camentose che servono a riattivarle (dice a questo proposito Paracelso, con evidente riferimento alla

3) Nacque ad Einsiedeln, presso Zurigo, nel 1493, da un me- dico delle miniere, Subì giovinetto i’influsso di quel leggendario abate Tritemio, conosciuto anche da Agrippa, che è il segreto ispiratore della magia tedesca. Il nomadismo in Paracelso è par- ticolarmente spiccato. Pare si sia spinto fino a Mosca e a Co- stantinopoli. Laureatosi in medicina a Ferrara, si fissò più tardi a Basilea, sotto la protezione dello stampatore Giovanni Fro- benio, che gli fece ottenere la carica di «fisito» del comune (medico condotto), Morto il Frobenio, perdette la carica. Si av- vicinò per un certo tempo a Zuinglio e predicò il vangelo a San Gallo; ma i suoi rapporti con la Riforma furono estrosi.

Di Lutero imitò il bruciamento della bolla papale gettando alle fiamme sulla pubblica piazza i libri di Galeno. Il quale gesto simboleggia la sua ostilità verso la medicina accademica del suo tempo, Morì a Salisburgo nel 1541.

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partecipazione: «La melissa no è soltanto nel

giardino, ma anche nell’aria e nel cielo, e Venere non è cosa diversa dall’artemisia che cresce nelle aiuole. ») D'altro lato le funzioni vitali sono rego- late da un « alchimista interno », ogni fenomeno vivente è prodotto da una alchimia naturale. Per- tanto le quintessenze, gli arcani, le tinture, gli elisiri possono rendere all’uomo la salute perduta. . Ma il medico può ricorrere senza arrossire anche all’opera dei talismani, poiché i metalli possiedono una vita propria ed irradiano particolari fluidi;

vero è che essi vanno usati nel momento in cui gli astri sono disposti convenientemente; e l’efficacia sarà maggiore se porteranno incisi segni e carat- teri secondo l’arte cabalistica.

Il procedimento di estrazione delle quintessen- ze è elaborato negli Archidoxes, il capolavoro al- chimistico di Paracelso. Trattandosi di energie eteriche, immateriali e viventi, non rimaneva al- tro procedimento che quello di fissarle sopra un sostegno materiale, ridotto e purificato al massi- mo. La quintessenza non è al di là dei quattro ele- menti, bensì un composto delle particole più sottili degli elementi stessi, secondo le proporzioni naturali di ciascuna cosa. Si può estrarre dai tessuti organici, ma non rimane a lungo attiva e incorrotta, in ragione della mortalità degli esseri animali. I metalli invece, avendo uma vita perpetua, dànno quintessenze più perfette. Le operazioni dell’astra- zione sono complesse: sublimazioni, calcinazioni, digestioni, dissoluzioni nell’acquaforte. Eliminate con questi mezzi le impurità e le parti corrutti- bili del corpo, si ottiene una specie di estratto più o meno viscido secondo la sua ricchezza di umidità

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mercuriale, che non è la quintessenza vera e pro- pria, ma, come si è detto, la sua base materiale. Al- tri estratti alchimistici sono gli specifici, gli elisiri, i «magisteri ». Ma al di sopra di tutti gli estratti troviamo gli « arcani », principi incorporei e im- mortali, che sono la materia prima, il mercurio di vita, la pietra filosofale e la tintura (dove la differenza tra questi due ultimi non è chiara).

Ci siamo soffermati sull’alchimia di Paracelso anche per rendere meno oscuri i passi degli Archi- doxes riportati più innanzi. Ma la distillazione di virtù immateriali, quale l'abbiamo veduta nell’al- chimia, è un aspetto della generale tendenza di Paracelso a dissociare la qualità dai loro porta- tori fisici. Le cose materiali tendono a scomparire per dar luogo alle virtù occulte che ne esprimono l’essenza, Il fegato, grazie alla simpatia che lo le- ga agli astri, diventa una forza che circola in tutte le parti del corpo, pur possedendo la sua sede nell’organo così chiamato. Non diversamente i quattro elementi classici sono modalità dell’ener- gia vitale. Il mondo di Paracelso è un mondo sma- terializzato, ridotto ad un complesso di qualità vaganti tra il cielo e la terra, capaci di penetrare in qualunque corpo. I corpi non sono altro che

