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Verso una maggiore interazione CONCLUSIONI

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Academic year: 2021

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CONCLUSIONI

Verso una maggiore interazione

A conclusione di questo elaborato, è necessario effettuare alcune riflessioni per cercare di comprendere quali siano i fattori essenziali per auspicare ad una buona riuscita di un affido familiare.

Le Linee di indirizzo sull’affidamento familiare suggeriscono di “concepire l'affidamento familiare come una vasta piattaforma suscettibile di sostenere interventi differenti secondo la natura dei bisogni del bambino, della sua famiglia e delle risorse che i servizi e la comunità locale sono in grado di mettere a disposizione”. 123

Il progetto d’affido deve essere creato in base ad ogni momento individuale, va disegnato su misura del minore e della sua famiglia. Ogni minore vive all’interno della propria situazione, della propria famiglia e della propria storia, la quale possiede caratteristiche e modalità di reazione differenti e differenti sono anche le storie delle famiglie affidatarie che lo accolgono.

Il percorso d’affido risulta essere un mosaico dove si devono mettere insieme tutti i tasselli, un passaggio fluttuante tra “il passato e il futuro” del minore, dove gli operatori si trovano davanti ad una moltitudine di possibilità da dover considerare.

Per questo, possiamo associare al termine di affido familiare il termine di complessità, il quale ci porta ad una pluralità di elementi da

123

Linee di indirizzo per l’affidamento familiare, Presidenza del consiglio dei ministri, conferenza unificata 25 Ottobre 2012, p. 19.

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valutare e di strade possibili da percorrere, legate alla necessità di coniugare in maniera diretta bisogni e risposte.

È fondamentale quindi prendere punti di riferimento che fungano da bussola per orientarsi: l’affido è sostegno, inteso come aiuto al minore per riconoscere ed accettare i limiti della famiglia di origine e acquisire capacità di gestione della doppia appartenenza; è riparazione, intesa come nutrimento affettivo, empatia, genitorialità; è accoglienza e cura, intesa come vicinanza emotiva e affettiva, è possibilità di crescita all’interno di un contesto educativo e familiare idoneo e rispondente alle esigenze del minore.

Nell’evolversi del percorso sono stati presentati gli attori dell’affido familiare: il minore, la sua famiglia, la famiglia affidataria, i servizi sociali ed il Tribunale per i Minorenni, tutti soggetti indispensabili per permettere allo strumento non solo di esistere, ma di decollare.

Tutti gli attori saranno impegnati nel progetto d’affido affinché il minore, al centro, possa mettere in atto una relazione significativa, su cui costruire una fiducia e sicurezza affettiva.

Gli stessi attori quindi, non devono solo “esserci” ma devono avere in mente strategie condivise e lavorare in continua collaborazione, avendo chiari i propri limiti e le proprie risorse, creando le opportune occasioni per il bambino di crescere dentro una ricca rete di relazioni sociali fra pari e con altri adulti, rete che garantisca la soddisfazione del bisogno di vivere le esperienze affettive, sociali, culturali, educative e ricreative adeguate all’età.

Le stesse linee guida sottolineano come l’affido familiare sia centrato sulle relazioni e come la temporaneità dell’intervento che lo caratterizza metta in risalto la necessità di un’attenzione professionale ed una sensibilità particolari verso i genitori naturali che devono

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essere messi in condizione di recuperare le proprie competenze educative.124

A questo proposito è necessario fare delle riflessioni che possano in qualche modo mettere insieme teoria e pratica.

Bowlby125 sostiene che le risposte comportamentali sono

l’elaborazione dell’informazione che proviene dall’ambiente, dal legame madre-bambino, il quale è fonte del soddisfacimento dei bisogni primari, sviluppando così nel bambino un attaccamento a base sicura, permettendogli in età adulta di essere un buon genitore. In caso contrario, ovvero in situazioni di assenza, carenza o distorsione di cure primarie, nel bambino si svilupperà una condizione di vulnerabilità emotiva e cognitiva, che porterà a problematiche di salute mentale e condotta sociale.126

Abbiamo visto che l’affido familiare vuole interrompere le dinamiche negative create tra genitore-figlio poiché spesso i genitori problematici sono loro stessi dei soggetti che, nella loro infanzia, hanno avuto delle importanti difficoltà e quindi, per Bowlby, di base insicura.

