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II. NOI SIAMO I NOSTRI RICORDI, MA I NOSTRI RICORDI COSA SONO? II.1. Memoria autobiografica: tentativo di definizione

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59 II. NOI SIAMO I NOSTRI RICORDI, MA I NOSTRI RICORDI COSA SONO?

II.1. Memoria autobiografica: tentativo di definizione

Eccetto per queste poche cose slegate, il ballo era annebbiato nella sua memoria, i suoi contorni si mescolavano con quelli di altri balli del genere a cui era stata in passato e a cui avrebbe partecipato in futuro.1

Nella premessa è stata posta enfasi sulla condizione di spaesamento in cui si trova il soggetto contemporaneo: precario come lavoratore (in realtà politiche che spesso istigano ossessivamente ad abbandonare l’utopia cattiva del posto fisso e ad accettare di divenire flessibili), forse destinato ad emigrare e a perdere le radici, sull’orizzonte una famiglia che non rappresenta più un approdo sicuro e stabile, e probabilmente destinato a vivere più a lungo che in passato.

In un mondo dai confini labili, seppur difesi strenuamente dai nostalgici del mito dell’appartenenza, reso paese dal capillare uso delle tecnologie, che permettono di essere connessi sempre e comunque, l’individuo oscilla tra la sensazione di potere e quella di stare ai margini.

Non c’è niente di stabile in cui riflettersi: i riferimenti tradizionali (appartenenza geografica, genere, sessualità) sono stati definitivamente incrinati dall’emersione di soggettività Altre, fino ad ora utilizzate esclusivamente per definire la differenza (Noi/Loro, Bianchi/Neri, Maschio/Femmina, Eterosessuale/Omosessuale, ecc.) e dal contributo teorico delle scienze sociali.

Il nostro corpo ci posiziona nel mondo, è il nostro punto di vista, ma niente può essere detto al suo riguardo in maniera certa e assoluta.

Sentimenti contrastanti, istanze interiori non sempre ritenute accettabili, desideri, impulsi, sogni, necessità di interpretare diversi ruoli nella quotidianità, possono far deflagrare il senso di coesione interiore.

Il compito specifico della soggettività contemporanea è quello quindi di farsi, rielaborando il vissuto e dandogli un senso, seppur provvisorio.

E questo è possibile solo attraverso la memoria, intesa appunto come esercizio attivo di indagine, di ricostruzione narrativa, richiamando i molteplici io per cercare di

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60 armonizzarli, al fine di far corrispondere a quella percezione immediata di essere uno la maturata unità, che certamente non è più quella monolitica del soggetto classico.

Ma come può essere definita la memoria personale?

Possiamo genericamente affermare che i ricordi autobiografici sono quelli che riguardano il soggetto, che da essi trae informazioni sul Sé, ed è per questo che risultano cruciali per la costruzione del Sé e della sua identità.

Nel ricordare, il sé è contemporaneamente soggetto e oggetto: il suo ricordare è personale, legato al suo modo di essere e di percepire; e nello stesso tempo è il protagonista dei suoi ricordi ed è importante sottolineare che sotto il termine memoria rientrano le diverse fasi che vanno dalla percezione al ricordo vero e proprio: apprendimento, codifica, riconoscimento e rievocazione libera.

Cercheremo ora di tracciare sommariamente il percorso fatto nella ricerca in psicologia sul tema dei ricordi personali.

Già alla fine del secolo scorso la memoria autobiografica era trattata come qualcosa che permette al Sé di percepirsi il medesimo, pur nello scorrere del tempo2, costruito attorno a perni che posizionano gli eventi su una linea temporale3.

Benché gli studi sulla memoria psicologica abbiano avuto un vero e proprio boom a partire dagli anni Settanta dello scorso secolo, dopo un lungo silenzio, possiamo rintracciare nel periodo appena menzionato in F.Galton, S.Freud e T.Ribot i pionieri di tale settore.

Cugino di Darwin, F.Galton cercò di allargare lo studio della specie nel senso dell’ereditarietà ai processi mentali. A lui si deve l’invenzione della parola psicometria, intesa come sforzo metodologico di poter quantificare i risultati dell’osservazione scientifica, e quella di una tecnica particolare che può essere definita innescamento (cueing), attraverso cui si studiavano le associazioni innescate da uno stimolo esterno (che poteva essere un episodio tratto dalla quotidianità od una parola).

Già Galton, grazie ai suoi studi, poté osservare che la mente tende ad inquadrare tutti gli eventi in pochi schemi stabili e la particolarità dei ricordi autobiografici, in cui i dati sensoriali sono preminenti. Ciò conferma una stretta connessione tra memoria e

2 James W., (1890), Principi di psicologia, Società Editrice Libraria, Milano 1901 3 Ribot T., Les maladies de la mémoire, Alcan, Paris 1882

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61 percezione, soprattutto quando si tratta di ricordi a forte impatto emotivo o quando si tratta di situazioni ripetute nel tempo.

La metodologia tuttora utilizzata nell’indagare la memoria autobiografica e la rilevazione degli schemi rendono ancora valido il lavoro di F. Galton.

T.Ribot sviluppò le sue riflessioni ancorandosi alle ipotesi che si stavano sviluppando in ambito neuropsicologico.

Dunque nella lotta per la sopravvivenza, anche i processi psicologici subirebbero un’evoluzione in cui avverrebbe una stratificazione via via di strutture sempre più evolute.

Il ricordo consapevole sarebbe un esempio di struttura sovrapposta e instabile ai processi biologici e la memoria autobiografica ruoterebbe a dei ricordi perno necessari per far orientare il soggetto e la collettività.

L’importanza del contributo di S.Freud è principalmente nell’aver messo a fuoco il ruolo dei ricordi rimossi, considerati come sintomo ed allo stesso tempo uno strumento di sopravvivenza per il soggetto a ciò che non può essere tollerato.

Con l’aiuto dell’analista è possibile, a partire da un frammento, in un lavoro che assomiglia a quello dell’archeologo, ricostruire ed interpretare ciò che apparentemente manca di senso.

Il concetto-chiave risulta essere interpretazione: i ricordi sono materiale vivo da indagare e da rielaborare.

Ma poi la ricerca ha abbandonato questo settore, sia perché di difficile valutazione oggettiva, sia per la forte variabile intraindividuale.

Dopo il lungo silenzio durato praticamente un secolo, la ripresa degli studi sulla memoria autobiografica avviene con metodologie molto simili a quelle utilizzate da F.Galton, che però ancora non tengono conto del ruolo delle emozioni nel processo mnestico (fattore che invece ha acquisito importanza primaria negli studi più recenti). Altro contributo importante è quello di Vygotskij4 che ravvisa nel soggetto adulto una qualità specifica della memoria non presente nel bambino piccolo e negli animali, e cioè quella della volontà di ricordare, per cui fa l’esempio del fazzoletto annodato e del monumento.

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62 La memoria volontaria, considerata un processo superiore, non può essere spiegata attraverso il solo studio delle libere associazioni.

Svolge quindi un ruolo fondamentale il linguaggio che permette la trasmissione sociale dei contenuti della memoria.

Si può sintetizzare lo sviluppo affermando che nel bambino il ricordo serve per pensare, mentre una volta acquisito il linguaggio, avviene il contrario.

Questa teoria mette in luce il ruolo chiave degli adulti nello sviluppo dei bambini e come vedremo più avanti, effettivamente dagli studi sulle interazioni madre-bambino sulla rievocazione, emerge che quanto più è elaborato lo stimolo da parte dell’adulto, tanto più crescendo il bambino è in grado di narrare in modo più complesso le esperienze che vive.

L’aspetto sociale della memoria assume un valore pedagogico, non ridotto alla mera condivisione, ma addirittura alla maturazione, considerando la memoria come qualcosa di migliorabile.

La nuova stagione di studi sulla memoria autobiografica viene inaugurata con l’intervento di U.Neisser alla Conferenza di Cardiff nel 1978: in questa occasione si critica un approccio confinato al laboratorio e si prospetta un nuovo campo in cui indagare i ricordi, e cioè nel loro contesto naturale, nella vita quotidiana.

Nell'approccio cognitivista e costruttivista di U.Neisser si saldano insieme percezione, memoria e immaginazione e si considera il ricordo come una ricostruzione condizionata dalle strutture cognitive del soggetto nel presente in cui rievoca il passato, e non come una copia.

