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195

P

ARTE

S

ECONDA

Il dominio pisano in Valdera nel secolo XIV: amministrazione,

società, economia

(2)

196

I

NTRODUZIONE ALLA

II

PARTE

I decenni a cavallo tra il XIII e il XIV secolo costituirono, per certi aspetti, un momento di svolta nell’articolazione dei rapporti tra città e campagna in gran parte delle realtà comunali dell’Italia centro-settentrionale. Questo sviluppo fa parte di un «più vasto processo di riorganizzazione politico-territoriale che si venne attuando dopo il Mille», in relazione ai profondi mutamenti socio-economici che interessarono tutta l’Europa nord-occidentale1. Quella di «assetti politico-territoriali più ordinati» fu una esigenza avvertita praticamente a tutti i livelli e si manifestò sia su scala locale, negli sforzi di territorializzazione di signori rurali e di comunità organizzate (prevalentemente urbane); sia «su scala regionale o statale», con «signori territoriali più potenti, principi e sovrani, che operano in una dimensione più vasta, di regni e principati»2. Un fenomeno di portata molto ampia, dunque, che si fece particolarmente accentuato a partire dai secoli XIII-XIV «per il crescente realizzarsi di un principio di “territorialità”, che distinguerebbe questa fase rispetto ad assetti precedenti […]»3

.

In Italia tale processo ebbe come esito «la formazione di territori urbani o “stati cittadini”»4. Infatti, tra la seconda metà del Duecento e i primi decenni del Trecento, molte città riuscirono a consolidare la propria capacità di controllo sul territorio dipendente, spesso ricorrendo a nuove e più funzionali forme di organizzazione. Ma – occorre sottolinearlo – si trattò di un processo che assunse tratti e intensità particolari nei diversi contesti geografici, in ragione delle specificità di ciascuno di essi5. Il lungo percorso di riflessione storiografica su questo tema ha determinato l’abbandono dell’«immagine stereotipa di un contado che dopo il processo di comitatinanza si trova a essere disciplinatamente ordinato entro le strutture dello Stato cittadino», immagine cui è subentrata una più equilibrata consapevolezza delle peculiarità dei singoli contesti regionali e spesso anche di quelli sub-regionali6. In generale, è stato infatti rilevato che raramente – anche nelle zone che, come l’area padana e la Toscana, si contraddistinsero per una maggior forza degli organismi politici

1

G. CHITTOLINI, Organizzazione territoriale e distretti urbani nell’Italia del tardo Medioevo, in G. CHITTOLINI - D.WILLOWEIT (a cura di),L’organizzazione del territorio in Italia e in Germania: secoli

XIII-XIV. Atti della XXXV settimana di studio (Trento, 7-12 settembre 1992), Istituto italo germanico di Trento,

Bologna 1994, pp. 7-26, in particolare p. 7. 2 Ibidem, pp. 9-10. 3 Ibidem, p. 8. 4 Ibidem, pp. 7 e 12. 5

Ibidem, p. 12. Per una sintesi vedi ancheMILANI,I comuni italiani, cit., pp. 117-120 e 139-141.

6

G.CHITTOLINI,La formazione dello stato regionale e le istituzioni del contado, Torino, Einaudi, 1979, pp.

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cittadini – il Comune riuscì a «lasciare in eredità allo Stato regionale un contado unificato e compatto»7.

Alla luce di questi nuovi orientamenti, oggi si tende a considerare come sostanzialmente “fallimentare” la vicenda degli Stati comunali, individuando nelle più tarde esperienze signorili e principesche (ma non solo in quelle, come dimostra il caso di Firenze) il momento chiave che «porta alla creazione di nuovi assetti politico-territoriali, quegli stati regionali che, giunti a maturazione intorno alla metà del Quattrocento, resteranno pressoché immutati fino a Napoleone»8.

Il problema della costituzione delle compagini politico-territoriali cittadine e il valore di queste esperienze nella progressiva formazione degli Stati regionali, ha continuato anche in tempi più recenti ad essere oggetto di un interesse particolare9. La linea interpretativa sopra illustrata – anche se arricchita da nuovi e interessanti spunti di riflessione – è stata sostanzialmente riproposta durante la settimana di studio tenutasi a Trento nel 1992, sul tema L’organizzazione del territorio in

Italia e in Germania: secoli XIII-XIV 10. In quella occasione Giorgio Chittolini – riferendosi al caso italiano – ha ribadito che solo nell’area padano-toscana si è potuto affermare «un sistema di stati cittadini compatti e durevoli»11, caratterizzati da una «rivendicazione di sovranità piena e generale» e dalla realizzazione di un capillare apparato politico-amministrativo «con l’estensione a tutto il territorio del diritto e della legge della città […], dei suoi ordinamenti fiscali e giurisdizionali»12

. D’altra parte, lo studioso è tornato a sottolineare la precoce cristallizzazione di quelle forme politico-territoriali, che furono pertanto incapaci di dar luogo ad ulteriori sviluppi, tanto da perdere «di significato come “indicatori” nel processo di formazione dello “Stato moderno”»13

. Ciononostante – prosegue Chittolini – specie se raffrontato con aree urbane europee, in Italia «il

7

Ibidem. Vedi anche MILANI,I comuni italiani, cit., pp. 140-141.

8

CHITTOLINI,La formazione dello stato, cit., pp. 12-17, in particolare p. 14.

