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(1)

Cassazione

penale

d i r e t t o r e s c i e n t i f i c o D o m e n i c o C a r c a n o c o n d i r e t t o r e M a r i o D ’ A n d r i a L V I I - lu g l i o / a g o s t o 2 0 1 7 , n ° 0 7 / 0 8

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17

| estratto

IL CASO DI MINORE GRAVITÀ NEL DELITTO

DI ATTI SESSUALI CON MINORENNE: LINEE

EVOLUTIVE E PROFILI CRITICI DI

VENT’ANNI DI GIURISPRUDENZA

di

Tommaso Cavaletto

ISSN 11

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383

IL CASO DI MINORE GRAVITÀ NEL DELITTO DI ATTI

SESSUALI CON MINORENNE: LINEE EVOLUTIVE E PROFILI

CRITICI DI VENT’ANNI DI GIURISPRUDENZA

The “Case of Minor Gravity” in the Crime of Sexual Acts with Minors: Case

Studies and Critique of Twenty Years of Jurisprudence

L’art. 609-quater, comma 4, c.p. prevede l’attenuante del caso di minore gravità nel delitto di atti sessuali con minorenne, disposizione oggetto ancor’oggi di interpretazioni giurisprudenziali tutt’altro che univoche. Se ne propone pertanto una ridefinizione meno arbitraria, muovendo dall’individuazione del bene giuridico tutelato dalla fattispecie base: l’integrità sessuale del mino-re. Emergerà così l’irrilevanza del consenso all’atto sessuale eventualmente prestato dalla vittima, e la necessità di imperniare la concessione dell’attenuante sui soli profili oggettivi della vicenda delittuosa.

Art. 609-quarter, comma 4, c.p. provides a mitigating circumstance, referring to the crime of sexual acts with minors, when there is a “case of minor gravity”. No other parameter is given to know what it means, and many controversial interpretations have been provided by jurisprudence. To shed some light on this issue, we try to redefine the meaning of this law moving from a teleological view, i.e. focusing on protection of child sexual integrity. As a result, no relevance will be given to the victim’s consent, nor to the non-objective profiles of the case.

( Traduzione in inglese a cura dell’Autore)

di Tommaso Cavaletto

Dottorando in Filosofia del diritto - Università degli Studi di Milano-Bicocca

Sommario 1. Introduzione: genesi e collocazione sistematica dell’art. 609-quater, comma 4, c.p. — 2.

Il consenso del minore. — 3. Stato soggettivo della vittima nel riconoscimento di un danno/pericolo nella condotta delittuosa: considerazioni sull’applicabilità dell’art. 133, comma 1, n. 2 c.p. — 4. Ruolo degli stati soggettivi del reo (colpevolezza): analisi della loro (ir)rilevanza ai fini del riconoscimento dell’attenuante. — 5. Esclusione della rilevanza degli elementi previsti al comma 2 dell’art. 133 c.p. —

6. Rapporto fra l’attenuante del “caso di minore gravità” e l’aggravante dell’atto compiuto su un

minore di anni dieci; studio dei casi di contestuale sussistenza di un rapporto familiare o fiduciario. —

7. Prove scientifiche e massime di esperienza nel processo di valutazione della gravità del danno. — 8. Osservazioni finali.

1. INTRODUZIONE: GENESI E COLLOCAZIONE SISTEMATICA DELL’ART. 609-QUATER, COMMA 4, C.P.

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previgente, era riservato al compimento di atti di libidine (la cornice edittale era automatica-mente ridotta di un terzo). Sul piano sistematico, si assisteva più in generale allo spostamento dei reati concernenti la lesione della sfera sessuale dal titolo relativo ai delitti contro la moralità pubblica e il buon costume, a quello concernente i delitti contro la persona: acquisiva così rilevanza, quale bene giuridico tutelato dalla norma, la sfera della libertà e dell’integrità ses-suale della persona.

Peraltro, per evitare che condotte oggettivamente di minima lesività fossero sottoposte a sanzioni manifestamente sproporzionate, con il comma 4 del nuovo art. 609-quater si previde che «nei casi di minore gravità la pena è diminuita fino ai due terzi». Ci apprestiamo ora ad analizzare questa disposizione e l’applicazione che essa ha ricevuto nel corso degli ultimi vent’anni: l’indagine appare tanto più necessaria laddove si consideri che la vaghezza della terminologia legislativa ha reso finora difficile pervenire ad una ricostruzione univoca e pun-tuale della sua estensione semantica, dando luogo a contrasti interpretativi in parte ancora irrisolti anche a livello di giurisprudenza di legittimità.

È preliminarmente necessario comprendere a quali “casi” faccia riferimento la disposizio-ne dell’art. 609-quater comma 4: i commi 1 e 2 del medesimo articolo limitano la sua applica-bilità alle fattispecie che già non ricadano nelle ipotesi previste ex art. 609-bis. Per potersi applicare l’art. 609-quater è pertanto necessario che l’atto non sia compiuto, per costrizione, «con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità» (art. 609-bis, comma 1), né, per induzione, «abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto» (comma 2, n. 1), o «traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona» (comma 2, n. 2). Ché, anzi, quando tali condotte sono compiute nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni quattordici, ricorre addirittura la circostanza aggravante ex art. 609-ter, comma 1, n. 1. L’applicabilità dell’art. 609-quater è quindi limitata ai casi in cui il minore, non sussistendo una qualunque forma di costrizione fisica o psicologica nei suoi confronti, presti la propria accondiscendenza agli atti sessuali(1).

Quanto poi al problema di stabilire il significato della locuzione “atti sessuali”, in questa sede ci limitiamo a segnalare come, dopo una fase iniziale di incertezza, la «differente collo-cazione e [il] diverso bene giuridico protetto [...] rispetto a quelli in precedenza contemplati dal codice del 1930»(2)abbiano assestato la giurisprudenza su una posizione interpretativa di tipo

“obiettivizzante”, ossia maggiormente orientata a ricostruire la nozione ancorandola alla na-tura oggettivamente sessuale dell’atto (pur tenendo eventualmente conto del contesto socio-culturale di riferimento(3)), e prescindendo invece dalle intenzioni del soggetto agente(4).