Numerosi psicologi cognitivisti e neuropsicologi dagli anni Ottanta dello scorso secolo contribuirono a focalizzare le ricerche sui contenuti, invece che sui processi di memoria. Emerge una forte affinità tra ricordare e raccontare una storia: i ricordi sembrano prestarsi naturalmente ad essere condivisi tramite il linguaggio e questo si può osservare già in bambini di quattro o cinque anni.

Nel 1986 altre due pietre miliari: G.Cohen utilizza il termine memoria quotidiana ed esce ‛Memoria autobiografica’, testo a cura di D.C.Rubin.

Nel frattempo, sempre a partire dagli anni Settanta si assiste ad una ripresa cognitivista del lavoro di J.Piaget e F.Bartlett: da quest'ultimo viene rielaborato il concetto di schema di cui parleremo più avanti.

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63 È stato E.Tulving5 a distinguere la memoria contestualizzabile nello spazio e nel tempo (memoria episodica) dalla memoria che genera conoscenze perdendo i connotati specifici (memoria semantica) e ancora dalla memoria di come si fanno le cose (memoria procedurale). Queste tre tipologie riguardano la memoria permanente e diventano stabili riferimenti per il soggetto nel suo agire rispetto a sé e al mondo.

Nella distinzione operata da Tulving tra memoria procedurale, memoria semantica (un sottoinsieme di quella procedurale) e quella episodica, sarebbe quest’ultima quella prettamente autobiografica, in quanto permette al soggetto di richiamare i fatti collocandoli nello spazio e nel tempo che rendono la sua vita unica e assolutamente personale.

La memoria procedurale sarebbe un tipo di memoria in cui non si sa di sapere e consisterebbe nel fare (knowing how); quella semantica prevederebbe invece la consapevolezza (knowing) ed infine solo in quella episodica sarebbe coinvolto esplicitamente il sé (selfknowing).6 (Tulving, 1985a)

Nel 1985 D.Bruce usa l'espressione ecologica riferita al settore della psicologia che si occupa di studiare la memoria nel suo naturale emergere nella quotidianità. Ma l'uscita dal laboratorio e l'uso di materiale variegato, la cui attendibilità è legata alla parola del soggetto, rende i risultati difficilmente standardizzabili.

Nonostante ciò non si arresta l'esigenza di un approccio alla memoria non artificiale, ma vicino alle reali condizioni in cui i fatti vengono trasformati in ricordi.

Nel nuovo approccio ecologico diventano fondamentali i diari, i racconti di vissuti, sia in relazioni non strutturate, che in quelle cliniche.

A partire dal 1972 M.Linton iniziò a tenere un diario in cui annotava in poche righe quelli che riteneva i fatti salienti della giornata. Ogni mese esaminava due eventi schedati a caso e cercava di ricollocarli nel tempo e di riconoscerli. Quelli dimenticati venivano eliminati.

L’artificiosità dell’esperimento consiste nel fatto che in condizioni normali i ricordi che persistono non sono quelli la cui importanza è stata decisa nel presente dell’esperienza; anche il ricorso alla registrazione non rispecchia il decorso naturale di un ricordo.

5 Tulving E., Episodic and Semantic Memory, in Tulving E. Donaldson W. (eds.). Organization of Memory, Academic Press, New York 1972, pp.381-403

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64 I veri ricordi autobiografici diventano tali attraverso una selezione legata allo sviluppo del soggetto ed anche l’importanza attribuita nel presente ad un evento non gli garantisce la sopravvivenza, poiché i fattori che entrano in gioco successivamente sono molteplici.

L’autrice fa notare la differenza fra ciò che trabocca dalla memoria e ciò che può essere fatto emergere, come nelle associazioni libere della psicoanalisi, concludendo che, in un certo senso, noi siamo i nostri ricordi: “we are the memories we access.”7

Questa ricerca dimostra che la registrazione scritta degli eventi non può rispecchiare il destino naturale dei ricordi autobiografici.

Secondo M.Linton la codifica dell’episodio sarebbe condizionata dalla conoscenza semantica: la percezione, e quindi anche l’episodio che non è destinato a divenire conoscenza, è subordinata allo schema.

L’oblio, in questa prospettiva, può essere interpretato come perdita di qualcosa che non ha più significato per il soggetto, i cui schemi si evolvono continuamente, ma pur evolvendosi, cercano di garantirne la continuità.

Inoltre, come accennato prima, il fatto che non ci siano appigli nel presente di un soggetto per certi ricordi, li renderebbe obsoleti, non utili al ricordo, come appunto certe nozioni imparate a scuola.

Ma si tratta di vero oblio?

Il fatto che non sia possibile accedere ad un ricordo dipenderebbe dallo scarto tra disponibilità e accessibilità. Accessibilità che varia a seconda delle condizioni concomitanti: ad esempio uno stimolo proveniente dall'esterno può far riaffiorare un ricordo che precedentemente sembrava dimenticato.

Anche nella prospettiva psicoanalitica freudiana si afferma la possibilità di recuperare esperienze apparentemente obliate, ma semplicemente rimosse, attraverso il lavoro analitico.

Quindi l'oblio non sarebbe una vera e propria perdita della traccia originale, quanto una condizione legata al recupero.

La domanda che sorge al riguardo è cosa permette a determinati ricordi di essere accessibili e cosa impedisce ad altri di essere recuperati. Sono l'intensità e le emozioni

7 Linton M., Trasformation of Memory in Everyday Life, in Memory Observed: Remembering in Natural Contexts, Neisser U. (ed.), Freeman, San Francisco 1982, cit. in Calamari E., I ricordi personali – Psicologia della memoria autobiografica, ETS Pisa 1995, p.254

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65 connesse nel momento dell'esperienza? La ripetizione? Il ruolo che svolge nelle ricostruzioni successive?

Dell’intreccio tra memoria e oblio se ne parlerà più accuratamente più avanti, ma, nella prospettiva costruttivista sopraillustrata parrebbe che emozioni, ripetizione, necessità legate al presente determinino il destino di un ricordo.

Sono R.C.Shank e R.P.Abelson ad ipotizzare l'esistenza dello script8, ovvero una sorta di copione che organizza gli eventi secondo un ordine ed uno scopo in una precisa situazione spazio-temporale.

L'acquisizione di tali schemi da parte del bambino è mediata dall'adulto che, commentando gli eventi, ne favorisce l'insorgenza e lo sviluppo.

La similarità tra differenti esperienze permetterebbe, tramite l’astrazione, il passaggio dall’esperienza alla categoria.

Proprio tale passaggio sarebbe causa di distorsioni nei ricordi, non dovuti a fattori esterni o all’indebolimento del recupero mnestico.

L’impegno cognitivo nel rielaborare il vissuto per trarne delle categorie generali e astratte provocherebbe cioè un adattamento, anzi, un riadattamento del materiale mnestico.

Questo dimostrerebbe che ricordare non è tirare fuori dal cassetto oggetti messi da parte, ma un processo di rielaborazione continua, dunque ricostruttivo.

E questa rielaborazione è condizionata anche dallo stato d’animo, dai sentimenti del soggetto nel momento in cui ricorda.

Questi schemi9 o script strutturerebbero quindi gli episodi ricorrenti, in modo da ricavarne conoscenze generali. Nel caso in cui si verifichi una deviazione dal copione, l’episodio verrebbe registrato in modo diverso proprio per la sua singolarità, trasformando il ricordo in ricordo autobiografico, a cui il soggetto attribuisce una personale interpretazione.

Se consideriamo la memoria come un processo di codifica (in entrata) e di recupero (in uscita), sono da registrare significativi errori proprio nel recupero.

Come detto, una delle cause di ciò va attribuita alla rielaborazione in schemi, che richiedono una selezione degli stimoli in entrata e sono contrassegnati anche da

8 Shank R., Abelson R., Scripts, Plans, Goals and Understanding, Erlbaum, Hillsdale 1977

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66 aspettative legate alle esperienze precedenti, aspettative che potrebbero condizionare addirittura le informazioni in fase di codifica.

Le aspettative in un certo senso piegherebbero i ricordi alla verosimiglianza, cioè all’usuale andamento dei fatti.