9

La bibliografia sul tema dei rapporti tra città e campagna, sul problema della conquista e dell’organizzazione amministrativa del contado da parte dei Comuni e sul passaggio dallo Stato cittadino a quello regionale è piuttosto ampia. Per una panoramica generale si vedano in particolare – oltre agli atti della settimana di studio di Trento citata alla nota 1 – le seguenti rassegne: G.CHITTOLINI (a cura di), La crisi

degli ordinamenti comunali e le origini dello Stato nel Rinascimento, Bologna 1979; G. CHITTOLINI -A MOLHO -P. SCHIERA (a cura di), Origini dello Stato: processi di formazione statale fra Medioevo ed Età

Moderna, Bologna 1994; F.LEVEROTTI (a cura di), Gli officiali negli Stati italiani del Quattrocento, Scuola Normale Superiore 1997, (Annali della Scuola normale Superiore di Pisa, serie IV, Quaderni, 3); L.CHIAPPA

MAURI (a cura di), Contado e città in dialogo. Comuni urbani e comunità rurali nella Lombardia medievale, Milano 2003; G. CHITTOLINI - G. PETTI BALBI -G. VITOLO (a cura di), Città e territori nell’Italia del

Medioevo. Studi in onore di Gabriella Rossetti, Napoli, Liguori, 2007 («Quaderni GISEM», 20).

10

Cfr. supra nota 1.

11

CHITTOLINI, Organizzazione territoriale, cit., p. 12.

12

Ibidem, p. 14.

13

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modello dello “Stato cittadino” appare essersi in buona misura realizzato»14

, tanto che proprio gli Stati comunali «offrirono i grossi blocchi di materiale per la costruzione degli stati regionali, realizzatisi appunto per accorpamento dei vecchi territori urbani»15. I saggi di Gian Maria Varanini sull’area padano-veneta16

e quello di Andrea Zorzi su Firenze17 – raccolti nel volume degli atti del convegno tridentino – confermano sostanzialmente questo quadro. In entrambi i casi la città opera «come struttura di unificazione e di organizzazione del territorio», ma in Toscana – conclude Chittolini – questo processo di razionalizzazione delle strutture di governo territoriale «sembra realizzarsi con minore efficacia rispetto all’area padana», risultando nel complesso più disomogeneo e instabile18. Solo la definitiva affermazione di Firenze, sullo scorcio del secolo XIV, avrebbe determinato una semplificazione del quadro politico regionale e un progressivo superamento dei particolarismi locali, tanto che – per usare ancora le parole di Chittolini – proprio qui «il processo di costruzione dello Stato moderno pare compiere i passi più decisivi»19.

In definitiva, alla vecchia concezione di uno Stato cittadino “accentrato” e organicamente strutturato, oggi si tende a preferire una visione più articolata – non solo per le prime fasi della storia comunale, ma anche per i secoli XIII e XIV –, mettendone in risalto le molte contraddizioni interne, generate dalla persistenza di “residui” feudali e signorili nelle campagne e – in non pochi casi – dai forti interessi politici ed economici rivendicati nel contado dagli esponenti delle varie fazioni che si contendevano il potere in città.

Bisogna anche aggiungere che la complessiva rivalutazione del problema delle strutture di governo territoriale dei Comuni italiani e più in generale del processo di organizzazione degli spazi politici regionali e locali, ha spinto gli studiosi a considerare con maggiore attenzione aspetti fino ad oggi colpevolmente trascurati. Ad esempio, si è affermata la tendenza a ricercare nel secolo XII l’inizio di questo processo di ricomposizione territoriale, tradizionalmente individuata nel Duecento e in modo particolare nel Trecento20. E, sempre in questa prospettiva, sono state ampiamente

14 Ibidem, p. 16. 15 Ibidem, p. 18. 16

G. M. VARANINI, L’organizzazione del distretto cittadino nell’Italia padana dei secoli XIII-XIV, in

CHITTOLINI -WILLOWEIT,L’organizzazione del territorio in Italia e in Germania, cit., pp. 133-234.

17

A. ZORZI, L’organizzazione del territorio in area fiorentina tra XIII e XIV secolo, in CHITTOLINI -WILLOWEIT,L’organizzazione del territorio in Italia e in Germania, cit., pp. 279-349.

18

CHITTOLINI,Organizzazione territoriale, cit., pp. 9-11.

19

ID.,La formazione dello stato, cit., p. 15.

20

Cfr. ad esempio CHITTOLINI, Organizzazione territoriale, cit., p. 13; per il senese CAMMAROSANO,

Tradizione documentaria, cit., pp. 35-43. Ma si veda anche quanto affermava Cinzio Violante nelle Riflessioni conclusive al convegno tridentino del 1992 (cit. alla nota 1), per il quale le radici della formazione

dei territori dovrebbero essere ricercate nell’XI secolo «in quanto proprio alla svolta tra l’XI e il XII secolo si cominciano a manifestare le caratteristiche della nuova epoca nel senso previsto da questo seminario»: pp. 495-503, in particolare pp. 495, 498, 503.

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rivalutate quelle esperienze signorili e principesche, che lungi dal costituire elementi di arretratezza riuscirono in molti casi a dar vita a costruzioni politiche non dissimili da quelle cittadine21.

Questo sintetico prospetto sugli orientamenti storiografici in materia di evoluzione delle strutture di governo cittadino nel tardo-medioevo, costituisce il quadro di riferimento entro il quale collocare il caso toscano e, nello specifico, quello di Pisa, che sarà analizzato più dettagliatamente nei seguenti capitoli.

La formazione degli Stati cittadini in Toscana

Il processo di formazione dei territori cittadini in Toscana fu marcato soprattutto nella parte centro-settentrionale della regione, dove fitta era la presenza di centri urbani attivi e dinamici. Tuttavia, diversi elementi – quali la relativa debolezza di alcune città, la persistente vitalità dei centri minori, il succedersi degli interventi imperiali almeno fino alla metà del Trecento – concorsero, come già si diceva, a determinare assetti organizzativi assai mutevoli e precari22.

Se le radici di questa evoluzione verso forme di dominio più organiche e strutturate vanno ricercate nel XII secolo, è certo che solo a partire dalla seconda metà del Duecento la maggior parte delle città toscane fu in grado di compiere il passo decisivo verso il consolidamento delle proprie strutture politico-territoriali. Il tratto distintivo di questo processo organizzativo fu la realizzazione di un reticolo circoscrizionale – spesso articolato in più livelli – governato mediante officiali che, oltre a svolgere compiti amministrativi e giurisdizionali, avevano il delicatissimo incarico di servire da raccordo tra il centro urbano – che si riservava comunque la facoltà di intervenire direttamente in sede locale – e le comunità rurali, tutte coinvolte con diversi margini di autonomia, nella gestione dei propri affari interni.