Tornando invece sul significato dell’espressione “minore gravità”, va rilevato come il

ricor-(1) V. Sez. III, 30 marzo 2004, n. 15287, in De Jure (da tale banca dati sono tratte tutte le sentenze citate in questo

articolo): «tale fattispecie [...] si connota come reato a forma libera, comprensivo di tutte le possibili forme di aggres-sione del minore, con escluaggres-sione dei fatti tipici di costrizione indicati dall’art. 609-bis c.p., i quali avendo come destinatario il minore, realizzano piuttosto la fattispecie di violenza sessuale aggravata ex art. 609-ter, 1° comma, n. 1 c.p.».

(2) D. CARCANO, Manuale di diritto penale. Parte speciale, Giuffrè, 2010, p. 920. Cfr. sul punto F. MANTOVANI, Delitti

contro la persona, in Diritto penale. Parte speciale, vol. I, Cedam, 2011, p. 368-369, ed A. COSTANZO, I reati contro la

libertà sessuale. Profili sostanziali, probatori e processuali, Utet, 2008, p. 31-33.

(3) V. Sez. III, 13 febbraio 2007, n. 25112: «Così, se il bacio sulla bocca indubbiamente attinge una zona

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so all’analisi della ratio legis non sia di per sé sufficiente a risolverne la vaghezza: la logica della disposizione sembra essere quella di evitare condanne manifestamente sproporzionate anche a fronte di condotte di minima lesività(5), ma non è chiaro se la minore gravità del caso vada

intesa in senso oggettivo o soggettivo, o ancora facendo riferimento a una valutazione globale del fatto che tenga conto di entrambi gli elementi(6). In tal senso, nemmeno il criterio

dell’in-tenzione del legislatore può soccorrere: esso, tutt’al più, comporterebbe la presa d’atto della schizofrenia insita nel voler eliminare la distinzione tra congiunzione carnale e atti di libidine, al tempo stesso proponendo un’attenuante che sembrerebbe rivolgersi, nelle intenzioni degli

estensori, proprio e solo a quegli atti di libidine la cui nozione è stata per l’appunto estromessa

dalla terminologia del codice.

Apporti più interessanti potrebbero invece cogliersi nell’estensione analogica di talune normative di settore, come ad esempio di quella in tema di stupefacenti. Nel t.u. sulla droga (d.P.R. n. 309 del 1990), all’art. 73, comma 5, si prevede infatti una riduzione della cornice edittale in presenza di «uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità». Poiché la lievità del fatto è qui identificata in profili rigorosamente oggettivi, se potessimo estendere alla disposizione dell’art. 609-quater, comma 4 la medesima portata semantica potremmo inferire, ai fini della concessione dell’attenuante, la totale irrilevanza degli aspetti riguardanti la soggettività del reo(7). Si dovrà tuttavia previamente verificare se l’impiego di

un’espressione differente (“lieve entità” vs. “minore gravità”) vada interpretato come un’irri-levante “variazione sul tema”, o, all’opposto, come conseguenza di una precisa volontà diffe-renziatrice. Allo stesso modo andrà appurato se il significato del termine “casi” possa qui ritenersi equivalente a quello del termine “fatti”.

2. IL CONSENSO DEL MINORE

L’art. 50 c.p. stabilisce che «non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne». In linea generale, pertanto, in presenza di un consenso validamente prestato non si è di fronte a un “caso di minore gravità”, ma più radi-calmente a una condotta non punibile. A tal proposito la Cassazione afferma giustamente: «l’art. 609-quater c.p. punisce gli atti sessuali con persona che non abbia compiuto gli anni quattordici al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 609-bis c.p.; quindi anche senza violenza,

parentali, in cui il bacio sulla bocca tra parenti è solo un segno di affetto, privo di connotazioni sessuali penalmente rilevanti».

(4) Ex multis, Sez. III, 27 ottobre 2015, n. 49579; Sez. III, 25 maggio 2006, n. 21167. Va peraltro rilevato che, a fronte

degli sviluppi delle tecnologie informatiche, l’oggettività dell’atto sessuale non parrebbe più implicare l’indispensa-bilità del contatto corpore corpori, né la sua assenza potrebbe di per sé configurare un caso di minore gravità: «l’elemento della fisicità del rapporto, va senz’altro tenuto nel debito conto, ma non è aprioristicamente dirimente ai fini del riconoscimento della minore gravità. [...] la violenza o gli atti sessuali con minorenne “virtuali” non sono necessariamente caratterizzati da una minore gravità rispetto a quelli reali» (Sez. III, 25 marzo 2015, n. 16616).

(5) Sul punto si veda, fra i più recenti interventi giurisprudenziali in sede di legittimità, Sez. III, 14 ottobre 2015, n.

45151.

(6) V. infra, §§ 3, 4, 5. Allo stesso modo, anche se apparenti esigenze sistematiche potrebbero far pensare il

contrario, non è affatto detto che l’àmbito di applicazione dell’art. 609-quater, comma 4, corrisponda a quello (pur testualmente identico) dell’art. 609-bis, comma ult. Sul punto si rimanda ai prossimi paragrafi.

(7) Una struttura analoga presenta ad esempio l’art. 5 l. n. 865 del 1967 in tema di armi: «le pene stabilite negli

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minaccia o abuso d’autorità: ed il consenso della persona offesa è del tutto irrilevante, in quanto non preso in considerazione dalla norma, che ha inteso tutelare di per sé l’integrità psico-fisica dell’infraquattordicenne»(8).

L’ordinamento ha pertanto escluso che al minore di anni quattordici sia riconosciuto, in positivo, un diritto alla libera esplicazione delle proprie qualità e facoltà sessuali(9), il che

significa che il bene giuridico tutelato dall’art. 609-quater non è una pretesa libertà di autode-terminazione del minore nella sua sfera sessuale (se non nei casi in cui, ai sensi del comma 1, n. 2 e del comma 2, il delitto è compiuto nei confronti di un minore ultraquattordicenne), ma attiene piuttosto alla sua “intangibilità” in tale àmbito(10).

L’integrità fisio-psico-sessuale dell’infraquattordicenne viene pertanto tutelata negando recisamente un qualunque rilievo al consenso prestato. L’accondiscendenza del minore non può allora concorrere a determinare la circostanza della “minore gravità del caso”: sarebbe infatti manifestamente illogico che la norma attribuisse rilevanza attenuante ad un elemento che deve già necessariamente sussistere per integrare la fattispecie-base(11). In linea con tali

considerazioni si pone quell’orientamento giurisprudenziale che nega la concessione dell’at-tenuante anche in presenza di atteggiamenti non meramente consensuali, ma addirittura propositivi da parte del minore, evidenziando ad esempio l’irrilevanza della «particolare in-traprendenza della ragazza [...], che [...] aveva tenuto un comportamento che era eufemistico definire come disinibito e disinvolto, che aveva una “apparente maturità psico-fisica” ed una “particolare disponibilità e spigliatezza”»(12).

