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CAPITOLO 3 IL TEATRO ITALO-RUSSO DI OSSIP FELYNE

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CAPITOLO 3

IL TEATRO ITALO-RUSSO DI OSSIP FELYNE

In questo capitolo si individuano le caratteristiche fondamentali dei testi teatrali di Ossip Felyne. Procediamo innanzitutto a fornire un’idea generale sulla produzione teatrale dell’autore. In seguito, trattiamo brevemente il teatro italiano nel ventennio fascista, e nella sezione successiva l’eredità del teatro russo, citandone alcuni importanti sviluppi tra XIX e XX secolo. Ci concentriamo, infine, sull’analisi di alcuni testi, di cui si mettono in evidenza gli elementi di maggiore interesse.

1. La produzione teatrale

Per la porta, I paladini della dama a lutto, La donna che mente e Il sostituto sono le opere che analizziamo nel dettaglio, e di cui si forniscono informazioni nelle sezioni successive. Per quanto riguarda il resto della produzione dello scrittore, si ricordino anche le già citate Tre sere d’amore, rappresentato al Teatro degli Indipendenti a Roma (1923)1, e Stelle spente (1929), scritta in collaborazione con la moglie Lia Neanova. Quest’ultimo testo viene messo in scena dalla compagnia delle sorelle Gramatica, attrici di primo piano2. La prima si tiene al Teatro Politeama Chiarella di Torino3. Frutto di un’altra collaborazione con la moglie è l’adattamento teatrale del romanzo Anna Karenina, in quattro atti e cinque quadri, uscito nel 19314. Nello stesso anno, l’opera viene pubblicata nella rivista diretta da Felyne, «Teatro per tutti» (1930-1938). Qui, oltre a quelli già menzionati, compaiono anche i seguenti testi

1 D’AMELIA - GARZONIO -SULPASSO 2011.

2 Irma Gramatica (1864-1962) e la sorella minore Emma (1874-1965) calcano il palcoscenico

fin da bambine, in compagnie celebri come quella di Eleonora Duse. Famose soprattutto come attrici di teatro, sono attive anche nel cinema muto. ALOVISIO 2003;GATTI 2002.

3 PICCOLO 2015,pp. 242-258. 4 FELYNE 1938.

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drammatici: nel 1935 Il verdetto5; l’anno successivo Chiacchiere in anticamera6 e Chiacchiere in una famiglia per bene7; nel 1937 Chiacchiere in un nido d’amore8, e nel ’38 due testi: Il volo più alto9 e La danza dei diamanti10. Nei cataloghi completi delle pièces pubblicate nella rivista, si riportano anche informazioni relative alle compagnie coinvolte nelle rappresentazioni, qualora degne di nota, e il genere del testo. Il verdetto e Chiacchiere in un nido d’amore hanno trame drammatiche, mentre Chiacchiere in anticamera è di genere comico-sentimentale; Chiacchiere in una famiglia per bene è un’opera comica; Il volo più alto è l’unico testo di Ossip Felyne a figurare come di genere patriottico; La danza dei diamanti è una commedia brillante, genere teatrale minore, caratterizzato da umorismo e vivacità dei dialoghi11. Marina Moretti cita anche le opere teatrali Giovinezza e Schegge di vita nella cornice di un atto, uscite nella rivista «La Lettura» (1901-1946), ma non si hanno informazioni circa il genere, né la data di pubblicazione12.

1.1 Gli intrecci: due testi a confronto

In questa sezione ci soffermiamo brevemente sul confronto tra due opere non incluse nelle analisi successive. Ciò, a mio parere, fornisce una buona introduzione al resto del capitolo, in quanto dà al lettore un’idea di cosa aspettarsi dalla produzione teatrale di Ossip Felyne.

Tipicamente, le opere di Felyne presentano intrecci amorosi, basati su inganni ed equivoci, con esiti drammatici o a lieto fine. Inoltre, essi sono quasi tutti ambientati in generici ambienti borghesi: un salotto, una villa suburbana, una villetta in città. In Stelle spente fanno da protagonisti le convenzioni sociali.

5 Ibid. 6 Ibid. 7 Ibid. 8 Ibid. 9 Ibid. 10 Ibid. 11 SABATINI -COLETTI 2008,vc. 3. 12 MORETTI 2009.

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Siamo probabilmente a Odessa, vista la presenza del mare sulla scena. Dopo il matrimonio e il trasferimento in Sudamerica della figlia Nadia, i coniugi Sergio e Anna gettano la maschera della famiglia perfetta, e Sergio caccia la moglie da casa, con l’accusa di adulterio. La sorella di lei, Vera, cerca di riconciliare la coppia, ma Anna le confessa di averle nascosto le lettere d’amore del marito indirizzate proprio alla sorella. Così, Vera e Sergio, dopo vent’anni di allontanamento, si riavvicinano. Sergio deve partire per la Siberia, ma Vera decide di non seguirlo, per non complicare la situazione familiare della sorella, e non causare sofferenze a Nadia13.

Molto diverso è il soggetto scelto per Il volo più alto. L’opera si costituisce di un solo atto, in cui recitano ben nove attori uomini e nessuna donna. Siamo in una casa di cura per malati di mente, negli anni ’30. Tra i personaggi ci sono l’uomo trasparente, l’inventore e Luigi XVI, un paziente convinto di essere il re francese. Gli altri pazienti gli si rivolgono rispettosamente, chiamandolo maestà. Troviamo anche il personaggio vecchia signora, un uomo ricoverato, che Luigi chiama ‘madama’, convinto che si tratti di una donna. La verosimiglianza dell’universo costruito nella commedia è minata dai continui riferimenti ai motivi stessi dell’opera teatrale, ricordando allo spettatore che si tratta di finzione: Luigi XVI, verso la fine dell’atto, «comincia a credere»che il signore vecchia signora «sia donna davvero»14, di fatto mettendo in dubbio la stessa follia del personaggio. Ne deriva che la pazzia potrebbe essere a sua volta una simulazione, creando una struttura metateatrale. Non è chiaro come debba essere interpretata la definizione della commedia come patriottica, anche se è probabile che il personaggio storico di Luigi XVI voglia far pensare ad una qualche rivoluzione storica in atto, presumibilmente legata all’ideologia fascista.

Da questa brevissima comparazione si rileva che Felyne fa uso dei motivi del teatro borghese, ma guarda anche alle innovazioni del periodo, giocando con l’illusione scenica, e trattando a volte argomenti diversi da quello amoroso. Queste osservazioni saranno approfondite nel corso del capitolo.

13 NEANOVA -FELYNE 1930,pp. 42-51 in PICCOLO 2015,p. 244. 14 FELYNE 1938,n. 3, pp. 3-9.

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1.2 I testi teatrali nel periodo fascista

La sociologa Mabel Berezin ha esplorato i rapporti tra forme e contenuti teatrali e fascismo nell’articolo Cultural Form and Political Meaning: State-subsidized Theater, Ideology, and the Language of Style in Fascist Italy. Nel ventennio fascista l’ideologia del regime penetra nella cultura del paese, eppure, dall’analisi di Berezin sembrerebbe che i veri e propri contenuti ideologici siano rari nei testi drammatici del tempo. Secondo la studiosa, ad assorbire la visione del regime è la forma e l’organizzazione teatrale, tanto più che il fascismo stesso si basava sullo stile, anziché sui contenuti, come afferma nel passaggio seguente.