Questa la linea evolutiva generale, ma in realtà il quadro è assai più complesso, perché le differenze vi furono e alla lunga si rivelarono decisive nel sancire o meno il successo di un determinato “modello” di costruzione statuale. La stabilità degli assetti politico-territoriali due/trecenteschi dipese largamente dalla qualità dei rapporti che le città erano venute allacciando con i propri territori di riferimento tra XII e XIII secolo, durante i quali esse avevano gettato le basi dell’egemonia politica sul contado e predisposto le prime strutture di inquadramento della popolazione rurale, adottando tuttavia differenti strategie. La capacità di mettere in atto i progetti espansionistici fu la conseguenza inevitabile della forza delle singole civitates: il livello di sviluppo socio-economico e le scelte politiche operate condizionarono a più riprese, all’interno del delicato scacchiere politico toscano, i mutevoli rapporti di forza tra di esse. Bisogna poi tener conto delle

21

È il caso – tanto per restare in Toscana – degli Aldobrandeschi, studiato da COLLAVINI, Honorabilis

domus, cit. Vedi anche CHITTOLINI, Organizzazione territoriale, cit., p. 26.

22

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peculiarità di ciascun contesto territoriale: la presenza di forti signorie rurali o di dinamiche comunità poteva costituire un serio impedimento alle aspirazioni egemoniche del Comune cittadino. I sistemi adottati per venire a capo di una tale, accentuata, tendenza al particolarismo non furono ovunque gli stessi e di conseguenza diversi furono anche i risultati. Può essere utile, a questo proposito, soffermarci su tre casi emblematici, quelli di Lucca, Siena e Firenze e raffrontarli poi con quello di Pisa.

Consideriamo dapprima l’esempio di Lucca23. Innanzitutto è opportuno ricordare che l’area di espansione lucchese non coincise – come abbiamo visto in precedenza – con la circoscrizione diocesana, visto che la parte meridionale di quest’ultima passò presto sotto l’influenza pisana. Lo statuto del 1308 operava una distinzione piuttosto precisa tra le diverse zone che costituivano il dominio cittadino: il “distretto”, l’area più prossima alla città, coincidente con le cosiddette Sei Miglia; il “contado”, la zona più esterna, occupata dalle Vicarie; e la “forza”, termine che indicava le aree di recente conquista24. Le Sei Miglia – che di fatto un privilegio dell’imperatore Enrico IV aveva assegnato alla giurisdizione di Lucca fin dal 108125 – finirono precocemente sotto il controllo cittadino, anche per la pressoché totale assenza di signorie26. Nel primo Trecento, nell’ambito del “distretto”, Lucca «era titolare esclusiva del potere pubblico e non delegava mai tale potere agli officiali locali»; le magistrature cittadine avevano ampie competenze, mentre «gli officiali dei Comuni rurali […] avevano poteri e funzioni assai limitate» e «tanto le cause civili che quelle criminali venivano discusse e decise esclusivamente in città»27. L’organizzazione circoscrizionale dell’intera zona si modellò, fin dalla seconda metà del Duecento, su quella ecclesiastica imperniata sui pivieri28.

Attorno al “distretto” si estendeva il “contado”, suddiviso in Vicarie (dodici nello statuto del 1308), circoscrizioni dotate di maggiore autonomia e affidate al governo di officiali chiamati Vicari,

23

Per Lucca si vedano in particolare C. MEEK, Lucca, 1369-1400: Politics and Society in a Early Renaissance City-State, Oxford 1978;ID.,The Commune of Lucca under Pisan Rule, 1342-1369, Cambridge

1980; F. LEVEROTTI, Ricerche sull’amministrazione della vicaria di Massa alla fine del XIV secolo, in «Annuario della Biblioteca civica di Massa» (1980), Pisa 1981, pp. 99-174, ora in EAD.,Massa di Lunigiana

alla fine del Trecento: ambiente, insediamenti, paesaggio, amministrazione, Pisa 2007, pp. 279-353;

WICKHAM, Rural Communes and the City of Lucca at the Beginning of the Thirteenth Century, in City and

Countryside in Late Mediaeval and Renaissance Italy, London 1990, pp. 1-12;ID.,Comunità e clientele, cit.;

ID., Legge, pratiche e conflitti, cit., in particolare le pp. 43-124; A.M. ONORI, Il Comune di Lucca e le Vicarìe nei secoli XIII e XIV. Alle radici di uno Stato cittadino, Tesi di Dottorato, Università degli studi di

Firenze, 2005.

24

ONORI,Il Comune di Lucca, cit., pp. 16-19.

25

Ibidem, pp. 39-42; WICKHAM,Comunità e clientele, cit., pp. 24-25; ID.,Legge, pratiche e conflitti, cit., p.

49.

26

WICKHAM,Comunità e clientele, cit., pp. 26-27.

27

ONORI,Il Comune di Lucca, cit., pp. 17-18.

28

Ibidem, p. 17. Si veda anche F. LEVEROTTI,«Crisi» del Trecento e strutture di inquadramento nelle Sei Miglia lucchesi, in ROSSETTI, Pisa e la Toscana occidentale, cit., 2, pp. 203-262.

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201

scelti tra i cittadini lucchesi29. Entro gli anni a cavallo tra XII e XIII secolo, Lucca era riuscita ad estendere la propria egemonia anche su quest’area, dove però la presenza signorile era assai più fitta. Inoltre, in questo contesto, la città fu costretta a fare i conti con la politica degli imperatori svevi i quali, in un primo momento, cercarono di favorire i signori locali in funzione anti-lucchese e, successivamente, riorganizzarono l’area in una serie di distretti affidati a Vicari facenti capo al Vicario generale dell’Impero in Tuscia. Dopo la morte di Federico II Lucca recuperò il controllo del proprio “contado” e poté sfruttare la struttura amministrativa creata dagli svevi, limitandosi a sostituire con propri officiali i Vicari imperiali30.