È rilevante e significativo quindi, non fermarsi meramente alla sola relazione genitore-bambino, una relazione fondata su due generazioni ma, allo scopo di aiutare il genitore “inadeguato”, può essere funzionale andare a costruire le vicende trigenerazionali del minore, poiché non è lui il soggetto “problematico” ma sono i suoi genitori. Sostenendo la famiglia d’origine del minore si possono aiutare i genitori stessi a prendere consapevolezza delle proprie difficoltà anche legate all’infanzia ed al rapporto stesso con la propria famiglia.

124

Ivi, p. 4.

125

J. Bowlby, Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1989

126

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Lavorare sulla famiglia di origine è un presupposto primario per rafforzare il progetto nei fondamenti di aiuto e sostegno: un aiuto al minore e un sostegno ai genitori.

Essenziale inoltre è il momento dell’abbinamento: scegliere la giusta famiglia per un minore è determinante, “le valutazioni che accompagnano l’abbinamento tengono conto della dimensione temporale, ossia della storia pregressa delle due famiglie, ma anche delle loro possibilità di evoluzione futura”.127

L’affido così è anche una genitorialità sociale per questo l’impegno di solidarietà delle famiglie affidatarie e le specifiche competenze educativo-relazionali, sono da sostenere e valorizzare128 e risulta fondamentale che questa riponga fiducia verso gli operatori, attraverso una chiara comunicazione.

Chiara deve essere anche la gerarchia poiché Minuchin129 definisce la collaborazione tra gli adulti per la crescita di un bambino come una caratteristica adattiva della famiglia.

Il minore in affido può trovarsi in difficoltà nell’instaurare una relazione con una nuova famiglia soprattutto perché può temere di tradire la propria appartenenza, la presenza ed il consenso da parte di una figura di riferimento funge da sostegno ed aiuto nel percorso. Sarà funzionale per il bambino vedere che la famiglia biologica e la famiglia affidataria si conoscano, si rispettino e talvolta collaborino, riuscendo cosi a “tenere insieme i pezzi” della propria storia.

127

Linee di indirizzo per l’affidamento familiare, Presidenza del consiglio dei ministri, conferenza unificata 25 Ottobre 2012, p. 32.

128

Ibidem.

129

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Si parla cosi del concetto di co-genitorialità intesa come una collaborazione volta alla “coordinazione e al sostegno fra adulti responsabili della cura e dell’allevamento dei figli”.130

Anche in questo sono di riferimento le Linee di Indirizzo che sottolineano come sia funzionale “coinvolgere attivamente il bambino e la sua famiglia in ogni fase prevista dal progetto”131 nonché il “mantenimento dei legami con la propria famiglia e del sentimento della piena appartenenza ad essa”.132

Il minore dovrà sapere che i genitori, sono i primi ad accettare l’intervento, percepire la “naturalezza del percorso di affido per lui sarà molto importante”.133

La stessa teoria ecologica dello sviluppo umano di Bronfenbrenner134, se applicata alla realtà dell’affido famigliare, fa emergere che lo sviluppo del bimbo sarà influenzato sia a livello micro-sistemico che a livello mesosistemico.

A livello micro-sistemico, s’individua l’influenza ricevuta all’interno della singola famiglia biologica e della singola famiglia affidataria, mentre a livello mesosistemico, ci si riferisce all’influenza legata all’interazione tra le due, intese come parti socio ambientali.

Nelle linee guida135 si precisa a questo proposito come nel corso dell’affidamento familiare, a seconda delle situazioni, dei contesti, delle fasi del progetto di affidamento, si possano avere livelli diversi di riunificazione familiare e di senso di appartenenza.