The fascist language of style was remarkably consistent over time. The language that central fascist figures employed to speak about fascism, its principal policy doctrine (corporativism), and its artistic production suggests that style was a formal and invariant component of fascist ideology, whereas content was contingent and dependent upon changing political and social circumstances. Given this view of fascism, the fascist theater did not choose form over content; fascism was form itself.15

Negli anni ’20 e ’30 il teatro europeo fiorisce. Rinnovamenti nelle performance riguardano tanto l’imporsi della figura del regista come coordinatore dei ruoli e delle componenti dello spettacolo, quanto la concezione stessa del teatro, ora aperto all’interazione col pubblico, in un gioco di rottura di illusioni sceniche. In Italia si rimane legati alla tradizionale pièce borghese, con poche eccezioni16. Dalla fine dell’Ottocento, questo genere si concentra sulla rappresentazione della

15 BEREZIN 1994, p. 1266. Traduzione mia: «il linguaggio dello stile fascista rimase

straordinariamente costante nel corso del tempo. La lingua che le personalità centrali del fascismo adottarono per parlare del movimento politico, delle sue principali strategie (corporativismo), e della sua produzione artistica, indica che lo stile in sé era una componente formale invariabile dell’ideologia fascista, mentre il contenuto era contingente e modificabile a seconda delle circostanze politiche e sociali. Da questa visione deriva che il teatro fascista non si orientò verso la forma anziché il contenuto; il fascismo di per sé era forma».

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crisi dei valori della borghesia, in primo luogo in relazione alla famiglia. L’adulterio, dunque, è tra i temi prediletti. In questo contesto spicca l’innovazione di Luigi Pirandello, che consiste, in parte, nel riutilizzare le trame del dramma borghese in combinazione con strutture metateatrali e col motivo dello sdoppiamento tra personaggio e attore, elementi tratti dal teatro antico17. Nel 1934, l’associazione SIAE comincia a pubblicare l’annuario del teatro italiano. Qui si trovano informazioni relative alle trame e alle messe in scena avvenute nel paese18. Tra il 1934 e il 1940 vengono rappresentate ben 354 opere drammatiche, di cui, secondo Berezin, il 72% tratta questioni ordinarie della vita privata: dilemmi sentimentali, scandali, e problematiche etiche e morali. È questo un genere che avrà fortuna anche nelle produzioni cinematografiche, e sarà conosciuto come ‘cinema dei telefoni bianchi’. Berezin afferma che dei testi rimanenti, solo il 5% presentano temi direttamente attribuibili all’ideologia fascista. Il 15% è di argomento ambiguo, con intenti politici non chiari.19 Il governo distribuiva sostegno finanziario a determinati progetti teatrali, di fatto selezionando quelli più coerenti con la propria visione. Tuttavia, i criteri per la destinazione degli incentivi non necessariamente si curavano dei contenuti delle messe in scena (a meno che essi non si scontrassero con il pensiero del regime) ma delle modalità di rappresentazione. In generale, l’estetica fascista aveva lo scopo di suscitare emozioni, e soprattutto un senso di collettività. Non voleva stimolare ragionamenti20. Inoltre, le performance dovevano essere ben strutturate, rappresentate da compagnie in cui ogni membro era sottoposto a lunghi periodi di formazione: il teatro d’ora in poi era una questione di disciplina. Fino al XIX secolo, invece, a dominare la compagine teatrale italiana era il capocomico, direttore e generalmente attore principale della compagnia, il quale sceglieva ed interpretava i testi da mettere in scena. Il mattatore era dunque la figura di spicco, e agli altri attori si davano ruoli minori, fissi e prestabiliti, per

17 TAFFON 2005,pp. 24-63. 18 BEREZIN 1994,p. 1248. 19 Ivi,pp. 1248-1252. 20 Ivi,p. 1260.

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cui normalmente ciascuno eccelleva nella recitazione di una parte specifica21. Nel ventennio fascista, tale organizzazione veniva identificata con una visione liberalista. Il fascismo stava al polo opposto, perché Mussolini «believed that “if Liberalism spells individualism, Fascism spells collectivism”»22.Quei progetti che si sviluppavano intorno alla figura centrale del drammaturgo, di conseguenza, piacevano meno al regime. Tuttavia, personalità di rilievo come D’Annunzio e Pirandello non potevano essere ignorate, data la loro fama internazionale23.

Tornando alla produzione di Felyne, la ricerca di Berezin trova conferma nel ricorrere dei temi legati alla dimensione privata dell’individuo. I suoi testi sembrerebbero far parte di quel 72% di cui si è appena parlato, mentre Il volo più alto potrebbe essere classificato nel 15% delle opere dalle intenzioni potenzialmente politiche, ma dai propositi non chiari. Nel teatro di Felyne, però, si nota anche la presenza di alcuni drammi in cui ai temi tipici del teatro borghese si lega una certa ambiguità che impedisce un’interpretazione univoca. Mi riferisco ad alcune delle commedie illustrate nelle sezioni successive. Inoltre, si è già notato lo scardinamento della sospensione dell’incredulità in relazione al Volo più alto, elemento che compare anche in testi anteriori, come si vedrà. Per adesso si ricordi l’influenza delle innovazioni europee e pirandelliane, che probabilmente spinsero Felyne a qualche piccola variazione nel repertorio dei cosiddetti telefoni bianchi.

21 Ivi,p. 1258.

22 MUSSOLINI 1932,p. 43 in BEREZIN 1994,p. 1267. Traduzione mia: «era convinto che “se il

Liberalismo implica individualismo, il Fascismo significa collettivismo”».

23 Berezin spiega: «the regime found it expedient to provide them with funding and to permit

their projects to fail in the marketplace». Traduzione mia: «Il regime trovò conveniente dare loro finanziamenti e lasciare che i loro progetti fallissero nel mercato [delle produzioni teatrali]». Ivi, p. 1265.

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1.3 Il teatro russo e Ossip Felyne

Le caratteristiche di originalità che emergono in quel periodo rimandano, in ultima analisi, alle commedie plautine. Infatti, si rivitalizza il metateatro, con la tendenza a smascherare e sottolineare la finzione drammatica.24 Così,

Nikolaj Nikolaevič Evreinov (1879-1953), drammaturgo attivo nei primi decenni del 1900, dichiara la necessità di tornare alla teatralità, cioè a interpretazioni innaturali, fino all’esagerazione e al grottesco25.

A proposito del teatro russo, esso ha sicuramente giocato un ruolo importante nella formazione del nostro scrittore. Si vedano solo alcune tra le tante personalità responsabili dell’evoluzione del teatro nella madrepatria tra i secoli XIX e XX: a dare il la al realismo è Aleksandr Nikolaevič Ostrovskij (1823-1886), e teorie influenti sui metodi di recitazione sono proposte, tra gli altri, da Konstantin Sergeevič Stanislavskij (1863-1938), uno dei fondatori del Teatro d’Arte di Mosca, secondo il quale l’attore, anziché limitarsi a interpretare un personaggio, deve farlo vivere sulla scena.26 Stanislavskij, insieme all’altro fondatore del Teatro d’Arte, Nemirovič-Dančenko (1858-1943), mette in scena i testi teatrali di un altro maestro del teatro russo, Anton Čechov, a partire dal 1898. Quest’ultimo propone drammi del tutto innovativi. Non rappresenta più lo scontro del protagonista con il mondo circostante o con un antagonista, fino alla soluzione finale, ma riversa i temi dell’incomunicabilità e della disillusione di ogni ideale o valore, centrali nei suoi racconti, anche nel teatro, creandone una nuova tipologia, quello delle emozioni, in cui i personaggi affrontano i propri impulsi interiori e le proprie frustrazioni27. L’influenza čechoviana, nel contesto del dramma borghese, permette una maggiore attenzione ai sentimenti e alla psicologia dei personaggi in scena, caratteristica che va di pari passo con la recitazione spontanea e naturale voluta da Stanislavskij. Vent’anni dopo, anche

24 GARBARINO -PASQUARIELLO 2008, vol. 1, pp. 60-72.

25 Egli era convinto che la recitazione fosse un istinto primordiale dell’uomo, e che la

naturalezza che si richiedeva all’attore lo indebolisse. VACQUIER 1931,p. 52.