La politica di espansione territoriale del Comune di Siena, invece, pur avviata con una certa precocità, rimase a lungo discontinua ed eterogenea. Innanzitutto, non fu – come nota Paolo Cammarosano – una espansione “a macchia d’olio”, dilatatasi poco a poco dal comitatus alle aree più esterne. Fin dal primo XII secolo Siena intervenne frequentemente al di fuori di quelli che erano stati i confini dell’antica circoscrizione comitale, favorita in ciò dalla «destrutturazione degli inquadramenti politici nel volterrano e nella Toscana Meridionale», che aprì alla città uno spazio assai vasto sul quale estendere gradualmente la propria egemonia, considerato anche il fatto che un ulteriore ampliamento del dominio verso nord le era in gran parte precluso dalle analoghe aspirazioni di Firenze31. Questo può in parte spiegare perché, nel caso di Siena – a differenza di gran parte delle altre realtà toscane – non esista una netta contrapposizione tra “contado” e “distretto”32

.

All’interno del comitatus i Senesi dovettero misurarsi con forti poteri locali, rappresentati principalmente da gruppi familiari signorili di origine comitale, sui quali fu possibile esercitare un maggiore controllo soltanto dai primi decenni del Duecento; altrettanto lunga ed incerta fu la lotta per la sottomissione di comunità sviluppate (veri e propri centri semi-urbani) come Montepulciano e Montalcino33. Di conseguenza, il dominio di Siena su questo spazio si esercitò a lungo in forme piuttosto fluide: ai primi decenni del Duecento risale la divisione del contado in “terzi” per la

29

ONORI,Il Comune di Lucca, cit., pp. 45-48.

30

Ibidem, pp. 18-19 e 42-45. Cfr. anche WICKHAM,Comunità e clientele, cit., p. 24.

31

CAMMAROSANO,Tradizione documentaria, cit., pp. 40-43 e 72. Cfr. anche M.ASCHERI,Stato, territorio e cultura nel Trecento: qualche spunto da Siena, in La Toscana nel secolo XIV. Caratteri di una civiltà regionale, Pisa 1988, (Centro di Studi sulla civiltà del Tardo Medioevo, San Miniato, 2), pp. 165-181, in

particolare p. 168.

32

O.REDON,Lo spazio di una città. Siena e la Toscana meridionale (secoli XIII-XIV), Roma 1999, pp.

112-113. Cfr. anche ASCHERI,Stato, territorio e cultura, cit., p. 172.

33

CAMMAROSANO,Tradizione documentaria, cit., p. 41; vedi anche REDON,Lo spazio di una città, cit., pp.

106-112, e per un caso particolare, quello del territorio di Asciano, A. BARLUCCHI, Il contado senese all’epoca dei Nove. Asciano e il suo territorio tra Due e Trecento, Firenze 1997, in particolare le pp. 17-35.

(8)

202 riscossione delle tasse e l’arruolamento delle truppe34

. A partire dal terzo decennio del XIII secolo la città cercò di razionalizzare le forme del proprio dominio: a questa epoca risale un tentativo, peraltro privo di durature conseguenze, di utilizzare le circoscrizioni pievane a fini amministrativi35; ma soprattutto, più o meno nello stesso periodo, si diffuse la pratica di istituire in tutti i Comuni del contado un “rettore” «che sostituiva i consoli locali e assumeva localmente le funzioni pubbliche di comando e di giustizia» in nome degli amministrati e, naturalmente, di Siena36. Questo sforzo organizzativo non corrispose, tuttavia, all’instaurazione di un dominio omogeneo su tutto il territorio ex-comitale. Come sottolinea Mario Ascheri «le città inglobate, come i grandi raggruppamenti signorili e alcune comunità, conservarono taluni poteri di governo sul loro

districtus»37; gli stessi statuti cittadini del 1262 rispettavano sostanzialmente la giurisdizione privata su castelli e villaggi38, tanto che in alcuni casi furono i signori locali ad assumere la carica di

rectores per conto della città, una pratica diffusa ancora nel Trecento39. Addirittura, ancora negli ultimi decenni del secolo XIII, risultava piuttosto diffuso il fenomeno di «intervento di grandi famiglie e di enti cittadini nel controllo di castelli e giurisdizioni del territorio»40.

La città cercò in ogni modo di contenere tali forme di autonomia, per esempio rivendicando a sé «l’esclusiva competenza in materia di alta giustizia criminale»41

; ma fu solo tra tardo Duecento e primo Trecento, che l’egemonia senese sul territorio poté divenire più ampia. All’inizio del secolo XIV si attuò una vera e propria riorganizzazione del contado, basata su una triplice distrettuazione: alla rete dei rettori (definiti Vicari nel XIV secolo) preposti all’amministrazione locale, si sovrapposero i distretti di polizia (una decina) per la tutela dell’ordine pubblico e i “vicariati” (nove in tutto) per l’organizzazione della leva militare42

. Si trattava di ripartizioni volutamente non coincidenti, per «attivare processi di controllo incrociato tra gli ufficiali»; inoltre, spesso «i distretti non riguardavano complessivamente le stesse località», a riprova del fatto che, ancora nel Trecento,

34

REDON,Lo spazio di una città, cit., pp. 96-99. Questo tipo di ripartizione si estese dapprima all’area più

prossima alla città – le cosiddette “Masse” – che corrispondeva al piviere della cattedrale cittadina; si trattava di un’area giuridicamente distinta dal contado, in quanto Siena vi esercitava direttamente il potere pubblico, senza delegarlo a specifici rettori: ibidem, pp. 95-96.