portatori di qualità, di fluidi, di influssi; la loro realtà fisica ha carattere affatto secondario; la ma- teria si risolve in forza, o meglio in forze qualita- tivamente determinate. Pertanto diventa conce- pibile l'intento di perfezionare e sopravanzare la natura stessa. Se l’essenza dell'oro è tutta nelle sue qualità, basterà attirare queste qualità su un corpo qualunque per avere dell’oro. Similmente

potremo ottenere la generazione umana senza

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il concorso della donna: basterà attirare le qualità femminili nell’alambicco dove fermenta il seme virile, e nascerà l’homunculus.

Ma le qualità «in liberià » ci consentono di an- dare oltre. Non soltanto possiamo trasformare la realtà e sostituire la natura, ma ci è anche possi- bile di compiere il passaggio dall’immaginazione alia realtà. Quando una donna incinta immagina intensamente, una traccia di questa immaginazio- ne si troverà nel bambino. (Il che trova credito tutt'oggi, ma non certo per i motivi addotti da Paracelso). Se una persona muore desiderando che altre periscano, la sua immaginazione erea un veicolo che parte dal suo cadavere e si getta su altre persone, sì che può risultarne una epidemia.

In generale, tutti i malefizi consistono nel trasferi- re, mediante la forza immaginativa, una qualità da un corpo all’altro. Così un uomo può essere invasato dall’anima di un lupo (licantropia). Ad ogni malefizio fa poi risconiro un rimedio e il medico accorto può, per così dire, sorprendere la qualità migrante a mezzo cammino e dirigerla su un albero anziché sulla persona minacciata. Sul trasferimento di qualità per mezzo dell’immagi- nazione si basano altri artifizi, come gli specchi magici e i filtri. Le operazioni che mettono le for- ze reali al servizio della immaginazione costitui- scono la magia in senso specifico. Sicché alchimia e magia si distinguono per il fatto che l'alchimia utilizza le forze reali senza far intervenire l’im- maginazione.

Ma l'immaginazione registra altri successi. Dallo sperma dei masturbatori, purché la pratica sia compiuta immaginando intensamente un compagno

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2. Gli occultisti.

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sessuale, nascono ì Succubi e gli Incubi, entità rispettivamente femminili e maschili. Le pollu-

zioni notturne, invece, precisa Paracelso, non es-

sendo sostenute dalla medesima potenza immagi- nativa, non ottengono tale effetto. Diverso è poi il caso dei Lemuri e dei Vampiri. Questi sono enti- * tà disincarnate che sorgono dalla spoglia di per-

sone morte violentemente, o prematuramente, e

si sforzano nostalgicamente di entrare in rapporto con gli uomini. Ad essi Paracelso, non diversamente dai moderni specialisti di metapsichica, attribuisce i fenomeni osservabili nelle case stregate: appari- zioni, effetti luminosi, spostamenti di oggetti. Non precisata è poi l’origine dei Fantasmi, spiriti not- turni che cercano la compagnia degli nomini senza giovare né nuocere e si intrattengono come parassiti.

Questa mitologia si prolunga nella natura con gli Elementali, ossia con gli spiriti dei quattro elemen- ti: le Ninfe o Ondine, dell’acqua; le Silfidi o Sil- vestri, dell’aria; i Pigmei o Gnomi, della terra; le Salamandre o Vulcani, del fuoco. Tutti quanti posseggono un corpo eterico, invisibile, ma per- fettamente organizzato nei visceri e nelle funzioni, Infatti le Ninfe possono unirsi agli uomini ed averne dei figli, che sono di razza umana e pos- siedono un’anima. « E’ per elevarsi — nota Pa- racelso — che le Ninfe cercano il nostro amore.