26 Ivi,p. 47.

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Felyne sceglie come temi principali quelli che hanno a che fare con le emozioni e la vita privata dei personaggi, ma nel suo caso si riversano nei luoghi comuni del teatro borghese, che nella produzione del periodo non costituiscono più un’innovazione. Inoltre, in molti casi rimane il motivo dello scontro degli eroi con la realtà circostante.

I modi di rappresentazione dello scrittore odessita sono tradizionali e naturalistici. È dunque da escludere l’influsso da parte di connazionali sperimentatori del settore, come il poeta e drammaturgo avanguardista Majakovskij (1893-1930) o come Vsevolod Emil´evič Mejerchol´d (1874-1940), che combinò scenografie avanguardistiche, visione simbolistica, e tecniche cinematografiche, oltre ad adattare alla recitazione sul set i principi della biomeccanica28.

Ci si aspetterebbe di trovare elementi in comune con la produzione teatrale di Leonid Andreev, non solo per la fama di questi nel nostro paese in quegli anni, ma anche e soprattutto per il ruolo di traduttore affidato a Ossip Felyne per i suoi testi teatrali. Rita Giuliani, nel suo studio La fortuna di Leonid Andreev in Italia, riporta l’opinione del critico Adriano Tilgher:

L’analisi verte sulla ricerca della cifra del mondo dell’artista che viene individuata nella problematica dell’impotenza del pensiero umano a scandagliare il fondo ultimo delle cose (per cui Andreev si configura come l’anti-Nietzsche) e a dare un senso alla vita. Ma Tilgher coglie anche alcuni momenti essenziali dei procedimenti andreeviani: la necessaria mancanza d’intreccio nei drammi incentrati sul motivo della dissoluzione interiore dell’uomo, l’assenza di “caratteri” intesi in senso tradizionale, la propensione dell’artista per la mescolanza di grottesco e di simbolismo, visto quest’ultimo come esigenza imprescindibile del mondo andreeviano.29

28 ROMANI 5/12/2017;COLUCCI -PICCHIO 1997. 29 GIULIANI 1982,p. 47.

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Dopo l’analisi della prosa di Felyne, il passaggio ci risulta familiare. Eppure, le somiglianze tematiche si notano solo in relazione ai testi prosastici. La disamina di alcuni testi teatrali illustrerà meglio i punti finora discussi.

2. Alcuni testi nel dettaglio: rappresentazioni, intrecci, motivi e interpretazioni

Lo scopo di questa sezione è presentare le informazioni ricavate a proposito delle messe in scena delle opere prese in esame. Per alcuni drammi sono disponibili notizie circa il successo della rappresentazione, e relativamente a produzioni successive alla prima. Per altre, le informazioni scarseggiano, e si possono solo fare speculazioni. Di tutte, procediamo a descrivere l’intreccio. Infine, anziché fare un’analisi esaustiva e completa, si mettono in evidenza solo le caratteristiche più rilevanti per la descrizione delle peculiarità del teatro di Ossip Felyne, e che, a mio parere, meglio illustrano le osservazioni fatte finora.

2.1 «Per la porta»

L’opera viene rappresentata per la prima volta il 20 marzo 1920, al Teatro Manzoni di Milano, dalla compagnia di Alfredo De Sanctis (1866-1954)30, figura di fama internazionale. Infatti, egli era stato primo attore in tournée con Eleonora Duse e direttore del Teatro d’Arte di Torino (1898)31. Dopo appena cinque giorni dalla prima, la pièce viene pubblicata sulla rivista «Comoedia», nella traduzione di Federigo Verdinois32 (titolo originale Čerez dverʹ). Il successo di cui gode è testimoniato dalle oltre 200 messe in scena successive33, e dai due adattamenti per il cinema, Il ladro, diretto da Luciano Doria (1891-1961) nel 192234, e Signor ladro, secondo episodio del trittico di

30 FELYNE 1920in ID.1926. 31 ASCARELLI 1991. 32 SULPASSO 2015,p. 162; PICCOLO 2015,p. 243. 33 GARZONIO 2013. 34 SULPASSO 2015,pp. 162-163.

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Bonnard (1923), (A morte, Signor ladro, Non è vero!), diretto e interpretato dal divo del cinema muto Mario Bonnard (1889-1965)35. Nella prima produzione compare, invece, l’attore noto al tempo Carlo Benetti (1885-1949)36. Soprattutto la seconda pellicola ottiene recensioni positive, e tra il 1922 e il 1924 brevi interventi compaiono su riviste quali «La Cine-Fono» e «La rivista cinematografica»37.

2.1.1 L’intreccio

Si tratta di una commedia sentimentale, basata sul contrasto tra un ladro dall’animo buono e nobile, e un padre di famiglia, esponente della borghesia, che si rivela un ipocrita, e maltratta la moglie e la figlia.

Il primo atto si apre nel salotto di una villetta in città. Una madre aspetta il ritorno del marito insieme alla bambina, intenta a giocare con la sua bambola Luisa. Sono già le dieci di sera, e nessuna delle due ha ancora cenato. Finalmente compare il padre. Egli dichiara di esser stato a una cena di affari, perché, per il suo lavoro, ha bisogno di coltivare relazioni in società. Ha offerto la cena ad alcuni clienti. Dalle proteste della moglie si capisce che la famiglia è in difficoltà economiche. Il marito è spesso assente, guadagna poco, e chiede continuamente soldi alla signora. Questa volta lei glieli rifiuta, perché non ne ha. Lui si fa arrogante e violento. La figlioletta, allora, spaventata, si mette tra i due, e il padre, in un attacco d’ira, le prende la bambola e la getta a terra, riducendola in pezzi. Mamma e figlia raccolgono i frammenti di Luisa, ne fanno un fagotto e lo sistemano nel buffet. Madre e padre escono, la bimba viene messa a letto. È notte. Da una finestra del salotto entra un ladro, e si mette a frugare in cerca di soldi e argenteria. Non si accorge dell’arrivo della piccola, che, tutt’altro che impaurita, lo osserva con curiosità, e gli chiede chi sia. Il ladro si mostra minaccioso, vuole il denaro. La bambina, allora, gli offre il misero contenuto del

35 Pseudonimo di Romolo Augusto Gizzi, fu commediografo, sceneggiatore, regista e

produttore cinematografico. CARPICECI 2003;PRONO 2005.

36 PRONO 2005.

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suo salvadanaio, che il ladro nondimeno si intasca. Si dirige, poi, verso il buffet. Dalla reazione preoccupata di lei, è convinto che lì si trovino soldi o gioielli, ma rimane deluso dal trovare i pezzi di Luisa. La bimba gli racconta l’accaduto, suscitando in lui la pietà. Le promette di regalarle una bambola più bella, e quando lei rifiuta, di aggiustare Luisa. Sopraggiunge la madre. È terrorizzata, e gli punta addosso una rivoltella. Il ladro cerca di tranquillizzarla, restituisce tutto il bottino, e mostra la propria compassione nei confronti della famiglia. La donna, stupita, abbassa l’arma, e lo invita ad uscire dalla porta principale, come un uomo comune38.