Il soggetto che ricorda è coinvolto, come protagonista, in ciò che ricorda. E ciò che ricorda assume minore o maggiore pregnanza in base al collegamento, in fase di codifica, tra gli eventi e il Sé. Non è tanto la verità ad essere cercata nell’atto di ricordare, quanto la possibilità di rivedersi negli eventi trascorsi.

La necessità di ricordare, nel presente, eventi accaduti nel passato, rende il ricordo qualcosa che è legato indissolubilmente a queste dimensioni temporali: il ricordo non è un oggetto, ma una relazione, un’operazione di significazione che può cambiare nel tempo, così come cambia il soggetto che ricorda.

Si potrebbe dire che davvero ciò che è andato è perduto per sempre: non si può trovare da nessuna parte; anzi ciò che è andato non è mai stato, perché le aspettative incidono anche sul momento in cui si vive l’esperienza. Ma ciò che è andato e lo ritroviamo, noi lo abbiamo dotato di senso per la nostra esistenza, e questo è quello che conta.

Nello schematizzare le esperienze sarebbero utilizzate due categorie fondamentali per classificare gli eventi del passato: familiarità ed estraneità, ovvero eventi usuali ed eventi straordinari.

Al primo gruppo apparterrebbero i ricordi che garantiscono al soggetto il senso di unità e di coerenza in un dato periodo di vita, ad esempio, e le lacune di memoria sarebbero compensate, in maniera ovviamente non consapevole, da dettagli abusivi tratti dal contesto.

Gli eventi straordinari sarebbero invece enfatizzati per sottolineare i momenti critici, i grandi cambiamenti, le svolte.

La memoria, in questa prospettiva, appare come un progetto legato all’idea di sé, scisso dal paradigma della verità.

Non solo la memoria è condizionata, determinata da schemi che regolano sia la codifica che il recupero, anche attraverso le aspettative, ma assume forme diverse.

Abbiamo accennato ai ricordi che diventano conoscenze ed altri che mantengono la forma di episodi per la loro peculiarità, il loro uscire fuori dal seminato; poi ci sono ricordi come nebulose, sottoforma di vaghe sensazioni.

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67 Anche nella ricerca neurologica si avvalla l'ipotesi di una memoria complessa che rielabora continuamente il materiale mnestico; fondamentale è il contributo del biologo molecolare Gerald Edelman e del suo "umanesimo neuronale" antimeccanicistico.

Contro le ipotesi del determinismo riduzionistico, la scoperta della Cam o molecola di adesione cellulare affranca parzialmente dai geni lo sviluppo del cervello, consentendo di pensare a una continua evoluzione anche nel corso dell’età adulta. I miliardi di neuroni della corteccia, con un numero di sinapsi che fa del cervello l’entità più complessa esistente, presentano una riorganizzazione continua e creativa di mappe neuronali che si sovrappongono e dialogano fra loro creando categorie.10

Questa prospettiva, che vede indispensabile il soggetto consapevole, si avvicina alle ipotesi illustrate sulla memoria autobiografica.

A livello neuronale, il recupero mnestico non è mai identico ad uno precedente, ed è questa la causa degli errori, per difetto o per eccesso di informazioni, ma anche la base per trasformare le esperienze in conoscenze generali e personali.

Per E. Calamari uno dei punti di forza di questa teoria è la connessione stabilita tra organismo ed evoluzione, in termini di adattamento: lo sviluppo embriologico e ontogenetico è continuamente rielaborato dalle esperienze vissute, che portano ad un rafforzamento o indebolimento delle sinapsi:

La complessa interconnessione rientrante tra mappe e strutture cerebrali specializzate come il cervelletto, i gangli basali e l’ippocampo, forma una mappa globale che è alla base della memoria e della coscienza. Senza entrare in particolari, la coscienza primaria è un “presente ricordato”, la consapevolezza delle cose del mondo che dà immagini mentali del presente e di cui possono essere dotati gli animali superiori e consiste in un’autoelevazione [bootstrap] percettiva, che dipende dal collegamento rientrante della categorizzazione percettiva in atto con la memoria concettuale valore-categoria.

La coscienza di ordine superiore, invece, che implica consapevolezza riflessiva di sé in un quadro di riferimento che comprende il passato e il futuro, rendendo possibile una memoria simbolica e una vita interiore, si basa sulla comparsa del linguaggio all’interno di una comunità. L’evoluzione del linguaggio nella specie umana, […] appare centrale, consentendo quella che Edelman chiama “auto

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68 elevazione semantica” e che consiste nella connessione rientrante tra

le aree della parola e quelle della memoria concettuale.11

Il livello di variabilità e di differenze tra i cervelli impedisce il parallelo con le macchine, poiché lo sviluppo personale è la garanzia di un sistema selettivo.

Attraverso la narrazione, il ricordo prende la forma e la struttura di una storia e la conquista del linguaggio gioca un ruolo fondamentale: ciò è possibile quando il bambino, oltre che a parlare, è in grado di posizionare i fatti su una linea temporale che preveda un prima e un dopo.

Si può dire che è da questo momento che inizia la vera e propria memoria autobiografica.

La schematizzazione di episodi simili si traduce narrativamente in quella che è stata definita ‛memoria episodica’, di cui una forma particolare è quella ‛repisodica’ che assume la forma vera e propria di uno schema autobiografico.

La memoria autobiografica si organizza attorno ai periodi di vita (conoscenza di un periodo lungo), agli eventi generali (periodi della durata di mesi, settimane, giorni) ed alla conoscenza di eventi specifici collegati ad una esperienza particolare.

La schematizzazione favorisce la ritenzione di informazioni che, se slegate, necessiterebbero di maggiore memoria, ma, allo stesso tempo, proprio a causa di questa inclusione in strutture più generiche, gli eventi simili tendono a perdere la loro specificità e ad essere confusi tra loro.

Alla base dei processi di memoria sembra che ci sia uno sforzo di attribuire coerenza e significato agli eventi, collegandoli ad altri, e nel contempo, al Sé stesso. Coerenza e corrispondenza non possono coesistere: la verosimiglianza frutto dell’operazione di contestualizazione degli schemi conduce alla coerenza narrativa (coerenza che, se eccessiva, può far sorgere dubbi sull’autenticità degli eventi richiamati), la corrispondenza intesa come una rappresentazione accurata dei dettagli, la verità andrebbe a scapito del senso complessivo.

Inoltre in ambito sperimentale è stato dimostrato che non ci sono differenze sostanziali tra un vero ricordo ed uno falso: la sensazione provata nel riconoscimento è la

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69 medesima, anche se per quanto riguarda le immagini-ricordo il discernimento tra vero/falso sembrerebbe più facile.12

Gli schemi anticipano, completano, collegano le esperienze; esperienze false possono essere giudicate come vere nell’attribuzione di senso da parte del soggetto: la memoria autobiografica pare poco descrivibile con la categoria vero; la coerenza, dunque la verosimiglianza decisa dal soggetto, definisce i ricordi personali.

Inoltre nel corso dell’evoluzione dell’individuo e dei suoi schemi cognitivi, anche i ricordi vengono continuamente rivisitati e rielaborati in modo sempre più complesso: la memoria autobiografia cresce assieme al Sé.

Passato e presente sono in stretta connessione: gli schemi attuali del soggetto condizionano addirittura la percezione e quindi la codifica dell’esperienza; in questo senso si può dire che il passato condiziona l’esperienza presente.

Ma allo stesso tempo il presente condiziona il passato, poiché il materiale mnestico viene continuamente rivisitato, rielaborato, in base alle istanze attuali del soggetto. Dunque, non solo nella memoria avviene una ricostruzione, ma la stessa esperienza in entrata è condizionata dagli schemi utilizzati. E il consolidamento dei ricordi è legato anche al collegamento con la vita: le nozioni scolastiche dimenticate dimostrerebbero che è proprio la mancanza di pregnanza esistenziale a farle decadere. La memoria autobiografica è legata al sé in evoluzione e in relazione con gli altri ed il suo mondo, ed è continuamente rivisitata e rielaborata in base ai compiti del presente.

L’impronta personale nel rielaborare i ricordi autobiografici, distorcendo e completando la traccia originale, dimostra la vigile presenza di un sé alla ricerca di coerenza e continuità, uno sforzo che toglie oggettività ai ricordi in sé, ma accresce l’importanza della memoria autobiografica in riferimento all’identità soggettiva e alla sua autocomprensione.