130

F. Vadilonga, “La cura della famiglia d’origine nel progetto d’affido” in CAM, Nuove sfide per

l’affido, FrancoAngeli, 2012, Milano, p. 51.

131

Linee di indirizzo per l’affidamento familiare, Presidenza del consiglio dei ministri, conferenza unificata 25 Ottobre 2012, p. 30.

132

Ivi, p. 19.

133 A. Penna, Curare i bambini tramite le relazioni, in CAM, Nuove sfide per l’affido, Franco Angeli, Milano, 2012 .

134

Urie Bronfenbrenner, Ecologia dello sviluppo umano, Mulino Editore, Milano, 1986.

135

Linee di indirizzo per l’affidamento familiare, Presidenza del consiglio dei ministri, conferenza unificata 25 Ottobre 2012, p. 19.

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In caso contrario si corre il rischio di far vivere al bambino un conflitto di “doppia appartenenza136” sentendo due famiglie per lui significative in conflitto l’una con l’altra.

Non esiste all’interno dell’affidamento familiare una famiglia buona, adeguata, curante, ed una cattiva etichettata come famiglia irrecuperabile, esistono invece delle fasi di vita, dei bisogni che cambiano, dei momenti che si alternano.

Può accadere invece che siano i bambini a non voler incontrare la famiglia d’origine e neghino il bisogno di venir a contatto con la propria storia.

Anche in questo caso, se si instaura un buon livello di condivisione la famiglia affidataria viene messa in grado di contribuire affinché la relazione del minore con la famiglia d’origine si ripristini.

Al mancare di questo può verificarsi una sorta di antagonismo dove i genitori affidatari vanno contro la relazione, o addirittura si sentono in dovere di proteggere il minore dalla sua famiglia d’origine, questi rischiano di perdere di vista il proprio ruolo, il mandato di famiglia affidataria.

In tale circostanza è ancora una volta prezioso il ruolo dei professionisti coinvolti che dovrebbero riportare i genitori affidatari al loro compito, poiché rischierebbero di percepire il figlio come il loro. Successivamente si deve tener conto che famiglie affidatarie e famiglie di origine possono aver trascorso del tempo insieme creando dei legami.137

136

S. Cirillo, Cattivi Genitori, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2005, p. 219.

137

M. Tettamanzi, E. Gagliardi, “Accogliere per separarsi: dipendenza, autonomia e conclusione dell’affido” in CAM, Nuove sfide per l’affido, FrancoAngeli, 2012, Milano, p. 161.

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Come abbiamo già detto, l’affidamento per quanto organizzato e costruito seguendo i criteri più adeguati, sarà sempre un susseguirsi di congiunzioni e distacchi.138

E allora perché la relazione tra le due famiglie non può costituire uno dei presupposti fondamentali dell’affido come lo è la recuperabilità, la temporaneità, ecc…?

La conoscenza reciproca tra la famiglia affidataria e la famiglia naturale del minore, dovrebbe essere “…ormai prassi acquisita, divenuta un riflesso incondizionato.”139

Com’è possibile, allora, su questi presupposti che contemplano investimenti emotivi e rappresentazioni personali differenti, strutturare dei percorsi condivisi? Come possono attrezzarsi gli operatori in tal senso ?

I servizi possono sicuramente avere una funzione di “collante” in tutto l’intreccio di relazioni, ma per far questo devono avere a disposizione tempo, risorse, preparazione adeguata e spazi appropriati di riflessione e confronto.

Si sottolinea l’importanza del lavoro multidisciplinare, poiché l’aiuto per poter auspicare ad un buon progetto di affido familiare deve avvenire tramite un corretto lavoro di equipe multiprofessionale, orientato in una visione sistemica ed in un integrazioni di saperi, sempre dinamico, flessibile, indirizzato al cambiamento ed alla rivalutazione delle differenti situazioni, anche in itinere.