Il secondo atto prende una piega tragica. La bimba si è ammalata, per cui non si presenta all’incontro fissato con il ladro, che doveva restituirgli Luisa come nuova. Il ladro comprende la situazione vedendo entrare il dottore nella villetta. Questi assicura che si tratta di una banale influenza, e si preoccupa semmai della signora, cercando di convincerla a tornare a casa dei suoi genitori. Il dottore, infatti, è un amico di famiglia. Entra in scena il ladro con la bambola. Restituisce alla signora alcune lettere che le aveva sottratto per sbaglio. Poi si dirige a far visita alla piccola. La mamma rimane sola in salotto; a farle compagnia arriva il marito in tutta fretta: un affare è andato storto, e deve partire subito per l’estero, le chiede dunque del denaro. Lei gli dà il poco che le rimane. Il marito, non soddisfatto, le strappa via la borsetta, dove trova le lettere appena restituite, la corrispondenza della moglie e di un amico di lei, un uomo influente e molto ricco. La ricatta, dicendole che avrebbe messo su uno scandalo, vendendo le lettere alla stampa e spacciando la storia per una tresca. A salvarla dalle minacce è il ladro. Egli affronta il marito, lo ridicolizza, ma non è privo di compassione nemmeno per lui, che chiama scherzosamente ‘collega’. Infatti, all’arrivo della polizia, in cambio delle lettere, gli suggerisce una via di fuga, e gli dà una rivoltella. Il marito scappa, ma non va lontano: appena fuori casa si sente il rumore di uno sparo. Si è ucciso per non essere arrestato39.

38 FELYNE 1920in ID.1926, pp. 155-174. 39 Ivi,pp. 175-199.

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Nel terzo atto siamo di nuovo nella casa della signora. Lei e la figlia sono al cimitero. Sono in scena il dottore e la serva, intenta a preparare i bagagli: il padre della donna ha acconsentito a riprendere figlia e nipote con sé, per cui sarebbero presto partite. Il ladro si precipita a casa loro per salutarle prima della partenza. Qui, viene riconosciuto dal dottore, che l’aveva operato d’urgenza quando, tempo prima, si era rotto il cranio in un incidente. All’udire che si tratta di un ladro, il facchino assunto per il trasloco rifiuta il suo aiuto. Nel frattempo, il dottore è entusiasta della riuscita dell’operazione, e gli chiede di presentarsi alla sua clinica, dove avrebbe mostrato il caso prodigioso ai suoi colleghi. Queste parole suscitano nel ladro una profonda delusione, e si lascia andare ad un’amara invettiva nei confronti della società per bene, in cui nessuno è in grado di guardare nell’animo delle persone, e tutti si accontentano delle apparenze: per il facchino non è altro che un delinquente, per il dottore una cartella clinica, e poco gli importa se salvandogli la vita l’ha rimandato in prigione. Solo la serva gli dà fiducia e gli parla da pari a pari. Giungono mamma e figlia. Il ladro cerca di consolare la prima per il necessario abbandono della casa. Alla seconda chiede qualcosa con cui ricordarla. La bimba gli lascia il vecchio vestito azzurro di Luisa. La commedia si chiude con l’immagine del ladro che sventola il vestitino dalla finestra della villetta, come fosse un fazzoletto, a mo’ di saluto40.

2.1.2 Il ladro: tra umorismo ed etica

La scena finale combina la tragicità della sofferenza della madre, con la comicità che scaturisce dalla rappresentazione del ladro commosso di fronte alla finestra. In tutta la commedia il personaggio del ladro conferisce ai dialoghi e alle situazioni una nota umoristica. Inoltre, sebbene i suoi commenti suscitino spesso ilarità nel pubblico, essi esprimono frequentemente una profonda filantropia e una visione etica.

Andando per ordine dall’inizio del testo, nel rapporto con la bambina, l’umorismo emerge dallo scontro tra la prospettiva innocente di lei e le parole

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del ladro, le cui risposte presentano spesso una stratificazione di significati, quelli letterali e le allusioni, di cui la bimba riesce a capire solo i primi. Nel passaggio seguente, ad esempio, lo spettatore si diverte nel cogliere i rimandi del protagonista alla propria professione.

LA BAMBINA – Vedi! La mia Luisa è finita, finita! (si commuove)

IL LADRO –Non fare il musino…. Via! ... Domani, anzi, dopodomani mattina,

vieni al giardino pubblico, là dove ci sono i cigni nello stagno… Io pure verrò… E ti porterò un’altra pupa… Nuova, sana… Ne ho vista una oggi in una vetrina che sembra una principessa, coi capelli d’oro, un vestito tutto d’argento… LA BAMBINA –Ma costerà molto?

IL LADRO – A me non costerà niente… (tira fuori le tasche dei calzoni

rovesciandole). Vedi, io sono milionario!41

La bambina ingenua si accontenta della spiegazione ironica del ladro, senza capire che si tratta di uno scherzo. Il pubblico, invece, sa che non gli sarebbe costata un centesimo perché l’avrebbe rubata. Ancora, nel seguente dialogo tratto dal primo atto, risulta comico lo scontro tra le prospettive adulte, capaci di riconoscere un ladro, e consapevoli che ciò comporta pericolo, e la dolcezza e sicurezza della bimba:

LA SIGNORA – (vedendo il ladro manda un’esclamazione). Che succede?

IL LADRO – (vedendola balza in piedi e corre verso la finestra rimasta aperta, ma

la bambina lo trattiene).

LA BAMBINA –Non avere paura… è la mamma! ...

LA SIGNORA –(spaventata). Chi siete? Perché fuggite? ...

LA BAMBINA – (rassicurandola). È un ladro, mamma… Ma tanto buono… (si

stringe al ladro impedendogli di scappare).42

41 Ivi,p. 169. 42 Ivi,pp. 171-172.

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Altrove, i rinvii del ladro alla propria identità di fuorilegge sono sovrapposti da situazioni ordinarie di tutt’altro tipo: nel raccontare della propria attesa nel parco, il ladro descrive il desiderio per una catena d’oro nei termini di una forte attrazione per una bella donna.

[Alla signora] Figuratevi: una vera provocazione… Vicino a me s’era seduto un grosso signore, la cui catena d’oro, distesa sulla pancia a portata di mano, mi lanciava delle occhiate assassine! ... E vi giuro, non ero io a guardarla! Era lei che faceva la civetta!43

Il ladro fa spesso paragoni tra la propria vita e le vicende degli altri personaggi. Tali confronti, però, risultano a volte inopportuni, e ciò contribuisce a creare comicità. Nel passo seguente, sebbene egli parli con estrema serietà della propria sofferenza, il risultato è tragicomico: la signora era stata costretta a sopportare le angherie del marito per anni, finché comprende, con estrema tristezza e delusione, che la pazienza che ha coltivato per amore di lui e della figlia è stata vana. Adesso che lui è morto la vita in quella casa non ha più alcun valore: «di tutta la gioia… delle mie lacrime… del mio dolore… Non è restato ora che questo (indica le immondizie nell’angolo)»44. La risposta del ladro è quella che segue:

IL LADRO – (con serietà). Anch’io ho sofferto quando mi cambiavano di cella alle

carceri. Anche i ragni mi facevano pena quando li lasciavo… erano come dei vecchi amici…45

Sicuramente anche il ladro ha alle spalle un passato di sofferenze, ma l’accostamento della separazione dai ragni che abitano le celle di una prigione

43 Ivi,p. 184. 44 Ivi,p. 221. 45 Ivi, p. 222.

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all’abbandono della casa in cui si è formata la famiglia della donna, e dove avviene la morte del marito, stona, e tale incongruenza crea umorismo. Ciò non significa che il ladro non commiseri la signora, anzi. Il parallelismo, che inizialmente può sembrare inopportuno, a ben vedere è rilevante, in quanto per lei quella casa è come una prigione.