Nel riattivare il passato i fatti sono accompagnati dai pensieri e dalle emozioni concomitanti, ed i ricordi accompagnati da una forte impressione sensoriale sono quelli che maggiormente sono investiti di fiducia circa l’autenticità: proprio le sensazioni che accompagnano il ricordare inducono a credere di avere effettivamente vissuto una certa esperienza, a differenza dei fatti autobiografici che implicano semplici conoscenze riguardo il proprio vissuto.

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70 Probabilmente, tale fiducia è collegata in qualche modo con l’errata

convinzione che i ricordi-immagine debbano essere i residui di una percezione passata effettiva. In realtà, sappiamo che la persistenza dell’immagine visiva dopo la scomparsa dello stimolo è molto breve. Il registro sensoriale, primo stadio dei modelli Human Information Processing della memoria, studiato da G. Sperling [1960] con il metodo del resoconto parziale, ha una durata dell’ordine di pochi decimi di secondo, durante la quale è ancora possibile “leggere” qualcosa dello stimolo visivo.13

Come detto precedentemente, la memoria sarebbe condizionata anche in fase di ritenzione, cioè all’atto di percezione, in cui è da definire il ruolo dell’attenzione, della consapevolezza e delle emozioni sul risultato mnestico: l’esperienza vissuta può finire per diventare un ricordo molto vivido, oppure dimenticato completamente (e in questo caso ci sarebbe da valutare se si tratti di oblio difensivo, ma di questo parleremo nel prossimo paragrafo).

La percezione è già essa stessa passato e presente insieme, poiché i dati dell'esperienza sono integrati da conoscenze che il soggetto ha vissuto in precedenti esperienze.

E.Calamari propone il concetto di ciclo mnestico:

Si può pensare anche a un ‛ciclo mnestico’, nel corso del quale il processo di elaborazione-ricostruzione del passato, effettuato in collegamento all’esperienza attuale, cambia lo stesso oggetto che ricorda. Quando cerca di inserire negli schemi nuovi il passato letto secondo vecchi schemi, cioè nel corso del ricordo del ricordo, il soggetto può deformare il passato, ma può anche essere costretto e stimolato a modificare i suoi schemi presenti. Il cambiamento non va inteso solo come effetto dell’assimilazione da parte di un nuovo schema, che si impone a vecchi contenuti in base al contesto attuale, ma può anche consistere nella presa di coscienza che ricordare un evento passato in un certo modo, con lo stesso significato che gli abbiamo attribuito nel corso dell’esperienza, è ripetitivo ma inadeguato. Le esperienze intercorse hanno dotato il soggetto di schemi nuovi che, per ricomprendere l’esperienza in modo diverso, richiedono un accomodamento ulteriore. […] già la ripetizione di uno schema di azione del passato con la consapevolezza che si tratta di una ripetizione rappresenta una modificazione dello schema stesso. In questo senso si può parlare di ciclo mnestico.14

13 Ibidem, p.178 14 Ibidem, p.64

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71 Nella memoria autobiografica non può rientrare il generico sapere, in cui mancano i riferimenti specifici al Sé, presenti invece nell’atto di ricordare.

Come avviene il passaggio dal ricordare al sapere?

Probabilmente la ripetizione di un’esperienza nel tempo fa sì che essa perda il suo carattere specifico rispetto a quello generico, divenendo così una conoscenza, ma al costo di perdere la sua unicità.

Il ricordo in cui i dettagli sono stati sacrificati a favore di una conoscenza più generica dotata di senso, nella rievocazione quindi molto generale, può essere considerato un errore? Ciò obbliga ad argomentare cosa si intenda per ricordo esatto: una specie di copia dell’originale percezione, oppure accettiamo che il ricordo sia comunque una ricostruzione nel presente del significato degli eventi passati?

Secondo Bartlett15 ci sono due tipi di errori durante l’elaborazione degli stimoli percepiti: uno per sintesi ed uno opposto, in cui vengono aggiunti dettagli non presenti al momento della percezione.

Però è provato che alcuni dettagli possano ricomparire intatti nella loro vividezza, quindi probabilmente ricordare è un processo misto, in cui stralci di verità percettive sono inclusi nella ricostruzione.

Un altro tipo di errori è quello dello slittamento temporale, per cui un evento viene collocato nel periodo sbagliato.

Il bisogno di coerenza, di nuovo, legato alla possibilità di trasformare i ricordi in una storia dotata di senso per il sé, sarebbe all’origine delle distorsioni dei ricordi.

La distorsione narrativa è legata alla necessità di dotare il racconto di una successione temporale, all’uso del linguaggio nel riferire l’esperienza, alla conseguenza stessa della distorsione nella condivisione del racconto, per cui sono parte attiva le aspettative dell’interlocutore e le regole culturali che vi stanno dietro.

Ma le distorsioni possono servire anche a convincere se stessi, soprattutto nei casi in cui il ricordo sia insopportabile, si pensi ad esempio ai casi di abuso.

Nella sua ricerca Hyman16 dimostra come sia possibile che i soggetti facciano propri ricordi che sono stati completamente inventati dal ricercatore: l’elemento fondamentale

15 Bartlett F.C., La memoria. Studio di psicologia sperimentale e sociale, cit.

16 Hyman I.E., Creating False Autobiographical Memories: Why People Believe Their Memory Errors, in Winograd E., Fivush R., Hirst W., Ecological Approaches to Cognition. Essays in Honor of Ulric Neisser, Emory Symposium in Cognition, Lawrence Erlbaum Ass., Mahwah (NJ) 1999, pp.229-252

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72 di cui ha bisogno il soggetto per credere a quello che ricorda è innanzitutto la ‛plausibilità’, cioè coerenza con quanto il soggetto ha vissuto.

Da qui il paradosso per cui, ciò che distorce l’esperienza originale è lo stesso processo che rende la narrazione autobiografica un prodotto assolutamente originale e soprattutto utile al soggetto che attribuisce senso a ciò che vive in funzione del presente e del futuro.

Il processo di ricostruzione mnestica non va però confuso con la falsificazione del passato: ricordi falsi non sarebbero utili né al soggetto, che deve trarre dal proprio vissuto le risorse per affrontare le sfide del suo presente, né alla collettività, che fonda sulla condivisione della propria storia comune la consapevolezza culturale.

La memoria collettiva è infatti importante per attribuirsi un’identità o per costruirla, ma anche per riflettersi nella società.

Ovviamente l’intreccio memoria/oblio che caratterizza l’attività mnestica del singolo individuo vale anche per una collettività: si ricorda cioè ciò che è utile nel presente e, proiettivamente, nel futuro, omettendo/dimenticando quello che ha minore pregnanza. Inoltre gli eventi collettivi maggiormente dotati di significato sono quelli che hanno visto protagonisti, o comunque direttamente coinvolti, i soggetti della comunità che ricordano.

Memoria collettiva non coincide con storiografia, tradizionalmente la rappresentazione delle gesta dei vincitori: un gruppo può sentirsi coeso proprio dalla sconfitta e considerare la narrazione di quanto avvenuto uno strumento di resistenza per mantenere vivo il ricordo di ciò che la storia ufficiale potrebbe avere interesse a far tacere.

Proprio la natura conflittuale della memoria collettiva è la causa del continuo ricorso alla reinterpretazione della storia, finalizzata alla legittimazione del presente.

Ricordare non è tirare fuori dal passato sigillato in una parte del cervello una particella intatta; ricordare è un processo in cui passato e presente si interfacciano in virtù delle esigenze attuale del soggetto.

Ed una caratteristica particolare della memoria autobiografica è quella della sua predisposizione ad essere narrata.

Tornando al rapporto tra ricordare e conoscere, il prezzo che si paga nella perdita dell’unicità del ricordo, con annesse le emozioni provate, a favore della conoscenza,

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73 potrebbe provocare nel tempo una sorta di assuefazione e chiusura alle nuove esperienze.

Un’eccessiva ricerca della continuità del sé andrebbe a discapito, quindi, della possibilità di provare nuove esperienze e quindi nuove emozioni, al costo di perdersi temporaneamente.

A proposito di perdersi, è nell’adolescenza che per la prima volta si usa la propria memoria autobiografica per conoscersi e capirsi. L’uso diffuso di tenere un diario risponde al bisogno di introspezione, ma anche a quello di avere un confidente capace di comprendere una nebulosa che l’adolescente sente non essere compresa dalle persone che lo circondano. L’utilizzo della scrittura garantisce eternità a fatti che altrimenti andrebbero dispersi, a causa dei rapidi e continui mutamenti che accompagnano questa fase evolutiva.