Deve tuttavia segnalarsi che, in seno alla medesima sezione terza, è andato parallelamente affiancandosi un ulteriore e contrastante orientamento, tendente ad attribuire un certo rilievo al consenso del minore. E così, ad esempio, la Cassazione ha di recente annullato con rinvio una sentenza della Corte d’appello di Catanzaro, con la quale, in un caso di reiterato abuso da parte di un sessantenne ai danni di una bambina di undici anni, veniva negata l’attenuante ex art. 609-quater, comma 4: «in particolare, la sentenza impugnata ha focalizzato la propria attenzione sulla esistenza degli elementi che caratterizzano la fattispecie criminosa (età e atto sessuale), ritenendoli incompatibili con la specificata circostanza, senza considerare e valutare gli ulteriori e attenuativi aspetti della vicenda prospettati dalla difesa, quali il “consenso”,

l’esistenza di un rapporto amoroso, l’assenza di costrizione fisica, l’innamoramento della ragazza»(13).

In primo luogo è interessante osservare come la suprema Corte, ponendo tra virgolette il

(8) Sez. III, 10 febbraio 2010, n. 11252.

(9) P. VENEZIANI, Commento all’art. 609-quater c.p., in AA.VV., Commentario delle norme contro la violenza

sessuale e contro la pedofilia, a cura di A. Cadoppi, Cedam, 2006, p. 621: «Alla volontà del minore degli anni

quattordici, dunque, è preclusa ogni rilevanza in positivo, cioè a consentire l’atto sessuale, potendo peraltro venire in considerazione la volontà negativa come aggravante (ed è una novità) dei fatti di violenza ex art. 609-bis».

(10) V. anche Sez. III, 27 maggio 2010, n. 24258: «Nei confronti del minore di anni quattordici l’ordinamento non

riconosce alcuna libertà di scelta in materia sessuale essendo del tutto irrilevante il suo consenso. Da ciò consegue che in questi casi il bene giuridico protetto non è la libertà di autoderminazione del soggetto in materia sessuale [...] ma [...] l’integrità fisio-psichica del minore con riferimento alla sfera sessuale nella prospettiva di un corretto sviluppo della propria sessualità». Trattasi di acquisizione confermata anche più di recente da Sez. III, 4 febbraio 2016, n. 17411, e Sez. III, 8 ottobre 2015, n. 45150.

(11) Così da ultimo Sez. III, 4 febbraio 2016, n. 17411. (12) Sez. III, 28 aprile 2006, n. 34120.

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termine consenso, si illuda di poter liquidare il problema della (ir)rilevanza dello stesso sem-plicemente utilizzando un accorgimento stilistico. In secondo luogo, richiamare l’assenza di costrizione fisica appare inconferente, in quanto proprio l’assenza di violenza, minaccia, abuso di autorità o abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica rende applicabile la disposi-zione in esame (e non l’ipotesi aggravata di cui all’articolo 609-ter)(14). In terzo luogo, attribuire

valore giuridico all’innamoramento di una infraquattordicenne significa accordare necessa-riamente un rilievo anche all’espressione della sua affettività. In questo modo si finisce per garantire non l’intangibilità sessuale del minore, ma una sua asserita “libertà sessuale”, il che – lo abbiamo visto – non può essere condiviso. La suprema Corte – è vero – non ha qui affermato l’immediata rilevanza di tali elementi: censurando la pronuncia della Corte d’appello solo per l’insufficienza della motivazione, non ha escluso che il giudice di merito potesse ugualmente esprimersi per l’irrilevanza degli stessi, come poi si è effettivamente verificato in sede di rinvio(15). Tuttavia anche solo prospettare la possibilità che, almeno in certi casi, tali

circostan-ze assumano un qualche rilievo ai fini della concessione dell’attenuante, già di per sé si pone in insanabile contrasto con l’impianto logico-giuridico della disposizione.

D’altra parte, questa pronuncia non rappresenta affatto un caso isolato: ebbe ad esempio una fortissima eco mediatica la pronuncia con cui, nel gennaio 2006, fu censurata dalla Cas-sazione la decisione della Corte d’appello di Cagliari con cui si negava l’attenuante in parola, per non avere i giudici del merito considerato che «si era trattato di un rapporto pienamente assentito dalla stessa [ragazza], che ne aveva scelto le modalità»(16). Nel caso di specie, inoltre,

si contestava alla Corte territoriale di non aver adeguatamente soppesato il fatto «che la ragazza già a partire dall’età di 13 anni aveva avuto numerosi rapporti sessuali con uomini di ogni età di guisa che è lecito ritenere che già al momento dell’incontro con l’imputato la sua personalità dal punto di vista sessuale fosse molto più sviluppata di quanto ci si può normal-mente aspettare da una ragazza, della sua età». Invero, l’argomento prova troppo, poiché omette di considerare che proprio dalla (innaturale) precocità sessuale del minore è possibile ricavare una particolare esigenza di tutela(17).

L’enfatizzazione del consenso del minore è stata riaffermata a più riprese dalla Corte di cassazione, anche di recente(18); ma ciò che emerge da una lettura complessiva della

giuri-sprudenza di legittimità è la sua incapacità, su tale questione, di esercitare puntualmente la funzione nomofilattica. Non mancano tentativi di ricomporre il contrasto, ad esempio

soste-(14) Sez. III, 28 aprile 2006, n. 34120.

(15) Sentenza poi confermata da Sez. IV, 2 maggio 2015, n. 40714.

(16) Sez. III, 20 gennaio 2006, n. 6329. Si veda sul punto il commento a questa sentenza di M. BERTOLINO, Reati

sessuali e tutela dei minori: la prospettiva dei mezzi di informazione e quella dei giudici a confronto, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2006, fasc. 1, p. 346-47: «Il consenso [...] è un elemento strutturale, costitutivo della fattispecie, che, per

questo, deve essere bensì accertato, ma esclusivamente ai fini dell’an della responsabilità, mentre non può assoluta-mente assumere alcuna funzione di aggravamento o di attenuazione del quantum di responsabilità. Altrimenti si giungerebbe alla assurda e apodittica conclusione che un consenso per così dire ‘informato’ implicherebbe automa-ticamente la minor gravità del fatto».

