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Capitolo VIII

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Academic year: 2021

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Siena

Il territorio senese divenne parte del Granducato di Toscana solo dal 1555, ma già prima di questa data la Repubblica di Siena, nonostante gli alterni periodi di conflittualità interne allo Stato, aveva visto un fiorire d’arte che prendeva a modello il mondo greco-romano1. Come è stato precedentemente sottolineato nel paragrafo 4.1, il cardinale Francesco Piccolomini giocò un ruolo di primaria importanza nello sviluppo dell’arte rinascimentale della sua città, promuovendo ricerche sulle antichità di Siena e facendosi committente di opere prestigiose come la Libreria che porta il suo nome. Chiaramente, i motivi classicheggianti avevano cominciato a fare la loro comparsa nell’arte senese ben prima degli interventi voluti dal Piccolomini2

, ma egli fu anche il promotore del decoro a grottesche nel suo territorio; infatti, questo ornamento riscosse un grande successo dopo che apparve negli affreschi pintoricchieschi della Libreria, influenzando innanzitutto la maiolica locale, ma anche altri settori delle arti applicate e le cosiddette “arti maggiori”.

Nella città di Siena i due pittori che ebbero un ruolo significativo nell’evoluzione della decorazione a grottesche nella prima metà del XVI secolo, dopo l’impronta fondamentale del Pintoricchio, furono Giorgio di Giovanni e Domenico Beccafumi. Giorgio di Giovanni era sia pittore che ingegnere militare ed era noto anche come “Giorgio di Siena”3

. Vissuto nel periodo antecedente alla conquista della sua città da

1 Vedi il catalogo della mostra del 1990 Beccafumi e il suo tempo. 2

Basti pensare che i primi riferimenti a fonti antiche sono costituiti dalla rappresentazione delle Sibille e di Ermete Trismegisto nel Duomo senese.

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Non è stato trovato alcun documento che precisi la data della sua nascita e si ipotizza possa esser avvenuta verso la fine del XV secolo, mentre è noto l’anno della sua morte nel gennaio del 1559. Vedi

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parte di Cosimo de’ Medici, vale a dire durante l’ultimo periodo della Repubblica senese, fece parte di quegli artisti che contribuirono a far conoscere le novità dell’arte romana a Siena. In qualità di ingegnere si occupò del sistema difensivo della sua città dal 1552 al 15534 e realizzò due vedute topografiche delle aree circostanti, ma egli si dichiarava principalmente “pittore”.

Giorgio di Giovanni fu probabilmente a Roma dove apprese la maniera di dipingere i paesaggi, gli animali e le piante da Giovanni da Udine. Forse soggiornò nella Città Eterna in concomitanza con la realizzazione della Loggia Vaticana del primo piano. Una delle prime opere note di questo artista sono gli affreschi della Villa di Belcaro: questa residenza di campagna era stata costruita attorno al 1525 sulla base di un progetto di Baldassarre Peruzzi al quale, però, vennero in seguito apportate delle modifiche5. Originariamente, si trovava in loco un castello medievale che venne acquistato da Crescenzo Turamini, il quale vi fece costruire sopra la sua Villa. Nel 1554 la bella residenza di campagna del Turamini passò nelle mani di Cosimo de’ Medici e l’edificio ritornò alla sua funzione primigenia: quella di fortificazione. Secondo gli studi più recenti, Giorgio di Giovanni è considerato l’autore sia degli affreschi della Loggia sia della Cappella di Belcaro. Sfortunatamente, queste pitture sono state deturpate da un pesante restauro del XIX secolo ad opera del romano Ernesto Sprega.

Dato l’argomento principe di questa tesi, credo sia interessante soffermarsi ad un’analisi più dettagliata di tali Logge (figg. 1-2), poiché in queste la decorazione a grottesche pervade il soffitto: un rigoglioso pergolato si estende sulle volte in un continuo mutarsi di specie vegetali di diverso genere che avrebbe fatto inorridire

Dizionario Biografico Treccani, alla voce di Giorgio di Giovanni Sabina Brevaglieri, volume 55, 2001.

4 Inizialmente ebbe l’incarico di rafforzare il lato sudoccidentale della fortezza di Montalcino in

previsione dello scontro con le truppe imperiali; successivamente, gli commissionarono anche gli interventi alle roccaforti di Montepulciano, Monteoliveto Maggiore, Sesta, Chiusi, Castel del Piano, Radicofani, San Giovanni d’Asso e San Gusmé, vedi Enciclopedia Biografica Treccani,op. cit. alla voce Giorgio di Giovanni.