Il diario è spesso uno strumento di antagonismo rispetto alla versione dei fatti sostenuta dagli adulti: per la prima volta, appunto, il soggetto vuole raccontare la sua versione dei fatti, la sua storia, dotata di significati legati ad un sé fragile e in trasformazione.

Già nella premessa avevamo esposto le nuove teorie legate alle fasi evolutive, riviste alla luce dei cambiamenti sociali contemporanei: in particolare E. Erikson che ha affermato l’incessante spinta evolutiva per tutto l’arco della vita. Non solo: le varie fasi non sono isolate, ma in continua interconnessione, in un continuo dialogo tra un passato su cui ci si flette per trovare senso e risposte rispetto al presente ed anche al futuro; ed è proprio quello che fa l’adolescente ripiegandosi su se stesso in una fase in cui non si riconosce.

Nella memoria autobiografica vanno annoverati, oltre ai ricordi richiamati intenzionalmente, quelli che compaiono involontariamente, grazie a stimoli provenienti dall’esterno: si tratta di rievocazioni in cui non c’è piena consapevolezza, difficili da tradurre in parole, ma che emotivamente appaiono profondamente intensi al soggetto che li rivive.

Così come la soggettività non si fonda più sulla coscienza, anche la memoria autobiografica non può essere ridotta ai ricordi richiamati volontariamente: ci sono molti modi per accedere al proprio passato, controllati o imprevisti, attraverso cui il soggetto interpreta se stesso. E non può essere omessa l’importanza dell’alone affettivo

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74 del ricordo, così superbamente raccontato da Proust, di come le emozioni siano inestricabilmente legate all’esperienza del ricordare.

Oltre ai ricordi specifici che mantengono la loro singolare caratteristica percettiva e sensoriale, e oltre ai ricordi che vengono trasformati in conoscenza, grazie alla ripetizione, ci sono anche quelli che, a metà strada tra i due appena esplicitati, ricoprono determinati periodi di vita, quindi si riferiscono a periodi estesi di vita, senza però divenire conoscenze generiche, e possono riguardare tematiche legate al sé, oppure riferirsi ad un determinato contesto spazio-temporale. Sono proprio questi ultimi ad apparire più significativi, perché, pur mantenendo una loro aurea specifica, sono in grado di produrre conoscenze abbastanza generalizzate.

È possibile ipotizzare che la memoria autobiografica come riferimento per la conoscenza del sé sia pilotata nel recupero di determinati aspetti della vita, orchestrando così ciò che rimane prettamente autobiografico con ciò che diviene conoscenza generale.

Nei ricordi personali si intrecciano diversi piani temporali: quello personale, quello familiare e quello sociale, ed è quest’ultimo che spiegherebbe la memoria semantica comune a persone che vivono uno stesso periodo storico e che possono quindi rappresentare una generazione.

Benché nel bambino in età prescolare, osservandolo nel suo modo di giocare, si possa constatare la presenza di ricordi, la padronanza del linguaggio rimane cruciale nell’organizzare, rielaborare e comunicare le proprie esperienze, dunque per passare alle forme di memoria semantica ed episodica17.

Il linguaggio rappresenta una conquista fondamentale, sia a livello di introspezione, che familiare sottoforma di condivisione dei ricordi (un tipo particolare di conversazione in seno alla famiglia che può incrementare la capacità narrativa del soggetto), che, infine, a livello prettamente narrativo (quando si racconta a qualcuno un’esperienza vissuta). Quanto incida la condivisione dei ricordi in ambito familiare nei primi anni di vita sulla capacità stessa di narrare di sé sarà approfondito più ampiamente nel paragrafo dedicato al tema ‛Gli altri, gli oggetti’.

17 Tulving E., Episodic and Semantic Memory, in Tulving E. Donaldson W.(eds.). Organization of Memory, cit.

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75 Possiamo intanto anticipare che, visto che si tratta di condivisione e che lo strumento è il linguaggio, tanto più la famiglia stimola attivamente la ricostruzione dei ricordi nei piccoli narratori di sé, tanto più nel tempo tali soggetti sviluppano la capacità di narrare in modo elaborato il proprio vissuto.

E possiamo anticipare anche che questo dato ha una notevole importanza sul piano pedagogico: se qui si ipotizza che il soggetto contemporaneo deve farsi perché non è dato, e l’unico strumento per farsi è dotare di senso il passato attraverso la memoria, coloro che rivestono il ruolo di educatori devono mostrarsi sensibili e ricettivi alla spontanea emersione del desiderio di ripensare a ciò che accaduto nei piccoli individui. Il passato è un fatto personale, il cui destino narrativo e di significanza è determinato anche dal clima educativo.

Il modo di ricordare riguarderebbe anche la quantità di eventi che il soggetto è in grado di richiamare nel presente: è stato riscontrato, in ambito sperimentale, un vero e proprio picco di reminescenza negli adulti, quindi un dato superiore rispetto alle aspettative, per i ricordi che coprono l’età tra i 15 e i 25 anni.

La spiegazione più plausibile di questo fenomeno sarebbe legata alla teoria dei ‛dilemmi evolutivi’ introdotta da E.H.Erikson18, che rappresenterebbero il compito peculiare per l’individuo di riuscire a proseguire nella fase successiva.

Nello specifico, proprio l’età sopramenzionata rappresenterebbe lo spartiacque tra la nebulosa adolescenziale e l’assunzione della responsabilità di sé, sottoforma di scelte decisive per il proprio destino.

Questa fase segna dunque una cesura tra una memoria personale di derivazione familiare, quindi eterobiografica, attraverso cui la famiglia ha narrato la storia del figlio/a e ha anche attribuito un valore ad essa, e l’inizio della memoria personale vera e propria, in cui è il soggetto a rielaborare il vissuto in funzione di una dotazione personale di senso.

Nella ricostruzione del nostro passato siamo guidati da una struttura che definisce un prima e un dopo, ma soprattutto dal ruolo centrale degli eventi cruciali, quelli che già nel momento in cui li vivevamo, percepivamo il senso del loro impatto singolare.

La narrazione del sé è comunemente definita come autobiografia, parola in cui si fa riferimento esplicito alla scrittura, o comunque al linguaggio.

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76 Per E. Calamari tale termine appare inadeguato ad includere l’eterogenea gamma di ricordi che riguardano le nostre esperienze:

Il termine “memoria autobiografica” appare pertanto troppo ristretto per coprire tutta la gamma dei fenomeni che interessano la psicologia della memoria di sé. Utilizzando un’espressione come “memoria personale”, si evita il riferimento al codice verbale e si ammette un aspetto centrale nella memoria di sé: quei ricordi che si presentano alla mente sotto forma di immagini, per lo più visive, ma anche uditive, relative comunque a una delle modalità sensoriali con cui l’uomo fa esperienza della realtà esterna.19

Il privilegio attribuito al linguaggio verbale è riscontrabile anche nell’ambito della ricerca sperimentale sulla memoria autobiografica, perché di più facile oggettivazione rispetto all’immagine.

La narrazione dei propri ricordi, nell’implicare un interlocutore, obbliga ad assumere determinate convenzioni narrative, che possono contribuire a rafforzare la ricerca di senso nella propria storia e ci permette inoltre di sentirci in connessione con ciò che siamo stati nel passato: ricordare e raccontare i propri ricordi appaiono, ancora, fatti strettamente connessi.

Secondo Bruner20 la mente è predisposta per trasformare le esperienze in storie al fine di interpretare la realtà. Attraverso la narrazione, non solo si dota una vicenda di coerenza, ma le si dà anche un senso.

La necessità di coerenza piega l’evento in sua funzione.

Nel processo di attribuzione di senso la mente indaga le azioni in virtù delle motivazioni e degli obiettivi.

I fatti quasi passano in secondo piano rispetto alle intenzioni e alle emozioni, ed è qui che avviene la personalizzazione della narrazione autobiografica, che serve non solo a spiegare il mondo ma anche, e soprattutto, il sé che fa la sua comparsa in forma narrativa dopo i due anni e che non si arresterà mai nella sua evoluzione, fino alla fine, sempre impegnato ad utilizzare i fatti per farne storie significative per la propria esistenza.