La Ninfa che riceve il seme umano è, come la donna, riscattata da Cristo. Se in seguito la Ninfa sparisce, l’unione tuttavia non può essere sciolta, perché essa ha ricevuto col seme un’anima umana e, se l'uomo vuol prendere un’altra donna, essa riappare e l’uccide. » Così vivificati, i quattro ele menti diventano oggetto, rispettivamente, dell’idro-

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manzia, dell’aeromanzia, della geomanzia e della piromanzia, che tutte rientrano (come la chiroman- zia e la fisiognomica) nell’arte divinatoria, giac- ché mirano a cogliere le qualità occulte attraverso l’interpretazione dei segni esteriori, Dalla divinazio- ne si passa infine alla mantica, che è l’arte di pro- fetare senza l’impiego di mezzi fisici di investi- gazione, sul fondamento di una diretta illumina- zione interiore, resa possibile dall’affinità qualita tiva tra il microcosmo, ossia l’uomo, e il macroco- smo.

Come si vede, il quadro che abbiamo qui schiz- zato del mondo di Paracelso, nonostante le molte semplificazioni, è ben lontano dal soddisfare il nostro bisogno di ordine e di sistematicità, Il carat- tere tipico di questo mondo è di essere estrema- mente qualitativo, anzi di essere un andirivieni di qualità sganciate dai loro supporti fisici e mi- granti in ogni direzione. Se questo mondo ha un centro, esso è costituito dalla personalità dello stes- so occultista, che non solo conosce le forze occulte del suo mondo, ma è convinto di poterle dominare, poiché esse penetrano nel suo stesso essere e dun- que egli le può vivere. E’ pertanto comprensibile che Paracelso cada spesso in uno stato di acuta autoesaltazione, come quando enumera TItalia, la Dalmazia, la Grecia, l'Arabia tra le province della sua monarchia spirituale, che doveva evidente- mente abbracciare tutto il mondo. Egli vede per- fettamente «che cosa sia Melusina, che cosa Si- rena, che cosa siano la permutazione e la trasmu- tazione, ‘che cosa sia il dolce, che cosa l'amaro, che cosa sia il veleno, che cosa sia Dio, che cosa Satana, ecc, ecc. » Egli si sente un microcosmo ir

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cui tutte le essenze del macrocosmo sono imma- nenti. Ma questa corrispondenza tra microcosmo e macrocosmo non è una legge universale, valida per tutti gli uomini in eguale misura; è piuttosto un privilegio personale, un’avveniura irripetibi- i le. Le forze che circolano nel mondo magico non Da si riducono romanticamente, come credeva Goe- ta ihe, all’unica forza del tutto, ma rimangono qualitativamente distinte e indipendenti, in una condizione dispersiva e rapsodica, e quindi posso- no essere captate soltanto per una felice attitudine individuale e non in virtù di una legge anonima.

li senso di un privilegio personale non era me- no acuto in Girolamo Cardano (Pavia 1501-Ro- ma 1576), se egli avvertì il bisogno di descriverlo diffusamente nella sua autobiografia. Sorprende che il Dilthey intenda il « concetto più elevato del compito biografico », proprio del Cardano, co- me una tendenza a parlare « di se stesso, delle sue passioni sensuali, della sua doppiezza, del suo ani- mo vendicativo... con quella stessa pacatezza d’abi lo teoretico con la quale più tardi Spinoza consi- derò gli affetti. » in realtà quel « concetto più ele-

4) Anche Goethe è caduto nell'errore di intende:e la magia come una metafisica immaginosa, una sorta di monismo natura- listico, come appare dai versi del Faust:

Wie alles sich zum Ganzen weht, Eins in dem anderen wirkt und lebi!

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Il primo verso, nettamente metafisico, impedisce di intendere in senso magico il secondo, che di per sé sembrerebbe avere significato magico,

5) L'analisi dell’uomo ece., trad. ital, Firenze 1927, Vol. II, Pp. 227-29.

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vato del compito biografico » consiste nell’atmosfe- ra magica e la « pacatezza d’abito teoretico » si con- verte in una fede quasi superstiziosa nel posto pri- vilegiato che la propria persona occupa nell’uni- verso, del quale privilegio sarebbero indizi anche i difetti morali.

«Tra le caratteristiche della mia natura» rac- \/

conta Cardano, «devo ricordare come le mie car- N ni odorassero di zolfo, d’incenso e non saprei dire i di che altro. Questi odori furono più che mai in- tensi all’età di trent'anni, quando fui colto da una delle mie più gravi infermità [la febbre terzana].