Un altro commento fuori luogo, che suscita la sorpresa e l’ilarità dello spettatore, è quello che segue la morte del marito.

(Si ode un colpo di revolver. Tutti trasaliscono. La signora si aggrappa alla

inquadratura della porta e reclina il capo sulla spalla, restando così, immobile, muta, come una statua del dolore.)

IL LADRO –(sorpreso – con ammirazione). Non lo credevo capace!46

Come si diceva, egli è particolarmente duro col signore. Conscio del proprio ruolo in società, lo umilia definendolo suo pari, con l’unica differenza che si servono «da sarti diversi»47. Il tono scherzoso, ma nondimeno critico, nei confronti del marito, volto a ferirlo nell’orgoglio, dà luogo a passaggi del genere:

IL SIGNORE –Chi è costui?

IL LADRO –[…]Come, non riconosci gli amici? IL SIGNORE –Amici?

IL LADRO –Ma sì! Soltanto noi due ci serviamo da sarti diversi… Ho l’onore di ricordarti… (posa la tazza sul tavolo e fruga nelle tasche). Peccato, non ho il biglietto da visita… Ma fra gentiluomini come noi, non serve… Nelle nostre visite è meglio conservare l’incognito….

IL SIGNORE –(pone il monocolo all’occhio e squadra dall’alto in basso il ladro). Ma d’onde sbucate?

IL LADRO –Del voi, fra noi? Caro mio, tu perdi il bene dell’intelletto….

IL SIGNORE –Ma che volete?

46 Ivi,p. 199. 47 Ivi,p. 190.

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IL LADRO –Ritira la parola, spaventapasseri, e smetti di guardarmi a traverso da quella finestra! (fa il gesto di mettere il monocolo).48

Nonostante la professione di ladro, poi, il protagonista si atteggia a intellettuale. Egli cita spesso Marx, e riprende le sue teorie sulla lotta di classe per spiegare agli altri personaggi le ragioni che determinano i loro rapporti. Così egli torna a rivolgersi al marito:

IL LADRO –[…] Fai male a vergognarti di un amico, solo perché è vestito male,

mentre tu sei in smoking… Anche nel nostro ambiente vi sono dei proletari e dei capitalisti… Quantunque la gerarchia della nostra società non sia ancora codificata… […] Ma lo scopo tuo ed il mio è lo stesso: siamo gli applicatori di una teoria intermediaria fra la dottrina anarchica e quella della proprietà privata. Sei d’accordo con me? Ognuno lavora come può nel suo ambiente…49

E alla pagina seguente continua:

IL LADRO –[…] Mi fai compassione come un collega sfortunato… Tu non accetti

la mia pietà perché hai dei pregiudizi sociali… Ma occorre che tu ti spogli della boria borghese che hai […].50

Il marito, comunque, viene perdonato, poiché il ladro è dotato di un senso filantropico fuori dal comune, in quanto capace di individuare l’umanità anche nei personaggi più negativi. Allo stesso modo, in una società dedita alle apparenze come quella borghese, madre e figlia ripongono la propria fiducia in un umile ladro, che trattano come fosse un gentiluomo. Proprio come avveniva nelle commedie plautine, con un rovesciamento dell’ordine costituito, sono gli

48 Ivi,pp. 190-191. 49 Ivi,p. 194. 50 Ivi,p. 195.

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umili ad essere rappresentati sotto la luce più lusinghiera51: il ladro e la serva sono migliori anche del dottore, che nonostante sia «dotto»e conosca «molto bene l’anima umana»52, come dichiara ironicamente il ladro, si è comportato in modo egoista e materialista.

Vi siete servito della bestia ed avete gettato nel carnaio il cadavere! ... Perché non avete continuata la cura, ma la cura dell’uomo che stava dentro al ladro? ... Era in carcere, accanto a me, il vostro posto, o zelantissimo e pietoso amico!53

Al che il dottore risponde infastidito: «E finiscila!». Anche la serva è saggia. A pagina 205 esprime a modo suo una critica nei confronti del reale:

IL DOTTORE –il mondo è grande e Dio provvede…

LA SERVA –il mondo? ... Sì, è grande, ma gli uomini ci stanno stretti come i vestiti che ho messo là dentro… Ma i vestiti non si urtano tra loro…54

A segnalare ulteriormente un ribaltamento di ruoli, si noti che l’unico personaggio ad avere un nome, per assurdo, è la bambola Luisa, mentre gli altri sono definiti tramite nomi comuni.

A conclusione di questa breve analisi, spendiamo due parole sulle caratteristiche generali del testo. Esso ha una struttura e un argomento che rientra in pieno nel genere della commedia leggera, volta all’espressione di un messaggio morale scontato: la necessità della filantropia, del guardare oltre le apparenze. Dalla prosa di Felyne ritorna la figura della bambina innocente, la cui ingenuità diventa qui un mezzo per creare ilarità. Ritorna, inoltre, la figura

51 Le strutture ed i personaggi tipici delle commedie di Plauto si riversano, poi, nel teatro

moderno, ad esempio nelle opere di Molière e Goldoni. Quest’ultimo esercita una forte influenza in Russia nel 1700, e nel secolo successivo è tra i maestri di Gogolʹ e Ostrovskij. GARBARINO -PASQUARIELLO 2008, vol. 1 pp. 60-72; FERRAZZI 2014,pp. 63-73.

52 FELYNE 1920in ID.1926,p. 213. 53 Ivi,p. 212.

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dell’intellettuale tormentato, che riflette su ogni aspetto del reale e della propria esistenza, con la sola differenza che Sergej Lavrentev e Martinov sono personaggi tragici, mentre il ladro è tragicomico. Così, le sue critiche all’ineguaglianza sociale, nel contesto della commedia, sono del tutto ignorate o respinte dagli altri personaggi, come fossero capricci di un bambino: il dottore gli dice di finirla, e il signore gli grida: «oh! Basta, perdio!»55. Ne risulta che il pubblico percepisce il messaggio morale in forma attenuata.

2.2 «I paladini della dama a lutto»

La prima si tiene al Teatro Valle di Roma, il 20 novembre 1923, ad opera dalla compagnia di Alfredo Sainati (1870-1936)56. Il Teatro Valle era uno dei più antichi della capitale e ospitava produzioni di un certo livello57. Ciò dà prova ulteriore della fortuna di Felyne in quel periodo. Sainati è famoso soprattutto per aver introdotto in Italia il genere teatrale parigino Grand-Guignol, caratterizzato da scene macabre e violente58. Tuttavia, I paladini della dama a lutto non fa parte di questo tipo di rappresentazioni. Si tratta, di nuovo, di una commedia leggera, anche se insolita rispetto alle convenzioni teatrali borghesi.