(17) Così ad es. BERTOLINO, Reati sessuali, cit., p. 350. L’autrice conclude condivisibilmente che «la penetrazione

sessuale secondo modalità innaturali, imposta o esercitata su soggetto minore pur consenziente, è quasi impossibile che integri gli estremi della minor gravità del fatto, data la sua ontologica gravità, che nemmeno una valutazione della vicenda nel suo complesso può far venir meno» (p. 355).

(18) Ex plurimis, Sez. III, 14 giugno 2011, n. 29618. Su tale principio di diritto la Corte si è più volte espressa in senso

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nendo la sostanziale svalutazione pratica del consenso del minore, pur a fronte di una sua possibile rilevanza in astratto(19). Simili prese di posizione, per altro, da una parte appaiono

intrinsecamente aporetiche, perché l’inconciliabilità tra i due orientamenti è prima di tutto logica, non superabile proponendo un’artificiosa scissione del piano pratico rispetto a quello concettuale; dall’altra non costituiscono un’autorevole base d’appoggio nemmeno su un piano più marcatamente operativo, poiché travolte, come abbiamo appena visto, da pronunce im-mediatamente successive di segno opposto.

3. STATO SOGGETTIVO DELLA VITTIMA NEL RICONOSCIMENTO DI UN DANNO/PERICOLO NELLA CONDOTTA DELITTUOSA: CON-SIDERAZIONI SULL’APPLICABILITÀ DELL’ART. 133 COMMA 1, N. 2 C.P.

Nel tentativo di fornire dei parametri cui ancorare la concessione e la commisurazione dell’at-tenuante, una giurisprudenza ormai consolidata rinviene nell’art. 133, comma 1, c.p. i naturali criteri di valutazione. In effetti parrebbe ragionevole ricorrere, per valutare la minore “gravità del caso”, agli stessi indici utilizzati per accertare la “gravità del reato”.

In primo luogo, possiamo senza dubbio ritenere utilizzabili i parametri previsti dal n. 1 dell’art. 133, comma 1, c.p., i quali stabiliscono che la gravità sia desunta «dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione». È infatti evidente che, per effettuare il giudizio sulla “gravità del caso”, non si potrà che partire dal valutare l’azione criminosa per come oggettivamente svoltasi, e rispetto a tale valutazione i criteri appena indicati si situano in un rapporto di specie a genere.

Quanto al n. 2 dell’art. 133, comma 1, c.p., una certa giurisprudenza ne ha privilegiato un’applicazione in chiave soggettivistica, orientata, cioè, ad individuare il livello di gravità del danno o del pericolo sulla base delle percezioni soggettive che di essi abbia avuto il minore(20).

Ma una simile lettura può giustificarsi solo partendo da un’errata identificazione del bene giuridico protetto dall’art. 609-quater con quello tutelato dall’art. 609-bis, ossia attribuendo rilievo ad una pretesa libertà sessuale del minore. Solo in questo modo appare logicamente sostenibile dar peso alle percezioni soggettive della vittima, al punto che, portando l’argomen-tazione alle estreme conseguenze, nei casi in cui dall’analisi dello stato psicologico del minore si riscontrasse la totale assenza di danno o pericolo, non sarebbe sufficiente l’attenuante: si dovrebbe escludere tout court la punibilità, in conformità a quanto disposto dall’art. 49, comma 2, c.p. Se però si stabilisce che le due disposizioni tutelano beni giuridici differenti, l’impianto

(19) Sez. III, 30 settembre 2014, n. 6168: «è tuttavia assolutamente marginale (sebbene in astratto non del tutto

trascurabile, ove congiunta alla obbiettiva minima intrusività delle condotte poste in essere[...]) la rilevanza che può essere data [...] alla circostanza che il minore infraquattordicenne abbia prestato il proprio consenso [...]; il vizio radicale che, infatti, colpisce la espressione di siffatto consenso ne comporta la sostanziale svalutazione, laddove non manifestatosi in compresenza con altri significativi fattori denotanti la modestia dell’episodio criminoso». La confu-sione di piani è evidente: non si tratta solo e tanto di un problema di vizio radicale dell’espresconfu-sione di volontà del minore (che pure è innegabile), quanto piuttosto del fatto che il consenso, essendo di per sé coessenziale all’integra-zione della fattispecie base, non può contribuire (nemmeno in concorso con altri fattori) alla definiall’integra-zione della minore gravità dell’episodio criminoso, pena la sussistenza di un’illogica ridondanza del medesimo elemento nell’integrazione della fattispecie base e dell’attenuante.

(20) Sez. III, 12 luglio 2012, n. 34236: «non appare infondato il motivo di ricorso allorché evidenzia come la sentenza

del Tribunale abbia riconosciuto che i fatti furono oggettivamente poco invasivi ed ebbero un impatto traumatico modesto, tanto che la minore non percepì inizialmente la loro offensività». Cfr. sul punto anche A. MONTAGNA, La

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normativo assume una struttura più coerente: il bene tutelato dall’art. 609-quater non è – lo abbiamo visto – la libertà sessuale, ma l’integrità psico-sessuale del minore. E quest’ultima implica il riconoscimento della sua intangibilità: la fattispecie astratta è stata qui costruita sul modello del reato a danno (o quantomeno a pericolo) presunto. Il problema, quindi, non si pone, poiché la condotta del reo, purché configurante un atto sessuale, intacca necessariamen-te l’intangibilità del minore, il quale è invero considerato incapace di comprendere la reale portata lesiva dell’atto subito, la quale potenzialmente potrebbe emergere fenomenologica-mente anche a distanza di molti anni. Pretendere di trovare nella psiche della vittima i segni puntuali del danno provocato significa, di fatto, svalutare la reale portata dell’art. 609-quater, che ha invece inteso introdurre una presunzione assoluta di lesività di determinate condot-te(21).