Dopo la guarigione, specialmente le braccia senti.

vano di zolfo.» Ci informa poi del suo sogno ri- corrente: « Mi fu quasi abituale la visione di un gallo, rosso non meno di penne che di cresta e bargigli. Pur dormendo, attendevo con timore che dal suo becco uscissero parole umane, come di lì a poco avveniva. Ma, sebbene vedessi centinaia di volte questo gallo e quasi altrettante lo udissi par- lare, non so tuttavia ricordarmi che cosa dicesse, neppure una volta; ma ricordo che le sue parole furono quasi sempre minacciose... La visione del gallo nei sogni era naturale; ma l’averlo veduto così di frequente e sempre della stessa forma e nel- la stessa maniera ha senza dubbio del portentoso. >

Altrove ci assicura che un’altra sua prerogativa era la facilità con cui cadeva in estasi e veniva preso dal «tremore ». E l’episodio del primogenito con- dannato a morte per uxoricidio (anche il secon- dogenito fu delinquente e nemmeno il padre si può dire uno stinco di santo) acquista nel suo raccon- to un tono misterioso. Prende le mosse dai remoti presagi della sciagura: « Già le prime gravidanze

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[della moglie di Cardano] non ebbero esito: era- mo maschi e quadrimestri gli aborti; così che non solo disperavo di aver figli, ma mi venne perfino il sospetto che lo sconciarsi di mia moglie fosse ope- ra di stregonerie. Finalmente nacque il primogeni- to, somigliantissimo a mio padre. Era onesto, dolce, schietto, ma sordo dell’orecchio sinistro, di occhi piccoli, biancheggianti e irrequieti, con la spina dorsale prominente, senza tuttavia apparire defor- me, Inoltre due dita del suo piede sinistro erano unite, e precisamente il terzo e il quarto comin- ciando a contare dal pollice. » Quasi un segnato da Dio. Comunque, il figlio « visse morigerato e tranquillo fino a ventitré anni, e a questa età si laureò. Poco dopo si innamorò della Brandonia Saronna e la ricevette in moglie senza dote... Queste nozze si possono veramente dire nozze di pianto e di dolore, come subito si ebbe a constatare; e, poiché io principalmente ne soffrivo, parve che con la morte della nuora dovessero finire i mici guai di quei tempi. Accadde intanto che a mio fi- glio si muovesse accusa di aver avvelenato la spo- sa durante il puerperio. Quindi il giorno 17 di febbraio lo vidi condurre in prigione, dove, cin- quantatré giorni dopo, voglio dire il 13 aprile, condannato alla mannaia, gli fu mozzato il capo ».

Ma già una ventina di giorni dopo l’incarcerazione del figlio il Cardano ebbe una telepatia rivelatrice,

« Mentre attendevo agli studi nella mia bibliote- ca », egli racconta, « mi ferisce l’orecchio una can- tilena, come di uomo che si confessi, ed era fioca, gemebonda, e quasi ad ogni parola la voce pareva spegnersi. Mi si spezza e dilania il cuore; il furore mi spinge dalla biblioteca nel cortile, dove si tro-

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vavano alcuni dei Pallavicini, pressa i quali avevo appigionata la casa; e, pur sapendo quanto danno arrecassi alla causa di mio figlio nel caso che non avesse confessato il delitto, e molto più se fosse stato innocente, grido: — Ahimé, mio figlio ha confessato in questo momento, e sarà condannato a morte e lo colpirà la mannaia! — E, preso il mantello, corro in piazza. Circa a metà strada in- contro mio genero tutto mesto, il quale dice: — Dove te ne vai? — Dubito, rispondo, che mio fi glio abbia confessato ogni cosa. — Ed egli: — Purtroppo lo ha fatto, e non sono che pochi istanti.» Due anni dopo la decapitazione del pri- mogenito, avvenuta nel 1560, il secondogenito e il padre si trovano entrambi in carcere: quello per reati comuni, che gli valsero una grave condanna;