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251 Gilio6, meli che si tramutano in fichi, che producono gigli bianchi e si evolvono in viti ricche di grappoli d’uva, tutto riprodotto con estremo realismo sull’onda degli studi di Giovanni da Udine. In mezzo a questa florida vegetazione sono pinakes. La Dacos nel 1989 ha trovato dei disegni di Giorgio di Giovanni nel Museo di Dramstadt riconducibili agli affreschi di Belcaro7 (fig. 3); si tratta di due fogli di grande formato, di cui uno presenta due figure femminili sul recto e una sorta di cavallo marino, un putto tra due pesci ed un grifo alato sul verso, mentre nell’altro foglio compare un leone. La studiosa belga ha sottolineato la somiglianza delle donne del foglio di Dramstadt con quelle che appaiono nella loggia di Belcaro, così come il cavallo rampante con la coda tipicamente attribuita ai mostri marini mostra molte affinità con quelli dipinti nelle grottesche del pianterreno della villa senese (fig. 4). Sebbene il motivo del putto tra due pesci non compaia nella sua interezza negli affreschi di Belcaro, sembra che la stessa specie di pesci sia riconoscibile in una lunetta della Loggia; nello stesso ambiente ricompare nei bassorilievi in stucco che separano ritmicamente le lunette il grifo alato di chiara derivazione classica. Successivamente, Giorgio di Giovanni dipinse le tre volte del portico interno del Palazzo Chigi-Saracini a Siena (fig. 5); purtroppo, però, tali affreschi sono stati ridipinti ai primi del XX secolo da Arturo Viligiardi e ad oggi è difficile valutare la freschezza delle pitture originarie. Questo residenza trecentesca, costruita per volere dei Marescotti, nel XVI secolo era nota come Palazzo dei Mandoli, poiché nel 1506 era stata acquistata dalla famiglia dei Piccolomini-Mandoli e che commissionò vari lavori di ammodernamento, sia architettonici che decorativi, tra cui sono da inserire gli affreschi della loggia che ci interessa.

Andando quindi ad analizzare la loggia, è possibile osservare che le tre volte che la compongono presentano delle decorazioni differenti le une dalle altre e sono accomunate solo dall’ impianto geometrico principale costituito da una suddivisione

6 Si ricorda che Gilio sosteneva che dipingere un olivo che faceva rose era un sorta di aberrazione

mentale.

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in quattro aree imposta da un decoro di piante rampicanti che sottolineano la struttura architettonica.

La prima volticella è affrescata con una decorazione a scomparti che ricorda molto quella della Sala dei Pontefici in Vaticano. La seconda, invece, è decorata principalmente da quattro pinakes con vedute paesaggistiche, le quali si stagliano su un fondo bianco su cui si librano varie specie di uccellini. La terza volta presenta un medaglione centrale con il Ratto di Europa, mentre nei quattro pinakes attorno sono rappresentate altre storie mitologiche di rapimenti effettuati dagli dèi sottoforma di animali. Quest’ultima volticella, in particolare, mostra anche dei bei mascheroni che ornano gli angoli del soffitto.

Infine, la decorazione a grottesche riappare come ornamento dell’affresco della chiesa di San Lorenzo di Sovicille (fig. 6): tale opera è suddivisa in parti come fosse un trittico, nel quale al centro appare la Madonna con il Bambino attorniata da San Cristoforo e Santa Lucia, mentre San Martino e il povero e Sant’Onofrio sono ai lati. Le grottesche riempiono i pilastri sottolineando la suddivisone spaziale dell’affresco: in questo caso il decoro torna all’originaria forma di “candelabra”, ma mostra una somiglianza a quello che adorna la beccafumiana Cappella del Manto.

Domenico di Giacomo Pace, noto come “Beccafumi” dal cognome del suo primo protettore8, ed anche chiamato Mecarino, è uno dei maggiori esponenti del Manierismo senese. Sebbene la Dacos9 sostenga che la scoperta delle pitture neroniane non abbia impressionato più di tanto questo artista, il Torriti10 ne ha invece rimarcato il frequente uso in varie opere: dalle “sbacchere”11

(fig. 7) custodite nel Museo Stibbert alle grottesche che appaiono frequentemente nei suoi dipinti. A differenza di altri pittori a lui contemporanei, egli fece pochi viaggi, preferendo sempre rimanere nella sua amata città natale, spedendo eventualmente da lì le sue

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Il pittore nacque nel 1484 in un podere di proprietà di Lorenzo Beccafumi dal quale gli derivò il soprannome. Vedi Torriti 1998, p. 12.