2.2.1 L’intreccio

Il testo si compone di due quadri. Il primo si apre in un ristorante all’aperto, un luogo ameno, dove lo strano signore e l’amico fanno colazione. I due sono in confidenza, ma dopo qualche battuta rivelano di essersi conosciuti appena poche ore prima, in un locale chiamato Tabarin. È l’amico ad aver scelto il ristorante fuori città, dove va ogni giorno. Lo strano signore gli parla dell’imminente incontro con la propria fidanzata, e subito si configura come un inguaribile romantico, alla ricerca dell’amore ideale. L’amico, allora, gli svela il motivo per cui frequenta quel ristorante: gli indica una dama, dall’aria triste e misteriosa,

55 Ivi,p. 194.

56 FELYNE 1923in ID.1926.

57 D’AMELIA -GARZONIO - SULPASSO 2011, pp. 318-320. 58 ROMANI 7/12/2017.

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che fin dal primo incontro ha attirato la sua attenzione. Sebbene la segua da giorni, ancora non gli è riuscito scambiare una sola parola con lei. Nel tentativo di ottenere qualche informazione sul suo conto, l’amico osserva ogni suo movimento, persino le sue scelte dal menu. La signora mangia poco, sempre verdura, un po’ di pollo o pesce. Beve solo acqua minerale, «per un giglio basta e avanza»59. È sempre sola, e non parla con nessuno, tranne che col cameriere. Interrogato, egli assicura che la signora parla perfettamente l’italiano, perciò non può essere straniera. La donna è un vero e proprio enigma, e anche i suoi occhi sono «di un colore indeterminato»60. L’amico deve partire, e lascia allo strano signore il compito di risolvere il mistero. Questi ne è incuriosito, e con la scusa di fornirle gli orari del treno per le linee meridionali, si avvicina al suo tavolo, e attacca discorso. Lo strano signore pare dimenticare del tutto la fidanzata, perché si lascia andare a complimenti e romanticherie. La donna è incoraggiata ad aprirsi: di lei si dice che ha sofferto molto. I suoi occhi appaiono ora del colore della speranza, il bel volto esprime stanchezza. Lo strano signore se ne invaghisce. A interrompere la loro appassionata conversazione sono i colpi di tosse della dama, infastidita dai fumatori del tavolo vicino. Infatti, nel frattempo hanno fatto il loro rumoroso ingresso il signore col monocolo, il signore col fiore all’occhiello e il signore senza connotati speciali. I tre sono ubriachi, e quando lo strano signore chiede loro cortesemente di smettere di fumare, rispondono per le rime, prendendosi gioco di lui. Scatta una rissa, tra le deboli proteste della dama, in procinto di svenire, e i commenti dei presenti, oltraggiati dalla mancanza di rispetto nei confronti della donna. Il paladino della dama pallida, come viene definito, decide di battersi in un duello con il signore col monocolo. Due ufficiali accettano di fargli da secondi. La dama si mostra sollecita nei confronti dell’uomo appena conosciuto, e quest’ultimo ne è lusingato. Il quadro si chiude con la promessa di un nuovo incontro romantico61.

59 FELYNE 1923in ID.1926,p. 110. 60 Ivi, p. 107.

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Il secondo atto è ambientato in una radura isolata, dove deve tenersi il duello. Lo strano signore getta la maschera dell’innamorato: ha una fidanzata, e non vuole che si venga a sapere «questo stupido incidente»62, chiede dunque agli ufficiali di essere discreti. I due annuiscono e lo rassicurano. Al momento dello scontro con il signore col monocolo, i secondi lo immobilizzano: il duello si rivela un inganno. Gli ufficiali, i tre signori del tavolo vicino, perfino l’amico del Tabarin e la dama in lutto sono complici di un tranello per derubarlo. Lo strano signore viene addormentato con il cloroformio. Fa la sua comparsa la donna, amante del signore col monocolo. Fra i due comincia una discussione accesa. Lei non è soddisfatta. La messa in scena, per quanto la riguarda, non presenta alcun vantaggio: è costretta a recitare la parte della santarellina, ad accontentarsi di «asparagi e piselli», mentre gli altri «gozzovigliano che è un piacere»63. L’amore ideale dello strano signore è in realtà tutt’altro che un giglio. Il signore col monocolo tenta di tranquillizzarla, promettendole denaro e gioielli, perché gli assegni bancari non le piacciono: «quattrini contanti ci vogliono!»64. Rappacificati, i due si lasciano andare in un bacio appassionato, che dura più del previsto. Allora, lo strano signore, nonostante il cloroformio, balza in piedi, e li raggiunge. Grida loro di smetterla: «questo non entra nel programma! Non lo permetto! Basta! Sono o non sono il marito?»65. Attore e personaggio si confondono, e il primo se la prende con gli altri due membri della compagnia, presenti sulla scena. Dalle quinte gridano di calare il sipario, ma la tenda rimane a metà, per un guasto alle corde. Entra l’ultimo, chiamato così perché sopraggiunge al termine della commedia. Egli è anche il direttore della compagnia. Si rivolge allo strano signore, cerca di calmarlo, gli ricorda la sua parte («qui tu sei un corpo morto e devi stare per terra!»66), e la trama del terzo quadro. Si scusa con il pubblico: «Signori miei! In nome di Dio, non ci fate caso!

62 Ivi,p. 131. 63 Ivi,p. 140. 64 Ibid. 65 Ivi,p. 142. 66 Ivi,p. 143.

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...»67. Nel frattempo, il palco si riempie di tutti gli altri, personaggio collettivo che include comparse e attori di ogni tipo, mezzo vestiti e mezzo truccati, e anche un ragazzino con le dita nel naso. Nonostante le suppliche dell’ultimo, lo strano signore non sente ragioni. Tra le autocommiserazioni del direttore, si rivolge agli spettatori e racconta anch’egli gli eventi del terzo quadro dal punto di vista del suo personaggio: innamorato senza speranza, decide di aderire al gruppo di malviventi pur di rimanere vicino alla dama. Lei, però, ama un altro, il signore col monocolo. Conclude affermando il cattivo gusto della commedia. Nell’impedire la recitazione del terzo atto, ha addirittura fatto un favore all’ultimo, che altrimenti sarebbe stato mangiato vivo dalla critica. Compare, infine, il suggeritore con il copione, e lo consegna allo strano signore. Quest’ultimo, con un ulteriore colpo di scena, si rammenta dell’inesistenza del terzo atto, e anche gli spettatori, dichiara, ne sono a conoscenza, dato che sul programma si specifica che la commedia è in due quadri68.

2.2.2 La caricatura della commedia sentimentale e il teatro nel teatro

È questo il testo più originale tra quelli discussi in questa sezione. L’opera può essere interpretata come un ribaltamento del genere della commedia sentimentale, che eredita le componenti tipiche dell’intreccio dalla commedia nuova attica. In questa tipologia drammatica, di solito sono protagonisti due giovani innamorati ostacolati in vari modi nella realizzazione del proprio amore69. La coppia in questione è data dallo strano signore e la dama in lutto, accomunati da una sensibilità straordinaria: lei, in quanto essere delicato e vittima di sofferenze non specificate; lui, perché dotato di un senso estetico che gli permette di cogliere il valore della bellezza. Ad ostacolarli c’è il gruppo molesto al tavolo vicino, e la prospettiva della morte per via del duello. A questa struttura si aggiunge il motivo celeberrimo della donna misteriosa e affascinante, dall’aria innocente e virtuosa. È la donna in lutto, concretizzazione di ogni cliché

67 Ivi,p. 144. 68 Ivi,pp. 131-148.

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delle eroine letterarie. Lo strano signore, da parte sua, è dominato da una visione romantica70. Per lui la bellezza femminile è «la manifestazione superiore delle armonie della natura»71. Avere di fronte la bellezza, secondo lo strano signore, è un’esperienza sublime, nel significato pieno del termine72, poiché essa «non provoca piacere, ma crea un dolore»73. Felyne, dunque, gioca con i luoghi comuni dell’eredità del romanticismo e della commedia sopra descritta, e li scardina. Infatti, l’amore ideale dello strano signore è frutto di un meschino inganno: non c’è nessuna coppia unita contro le avversità, ma è da solo contro un gruppo di comuni malfattori. Quel che è peggio è che ne fa parte anche la dama, prima incarnazione del suo sogno di bellezza, adesso donna volgare. Inoltre, la commedia stessa non viene portata a termine, poiché l’attore che interpreta lo strano signore si rifiuta di continuare la rappresentazione, affermando la banalità della trama. Nel raccontare il triangolo amoroso del terzo quadro, l’attore-strano signore commenta nel seguente modo: «[…] è, forse, interessante? ... È, forse, una situazione nuova?»74. Le intenzioni parodiche dell’autore sono così confermate.