Emerge allora come il n. 2 dell’art. 133, comma 1, c.p. dovrebbe ricevere applicazione solo in termini oggettivi, ossia analizzando la natura e la specie degli atti sessuali posti in essere dal reo, che possono estendersi dai gesti di minore invasività (come il semplice “bacio sul collo in tram”(22)), fino alle forme più pervasive di rapporto sessuale completo e reiterato. Le

perce-zioni soggettive del danno/pericolo potrebbero tutt’al più rilevare solo in malam partem, ossia nel senso di concorrere ad escludere l’attenuante pur in presenza di un atto sessuale oggetti-vamente di lieve invasività, qualora in conseguenza di esso il minore sviluppi ugualmente un trauma rilevante. Se, prima del 1996, in presenza di un mero atto di libidine scattava automa-ticamente la riduzione di pena, oggi l’esclusione della congiunzione carnale dovrebbe ritenersi

condizione necessaria ma non sufficiente per concedere l’attenuante(23). Il giudice, infatti,

dovrà anche accertarsi che gli atti di libidine compiuti siano comunque considerabili come oggettivamente non gravi, e solo entro tale perimetro potrà assumere rilievo, nei termini anzidetti, il livello di serietà del trauma per come percepito dall’infraquattordicenne.

Ne consegue che le categorie distintive proprie della precedente formulazione legislativa, pur eliminate dall’unificazione terminologica operata dalla novella, debbano mantenere un’importanza primaria in sede di applicazione dell’art. 609-quater, comma 4. La discreziona-lità del giudice nel concedere o meno l’attenuante dovrebbe, infatti, operare solo all’interno della categoria degli “atti di libidine non gravi in termini oggettivi”: la congiunzione carnale e gli atti di libidine più gravi (qualificazione necessariamente rimessa al prudente apprezzamen-to del giudice) non dovrebbero mai configurare quel “caso di minore gravità” di cui all’art. 609-quater, comma 4. Non appare pertanto corretto considerare tautologica la motivazione con cui, sulla sola base della gravità oggettiva dell’atto sessuale perpetrato (in uno con l’età della persona offesa), venga negata la concessione dell’attenuante(24). Non vi è infatti

coinci-denza concettuale tra la nozione di “atti sessuali” globalmente intesi, e quella più specifica di “congiunzione carnale/atti di libidine oggettivamente gravi”.

Va per altro segnalato come, nel declinare praticamente il suddetto principio di diritto, la Cassazione abbia talvolta finito per riformularlo comunque in termini sostanzialmente

oppo-(21) V. VENEZIANI, Commento all’art. 609-quater c.p., cit., p. 622-623.

(22) L’esempio è dell’onorevole Finocchiaro, Commissione giustizia della Camera dei deputati, 20 settembre 1995. (23) V. Sez. III, 24 marzo 2000, n. 5646: «la ratio della disciplina legislativa che ha abolito la distinzione esclude che

possa assurgere per se stessa ad elemento tipico o indizio dell’attenuante, la circostanza che vi sia stata oppure no una penetrazione corporale».

(24) Così invece da ultimo, ex multis, Sez. III, 13 gennaio 2016, n. 4377; Sez. III, 11 novembre 2015, n. 51018; Sez. III,

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sti, ancorando cioè la valutazione circa l’applicazione dell’art. 609-quater, comma 4, c.p. pro-prio e solo alla gravità “ontologica” degli atti commessi. Genera ad esempio una presunzione (assoluta) di “gravità del caso” il fatto che «gli atti sessuali compiuti con una minore ne abbiano determinato lo stato di gravidanza, atteso l’innegabile danno al normale sviluppo psico-fisico che ciò provoca alla vittima»(25); o ancora il fatto che il reato sia commesso da un docente

all’interno di un istituto scolastico(26). All’atto pratico, la suprema Corte si limita spesso a

stabilire un aggravio meramente formale dell’onere di motivazione: è sufficiente che il giudice dichiari di aver preso in considerazione (pur se all’unico fine di escluderne il rilievo e senza dover fornire ulteriori argomentazioni) anche gli aspetti soggettivi della vicenda, affinché non gli venga contestata alcuna censura di legittimità(27).

4. RUOLO DEGLI STATI SOGGETTIVI DEL REO (COLPEVOLEZZA): ANALISI DELLA LORO (IR)RILEVANZA AI FINI DEL RICONOSCI-MENTO DELL’ATTENUANTE

In questo paragrafo prenderemo in esame il n. 3 dell’art. 133, comma 1, c.p., al fine di valutarne la rilevanza nel giudizio riguardante la concessione o il diniego dell’attenuante. La disposizione ci interessa nella sua interezza, compreso il punto relativo al “grado della colpa”. In deroga agli ordinari criteri in tema di imputazione dolosa, almeno in un caso il delitto di atti sessuali con minorenne è infatti punibile anche se commesso, con riguardo a un suo specifico elemento costitutivo, con mera colpa. Si tratta delle fattispecie prese in esame dall’art. 609-sexies, il quale, escludendo la possibilità di invocare a propria scusa l’ignoranza dell’età della persona offesa, comporta che non sarebbe di per sé sufficiente, per la concessione dell’attenuante, il fatto che il reo si trovasse in uno stato di ignoranza meramente colpevole (e non dolosa).

Come già si è visto, buona parte della giurisprudenza individua in tutti gli elementi elencati all’art. 133, comma 1, c.p. (compresi, quindi, anche quelli previsti dal n. 3), i naturali criteri di valutazione circa il riconoscimento dell’attenuante. Sennonché la stessa Cassazione afferma che: «l’attenuante non può non essere valutata che con riferimento al “danno” derivatone alla

persona offesa e, quindi, con precipua attenzione alle modalità oggettive del fatto incrimina-to. Mentre la personalità del reo e, più in generale, i profili soggettivi della vicenda possono

essere semmai valutati ai fini della concessione delle attenuanti generiche e della dosimetria della pena»(28).

È del tutto evidente che l’intensità del dolo o il grado della colpa non concorrono minima-mente a definire la gravità del danno subito dalla persona offesa, tanto più che «la finalità dell’attenuante in parola mira non tanto all’adeguamento del fatto alla colpevolezza dell’im-putato, quanto piuttosto a valorizzare la oggettiva minore lesività – in concreto – del fatto

(25) Sez. III, 7 ottobre 2015, n. 49572.

(26) Sez. III, 22 gennaio 2014, n. 14437 (in riferimento al delitto di violenza sessuale, ma con argomentazione

pacificamente estendibile al nostro caso).