Ma queste storie a chi sono rivolte?

19 Calamari E., I ricordi personali – Psicologia della memoria autobiografica, cit., p.12

20 Bruner J.S., (1986), La ricerca del significato: per una psicologia culturale, Bollati Boringhieri, Torino 1992

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77 Per Middleton e Edwards21 la memoria sarebbe sempre un fatto sociale, poiché il suo frutto, i ricordi, sono tangibili nella misura in cui sono condivisi e quindi conseguenza di un accordo culturale sul passato.

Questa posizione però pare non tenere conto dell’individualità e schiacciare i ricordi al semplice compito di posizionare un soggetto nella società.

Ribadiamo infatti che la memoria autobiografica è un fattore cruciale per il sé: nei casi in cui vi sia un grave deficit nella capacità di recuperare il proprio passato si assiste infatti ad una vera disintegrazione del sé.

Proprio gli studi sui deficit di memoria possono illuminarci sull’importanza dei ricordi personali per tenere insieme il sé nel corso della sua esistenza (con pesanti ricadute anche su chi è nella cerchia affettiva di chi perde la memoria).

Infatti la situazione estrema e paradossale di chi non ricorda mostra il duplice compito che svolgono i ricordi personali: costituire il sé e legare una cerchia di persone.

L’attenzione verso queste tematiche oggi è ancora più forte, e questo in relazione ad una maggiore importanza attribuita al soggetto, alla sua evoluzione e al ruolo che l’individualità riveste nella lettura di fenomeni complessi anche a livello sociale, come l’influenza famigliare e culturale.

Ad avvallare ulteriormente la natura narrativa dei ricordi, il cosiddetto approccio narrativo ha ipotizzato che il sé sia caratterizzato dalla struttura narrativa22: la conoscenza sarebbe organizzata in schemi narrativi sul sé (SNS), che consentirebbero al soggetto la comprensione della realtà.

Uno schema narrativo è caratterizzato dalla presenza di un protagonista che, cercando di raggiungere un obiettivo, si imbatte in un ostacolo, per cui cerca la soluzione: modello che ovviamente può variare a seconda della cultura in cui si sviluppa, ma che allo stesso tempo può essere rielaborato in modo molto personale dal soggetto.

Questi scenari consentirebbero di collocare gli eventi in una struttura dotata di senso e permetterebbero al soggetto di vederli collegati al sé.

21 Middleton D., Edwards D. (eds.), Collective Remembering, Sage, London 1990

22 Crites S., Storytime: Recollecting the past and projecting the future. In Sarbin T.R.(ed.), Narrative psychology: The storied nature of human conduct, Praeger New York, pp.152-173; Gergen K.J., Gergen M.M., Narratives and the self as relationship, in Berkowitz L.(ed.), Advances in experimental social psychology, Vol. 21, pp.17-56, Academic Press, New York; Hermans H.J.M., “Self as organized system of valutations: Towards a dialogue with the person”, Journal of Counseling Psychology, 324, pp. 10-19

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78 Gli SNS favoriscono quindi il riconoscimento in sé e negli altri dell’intenzionalità delle azioni, la previsione e la ricerca di una soluzione alle complicazioni insorgenti: consentono cioè al soggetto, mentre vive l’esperienza, di elaborarla al fine di affrontarla nel modo migliore possibile, ovviamente dal punto di vista personale. Per lo stesso motivo la narrazione di sé può contribuire al mantenimento del senso di efficacia personale.

Ci sono due tipologie principali di narrazioni legate agli SNS: quelle introdotte dal problema e quelle introdotte dall’intenzione del soggetto.

Nel primo caso l’accento è posto sulla catena problema-soluzione, mentre nel secondo caso sono i modi in cui il soggetto cerca di perseguire i propri scopi ad essere primari. L'approccio ecologico ha contribuito a sviluppare nuovi interessi, come ad esempio verso le amnesie legate all'invecchiamento o a danni cerebrali (e questo di pari passo con il progresso della neuropsicologia), e nuovi settori: che il passato sia rielaborato in base al presente è confermato anche dagli studi di psicologia della testimonianza (si veda in particolare E.F.Loftus23), dove è stato appurato che i ricordi dei testimoni diretti di fatti possono essere influenzati e distorti da quanto accaduto nel periodo di tempo dalla ritenzione alla narrazione, dalle informazioni ricevute sui fatti presi in esame, ma anche dal modo di porre le domande e dal coinvolgimento emotivo, che scatena reazioni fortemente individuali.

Per sintetizzare quanto emerso in queste pagine potremmo adottare l’esempio significativo che propone E.Calamari:

[…] in associazione alla parola ‛acqua’, per esempio, secondo la classificazione di Brewer [1986, in RUBIN], si ottengono: ricordi personali (‛la sensazione di sentirsi sfuggire la sabbia sotto i piedi e di essere trascinato nella buca e di bere, provata in acqua quella volta che ho rischiato di affogare’), ricordi personali generici (‛lo stabilimento balneare della Versilia dove andavo da bambina, con le cabine di legno dipinte di verde e l’odore di salmastro’), fatti autobiografici (‛quella volta, quando avevo cinque anni, che facendo il bagno in mare sono stato per affogare’, raccontata tante volte in famiglia e d cui è ricostruibile una specie di fotografia, ‛con lo stesso costumino rosso che porto nelle foto di quell’anno che stanno nell’album’), ricordi semantici (‛la formula dell’acqua, H2O’) o immagini percettive generiche (‛l’immagine visiva della spiaggia della Versilia e delle onde che vi si infrangono’).24

23 Loftus E.F., Eyewitness Testimony, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1979 24 Calamari E., I ricordi personali – Psicologia della memoria autobiografica, cit., p.244

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79 Ricordare e dimenticare nel loro svolgersi naturale/ecologico hanno a che fare con specifici sentimenti da palesare ed, eventualmente, da giustificare, con un mondo a cui rivolgersi cercando la connessione e non l’allontanamento. Ricordare, raccontare i propri ricordi ha quindi a che fare con lo stare bene.

Ricordare è un ricordare insieme, o meglio, inizialmente si tratta proprio di un’attività sociale in cui la madre porge gli strumenti preziosi al bambino per divenire un soggetto in grado di ordinare i fatti della propria esistenza.

II.2 Memoria e identità: noi siamo i nostri ricordi?

E, d’altra parte, quella-la mia vita- è la mia sola vera ricchezza.25

La memoria è importante per liberare le nostre esperienze e chiarire i nostri significati: è la sostanza delle esperienze quello che conta.26

I termini soggettività e identità paiono a tratti intercambiabili ed effettivamente quello di soggettività include il senso di sé, con le sue istanze consce ed inconsce, le sue contraddizioni ed emozioni; ed esprime bene il modo personale di sentire e di pensare. Ma l’esperienza della soggettività è filtrata dal significato che le viene attribuito dalla cultura di riferimento e attraverso cui noi ci attribuiamo un’identità.

Una delle fonti attraverso cui si forgia l’identità è sicuramente quello della storia passata: possiamo rilevare che, nonostante le vecchie frontiere siano crollate di fronte all’imperativo della globalizzazione del lavoro e del commercio, e nonostante che i mezzi di comunicazione ci permettano di avere la sensazione di essere residenti in un unico paese di cui possiamo conoscere e scoprire tutto, l’attaccamento alle radici continua ad avere un forte appeal in merito al tema dell’identità.

Ciò ha conseguenze anche drammatiche, con l’affermazione talvolta violenta di chi non si sente riconosciuto e rivendica il proprio statuto.

25 Pedretti A.M., Premessa, in Pedretti A.M.(a cura di), Libera Università dell’Autobiografia-Dieci anni di scritture, edizione fuori commercio realizzata e stampata in proprio con il contributo della Banca di Anghiari e Stia, 2009 Sansepolcro (AR), p.51

26 Bartololmei G., L’incontro con la Libera, in Noferi A. (a cura di), Libera Università dell’Autobiografia-La storia, le storie, edizione fuori commercio realizzata e stampata in proprio con il contributo della Banca di Anghiari e Stia, Sansepolcro (AR) 2009 p. 147

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80 Mentre il mondo è a portata di mano, sentiamo continuamente parlare di guerre di civiltà.

Il sogno di un’identità certa e stabile si traduce così anche nell’accettazione di una morte violenta.