35

Ibidem, pp. 99-100.

36

Ibidem, pp. 108-109.

37

ASCHERI,Stato, territorio e cultura, cit., p. 168.

38

CAMMAROSANO,Le campagne senesi, cit., pp. 189-190.

39

REDON,Lo spazio di una città, cit., p. 109. Cfr. anche ASCHERI,Stato, territorio e cultura, cit., p. 171.

40

CAMMAROSANO,Le campagne senesi, cit., p. 192.

41

Ibidem, pp. 189-190, in particolare nota 75.

42

ASCHERI,Stato, territorio e cultura, cit., p. 169; REDON,Lo spazio di una città, cit., pp. 100-106. Si veda

anche W. M. BOWSKY, Un comune italiano nel Medioevo. Siena sotto il regime dei Nove, 1287-1355,

Bologna 1986, in particolare pp. 212-217. I distretti di polizia erano affidati a cavalieri del Podestà; i vicariati a Capitani dipendenti dal Capitano del Popolo.

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nel contado senese esistevano «comunità con uno status per vari motivi privilegiato, o altrimenti sottoposte anche a gravami signorili»43.

Questo «progetto politico-amministrativo», che sembra conferire al contado una maggiore omogeneità, cela dunque «una realtà molto differenziata», non troppo dissimile da quella che è possibile osservare al di fuori di esso, in quello che solo per comodità storiografica può essere definito “distretto”44

. Anche qui – in zone come la Maremma – i problemi per Siena erano gli stessi: la lotta contro i grandi gruppi signorili, contro comunità urbane come Massa Marittima e Grosseto, che conservarono margini di autonomia all’interno di uno spazio politico egemonizzato, ma non sistematicamente dominato45.

Quello della politica espansionistica fiorentina è forse l’esempio più significativo, dal momento che produsse – nel lungo periodo – risultati ineguagliati dalle altre comunità cittadine toscane: a tal punto che – quando, nella seconda metà del Trecento, Firenze riuscì a imporsi definitivamente sullo scenario politico regionale e cominciò ad agire in una prospettiva sovra-cittadina – il suo “modello” di organizzazione territoriale poté essere facilmente esteso ai domini delle realtà urbane o semi-urbane finite nel frattempo sotto il suo controllo46.

L’azione di Firenze si dispiegò su un territorio molto articolato, caratterizzato da una presenza signorile fondamentalmente debole47, ma dove tra XII e XIII secolo si erano sviluppate molte comunità rurali estremamente vivaci e intraprendenti, alcune delle quali avevano assunto proporzioni semi-urbane, tanto da riuscire – al pari dei maggiori Comuni – ad «irradiare nell’area circostante funzioni di capoluogo» formando un proprio territorio dipendente48.

43

ASCHERI,Stato, territorio e cultura, cit., pp. 170-172.

44

Ibidem, pp. 169 e 172. A tal proposito, Odile Redon ha affermato che «a partire dalla metà del Duecento, la legittimità comunale non si esprime più in riferimento al comitatus dei primi tempi; il contado si conferma e si estende attraverso gli atti di sottomissione dei signori e dei comuni, e la loro esplicita dichiarazione di appartenenza alla giurisdizione di Siena, al suo contado, inteso ormai come lo spazio reale, attuale, di dominazione della città»: Lo spazio di una città, cit., p. 112.

45

In Maremma gli Aldobrandeschi misero in piedi un progetto di dominio territoriale in tutto analogo a quello cittadino: COLLAVINI, Honorabilis domus, cit., pp. 365-554. Solo tra XIII e XIV secolo Siena riuscì ad affermarsi nell’area a spese dell’antica stirpe comitale, anche se la situazione si normalizzò soltanto nel XV secolo: ibidem, pp. 395 e ss. Vedi anche REDON,Lo spazio di una città, cit., pp. 127-159.

46

Per Firenze si vedano in modo particolare: P.BENIGNI,L’organizzazione territoriale dello stato fiorentino

nel ‘300, in La Toscana nel secolo XIV, cit., pp. 151-163; A. ZORZI,L’amministrazione della giustizia penale

nella Repubblica fiorentina. Aspetti e problemi, Firenze 1988;ID., Lo Stato territoriale fiorentino (secoli XIV-XV): aspetti giurisdizionali, in «Società e storia», XIII, 1990, pp. 799-825; ID., Ordine pubblico e amministrazione della giustizia nelle formazioni politiche toscane tra Tre e Quattrocento, in Italia 1350-1450: tra crisi, trasformazioni, sviluppo. Atti del XIII convegno di studi del Centro italiano di studi di storia

e d’arte di Pistoia (Pistoia, 1991), Pistoia 1993, pp. 419-474; ID.,L’organizzazione del territorio, cit., pp.

279-349.

47

ZORZI,L’organizzazione del territorio, cit., pp. 286-293.

48

(10)

204

Nel corso del XII e del XIII secolo l’espansione di Firenze si realizzò all’interno del proprio ambito diocesano e di quello della vicina Fiesole, spazio che definiva il “contado” propriamente detto49. Verso la metà del Duecento venne predisposta una prima rete circoscrizionale per la ripartizione delle imposte, che ricalcò – come a Lucca e a Siena – la distrettuazione ecclesiastica: per tutto il Duecento il contado di Firenze mantenne quindi «una organizzazione territoriale in popoli e pivieri che […] era dotata di organismi rappresentativi propri quali i Rettori o i Sindaci»; le comunità locali stesse erano responsabili – di fronte alla città – della fiscalità e della tutela dell’ordine pubblico50

. Nella seconda metà del Duecento, Firenze rafforzò il proprio controllo sul territorio sostituendo ai rettori rurali «una prima rete di ufficiali territoriali fiorentini»: Podestà, Castellani, Vicari e Custodi51.