(27) Emblematica in tal senso è la pronuncia di Sez. III, 26 novembre 2014, n. 965: qui l’irrilevanza degli elementi

soggettivi è dichiarata incensurabile in sede di legittimità, anche laddove sostanzialmente motivata nella forma di una mera petizione di principio. Specularmente, la medesima logica si rinviene anche in talune pronunce che, proprio e solo sulla base della minor lesività oggettiva della condotta criminosa, stabiliscono la concessione dell’attenuante in parola, ovvero la sua equivalenza con la corrispondente aggravante prevista ex art. 609-quater, comma ult. In tal senso ad es. Sez. IV, 12 dicembre 2014, n. 3284.

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medesimo, in rapporto al bene giuridico tutelato»(29). Pertanto, nonostante la giurisprudenza

di legittimità si sia spesso espressa in senso opposto, nessun rilievo dovrebbe qui assumere il n. 3 dell’art. 133, comma 1, c.p.(30).

Ciò significa che, sebbene la dicitura legislativa rechi l’espressione “casi” di minore gravità, in via ermeneutica dobbiamo invece leggere: “fatti” di minore gravità, dove il termine “fatti” vuole proprio evidenziare l’irrilevanza dei profili soggettivi della vicenda ex parte rei. A maggior ragione non appare pertanto condivisibile quell’orientamento per cui «la prospetta-zione di una attenuaprospetta-zione in termini sanzionatori presuppone che, pur rimanendo fermo [il] disvalore oggettivo, si possano ipotizzare ragioni mitigatorie attenuative, che certamente

de-vono trarsi al di fuori di questo»(31). Come si è visto, le ragioni mitigatorie attenuative

rientranti in questa valutazione non possono in alcun modo bilanciare il disvalore oggettivo della fattispecie, che si pone quale limite invalicabile nel giudizio sull’applicazione dell’art. 609-quater, comma 4, c.p.

5. ESCLUSIONE DELLA RILEVANZA DEGLI ELEMENTI PREVISTI AL COMMA 2 DELL’ART. 133 C.P.

Le riflessioni svolte nel precedente paragrafo ci consentono di comprendere facilmente un’al-tra acquisizione consolidata della giurisprudenza della Cassazione, ossia l’irrilevanza degli elementi contemplati al comma 2 dell’art. 133 c.p. (“capacità a delinquere del colpevole”)(32).

Ciò in quanto «l’attenuante in parola non risponde ad esigenze di adeguamento del fatto alla colpevolezza del reo, ma concerne la minore lesività del fatto in concreto rapportata al bene giuridico tutelato», mentre i parametri contemplati al comma 2 nulla hanno a che vedere con la minore lesività del fatto.

L’irrilevanza dei criteri di cui all’art. 133, comma 1, n. 3, e comma 2 c.p., ci permette di individuare un curioso parallelismo fra quanto fin qui osservato e la previsione dell’art. 62-bis, comma 2, c.p. Questa statuisce che, nel caso di soggetti già recidivi che abbiano commesso taluno dei reati gravi di cui all’art. 407, comma 2, lett. a) c.p.p., e purché siano delitti punibili con la reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni, le attenuanti generiche non potranno essere concesse sulla base dei criteri di cui all’art. 133, comma 1, n. 3, e 133, comma 2, c.p.(33).

L’ordinamento penale tratta pertanto il colpevole del delitto di atti sessuali con minorenne, quanto alla concessione dell’attenuante del “caso di minore gravità”, allo stesso modo di come tratta, quanto alla concessione delle attenuanti generiche, il c.d. recidivo reiterato speciale. In una logica sistematica, un simile accostamento (che all’interno della logica giuridica, non

(29) Così da ultimo Sez. III, 4 febbraio 2016, n. 17411.

(30) Cfr. sul punto C. FOLADORE, Sulla nozione degli atti sessuali «di minore gravità» previsti dall’art. 609-quater

c.p., in questa rivista, 2001, fasc. 5, p. 1504.

(31) Sez. III, 15 ottobre 2013, n. 45179.

(32) La giurisprudenza sul punto, come detto, è pressoché costante. Ex multis, Sez. III, 27 ottobre 2015, n. 49579;

Sez. III, 2 aprile 2014, n. 31841.

(33) Con la sentenza 10 giugno 2011, n. 183, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.

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strettamente formale, non può essere derubricato a una mera affermazione del conseguente) non appare manifestamente irragionevole, essendo scelta di politica criminale giustificabile proprio in virtù del particolare disvalore sociale attribuito a tale delitto. A fronte di tale identità di trattamento, deve peraltro evidenziarsi la diversità teleologica della normativa regolante le due fattispecie: laddove la disciplina della recidiva è infatti dettata da ragioni di pericolosità soggettiva del reo, nel caso dell’art. 609-quater, comma 4, c.p. quel che rileva è essenzialmente la gravità del reato in senso oggettivo.

6. RAPPORTO FRA L’ATTENUANTE DEL “CASO DI MINORE GRA-VITÀ” E L’AGGRAVANTE DELL’ATTO COMPIUTO SU UN MINORE DI ANNI DIECI; STUDIO DEI CASI DI CONTESTUALE SUSSISTEN-ZA DI UN RAPPORTO FAMILIARE O FIDUCIARIO

L’ultimo comma dell’art. 609-quater introduce la circostanza aggravante speciale del fatto commesso nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni dieci, per cui il minimo e il massimo edittale salgono, rispettivamente, a sette e quattordici anni. Si pone pertanto la questione del possibile concorso tra essa e l’attenuante, secondo quanto disposto ex art. 69 c.p. Peraltro nel caso di specie la comparazione «richiede una particolare attenzione in ragione dell’intrinseca maggiore gravità, di cui è connotata la condotta commessa in danno di minori di anni dieci»(34). In tale contesto, l’àmbito di applicabilità dell’attenuante sarà allora

necessaria-mente più ristretto rispetto alla categoria degli “atti di libidine non oggettivanecessaria-mente gravi”: nonostante la scarsa significatività contenuta in simili formule, potremmo parlare di astratta configurabilità di un giudizio di equivalenza o di prevalenza, rispettivamente, nei soli casi di

atti di libidine di lieve e di lievissima entità. Ciò che comunque emerge chiaramente è che,

quand’anche la vittima abbia un’età inferiore ai dieci anni, ciò non determina di per sé l’asso-luta impossibilità di concedere l’attenuante(35).

