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Perché sì. Alternanza scuola-lavoro / Massagli: tirocinio sia il metodo non l'obbligo

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Perché sì. Alternanza scuola-lavoro / Massagli: tirocinio sia il

metodo non l'obbligo

Giulio Isolasabato 14 ottobre 2017

Emanuele Massagli (Adapt): l'unione di teoria e pratica è l'unica strategia per formare le persone

L’alternanza scuola/lavoro? Non dovrebbe durare 50 ore in tre anni, bensì essere il metodo globale della scuola. Emmanuele Massagli, professore di Pedagogia del lavoro all’università di Bergamo e presidente Adapt – associazione fondata nel 2000 da Marco Biagi per promuovere scambi tra alta formazione, istituzioni e imprese – vorrebbe andare al nocciolo del problema. E cioè, professore?

Noto con piacere che quella in corso non è la solita protesta inserita nello stereotipo dell’«occupazione autunnale » delle scuole. Alcune associazioni, in particolare l’Unione degli Studenti, dimostrano un ragionamento interessante sull’alternanza e ne notano i problemi, soprattutto la moltiplicazione di percorsi improvvisati.

Appunto. Che cosa è successo?

Con la legge sulla «Buona Scuola » nel 2015 si è passati di colpo da 200.000 ragazzi che facevano esperienze di lavoro di circa 10 giorni, a un milione e mezzo di alunni che devono totalizzare un numero cospicuo di ore (da 200 a 400 negli ultimi 3 anni di frequenza). Tante scuole si sono preoccupate di ottemperare all’obbligo più che dell’inserimento del tirocinio in un programma coerente. Questo ha generato esperienze fragili o errate.

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Dunque la protesta è fondata.

I ragazzi però rischiano di buttar via il bambino con l’acqua sporca, fomentati da maîtres à penser che replicano l’idea dello 'sfruttamento'. In realtà i giovani non contestato la gratuità dell’esperienza, semmai il suo basso livello formativo. Questo è interessante. L’alternanza scuola/lavoro non dev’essere un unicumconcluso in una parentesi temporale, ma una metodologia di tutto il percorso didattico. La scuola intera va pensata in alternanza, cioè nell’unione di teoria e pratica: che è poi la strategia necessaria per formare persone compiute. Oltre al fatto che il mondo del lavoro lo richiede.

Peccato che poi non sia altrettanto sollecito a ricevere gli studenti...

Conosco invece bellissime esperienze, anche in realtà piccole di artigianato, che investono sulla formazione di giovani. E comunque la «Buona Scuola» ha previsto l’esperienza del laboratorio o l’impresa simulata; addirittura l’istituto scolastico potrebbe costituire esso stesso un’impresa. Se vuole formare davvero, la scuola non può pensare di farlo solo in termini nozionistici e dunque – anche se non trovasse aziende disponibili ad accogliere gli alunni – dovrebbe porsi il problema di educare non solo teoricamente.

Un altro carico addosso a una scuola già in a anno... Professore, non sarebbe meglio che ci fossero agenzie deputate a far incontrare domanda e o erta? Penso alle associazioni di categoria, ai sindacati...

In parte fanno già da filtro, informando e consigliando i loro associati su come gestire percorsi di alternanza seri. Inoltre esiste un registro nazionale gestito dalle Camere di commercio con i posti disponibili (potrebbe anche servire a controllare eventuali abusi). Sono però contrario a creare un’agenzia di mediazione: l’alternanza non va pensata come un obbligo in più della scuola, ma come elemento essenziale dell’educazione.

Infine il suo parere sul caso McDonald’s.

È impossibile dire a priori che non sia un’esperienza formativa, tra l’altro è un giudizio o ensivo per chi ci lavora. Non capisco come si possa sostenere che un ragazzo che lavora lì non possa assimilare capacità importanti per la vita: gestire clienti, prendere decisioni sotto stress, avere una mentalità multitasking... Se c’è dietro un ragionamento coerente con il curriculum

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scolastico, perché no? Solo perché si tratta di una multinazionale americana? L’attacco odierno è fondato su un pregiudizio, quello dello sfruttamento, per cui bisogna tener lontani i ragazzi dal lavoro come se fosse un vizio. Prima dei 18 anni non toccarlo».

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