questo non si sa se per corruzione o come mat- toide. Certo è che nel 762 Cardano subì due mesi e mezzo di prigione a Bologna, nel cui Studio in- segnava. L’episodio è da lui accompagnato in que- sta annotazione: « Nel giorno medesimo del mio arresto, aggiunsi allo stemma [dei Cardano] l’im- magine di una rondine, appostata sotto un porti- co e atteggiata al canto. E la rondine mi sembrò accordarsi per diverse ragioni con la mia indole particolare; poiché questo uccello non è volgare né dannoso ad alcuno, facile ad accomunarsi col poveri invece di disprezzarli, assiduo compagno degli uomini senza familiarizzarsi con nessuno di loro, pronto ad emigrare, ma costante nel ritornare, desideroso di nozze e non solitario, ma insofferen- te di carceri e di limitazioni. Oltre ad essere il solo fra tanti uccelli a recuperare la vista se accecato.

esso nasconde in corpo pietruzze di rara bellezza.»

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Questi esempi concordano nel testimoniare in Car- dano un senso vivacissimo della propria eccezionali- tà, e poco gli importa che le prove siano moralmen- te buone o cattive. Si può certo vedere col Dilthey in questa «fiducia nel proprio genio » unita ad uno «sfrenato bisogno di fama » una caratteristi ca del Rinascimento italiano, ma l’accento di Car- dano batte insistente su toni occulti, sicché con- viene riconoscere che egli fonda la sua originali»

tà su misteriosi commerci cosmici. Del resto la sua sensazione di essere legato in maniera unica alle potenze occulte del mondo è provata da quel

« demone » che egli ora afferma ora nega (e la Negazione è prudenziale) di aver avuto per compa- gno e consigliere, 9)

D'altra parte già il farsi biografo di se stesso, con una buona dose di esibizionismo, denunzia in lui qualcosa di istrionico, che ritroviamo in tutta la sua magia. Se la sua opera principale De subti- litate non regge il Paragone con gli Archidoxes di Paracelso, ciò si deve innanzi tutto all’assenza di quella fede che vibra in ogni pagina di Para- celso. Nuoce a Cardano una tendenza estetizzante, caratteristica degli Italiani in genere e di quelli del Rinascimento in ispecie. Sebbene egli rimpro- veri Agrippa, è ben più scettico di lui. Pure, da

6) La psichiatria considera questo demone « né una sfacciata menzogna,

né una pazzia volgare, ma nun fenomeno morboso, parte ereditario, parte dovuto all'educazione, in un malato di iperestesia. » BurTRINI, Saggio psico-biografico su G. C., Sa- vona, 1884, p. 83, Di qui si potrebbe indurre, data la frequente natura psicanalitica delle forme iperestetiche, che Cardano fosse ln soggetto psicanalitico, sebbene non così pronunciato «eunocoide» come lo Paracelso. Il che, naturalmente, potrà chiarire la condizione del suo atteggiamento magico, ma non ne tocca l’es- senza.

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questa deficienza di fede nasce il pregio di una sensibilità magica più ricca ed aggraziata.

Il successo pratico di Cardano, intanto, fu spettacolare. Esso culminò nel trionfale viaggio ad Edimburgo per curarvi l’arcivescovo; ma sol lecitazioni gli vennero anche dalla regina di Scozia, dal re di Francia, dal re di Danimarca, che gli offrì la carica di medico di Corte. E° vero che la fama gli attirò odi e persecuzioni persino nella sua Pavia (dove era nato da genitori milanesi, essen- dovisi la madre rifugiata a causa della peste). Al di fuori dell’occultismo, il suo nome è legato alla formula di soluzione dell'equazione cubica (che diede origine alla famosa disputa con Tartaglia, dal quale Cardano l’aveva appresa in una chiesa dietro giuramento di segretezza, per divulgarla poi come sua propria), al cosiddetto anello cardani- co, alla supposizione dell’esistenza dell’ossigeno. In filosofia, oltre la sua ribellione all’aristotelismo sco- lastico ed una tendenza scettica che prelude a Sanchez e a Montaigne, sostenne una « filosofia iridescente »”) che sarebbe il preambolo immagino- so, fondato sulla sympathia rerum, del panteismo razionalistico.