Detto questo in via generale, va però rilevato che la giurisprudenza ha individuato nell’età di gran lunga inferiore ai dieci anni un elemento sufficiente a escludere in radice la concedi-bilità dell’attenuante(36). La tenera età della vittima rende inoltre difficilmente configurabile la

minore gravità del caso quando il delitto sia commesso nell’àmbito di un rapporto fiduciario di affidamento(37): la maggior lesività di questa fattispecie emerge sin dalla norma base, che

all’art. 609-quater, comma 1, n. 2, già abbassa, in tali casi, la soglia del penalmente rilevante, fino a comprendere gli atti sessuali compiuti nei confronti dell’infrasedicienne. Non si può a

priori escludere che anche casi di questo genere si sostanzino in condotte di gravità così

modesta da risultare oggettivamente di minima invasività(38); tuttavia gli effettivi spazi di

ammissibilità dell’attenuante sarebbero così angusti da divenire quasi coincidenti con la soglia del penalmente irrilevante. Invece una recente giurisprudenza, pur partendo dall’assetto dogmatico appena delineato, ha surrettiziamente dilatato oltremisura l’àmbito di concedibilità dell’attenuante: per escluderne l’applicazione, ha talvolta aggravato irragionevolmente l’onere

(34) Sez. III, 30 gennaio 2001, n. 10936. (35) V. ad es. Sez. IV, 12 dicembre 2014, n. 3284. (36) Sez. III, 11 maggio 2006, n. 29730.

(37) Sez. III, 12 ottobre 2007, n. 42110. Si noti come tale considerazione del rapporto fiduciario potrebbe marcare,

qualora si assumesse come suo elemento qualificante il grado di fiducia effettivamente riposto dal minore nei confronti del reo, un ulteriore profilo di rilevanza in malam partem di uno stato soggettivo della vittima.

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probatorio dell’accusa, richiedendo una dimostrazione del danno subito dal minore talmente puntuale da configurarsi nei termini di una probatio diabolica. Questo specifico punto sarà oggetto di analisi approfondita nel prossimo paragrafo, al quale pertanto si rimanda.

In altre occasioni l’estrema fragilità dell’infradecenne è stata paradossalmente enucleata fra gli elementi che possono concorrere a ridurre la gravità del delitto. Vediamo due casi esemplari:

1. «pur dandosi atto che la minore ha forse avuto una precoce erotizzazione [n.d.s.: indotta dal compagno (convivente) della madre della bambina], questa si era verificata senza gravis-simi traumi, considerato che i toccamenti hanno conservato una dimensione ludica»(39).

Il fatto che la bambina abbia percepito gli atteggiamenti del reo come afferenti alla sfera del gioco non può certo deporre a favore della concessione dell’attenuante. L’interpretazione della realtà in dimensione ludica rappresenta, nel minore, la forma più immediata e comune di interrelazione con l’altro: risulterebbe pertanto irragionevole trarre da un normale atteggia-mento euristico, legato ad una determinata fase dello sviluppo della persona, argomenti di prova a sostegno della presunta minore gravità di una certa condotta. In realtà, l’aver ricon-dotto un simile comportamento a una dimensione ludica potrebbe semmai suggerire una soluzione esattamente opposta, in quanto l’imputato, facendo subdolamente passare queste condotte come parte di un gioco, avrebbe abbassato le già minime possibilità difensive della bambina. Questa tesi è stata più di recente riconosciuta dalla stessa suprema Corte, la quale ha ritenuto appropriato il diniego dell’attenuante a fronte «della natura subdola, insidiosa, vi-schiosa e fraudolenta delle modalità “ludiche” utilizzate per carpire il consenso dei minori»(40).

2. «Il caso che ci occupa è del tutto peculiare perché era la minore il soggetto propositivo degli atti sessuali, che considerava un passatempo giocoso ed innocuo fino a quando, matu-rando con l’età, non ha preso consapevolezza della illiceità del comportamento paterno»(41).

Censurando su tali basi la decisione dei giudici di merito, che nella fattispecie avevano sentenziato il diniego dell’attenuante, la Cassazione ha formulato il principio di diritto per cui lo stesso soggetto che la legge intende maggiormente tutelare (l’infradecenne), quando pone in essere un atteggiamento conferente alla sua natura (il «passatempo giocoso»), merita una minor tutela. La sentenza, affermando che la bambina ha con il tempo preso consapevolezza dell’illiceità della condotta paterna, ammette implicitamente che il disvalore di tali atti non era stato inizialmente compreso dalla minore solo e proprio a causa della sua tenerissima età. Insomma, quella stessa ratio che importa un’intensificazione sanzionatoria, viene qui distorta al punto da considerarne i presupposti logici come elemento concorrente a ridurre la gravità del delitto.

7. PROVE SCIENTIFICHE E MASSIME DI ESPERIENZA NEL PRO-CESSO DI VALUTAZIONE DELLA GRAVITÀ DEL DANNO

Il delitto di atti sessuali con minorenne si basa su una presunzione di esistenza del danno (o del pericolo), per cui «è preclusa in radice ogni indagine diretta a stabilire se l’atto sessuale “prematuro” sia stato o meno tale, in concreto, anche solo da esporre a pericolo l’interesse

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tutelato»(42). Abbiamo visto che l’àmbito di applicazione dell’attenuante non è influenzato

dalle percezioni del soggetto offeso (rectius, queste ultime non possono ampliare, ma semmai solo restringere l’insieme delle ipotesi in cui è possibile concedere l’attenuante), sicché il problema di provarne l’alterazione dell’assetto psicologico non dovrebbe nemmeno porsi. Le differenti posizioni riscontrate a livello giurisprudenziale rendono tuttavia opportuno appro-fondire ugualmente il punto. In tal senso, assumono primaria rilevanza le modalità con le quali è ammesso l’accertamento del danno, e, in particolare, la questione se esso possa inferirsi anche tramite massime di esperienza, ovvero se si debba basarsi esclusivamente su “prove scientifiche” strettamente intese. Su tale questione la giurisprudenza si è mostrata piuttosto altalenante: vi sono sentenze che, nei casi di imputazione ex art. 609-quater, sembrano riscon-trare quasi in re ipsa un turbamento del minore tale da escludere l’attenuante(43), mentre in

altri casi si censura l’apoditticità di simili automatismi(44). Introducendo un elemento di

inter-pretazione sistematica, la praticabilità di argomentazioni fondate su presunzioni e massime di esperienza sembrerebbe trovare avallo nella ratio dell’art. 609-octies c.p., regolante la violenza sessuale di gruppo. La disposizione non prevede espressamente la possibilità di concedere l’attenuante ex art. 609-bis, comma ult., ma, al di là del dato testuale, se ne è comunque esclusa l’applicazione estensiva in quanto ipotesi «incompatibile logicamente con la maggiore gravità di una violenza sessuale di gruppo»(45). Una simile lettura della norma era stata in precedenza

sostenuta anche dalla Consulta(46), quando ha escluso l’illegittimità costituzionale della

man-cata previsione dell’attenuante nell’art. 609-octies: essa ha ulteriormente confermato, anche sul piano del rispetto del canone della ragionevolezza legislativa, la praticabilità di generaliz-zazioni oggettive statuenti la gravità di determinate condotte. Non è richiesta alcuna indagine scientifica sulla psiche della vittima per stabilire che simili condotte sono connotate da un altissimo grado di lesività.