Ma questo sogno si può tradurre in realtà? Può l’identità essere fissa, vera?

E perché è così importante per le persone la questione identità?

Appare evidente che la nostra posizione soggettiva non sia un fatto eminentemente conscio, ma derivato da un sistema di rappresentazione in cui noi investiamo.

L’identità ci precede, potremmo dire, e non possiamo parlare di identità senza riflettere sul significato di identità culturale, che può essere intesa come una e condivisa, una sorta di io collettivo, oppure si può riconoscere che è difficile parlare in termini rigidi e fissi di identità perché essa ha a che fare col divenire, si protende verso il futuro, oltre che flettersi verso il passato.

Così come il soggetto di cui si parla nell’epoca attuale è incarnato e non più astratto, allo stesso modo dobbiamo riconoscere la storicità di una cultura destinata alla continua trasformazione e soggetta anche a questioni di potere.

Non è un passato mitico da scoprire che può darci identità stabili ma, all’opposto, siamo noi che ci diamo un’identità attraverso il modo di raccontare il passato.

Come argomentato nel capitolo precedente, le questioni nazionali, razziali, etniche, regionali continuano ad esercitare il potere sul senso di appartenenza, proprio in virtù della loro apparente essenzialità e per la possibilità correlata di stabilire confini rigidi tra noi e gli Altri.

Risulta molto difficile cercare di parlare di identità umana proprio perché troppo generica e indefinita.

L’identità, invece, di fatto, è qualcosa di precario nel suo divenire, e come detto, ci precede, sia come sfondo culturale in cui veniamo a trovarci, sia, in senso più stretto, come clima famigliare che ci accoglie anche in termini di aspettative e non solo di educazione.

Il soggetto, poi, rielabora in modo personale il proprio vissuto, per cui potremmo dire, banalmente, che due gemelli che siano nati esattamente lo stesso giorno nello stesso luogo dalla stessa famiglia nella stessa cultura non saranno affatto identici.

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81 Ed è proprio la memoria, intesa come rielaborazione del vissuto, che ci identifica e che ci rende consapevoli della nostra unicità e del nostro presente.

E nel momento in cui ci rendiamo conto della nostra memoria, riconoscendoci quello che andiamo imparando, comprendiamo anche che essa è di importanza vitale: si tratta di un processo che inizia da bambini, in seno alla famiglia, che riveste un ruolo fondamentale.

Ogni genitore che sappia contenere l’inquietudine di una presenza giudice è quindi biografo e archivista potenziale delle prime fasi di suo figlio, degli scarabocchi, dei sogni ricordati al suo risveglio. È un osservatore, al contempo, di se stesso quando quelle acerbe memorie gli rinviano quanto va facendo, affinché il bambino si rafforzi nella memoria.

Tutto ciò che il piccolo dice, accade perché l’ha ascoltato ed accolto; ciò che sta facendo l’ha già visto fare e ciò che va creando l’ha assorbito dalle storie collettive intessute nel suo spazio e nel suo tempo di crescita.27

La memoria personale proietta il soggetto, protagonista della storia, anche nel futuro: la definizione, seppur provvisoria, di sé parte dall’ultima versione del racconto della propria vita e si allunga sottoforma di desiderio e di volontà sul futuro.

Per B.M.Ross28 il termine ‛memoria personale’ appare più adeguato di ‛memoria autobiografica’ perché pone l’accento sul sé ed evita il riferimento al registro verbale, per quanto la parola rimanga il canale preferenziale per la condivisione dei ricordi. Ma come si può definire il sé?

Da una parte è l’esperienza fenomenologica immeditata che fonda l’individualità, è quella percezione che non ha bisogno di acquisizione, quel sapere, sentire di essere se stessi.

Dall’altra è innegabile che oltre il primo dato intuitivo, quando si cerchi di dare una definizione più strutturata, la soggettività appaia complessa, mutevole e relazionale. L’influenza culturale e lo stesso sviluppo individuale tratteggiano un sé condizionato da forze esterne e discontinuo nella sua evoluzione.

E, in accordo con i costruttivisti, se è vero che il passato ci serve per definirci nel presente, il modo di ricordare il passato è determinato dagli schemi del presente.

27 Demetrio D., L’educazione interiore – Introduzione alla pedagogia introspettiva, La Nuova Italia 2000 Firenze, p.71

28 Ross B.M., Remembering the Personal Past. Descriptions of Autobiographical Memory, Oxford University Press, Oxford 1991

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82 Inoltre l’immagine di sé deve essere anche accettabile all’interno del gruppo sociale in cui si vive, ed è quindi frutto di una negoziazione che incide anche sul racconto di sé. A tal proposito è importante, nello studio dei cambiamenti mnestici, considerare gli aspetti legati alle motivazioni che spingerebbero a una continua rivisitazione di sé, la più importante delle quali è sicuramente quella di dare coerenza al sé in accordo con le esigenze dell’ambiente in cui si vive.

Ma non bisogna cadere nell’errore di ridurre la soggettività all’ultima versione dei propri ricordi.

Per Baddeley29 la memoria autobiografica serve a comprendere la propria vita e a regolare le proprie emozioni; Neisser30 invece pone l’accento sul valore di connessione sociale, intesa come possibilità di mantenere le relazioni; Shank31 sottolinea il ruolo di orientamento che il ricordo di un evento del passato svolge rispetto ad un’esperienza simile nel presente.

Il passato connota il presente di indizi in una storia che non è schiacciata all’esperienza senza senso dell’attimo vissuto, ma proiettata anche sul futuro, generando il desiderio di comprendere e la curiosità di scoprire cosa accadrà poi.

Proprio come sosteneva Neisser32 la soggettività si muove sempre in un confronto tra passato e presente e quindi la memoria autobiografica è indissolubilmente legata alle questioni ‛sé’ e ‛identità’.

Anche se la memoria scatta perennemente delle istantanee percettive di ogni nostra singola esperienza, emerge un nucleo di diapositive a cui facciamo più volte riferimento. Questo insieme un po’ disordinato di immagini leggermente velate e distorte accoglie gli interessi centrali della nostra personalità… certi ricordi contengono soltanto il nocciolo della loro verità originale e traboccano di abbellimenti, false rievocazioni. Descrizioni altrui ed eventi multipli mescolati a circostanze apparentemente singolari, ma queste caratteristiche non riducono affatto il potere di organizzare chi siamo.33

29 Baddeley A., in Gruneberg M.M., Morris P.E., Sykes R.N. (eds.), Practical Asects of Memory: Current Research and Issues, II, Clinical and Educational Implications, Wiley & Sons, Chichester 1988

30 Ibidem

31 Shank R.C. , Tell me a Story – Narrative and Intelligence, Northwestern University Press, Evanston (Illinois) 1990

32 Neisser U.-Winograd E.(eds.), La memoria. Nuove prospettive secondo gli approcci ecologici e tradizionali, Cedam, Padova 1994

33 Singer J.A., Salovey P., The remembered self: Emotion, memory, and personality, Free Press, New York 1993, cit. in Ciambelli M. (a cura di), Memoria ed emozioni, Liguori, Napoli 2004, pp.12-13

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83 Se i ricordi personali sono assolutamente indispensabili nella formazione del sé, l’introspezione e la narrazione del proprio vissuto possono divenire uno strumento di autoformazione ineguagliabile, attraverso cui interpretare le proprie emozioni ed accrescere l’autostima.

La memoria autobiografica è connessa allo sviluppo delle capacità cognitive, emotive e relazionali, garantendo il senso di continuità del sé, accompagnato dalla consapevolezza delle proprie capacità e dei propri limiti.

L’impossibilità di accedere ai propri ricordi o, all’opposto, l’eccesso di memoria, costituiscono gravi patologie dell’identità (ma di questo parleremo più approfonditamente nel paragrafo dedicato all’intreccio tra memoria e oblio): noi siamo il giusto equilibrio tra memoria e oblio, in cui i ricordi cruciali ci orientano sull’asse temporale che va dal presente al futuro senza disperderci.

Il processo di differenziazione e quindi di individuazione che inizia nell’infanzia ha come scopo quello di renderci consapevoli della nostra unità, distinta dagli altri; e questo avviene attraverso la rielaborazione continua dell’esperienza di sé.