In Gian Battista Della Porta (Napoli 1535-1615), contemporaneo e detrattore di Galileo, la magia diventa in certo modo anacronistica. Certo l’età d’oro dell’occultismo volge al tramonto e, come Campanella tenta d’inserire la magia nella sua fi- losofia della natura, così Della Porta si propone di sceverare quello che nella magia sa di strego-

T) Vipari, Saggio storico-filosofico su G. €. in Riv. italiana di filosofia, 1893, p. 347.

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neria e di fattucchieria (l’intervento dei demoni, le incantagioni: in generale, la goezia, ossia la scienza degli spiriti sotterranei) dagli elementi positivi che essa conterrebbe. A questo bilancio critico dell’occultismo si ispira la sua Magia na- turalis, stesa dapprima in quattro, poi in venti libri (1589). Nelle sue intenzioni la magia natu- rale dovrebbe costituire la pienezza della filoso- fia della natura, naturalis philosophiue consum- matio, poiché, per meravigliose che siano le sue i operazioni, essa non esce mai dai limiti delle cose naturali. Ma questo programma scientificamente è nullo, dal momento che egli continua a fondare i rapporti naturali sulla simpatia e antipatia. Sotto l'aspetto magico poi, nonostante le frequenti as- serzioni di nuove scoperte, l’opera sua è una stan- ca ripetizione di luoghi comuni. Gli manca la fede di Paracelso come la sensibilità di Cardano, e non gli rimane che una semplice curiosità. Intimamente, egli è un curioso: curioso dell’occultismo declinan- te, curioso della nuova scienza che hatte alla por- ta. Di qui la sua ambizione di conciliare la magia con la scienza moderna, che fu il suo grande equi- voco.

Come figura di transizione, non manca certo di importanza; ma non possiamo dar torto a Ga- lileo quando definisce « goffissima » tutta Ja sua opera. Da un lato nel De refractione troviamo una definizione dell’ottica, come scienza nata ex ma- thematices et naturalis philosophiae mixtura, che, nota il Fiorentino, « rinverga col metodo galileia- no »; e nel medesimo trattato troviamo la scoper- ta del telescopio, raggiunta, pare, indipendente- mente da Galileo; e lo vediamo tra i fondatori

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dell’Accademia dei Lincei. D'altro lato, questa ac- cademia vuol contrapporsi a quella galileiana del Cimento; e, mentre nel trattato sulla Distillazione egli coglie il trapasso dalla distillazione alchimisti.

ca alla scomposizione chimica, non s’'arrischia a pronunciarsi apertamente per l’una o per l’altra.

Ma c'è altro. Confessando di non riuscire a cor- reggersi della sua « curiosità » magica, egli fa della scoperta della pietra filosofale una questione di puntiglio. Già nel 1582 vi si dedica per conto del cardinale Luigi d’Este, e ancora nell’’86, in una lettera al cardinale, «torna sulla faccenda del lapis, per le cui sperienze par che non trovasse mai tempo. Forse (commenta il Fiorentino) ce ne spendeva soverchio; ma, non ne cavando alcun costrutto, sentiva ritrosia a darsi per vinto e a

‘confessare il proprio inganno. » Parecchi anni do- po ci ritorna sopra e nel 1612 crede di venirne a capo, tanto che l’imperatore occultista Rodolfo II spedisce appositamente un corriere in Ttalia.

La sua versatilità (fu anche autore drammatico) e le sue stesse incertezze, che esprimevano il cli- ma dell’epoca, gli valsero l'ammirazione universa- le che all’uscire della celebratissima Distillazione si manifestò in epigrammi composti in italiano, in latino, in greco, in illirico (ossia, croato), in persiano, in armeno e perfino, se lo vogliamo cre- dere, in caldaico. Su frontespizio della Distillazio- ne egli appare circondato da quadranti, storte, alambicchi, segni zodiacali, macchine di guerra, alberi esotici ecc. E in realtà trovò modo di oc- cuparsi, oltre che delle varie arti magiche e di filosofia naturale, anche di botanica, di agraria, di ingegneria militare. Nel De humana physiogno-