Stanti così le cose, risulta sensato domandarsi se tale logica possa applicarsi anche alle fattispecie sub art. 609-quater c.p. In effetti, una volta riconosciuto il principio per cui l’atte-nuante de qua risulterebbe logicamente incompatibile con l’ontologica gravità di determinate condotte, ben può sostenersi che la perpetrazione di atti sessuali particolarmente invasivi comporti la pressoché automatica inconcedibilità dell’attenuante anche nei casi qui analizzati. Se, a fronte di rapporti sessuali completi e reiterati compiuti su infraquattordicenni, si dovesse necessariamente appurare – come ha talvolta preteso la suprema Corte(47)– l’insorgenza di

una malattia scientificamente accertata, essa risulterebbe molto spesso assente, sia perché il minore si presta consensualmente all’atto sessuale, sia a causa di periodi di latenza potenzial-mente molto lunghi. Così facendo, inoltre, si escluderebbe dal concetto di “danno” tutta una serie di turbamenti che, pur non riconducibili a una vera e propria malattia, implicano ugual-mente un’incidenza negativa sul corretto sviluppo del minore.

(42) VENEZIANI, Commento all’art. 609-quater c.p., cit., p. 623.

(43) Sez. III, 13 febbraio 2013, n. 16466: «Non è, quindi, impropria l’affermazione dei giudici di merito secondo i

quali [...] anche se le ripercussioni negative sullo sviluppo dei minori sono difficilmente accertabili, esse non possono che essere, in effetti, “facilmente intuibili e, senza dubbio, indelebili”».

(44) V. Sez. III, 12 luglio 2012, n. 34236. (45) Sez. III, 12 ottobre 2007, n. 42111.

(46) C. cost., 26 luglio 2005, n. 325: «in particolare, sussisterebbe un’evidente incompatibilità dell’attenuante in

parola con l’oggettiva, eccezionale gravità di una ipotesi criminosa cui si accompagna una aggressione particolarmente intensa della sfera della libertà sessuale».

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8. OSSERVAZIONI FINALI

La disposizione dell’art. 609-quater, comma 4, c.p., appare come la resa del legislatore di fronte all’incredibile fantasia del reale: l’impossibilità di regolare puntualmente l’infinita varietà dei “casi di minore gravità” ha partorito una formula talmente generica da configurare quasi una delega in bianco al giudice. Ed è evidente che su quest’ultimo è stato in tal modo trasferito un enorme carico di responsabilità, da esercitarsi risolvendo l’ambiguità semantica ponendo al centro la protezione dell’intangibilità sessuale dell’infraquattordicenne. Nel metodo, è auspi-cabile che in tale materia la Cassazione eserciti maggiormente la funzione nomofilattica, sia attraverso l’elaborazione di principî chiari ed univoci, idonei a risolvere sul piano del ragiona-mento giuridico i molti contrasti interni stratificatisi negli ultimi vent’anni; sia affrontando le concrete difficoltà interpretative delle corti territoriali anche attraverso un incremento dell’at-tività di tipizzazione casistica(48). L’indicazione tipologica di fattispecie ontologicamente

“gra-vi” (e, seppur con maggiore prudenza, di altre ontologicamente “di minore gravità”), potrebbe infatti favorire l’uniformità delle decisioni di merito, rispondendo così, più in generale, ad una superiore istanza di certezza del diritto. Non si tratta qui di voler negare le peculiarità del caso concreto, opponendo loro delle generalizzazioni aprioristicamente onnicomprensive, quanto piuttosto di interpretare i fatti attraverso la lente del bene giuridico tutelato dalla norma(49).

Spesso il grado di compromissione dell’intangibilità sessuale risulterà infatti predeterminabi-le, perché, come abbiamo visto, esso deve essere accertato primariamente sulla base di una parametrizzazione oggettiva dell’atto sessuale consumato.

(48) Su quest’ultimo elemento cfr. G. RIZZO, Casi di minore gravità nei reati sessuali e discrezionalità del giudice,

in Il diritto di famiglia e delle persone, 2006, fasc. 3, p. 1060. Deve peraltro segnalarsi che la suprema Corte ha effettivamente cominciato a muoversi anche in questa direzione, giungendo ad elaborare veri e propri principî di diritto modellati sulla risoluzione di singoli casi concreti. Così ad esempio nelle già citate Sez. III, 7 ottobre 2015, n. 49572, e Sez. III, 22 gennaio 2014, n. 14437 (v. supra, § 3).

(49) È certamente vero che una simile operazione deve essere condotta con estrema prudenza, in quanto, come

abbiamo visto, le percezioni soggettive della vittima potrebbero di volta in volta contribuire a determinare in malam

partem la gravità del caso (supra, § 3). In questo senso saranno allora maggiormente frequenti quelle sentenze con cui,

piuttosto, si nega l’automatismo applicativo dell’attenuante, a fronte di atti sessuali solo apparentemente meno lesivi dell’integrità sessuale del minore (v. ad es. il caso di atti sessuali con minorenne perpetrati mediante l’utilizzo di strumenti virtuali, riportato alla nota 4). E tuttavia «ipotesi estreme potranno darsi, in cui l’esiguità ontologica del tipo

di atto permetta prese di posizione lato sensu “generali e astratte” da parte della giurisprudenza, che in tali marginali

ipotesi bagatellari potrà forse emanare direttive suscettibili di ritagliare tipologie di aggressione per definizione “lievi”, o “meno gravi”, su cui il destinatario della norma potrà anche fare in qualche modo affidamento» (CADOPPI, Commento

all’art. 609-bis c.p., in AA.VV., Commentario delle norme contro la violenza sessuale e contro la pedofilia, cit., p.

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