Ma solo a partire dal primissimo Trecento questa struttura così frammentata venne superata con l’istituzione del sistema delle “leghe” (trentaquattro nei primi decenni del secolo XIV, quarantuno nel 1332), ciascuna formata aggregando alcune delle precedenti circoscrizioni “comunitarie” e i cui rettori (i Capitani) ottennero «l’esercizio della giurisdizione civile fino a 40 soldi, sottraendo ai Rettori dei popoli, che fino ad allora l’avevano esercitata entro gli stessi limiti, la facoltà di esercitare la giustizia tra la loro gente»52. Le maglie della rete organizzativa tendevano dunque ad allargarsi, almeno per quel che concerne l’esercizio delle funzioni giurisdizionali; d’altro canto le diverse comunità comprese in ciascuna lega continuarono a provvedere con una certa autonomia alla propria amministrazione mediante funzionari eletti liberamente53. Accanto alle leghe operavano «come istituti collaterali e indipendenti», svolgendo «un ruolo analogo, anche se complementare e di supporto», Vicariati e Podesterie54.

49

Ibidem, p. 311; vedi anche BENIGNI,L’organizzazione territoriale, cit., p. 153.

50

BENIGNI,L’organizzazione territoriale, cit., p. 154. Cfr. anche ZORZI,L’organizzazione del territorio, cit., pp. 318-327.

51

ZORZI,L’organizzazione del territorio, cit., pp. 327-328.

52

BENIGNI,L’organizzazione territoriale, cit., pp. 154-155; ZORZI,L’organizzazione del territorio, cit., pp.

341-343.

53

BENIGNI,L’organizzazione territoriale, cit., p. 155.

54

Ibidem, pp. 158-159. Entrambi gli istituti ebbero inizialmente un carattere “straordinario”. Le prime notizie sui Vicariati (o “vicherie”) risalgono agli ultimi decenni del secolo XIII: vennero istituiti prevalentemente nelle aree di confine o comunque di conquista più recente con funzioni di polizia e di sorveglianza militare. Il Vicariato, come struttura di inquadramento amministrativo, assunse carattere stabile dalla metà del XIV secolo: vedi G.PINTO,Il vicariato della Valdinievole e Valleriana alla metà del Trecento: considerazioni sull’organizzazione interna e sull’amministrazione della giustizia, in Atti del convegno sui comuni rurali,

cit., pp. 21-28;ID.,Alla periferia dello stato fiorentino: organizzazione dei primi vicariati e resistenze locali (1345-1378), in ID.,Toscana medievale: paesaggi e realtà sociali, Firenze 1993, pp. 51-65; ID., Il vicariato

fiorentino della Valdinievole e il rafforzamento dell’identità territoriale, in Atti del convegno sull’identità geografico-storica della Valdinievole, (Buggiano Castello, giugno 1995) Borgo a Buggiano 1996, pp. 85-92;

CHITTOLINI, La formazione dello stato, cit., pp. 299-302; ZORZI, L’organizzazione del territorio, cit., pp. 331-332 e 343-344. Anche le Podesterie furono istituite, nel corso del secolo XIV, «in zone dove prevalevano priorità di ordine pubblico e militare», e all’interno del contado «solo in centri di mercato e di

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La rete delle leghe costituì però «la prima vera creazione circoscrizionale del comune»55, la sola «forma stabile e strutturata di organizzazione del territorio»56, che poté poi essere facilmente estesa al di fuori del contado, alle aree di nuova acquisizione, in quello spazio che venne allora definendosi come districtus57.

L’analisi di questi tre esempi è sufficiente a dar conto della diversità dei percorsi attraverso i quali le città toscane giunsero alla formazione dello Stato territoriale cittadino. I tratti comuni alle singole esperienze non furono pochi. Il più evidente è costituito dal fatto che il periodo compreso tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento costituì ovunque la svolta verso la realizzazione di assetti politico-territoriali più omogenei e strutturati. Altri elementi caratteristici, come la creazione di una rete circoscrizionale che spesso ricalcava quella ecclesiastica e l’allestimento di un apparato funzionariale preposto al governo e all’amministrazione del territorio, differirono sensibilmente da una realtà all’altra: gli esiti della distrettualizzazione furono estremamente diversificati in ragione delle specificità dei territori e delle esigenze delle singole città (basti pensare a Siena dove si sovrapposero ben tre reti circoscrizionali); gli stessi officiali cittadini – per quanto, in genere, investiti di funzioni amministrative e giurisdizionali – non ebbero ovunque identici poteri.

Lo stesso caso pisano – che verrò rapidamente esaminando, prima di tornare ad occuparmi della Valdera – presenta molte peculiarità, anche se in un quadro di sviluppo sostanzialmente analogo.

Il caso pisano

Nei capitoli precedenti abbiamo potuto constatare come l’assetto organizzativo del contado pisano sia venuto definendosi per successive fasi lungo tutto il XIII secolo, al termine del quale assunse quella forma che, nella sua struttura base, avrebbe mantenuto fino alla conquista fiorentina del 1406. Non si trattò di un processo lineare, bensì condizionato a lungo da una molteplicità di fattori diversi. Se da un lato la turbolenta situazione politica della Toscana, le numerose guerre combattute contro la Lega delle città guelfe, l’interminabile contenzioso con il vescovo di Lucca per il possesso di alcuni castelli della Valdera e del Valdarno contribuirono a mantenere estremamente fluidi i confini della dominazione pisana per tutto il Duecento; dall’altro, nella definizione di questa struttura organizzativa ebbero una incidenza non trascurabile anche il rapido evolversi delle

rilievo strategico»: ibidem, p. 347. Nel 1376 venne avviata una riforma del sistema organizzativo del dominio fiorentino, che comportò l’abolizione della figura dei Capitani delle Leghe e la loro sostituzione con Podestà, ognuno dei quali aveva autorità sul territorio di una o più leghe: ibidem, pp. 347-348, in particolare nota 292; BENIGNI,L’organizzazione territoriale, cit., pp. 159-160.