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mia poi si dedicò a quel ramo dell’arte divinato- ria che è la fisiognomica, da lui contrapposta al- l’astrologia, giacché il destino umano non dipen- derebbe dai pianeti, ma dalle qualità elementari di cui si compone il nostro corpo; ed è chiaro che anche qui egli oscilla tra l'esigenza di un sapere positivo e l’incapacità di rinunziare al sapere oc- culto. Ambiguità, che il Fiorentino stringe in que- ste parole: «Estimatore delle scienze naturali- stiche, fautore del loro congiungimento alle os- servazioni della natura, correva poi dietro ad ana- logie fantastiche, a simpatie occulte, a pronostici fallaci. Sognò con gli alchimisti la pietra filoso»

fale, e si rammaricò di non aver per tempo rivol.

to il telescopio alle meraviglie del cielo y.8) Questi cenni sugli autori qui ricordati confer- mano quanto si diceva, che cioè ben difficilmente l’atteggiamento occultista si presenta nella sua pu- rezza. In società progredite, anzi, questa purezza è sicuramente irreperibile. Ma le interferenze e le simbiosi con altri atteggiamenti non sono un destino particolare dell’occultismo. Ciò si verifica per qualunque altro atteggiamento spirituale. Mai ci è concesso di vivere una esperienza esclusivamen- te artistica, religiosa o morale; ogni momento del- la nostra vita è un crocicchio di prospettive. Peral.

tro l’analisi dipana l’imbrogliata matassa e identifi- ca i diversi fili che la compongono: e sarà completa quando tutti gli aspetti dell’esperienza presa in esa- me risulteranno egualmente chiariti. Se volessimo negare all’occultismo la dignità di autonoma pro-

8) Studi e ritratti della Rinascenza, Bari 1911, p. 293.

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spettiva spirituale e lo degradassimo alla condizione n di morbosità psichica, ci troveremmo nell’impossi- bilità di intendere compiutamente figure complesse quali il Paracelso o Cardano; e peggio sarebbe nei riguardi delle società magiche. Senza dubbio la ten- tazione di accostare la magia alla mistica, in sen- so lato, è notevole; pure deve essere respinta.

L’occultismo si mantiene ai margini della sto- ria e, per imponenti che siano, le sue manifesta- zioni si circoscrivono in determinate epoche, al- l’infuori delle quali esso conduce una vita crepu- scolare, sotterranea e in qualche modo vergogno»

sa. Ma è probabile che proprio questo sia il suo ritmo normale e che le grandi fioriture dell’età ales- sandrina e del Rinascimento siano piuttosto ecce- zioni, dovute a circostanze particolarmente favo- revoli. Detto questo, la sua essenza rimane intat- ta e fermenta, per così dire, nel profondo del nostro spirito, continuamente inibita da altre pro- spettive più autoritarie. Una visione del mondo, che si fonda sull’immaginazione più eccentrica e scioglie ogni essere dalla soggezione al Tutto, può essere giudicata anche immorale, specialmente quando si corrompe in aspetti superstiziosi e im- puri, come ad esempio le pratiche spiritiche. In realtà non possiamo negare all’occultismo il meri- to di aver scoperto un particolare senso cosmico.

Giunio ALLINEY

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NOTA BIBLIOGRAFICA

Di Acrwra pi Nerresurim il De occulta philosophia (1510) è tradotto in francese (La Philosophie occulte) nei Classiques de locculte, Paris, 1910-1911; tutti gli seritti so- no tradotti in tedesco, col titolo di Magische Schriften, 4 voll., Berlin, 1916. Su A. vedi H. Morcey, The life of C. A.

London, 1856; A. Prost, Les sciences et les arts occultes:

C. A. sa vie et ses oeuvres, Paris, 1881; H. MeurERr, Zur Logik des A.s, Berlin, 1920.

Di GeroLamo Carpano tutti gli scritti furono raccolti nei 10 voll. dell'Opera omnia, Lugduni, 1663; il De vita pro- pria fu tradotto mediocremente in italiano (Milano, 1821), Sul C. vedi H. Morcey, The life of J. C., London, 1854; È.

FrorentINo, B. Telesio, Firenze, 1872, vol. I, pp. 203 ss.; C.

Lomsroso, Genio e follia, Milano, 1877; A. BertoLorTI, I restamenti di G. C., in Archivio storico lombardo, 1882; F.