La demolizione delle chimere del sentimentalismo, per usare la terminologia del testo75, comincia già prima del secondo quadro. Il pathos nelle parole dello strano signore e la sua cavalleria, infatti, sono tanto enfatizzate da risultare di per sé caricature. Vediamo alcuni esempi. Appena pochi minuti dopo il primo incontro con la donna, egli le parla così:

70 Il titolo ricorda l’espressione fraseologica Рыцарь печального образа, rycarʹ pečalʹnogo obraza, trad. lett. ‘cavaliere della triste immagine’, che significa ‘sognatore’, ‘ingenuo’.

L’espressione è originaria del Don Chisciotte. BEZDENEŽNYCH 2014. Non è un caso che nell’opera lo strano signore si autodefinisca ‘cavaliere della triste figura’. FELYNE 1923in ID. 1926,p. 125.

71 Ivi,p. 118.

72 Secondo E. Burke (1729-1797) è fonte della sensazione del sublime in arte tutto ciò che può

suggerire l’idea di dolore o pericolo. ROMANI 12/12/2017.

73 FELYNE 1923in ID.1926,p. 119. 74 Ivi,p. 147.

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LO STRANO SIGNORE –[…] Non è possibile considerare come perduto un tempo

passato occupandosi di voi. (LA DAMA fa un gesto). Oh! No! No. Non protestate:

non si può proibire al alcuno di inseguire il proprio sogno, la propria chimera, la quale, apparsa ad un tratto, lo separa dal resto della sua vita di prima, per diventare vita lei stessa.76

Continua in questo modo, poche pagine dopo:

LO STRANO SIGNORE –Non posso ammettere che vi si tratti con irriverenza. Siete una donna, innanzi tutto.

LA DAMA IN LUTTO –Dio! Dio mio!

LO STRANO SIGNORE –E poi… Siete il mio sogno, ve l’ho detto. Ma voi state per

svenire! Volete dell’acqua?77

Si consideri, infine, il seguente passaggio.

LO STRANO SIGNORE –[…]Ammettiamo che io sia ferito…

LA DAMA IN LUTTO –Oh! No… no… Non parlate così…

LO STRANO SIGNORE –Nei vostri occhi c’è di nuovo un enigma. Sarei per dire, un enigma verde. Sarebbe possibile che voi vi addoloraste se qualche cosa mi accadesse?

LA DAMA IN LUTTO –Tacete. Tacete. Voi siete buono, generoso. Siete veramente il mio paladino.

[…]

LO STRANO SIGNORE –Ora per la prima volta sento la dolcezza della vostra voce. È tanto strana la voce della mia chimera! Come i suoi occhi!78

L’atteggiamento romantico dello strano signore è comico anche in considerazione dell’amore che fino a qualche pagina prima giurava di provare

76 Ivi,p. 118. 77 Ivi, p. 122. 78 Ivi, p. 125.

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per la fidanzata. Inoltre, anziché fare da intermediario per l’amico, egli corteggia la donna in prima persona. La sua affettazione si scontra con le reazioni degli astanti durante la rissa, creando ulteriore umorismo. Un uomo, nel parlare del fatto con la fidanzata, lo sminuisce così:

SECONDA COPPIA D’INNAMORATI –Com’è interessante! Che occhi!

– Ma a te sembrano tutti interessanti! Hanno bevuto, hanno fatto del chiasso, si sono bisticciati per la prima venuta…79

L’ilarità si accentua nel corso del secondo quadro, quando agli spettatori viene messa di fronte la dama, priva oramai di qualsiasi tratto di incantevole fragilità e enigmaticità. D’altra parte, all’inizio della commedia l’amico dichiara, come ad anticipare il finale dell’opera: «l’affascinante mistero si discioglierà nel comune o nel ridicolo»80.

Nel secondo quadro a provocare la risata è anche la rottura dell’illusione scenica, che permette una sovrapposizione tra realtà teatrale ed extrateatrale, con un gioco di doppi sensi. A questo proposito, si veda il seguente dialogo.

L’ULTIMO –Ma tu sei diventato pazzo! È pazzo! È pazzo! Dio mio! Che cosa succede adesso? Questo è il finale del secondo quadro… C’è ancora tutto il terzo nella tana dei ladri, dove ti porteranno cloroformizzato. E là ci sarà la grande scena d’amore tra loro. Sai bene che lei è la sua amante…

LO STRANO SIGNORE –(s’avvicina all’ULTIMO e lo prende per il colletto della giacca). Cosa hai detto? Lei è la sua amante? Ripetilo, se hai il coraggio…81

L’ultimo si riferisce alla trama della commedia, ma l’altro pensa si tratti di un riferimento alla tresca tra i due attori. Più tardi, nel pieno del suo monologo, lo strano signore combina nuovamente la dimensione dell’intreccio con il reale:

79 Ivi,p. 123. 80 Ivi,p. 112. 81 Ivi,p. 143.

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[…] E tutto ciò, perché mi sono innamorato cotto di questa egregia signora… (indicando sua moglie, che recitava la parte della DAMA IN LUTTO). […] Non posso staccarmi da lei, voglio passare la mia vita accanto a questa (indicando la

moglie con rabbia) accanto a questa creatura del mio sogno… (LA DAMA IN LUTTO vuole parlare, ma egli lo impedisce). Come se non mi bastasse il tempo

che passiamo a casa a bisticciarci! (LA DAMA IN LUTTO vuole parlare). Zitta, ti

dico! ... Dopo faremo i conti!82

I modi in cui si rivolge alla donna, «questa egregia signora» e «questa creatura del mio sogno», richiamano il personaggio della dama in lutto, ma, allo stesso tempo, sembrano essere definizioni eufemistiche per la moglie infedele, scelte per evitare insulti. Infatti, l’attore parla con rabbia, e le pause, insieme alla ripetizione dell’aggettivo dimostrativo, danno l’impressione della ricerca delle parole adatte al contesto.

La caduta della quarta parete con l’intervento degli attori e l’inclusione del pubblico è anch’essa una commedia, poiché alla fine dello spettacolo l’attore-strano signore rivela che il terzo quadro non è mai stato scritto. Tale struttura ricorda le trame pirandelliane, che raggiungono completa maturazione con la trilogia metateatrale data da Ciascuno a suo modo (1924), Sei personaggi in cerca d’autore (1925) e Questa sera si recita a soggetto (1930)83. D’altra parte, non sarebbe la prima volta che Pirandello esercita la propria influenza su autori minori. Il personaggio folle del Volo più alto, convinto di essere Luigi XVI, richiama alla memoria l’Enrico IV (1922) del drammaturgo siciliano84.

Analogamente al testo precedente, i personaggi sono nominati attraverso perifrasi generiche, anch’esse umoristiche. Si pensi all’ultimo, al signore senza connotati speciali, e alle comparse prive di ruolo che si riversano sul palco, chiamate ‘tutti gli altri’. Anche la definizione scelta per la donna, la dama in

82 Ivi,p. 146.

83 TAFFON 2005,pp. 24-63. 84 Ibid.

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lutto, fa sorridere, quando è svelata la vera natura per niente sofferente ed elegante di lei.