55

ZORZI,L’organizzazione del territorio, cit., pp. 341-342.

56

BENIGNI,L’organizzazione territoriale, cit., p. 159.

57

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necessità della dominante, la progressiva definizione di una pratica dell’amministrazione periferica e, soprattutto, l’estrema eterogeneità del territorio da governare.

In rapporto ad altre vicende espansionistiche quella pisana si segnala senza dubbio per la precocità e la solidità delle sue realizzazioni. Solo in Maremma, area intensamente signorilizzata, l’egemonia pisana si affermò molto lentamente58; nel contado storico, invece, l’azione di Pisa non incontrò ostacoli di rilievo, se si escludono quelli costituiti dalle molte vivaci comunità rurali, cui almeno inizialmente furono concessi ampi margini di autonomia. La Valdera costituisce un caso particolare: perché anche in quest’area – come abbiamo visto – la presenza signorile risultò tutt’altro che debole, anche se fu forse più agevole piegarne la resistenza. Per questi e altri motivi, il dominio pisano sul territorio – analogamente a quanto avvenuto per le altre città toscane – si esercitò almeno fino ai primi decenni del secolo XIII in forme piuttosto blande59.

Tuttavia, fin dagli ultimi anni del secolo XII il “dominio” pisano appare dotato di una embrionale forma di organizzazione, quella delle quattro grandi circoscrizioni a carattere geografico, le prime Capitanie: si tratta di uno sviluppo che – a questo livello cronologico – non trova riscontro in nessun’altra realtà toscana. Il provvedimento non mutò nell’immediato la qualità dei rapporti tra città e contado: le universitates rurali e alcuni nuclei di potere signorile mantennero ancora per alcuni decenni gran parte delle proprie prerogative, anche se l’istituzione dei Capitani gettava senz’altro le basi per un più solido ed omogeneo esercizio del governo locale. Inoltre – e questo è a mio avviso un aspetto di grande rilevanza – in questo modo Pisa ribadiva le sue aspirazioni egemoniche su tutto il territorio concessole dagli imperatori nella seconda metà del XII secolo, comprese quelle aree, come la Maremma, che non solo erano esterne ai confini della sua diocesi (o, se si vuole, del suo “contado”), ma nelle quali oltretutto la sua penetrazione politica incontrava forti resistenze.

È questa, penso, una delle maggiori differenze tra la politica territoriale pisana e quella delle altre città toscane: e si tratta, se è lecito esprimersi in questi termini, di una differenza di prospettive. Il Comune di Pisa ebbe una chiara e precoce percezione di quali fossero i limiti legittimi delle sue pretese territoriali: l’espansione procedé poco a poco, ma all’interno di uno spazio ben definito, riconosciuto dall’autorità imperiale e che Pisa stessa provvide a delimitare con una prima forma di

58

POLONI, Comune cittadino e comunità rurali, cit., pp. 3-51. La studiosa sostiene che in Maremma «il

processo di comitatinanza continuò per tutto il Duecento» e che soltanto nel primo XIV secolo «il numero degli avamposti pisani fu tale da assicurare alla città un relativo controllo militare e politico su buona parte del territorio, anche se restavano nuclei irriducibili […]»; e conclude: «pare insomma che l’azione di Pisa in Maremma si sia conformata a un modello di rapporti tra la città e il mondo dei signori del tutto analogo a quello descritto per le altre realtà comunali costrette a confrontarsi con poteri locali fortemente radicati»: pp. 5-6.

59

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distrettuazione, i cui confini politici erano ancora – forse volutamente – vaghi, ma geograficamente determinati.

Nelle fonti pisane esiste una distinzione tra “contado” e “distretto” e anche a Pisa il secondo termine veniva verosimilmente utilizzato per indicare i territori non appartenenti alla diocesi cittadina, come la Maremma e il versante settentrionale del Valdiserchio60; aree come la Valdera e le Colline, invece, per quanto esterne all’ambito della diocesi/comitatus, fin dal XII/XIII secolo facevano integralmente parte del contado pisano. Ma le differenze sono meno nette di quanto si possa essere portati a pensare.

A partire dai primi decenni del secolo XIII Pisa consolidò la propria egemonia sul territorio, moltiplicando il numero delle Capitanie e affidandole a officiali residenti, dotati di ampi poteri sugli amministrati61. Tra la seconda metà del Duecento e l’inizio del Trecento la struttura organizzativa dello Stato pisano divenne molto capillare e ciò assicurò alla città un controllo più efficiente rispetto al passato sulle comunità soggette, che vennero rigidamente inquadrate all’interno della costruzione politica predisposta dal Comune e private di gran parte delle loro prerogative. Il reticolo capitaneale fu esteso, senza eccezioni, all’intera dominazione, conferendole maggiore uniformità e contribuendo in questo modo ad attenuare differenze – ammesso che siano mai effettivamente esistite – tra le aree del contado e quelle del distretto. Poche città nell’Italia centro-settentrionale ottennero risultati tanto rapidi ed eclatanti nel disciplinamento del proprio contado62.

Si tratta di una questione di non poco conto, perché si pone radicalmente in contrasto con la tendenza di recente affermatasi nell’ambito degli studi sui rapporti tra città e contado, tra “centro” e “periferia”, di cui si è dato conto all’inizio di questa introduzione. Ridimensionata l’incidenza del cosiddetto “processo di comitatinanza”, si è di conseguenza non solo attenuata l’immagine tradizionale di forza e compattezza degli organismi politico-territoriali comunali, ma si è dovuto altresì prendere coscienza del fatto che il contado non fu mai un oggetto passivo dell’azione disciplinatrice cittadina: al contrario, esso continuò a costituire un referente politico fondamentale del Comune urbano, sia nella fase di “costruzione” del dominio territoriale, sia in quella di perfezionamento delle strutture amministrative e di governo.