BurirIni, Saggio psico-biografico su G. C., Savona, 1884;

A. Asruraro, G. C. e la psicologia patologica, in Rivista di filosofia scientifica, 1887; F. Cavatti, G. €. e il suo enco-. — mio di Nerone, in Atti Istituto Veneto, 1887; G. Tarozzi, I principi della natura secondo G. €., in Rivista di filosofia scientifica, 1891; S. Fimuani, G. C., la vita e le opere, Na- poli, 1904; E. Rivari, La mente di G. C., Bologna, 1906;

D. Brancni, G. C. e il collegio dei fisici di Milano, in Ar- chivio storico lombardo, 1912; E. Borrororti, L’algebra nella scuola bolognese del secolo XVI, in Periodico di ma- tematica, 1915.

Di G. B. DeLLa Porta non esiste una raccolta completa delle opere. Se ne vedano cenni nei due seritti di F. Fio- renTINO, Della vita e delle opere di G. B. Della Porta e Sul teatro di G. B. Della Porta, in Studi e ritratti della

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Rinascenza, Bari, 1911. Vedi anche P. SARNELLI, Vita di G. B. D. P., Napoli, 1677; V. SprampanaTO, Quattro filosofi napolitani nel carteggio di Galileo, Portici, s. a.; A. Fa- varo, Antichi e moderni detrattori di Galileo, in Rassegna Nazionale, 16 febbraio 1907. Sulle opere teatrali del D. P., vedi B. Croce, Teatri di Napoli, Bari, 1927; F. Misano, Le commedie di G. B. D. P., in Studi di letteratura ita- liana, 1900, pp. 311-411,

Di PanaceLso le opere complete furono pubblicate la prima volta da Giovanni Huskr a Basilea, in 10 voll. (1589- 1591), ripubblicate poi in tedesco da B. AscHNER in 4 vo- lumi (Vienna, 1926-1932). Una nuova edizione critica in 25 voll, a cura di R. SupHmorr e W. MATRIESSEN, è in corso di pubblicazione. Numerose sono le traduzioni di diverse opere di P. e infiniti sono gli scritti che, direttamente o

‘ indirettamente, lo riguardano. Si veda un saggio di biblio- grafia negli Scritti scelti di P, (Milano, Bocca, 1942), pa- gine 100-102. Ricordiamo particolarmente A. E. Ware, The hermetic and alchemical writings of P., London, 1894; R.

Eucken, P. Lehren von der Entwicklung in Einfihrung in die Gesch. der Phil., Leipzig, 1906; Fr. Hartmann, Grun- driss der Lehren des T. P., Leipzig, 1898; H. Spunpa, P., Berlin, 1925; F. GunpoLr, P., Berlin, 1928.

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TESTI MAGICI

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AGRIPPA DI NETTESHEIM

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DAL «DE INCERTITUDINE ET VANITATE SCIENTIARUM »

1. - Della Magia in genere.

La Magia è strettamente congiunta con l’Astro- logia, così che chi fa professione di Magia senza Astrologia ha smarrito completamente la strada, L’opinione comune è che «mago » sia voce, per- siana, che in questa lingua significa sacerdote, saggio e filosofo. La Magia dunque, mentre ab- braccia la Filosofia, la Fisica e la Matematica, ag- giunge a queste scienze anche la forza delle religio- ni. Perciò essa comprende anche la Goezia e la Teurgia. Conviene dunque dividere la Magia in naturale e cerimoniale. .

2. - Della Magia naturale.

Dicono che la Magia naturale non sia altro che una somma potenza delle scienze naturali, in quan- to costituisce la parte attiva della filosofia natu-

1)De incertitudine et vanitate scientiarum declamatio invectiva, Coloniae 1575, cap. 4],

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Riferimenti

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Codice Amministrazione destinataria: B87H10 Identificativo fiscale ai fini IVA: IT00210240321 Codice Fiscale: 00210240321. Denominazione: COMUNE DI TRIESTE Indirizzo: PIAZZA

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prendere decisioni o svolgere attività inerenti alle sue mansioni in situazioni, anche solo apparenti, di conflitto di interessi. Egli non svolge alcuna attività che contrasti con