Emerge l’importanza del lavoro di rete il quale ha una doppia funzione di sostenere le difficoltà e la solitudine degli operatori per una

138

F. Vadilonga, “La cura della famiglia d’origine nel progetto di affido” in CAM, Nuove sfide per

l’affido, FrancoAngeli, 2012, Milano, p. 45.

139

A. Penna, Curare i bambini tramite le relazioni, in CAM, Nuove sfide per l’affido, Franco Angeli, Milano, 2012, p. 74.

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condivisione delle responsabilità e un “alleggerirsi dall’ansia di essere solo”.

La rete intesa però anche una circolarità di persone-organizzazioni-risorse.

Barnes definisce la rete come un insieme di puntini (che sono le persone) collegati da linee (le interazioni tra queste esistenti)140.

È l’interazione a formare questa rete, una rete sicuramente complessa e piena di intrecci.

Una rete che non coinvolge quindi solo i professionisti ma tutti i soggetti protagonisti di questo percorso.

Forse sarebbe più corretto parlare di reti poiché non esiste solo l’interazione all’interno di una rete ma l’interazione stessa tra differenti reti, reti considerate come elemento diagnostico, di valutazione della situazione, una risorsa da attivare, conoscere, supportare ed un ambito operativo.

La co-collaborazione, in definitiva, intesa come fiducia, assenza di giudizio, valorizzazione e condivisione delle risorse e costruita in maniera strutturata, partecipata e assimilata dovrebbe essere una modalità di lavoro che sostenga tutte le fasi di un percorso di tutela e protezioni di un minore e di recupero di una famiglia in difficoltà. In conclusione, la complessità nell’affido va oltre il singolo intervento ma coinvolge tutto il sistema sociale, poichè si snoda in vari frangenti: complessità nelle relazioni, complessità delle interazioni e del susseguirsi di modelli intergenerazionali, delle azioni di diversi soggetti che pur appartenendo a contesti diversi devono convogliarsi in un’unica direzione.

140

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La complessità può essere attenuata attraverso la ridefinizione continua, la condivisione, il confronto, l’analisi delle esperienze, l’integrazione, per dirigerci verso la realizzazione di un modello fluido e chiaro che può essere di aiuto nella realizzazione di un progetto di affido.

L’utilizzo del caso è stato pensato per poter racchiudere e raccordare in uno stralcio di storia reale, in una piccola esperienza, tutti i soggetti del percorso dell’affido familiare, un po’ come muoversi all’interno del nostro percorso, con reali storie e reali volti.

Ho voluto unire tutti questi soggetti che forse, per la struttura che ho dato alla tesi, con capitoli dedicati ai singoli, sembravano essere in un certo senso scollegati e frastagliati, per sottolineare che invece esiste un filo che li unisce.

In ogni capitolo emergeva un attore e gli altri rimanevano nello sfondo, come se in ogni sezione ci fosse stato un solo protagonista. Nella realtà invece tutti sono protagonisti e tutti sono attori “fondamentali”, uniti da un filo che nella stesura della tesi sembra trasparente ma in realtà è molto resistente, è lo stesso filo che unisce le storie e si trascina dietro qualcosa volto alla costruzione….

Quello che voglio dire, è che al di la della teoria, dei libri, ciò che conta è dare valore anche agli aspetti emozionali diretti e contingenti e forse spesso la complessità dell’affido è anche questo: nulla può insegnarti e lasciarti più dall’esperienza vera e propria vissuta sul campo, la complessità che poi si rileva è data dall’interagire e mettere in gioco energie per un lavoro che poi è qualcosa di più, è un progetto di vita di un minore che cresce, della sua famiglia, coinvolgendo la famiglia affidataria e gli operatori attraverso l’empatia e l’interazione. Questa tesi per me è stata davvero “un percorso” di vita.

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“…c’è voluta una favolosa complessità di interazioni biologiche e sociali per arrivare ad un semplice sorriso”.

Edgar Morin

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