Per i cognitivisti questo processo inizia con la differenziazione dalla madre e matura con la consapevolezza di rimanere sempre la stessa persona, pur nel cambiamento. Per Giani Galino non è solo la conquista del linguaggio a determinare questa fase: la conquista dello spazio, attraverso la deambulazione, permette infatti al bambino la possibilità di esplorare lo spazio circostante e di provare l’esperienza di muoversi da solo, seguendo la propria curiosità, sviluppando così le sue capacità cognitive grazie alle informazioni che rielabora nella sua interazione con l’ambiente circostante.34

Contestualmente il bambino comincia a formarsi un’idea personale di se stesso e degli altri, delle proprie abilità e dei propri limiti: si può dire che nasce l’autoriflessività. Oltre alla deambulazione nei primi anni di vita il gioco di finzione permette al bambino di fare ipotesi sulla realtà: l’amico immaginario è Altro da sé con una sua personalità ben distinta, che svolge un ruolo molto importante nel far maturare nel bambino la capacità di mediare tra sé e gli altri, attraverso la comprensione dei suoi comportamenti.

34 Giani Gallino T., Quando ho imparato ad andare in bicicletta-Memoria autobiografica e identità del sé, Milano: Raffaello Cortina 2004

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84 Infatti il bambino inizia presto ad attribuire motivazioni ai comportamenti delle persone, a prediligere un gruppo di amici rispetto al gruppo allargato e ad apprezzare l’attività di ricordare.

A partire dai 3-4 anni il bambino comincia a manipolare l’esperienza vissuta, mettendo così le radici, come si suol dire, e allo stesso tempo proiettandosi sul futuro.

Il sé nasce quindi molto presto e molto presto si posiziona all’incrocio tra ciò che è stato e ciò che immagina che sarà.

Per quanto riguarda l’influenza degli adulti in questa fase Bowlby35 parla, a proposito della teoria dell’attaccamento, di ‛modello operativo interno’ che, a partire da un anno di vita, fa sì che le relazioni vissute precedentemente e dunque il ricordo che di esse si ha, incideranno su quelle future e sull’immagine di sé.

Quando si parla dell’importanza dei ricordi nella costruzione dell’identità, non ci riferiamo ai fatti, ma al valore attribuito loro da parte del soggetto: la questione verità non è quindi fondamentale, dal momento che il soggetto è convinto di aver vissuto una data esperienza.

La memoria autobiografica non va intesa solo nell’atto consapevole della narrazione esplicita del proprio vissuto, quanto più in generale come bagaglio che ci orienta in modo più o meno consapevole nella realtà e nelle relazioni con gli altri: consapevolezza delle proprie abilità che permette di affrontare i compiti di sviluppo sulla base delle esperienze passate.

Il passato ci incoraggia ad affrontare le sfide del presente e del futuro: la crescita è essa stessa una conferma della possibilità di affrontare le sfide che la vita pone, ma questo a patto che se ne abbia memoria.

In questo continuo processo di autoriflessione il Sé è il soggetto di una conoscenza che ha per oggetto il Me (usando la distinzione di W.James36).

Per Ricoeur37 infatti la mediazione del pronome ‛io’ fa sì che ricordarsi di qualcosa equivalga a ricordarsi di sé.

Lanciarsi sicuri nelle sfide esistenziali, consci delle proprie capacità ed allo stesso tempo essere cauti nel proprio agire, non ignorando i propri limiti: la memoria del passato ci permette di andare avanti, senza timore ma con prudenza.

35 Bowlby J., Attachment and loss, Basik Books, New York 1969 36 James W., Principi di psicologia, cit.

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85 E ci permette anche di riconoscerci in una comunità, di riconoscere il valore di ciò che ci è stato trasmesso.

In chiave moderna e post-moderna la continuità del sé non può che essere intesa che come accettazione di tutto ciò che siamo o non siamo stati, anche con i nostri fallimenti, consapevoli che, nonostante tutto, proviamo a dare un senso ad una esistenza contraddistinta dalla precarietà e dalla frammentarietà, ci sforziamo di tenere insieme tutti gli io che affollano il nostro mondo interiore.

Possiamo dire che è con Agostino che si sviluppa l’idea del collegamento tra memoria e identità e nel corso dei secoli ciò si è tradotto sempre più in un’esperienza strutturata, sottoforma di diari o autobiografie vere e proprie.

Lo sviluppo della scrittura di sé conferma che il tempo testimonia, attraverso il ricordo che se ne ha, la nostra crescita ed allo stesso tempo garantisce che tutto ciò non andrà perso, dimenticato.

Ed il linguaggio ha la capacità privilegiata di normalizzare il vissuto, concatenando gli avvenimenti apparentemente scissi e senza senso in una struttura che prevede un andamento lineare da un inizio ad una fine, e quindi attribuendo una coerenza postuma. Si può scrivere di sé per rivolgersi a Dio (come in Agostino), per un gusto intimo della scrittura (come in Montaigne) o esplicitamente rivolgendosi alla società (come in Rousseau).

Conoscersi insomma non è un lavoro da archeologo in cui si va scavare alla ricerca di frammenti originali del sé, ma piuttosto un forgiarsi attraverso la narrazione.

Quanto i propri ricordi incidano sul senso di sé è un tema che compare frequentemente nelle scritture di sé: passeremo quindi ora in rassegna alcuni significativi contributi, illustri e non, in cui scorgiamo l’io che scrive intento a riflettere sulla propria identità. Rousseau, dopo aver esplicitato nelle prime pagine la sua intenzione narrativa, inizia a confessarsi proprio dall’inizio, ovvero dalla nascita.

La nascita non è propriamente un ricordo autobiografico: si tratta di un’esperienza che facciamo nostra attraverso il racconto degli altri, ma poiché si tratta comunque di un perno esistenziale, dal momento che è lì che inizia la nostra avventura nel mondo, nel corso del tempo questo ricordo di altri diventa propriamente nostro, un vero e proprio ricordo di un ricordo eterobiografico altrui.

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86 La nascita, un evento in cui il soggetto non agisce intenzionalmente, ma che possiamo dire subisce letteralmente, finisce spesso per essere connotata di un significato profondo, grazie al continuo oscillare tra passato e presente tipico dell’autoriflessione e dell’introspezione: ciò che in quel lontano presente poteva sembrare casuale, nel corso del tempo viene dotato di significato specifico in connessione col sé.

In questo caso si tratta di una nascita contrassegnata dal dolore e, nell’esplicitarla, sembra voler anticipare la cifra di un destino: “Il triste frutto di questo ritorno fui io. Dieci mesi più tardi, venni al mondo debole e malaticcio; costai a mia madre la vita e la mia nascita fu la prima delle mie sventure.”38

Poco più avanti, invece, l’accento è posto sull’oblio che copre i primi anni di vita: qui prevale il senso di non possesso di una parte del proprio passato, una nebbia da cui però emerge il ricordo cruciale delle prime letture a cui l’autore collega la coscienza di sé: si potrebbe dire la nascita del sé.

Non so nulla di quanto feci fino a cinque o sei anni; ignoro come imparai a leggere; ricordo soltanto le mie prime letture e l’effetto che ebbero su di me: è il tempo cui faccio risalire senza interruzioni la coscienza di me stesso.39

Un altro elemento che l’autore collega al sé come caratteristica stabile e che si origina nell’infanzia, oltre all’amore per la lettura, è il gusto per la solitudine, sviluppato grazie all’immaginazione e ai giochi di finzione.

Il brano che segue pare confermare quanto detto sopra a proposito del ruolo che svolgono tali giochi:

In questa strana sensazione, la mia irrequieta immaginazione prese un via che mi salvò da me stesso e calmò la mia nascente sensualità: e fu di nutrirsi delle situazioni che leggendo mi avevano appassionato, ricordarle, variarle, combinarle, appropriarmele talmente da farmi diventare uno dei personaggi che immaginavo, e sempre nelle condizioni più gradite ai miei gusti. Insomma, lo stato fittizio in cui finii col mettermi mi fece dimenticare lo stato reale in cui ero così scontento. L’amore per gli oggetti immaginari e la facilità di occuparmene finirono col nausearmi di quanto mi circondava, e determinarono il gusto per la solitudine che da allora m’è rimasto.40

38 Rousseau J.-J. (1789), Le confessioni, tr. it. Cesarano G., stampato in Italia 2000, p.7 39 Ibidem, p.8

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