9 Dacos 1969, p. 102. 10 Torriti 1998, pp. 29-31.

11 Le sbacchere erano tavolette inserite lungo le travi di sostegno del soffitto e spesso erano decorate

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253 commissioni esterne; gli unici episodi documentati dei suoi allontanamenti da Siena sono: quello per Roma, a Genova e a Pisa. Nel primo caso si trattava di un viaggio di studio, noto grazie alla biografia vasariana ma anche evidente nei rimandi pittorici di molte sue opere; il periodo preciso della sua permanenza nella Città Eterna è tutt’oggi dibattuto, il Vasari sosteneva che il Beccafumi vi avesse sostato dal 1510 al 1512, ma secondo studi più recenti si tende a posticipare tali date. Dato l’argomento di questa tesi è interessante notare che nel catalogo della mostra che si tenne a Siena nel 1990 sul Beccafumi è presente uno studio di grottesche del pittore senese che sembra testimoniare della conoscenza diretta da parte dell’artista delle decorazioni delle Logge Vaticane, specialmente per quel che riguarda l’elemento del cesto di vimini colmo di frutta, gli equilibri precari e la giocosità espressa dal bimbo che spaventa il cagnolino12 (fig. 8). Inoltre, nel 1991 il Cecchi13 ha messo in relazione due disegni conservati nel Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi: nel primo caso si tratta di uno studio per una lettera miniata ornata da grottesche14, mentre nel secondo di uno studio definitivo per le iniziali “D” e “I”15

(fig. 9). In entrambe il Cecchi ha riscontrato il segno preciso e attento degli anni giovanili del Beccafumi, quando meditava sulle “novità” dell’arte romana. Proprio per queste caratteristiche lo studioso datò i rispettivi disegni attorno al 1515- ‘20. Anche in questo caso, le lettere miniate sono accomunate dalla presenza del motivo del cesto di frutta, secondo il Cecchi si tratta di una rielaborazione delle grottesche del Pintoricchio con accenni a quelle contemporanee di Andrea di Cosimo Feltrini16.

I suggerimenti dell’arte romana furono successivamente rinnovati dal rientro a Siena di Baldassare Peruzzi che si trovò costretto ad abbandonare Roma dopo il Sacco del 1527; egli e il Beccafumi si trovarono fianco a fianco nei lavori del Duomo senese

12 Beccafumi e il suo tempo 1990, p. 440. 13 Cecchi 1991, pp. 772-773.

14 Inv. n. 150 Orn. 15

Inv. n. 2186 Orn.

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per il quale il primo progettò l’altare maggiore, mentre il secondo si occupava della pavimentazione marmorea nell’area sotto la cupola.

Il viaggio a Genova del Beccafumi venne dettato dalla richiesta di Andrea Doria di affrescare, in collaborazione con altri artisti, le mura esterne del suo nuovo palazzo. Sfortunatamente, la storia mitologica che l’artista senese dipinse, Giasone che giura fedeltà a Medea, non ci è pervenuto; ma si è conservato un disegno che dimostra come quella fu un’occasione per il Beccafumi di approfondire la conoscenza della pittura di Perino del Vaga e, di conseguenza, di assorbire nuovi spunti provenienti dalle novità dell’arte romana. Anche per quanto riguarda questo viaggio non si è certi sulla data e si ipotizza possa risalire al 1533 circa17.

Nel rientro a Siena, l’artista senese si fermò a Pisa ed in quella occasione l’Opera del Duomo gli commissionò due tavole da collocare nella nicchia dietro l’altar maggiore18.

Alcuni studiosi avevano proposto un’attribuzione al Beccafumi delle grottesche che adornavano le paraste della Loggia di Galatea nella Villa della Farnesina a Roma, di quelle che scandiscono le storie di Traiano nel salone dell’Episcopio di Ostia e persino dei monocromi della volta della Stanza d’Eliodoro antecedenti ai lavori di Raffaello. Secondo studi recenti, però, si tende a scartare la paternità beccafumiana di tali opere poiché il confronto di queste con le grottesche della cappella del Manto non sembrano avvalorarne l’ipotesi. Resta dunque irrisolta l’attribuzione dell’ornato ostiense, quello della Farnesina e persino quello dei palazzi pontifici, tutti accomunati da qualità pittoriche riconducibili all’ambito senese; a questo proposito mi chiedo se sia possibile trovare un riscontro positivo nel confronto con le grottesche dipinte da Giorgio di Giovanni.

Attorno al 1513 Pandolfo Petrucci commissionò al Beccafumi gli affreschi della terza campata della Cappella del Manto dell’ Ospedale di Santa Maria della Scala (fig. 10): anche qui compaiono delle belle grottesche che, sebbene classicheggianti

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Torriti 1998, p. 11. Secondo il Vasari invece il Beccafumi fu a Genova attorno al 1536.

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255 nei motivi (delfini e volute vegetali tratte dai monumenti romani), mostrano un’estrosità ed una fantasia che rende nuova vita al decoro.

Infine, si ricorda l’influenza esercitata dal Beccafumi sul quasi coetaneo Bartolomeo di David; questo pittore, ancora poco conosciuto, collaborò con il Mecarino alle decorazioni della Cappella del Manto19, ma per quel che riguarda le grottesche, egli fu autore degli affreschi della grande parete di fondo dell’ex Compagnia di Santa Croce (fig. 11) e, successivamente, dello splendido ornato della volta di un camerino di Palazzo Francesconi a Siena20 (fig. 12).

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Beccafumi 1990, p. 312.

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