60

Vedi LEVEROTTI,L’organizzazione amministrativa, cit., nota 62 alla p. 53.

61

Cfr. supra capitolo IV, pp. 155-169.

62

La “eccezionalità” del caso pisano è stata recentemente sottolineata da Alma Poloni, per la quale, Pisa, nel corso del secolo XIII, «era penetrata in profondità nelle campagne e condizionava in maniera pesante l’esistenza quotidiana dei comitatini». La studiosa conclude che la gran parte delle città «non riuscì mai a dotarsi di un contado uniforme e compatto come quello pisano»: POLONI, Comune cittadino e comunità rurali, cit., pp. 48-49.

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A parere di alcuni studiosi, questo nuovo paradigma storiografico non sarebbe tuttavia particolarmente calzante nel caso di Pisa63: la città tirrenica, infatti, non solo rimase per tutto il Trecento un punto di riferimento obbligato per gli abitanti delle campagne, ma riuscì anche a mantenere in uno stretto rapporto di soggezione le comunità del proprio contado, nessuna delle quali – è bene sottolinearlo – fu in grado comunque di conseguire sviluppi urbanistici, demografici ed economici di particolare rilievo.

Oggetto dei capitoli di questa seconda parte sarà proprio lo studio delle forme del governo e dell’amministrazione pisana in Valdera64

. Vista l’esiguità della documentazione a nostra disposizione si renderanno comunque necessari raffronti con altre zone del contado. In modo particolare focalizzerò la mia attenzione su tre specifici aspetti: il primo è costituito dallo studio della definizione della rete circoscrizionale, importante al fine di comprendere l’importanza dei fattori demografici e strategici nell’orientare le scelte organizzative del Comune pisano; il secondo consiste invece nell’analisi delle competenze degli officiali inviati dalla dominante in sede locale e della loro incidenza negli equilibri politici del territorio pisano in generale e della Valdera nello specifico; il terzo punto è rappresentato dallo studio delle strutture istituzionali locali e del loro

63

È il parere, ad esempio, di Alma Poloni: la studiosa – come già detto nella nota precedente – non solo evidenzia la grande coesione assunta dall’organismo politico-territoriale pisano fin dagli anni Trenta-Quaranta del Duecento, ma sostiene anche, a proposito dell’abbandono della tradizionale «prospettiva urbanocentrica», che la nuova tendenza storiografica – se può essere sicuramente applicata alla «azione dei poteri centrali […] negli stati territoriali, soprattutto a partire dal XV secolo» – può rivelarsi invece rischiosa in riferimento alle esperienze della piena età comunale; e conclude affermando che, comunque, «il caso di Pisa […] non va in questa direzione», visto che «i gruppi dirigenti pisani non impostarono il rapporto con il territorio sulla base del dialogo, della mediazione, della collaborazione»: POLONI, Comune cittadino e comunità rurali, cit., pp. 47-48. Anche Marco Tangheroni si era mostrato scettico a tal riguardo: lo storico

pisano accoglieva le nuove tesi, che invitavano a uno studio meno “parziale” dei rapporti tra città e campagna, e definiva «troppo schematica» l’idea «di uno sfruttamento integrale della campagna da parte della città»; ma a proposito di Pisa riteneva quanto meno azzardato «forzare oltre misura questa “inversione storiografica”», in quanto anche gli elementi più attivi della società “contadina” ebbero sempre come punto di riferimento la città: TANGHERONI,Politica, commercio, agricoltura, cit., p. 188.

64

Il panorama degli studi sull’assetto amministrativo del contado pisano risulta attualmente abbastanza povero, specie per ciò che concerne il secolo XIV. Si vedano in modo particolare LEVEROTTI,

L’organizzazione amministrativa, cit., pp. 33-82; K. SHIMIZU, L’amministrazione del contado pisano nel

Trecento attraverso un manuale notarile, Pisa 1975, «Biblioteca del Bollettino Storico Pisano», 13; G.ROSSI

SABATINI,Pisa al tempo dei Donoratico (1316-1347). Studio sulla crisi costituzionale del Comune, Firenze

1938, in particolare pp. 64-74; P.SILVA,Il governo di Pietro Gambacorta in Pisa e le sue relazioni col resto della Toscana e coi Visconti, Pisa 1911, in particolare pp. 135-166; O.BANTI,Iacopo d’Appiano. Economia,

società e politica del Comune di Pisa al suo tramonto (1392-1399), Pisa 1971, pp. 116-129;C.VIOLANTE,

Per la storia dell’amministrazione del contado nel Trecento, in Economia società istituzioni, cit., pp.

299-312. Molto importanti sono anche L. CARRATORI, Gli atti della podesteria di Vicopisano nel 1380, in

AA.VV., Studi di storia medievale e moderna su Vicopisano e il suo territorio, Pisa, Pacini, 1985, «Biblioteca del Bollettino Storico Pisano», 20, pp. 49-86; e O.BANTI,Aspetti della vita di un comune rurale all’inizio del Trecento. Note in margine agli atti del comune di Treggiaia, in «Bollettino Storico Pisano», LV

(1986), pp. 171-200, con edizione in Appendice a cura di E. VIRGILI; sulla Maremma in particolare: CECCARELLI LEMUT,Il monastero di San Giustiniano di Falesia, cit., pp. 71-77; EAD.,Scarlino, cit., pp.

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rapporto con gli organi di governo cittadino, con particolare attenzione al problema delle autonomie amministrative. Negli ultimi tre capitoli, infine, cercherò di offrire un’analisi della evoluzione demografica, sociale ed economica delle località della Valdera, soffermandomi sulle ripercussioni della crisi trecentesca nelle forme del popolamento, sull’incidenza della fiscalità pisana in sede locale e sulle caratteristiche economiche del territorio in esame e, principalmente, sulla questione dell’economia agricola e del possesso fondiario, temi in grado di offrire un contributo decisivo allo studio del controverso tema delle relazioni tra “centro” e “periferia”.

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