Per riassumere, i procedimenti descritti in questa sezione creano umorismo, al pari del testo analizzato precedentemente. Essi consistono nel rovesciamento caricaturale dei luoghi comuni della commedia sentimentale e della visione romantica, e nell’uso della struttura del teatro nel teatro.

2.3 «La donna che mente»

Secondo l’edizione utilizzata per l’analisi del testo, l’opera sarebbe stata rappresentata per la prima volta col titolo La tramontana al Teatro Argentina di Roma, il 13 novembre 192585, dalla compagnia di Alda Borelli (1879-1964), attrice famosa e moglie di Alfredo De Sanctis86. Probabilmente si tratta di un errore, dato che, secondo Laura Piccolo, il testo viene pubblicato nella rivista «Comoedia» già nel 1924, tradotto da Verdinois (titolo originale Severnyj veter), e viene messo in scena al Teatro Argentina un anno prima della pubblicazione87. Nel 1933, la stessa pièce fa la propria comparsa con un nuovo titolo, Mentire, nel numero 10 di «Teatro per tutti». Nella rivista si specifica che si tratta di un genere drammatico88.

2.3.1 L’intreccio

L’ambientazione è di nuovo borghese: il primo atto si apre in un salotto di una villa suburbana, arredato con gusto. Come negli altri testi analizzati, non si hanno notizie relative alle coordinate geografiche. Nella villa abita una coppia sposata da appena due anni, Elena e Alessandro. I due si amano ancora come al primo

85 FELYNE 1926.Data l’incertezza rispetto alla prima pubblicazione e alla prima messa in scena,

nei riferimenti in nota riporto la data dell’edizione della raccolta teatrale utilizzata per l’analisi, in cui compare il testo. Nei riferimenti degli altri testi, invece, ho specificato la data della prima messa in scena, oltre a quella della raccolta.

86 SALLUSTI 1971. 87 PICCOLO 2015,p. 244. 88 FELYNE 1933.

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giorno. Alessandro ha invitato gli amici per pranzo, nominati unicamente attraverso le loro professioni: il dottore, l’avvocato e il tenente. Essi sono scettici circa il matrimonio dell’amico. Infatti, da quando ha conosciuto Elena, Alessandro non si fa più vedere, perché i coniugi sono sempre in viaggio. Inoltre, il suo totale coinvolgimento nella relazione stona con la vita da cinico scapolo che egli aveva sempre condotto. Anche la famiglia di Alessandro gli rimprovera l’unione poco appropriata alla sua condizione sociale. Veniamo a sapere che Elena non è ricca, mentre il marito sì. I parenti sono baroni, e la cugina baronessa rifiuta ogni contatto con la moglie. Mentre aspettano gli ospiti, gli innamorati rileggono la loro vecchia corrispondenza, e rinnovano le promesse di amore reciproco. Scendono in sala da pranzo, dove Elena incontra finalmente gli amici di Alessandro. Tra loro, la riconosce il dottore, che l’aveva vista alla Sorbona anni prima, dove per un breve periodo Elena aveva studiato medicina. La ricorda come una ragazza timorosa e impressionabile. Qualcuno bussa alla porta. La padrona di casa è convinta si tratti della baronessa, invitata a pranzo. Non si stupisce, dunque, di trovarsi di fronte una giovane donna. Dopo un breve scambio di battute, quest’ultima rivela la sua identità. Si tratta di Maria, l’amante che Alessandro aveva abbandonato per sposare Elena. Maria punta una rivoltella contro Alessandro, ma Elena si mette tra i due e rimane ferita. Credendo di non sopravvivere, confessa al marito di averlo tradito89.

Il secondo atto è meno denso di eventi. Elena si trova alla clinica, ed è fuori pericolo. Chiede continuamente del marito, che però non va a trovarla. È pazzo di gelosia e non vuole più vederla. Desidera solo sapere chi sia il suo amante. Il dottore cerca di farlo ragionare e di persuaderlo a chiarire la faccenda con la moglie. Infine, acconsente a dargli della morfina, con la quale Alessandro minaccia di togliersi la vita. Dopo la visita da parte dell’amico, sbuca da un nascondiglio Maria. Era rimasta nella stanza dell’ex amante in attesa che rimasse solo. Inizialmente gli chiede del denaro per andarsene all’estero, perché è ricercata dalla polizia. In seguito, prende a parlargli dell’illusorietà dell’amore per Elena, che proprio lei ha aiutato a portare alla luce. Gli confessa di amarlo

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ancora. I due si baciano, ma Alessandro non riesce a togliersi dalla testa la moglie. La caccia via90.

Nel terzo atto ricompare Elena. È stata rimandata a casa dalla clinica, ma è convalescente. Vanno a farle visita alcuni familiari, il parente, la parente e il figlio dei due. Questi le portano dei fiori e si mostrano premurosi nei suoi confronti. Tuttavia, in privato svelano le loro reali motivazioni: in città si è sparsa la voce che l’amante di Elena sia un banchiere milionario. Sperano, dunque, di ottenere dei favori da lei. Il dottore non li fa passare. Su insistenza della signora, questi trattiene Alessandro, il quale, non appena saputo del ritorno della moglie, ha disposto i preparativi per una partenza immediata. Il motore dell’auto ha un guasto, così il marito concede ad Elena un ultimo incontro. Alle domande aggressive di lui, lei risponde che non ha mai avuto alcun amante. Si era trattata di una menzogna per facilitare la separazione, in caso fosse morta. La prova della sua sincerità sta nelle lettere scritte e mai inviate che gli aveva donato il giorno dell’incidente, poco prima del pranzo. Sfortunatamente, in un attacco d’ira e di orgoglio, Alessandro le ha bruciate tutte. L’opera si chiude senza risolvere l’enigma. Il marito non sa se crederle. Il motore riparte91.

2.3.2 I motivi fondamentali: «La tramontana», «La donna che mente», «Mentire»

L’opera ha una trama tradizionale, e l’unico elemento di interesse è una certa ambiguità che lascia il finale aperto. Essa attraversa un insieme di motivi fondamentali, e ciò contribuisce a fornire una doppia lettura degli eventi e degli esistenti92 rappresentati, come si vedrà. Innanzitutto, si nota che ritornano i temi tipici del teatro borghese di fine Ottocento e inizio Novecento, con scandali,

90 Ivi, pp. 45-71. 91 Ivi, pp. 75-97.

92 Nella terminologia utilizzata da Seymour Chatman in relazione all’analisi del testo narrativo,

gli eventi sono le azioni e gli avvenimenti, mentre gli esistenti i personaggi e gli ambienti. Le categorie formulate dal critico letterario sono utilizzabili anche nell’ambito del testo drammatico, tant’è nel suo volume Storia e discorso si occupa anche del discorso filmico. CHATMAN 1981.

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inganni, adulteri, e scalate sociali. Nella breve analisi che segue, però, ci concentriamo sull’esposizione dei motivi della finzione (i), cui si lega il topos dell’adultera e dell’inganno femminile (ii); del rapporto tra arte e vita (iii); dell’amore ostacolato (iv).

(i) In relazione al tema della finzione, si ricorderà il tentativo dei parenti di ingraziarsi Elena. Quando vanno a farle visita, il parente e la parente dichiarano di essere venuti «per spirito di parentela»93. Ma il figlio smaschera i loro interessi: «tutt’è che essi [Elena e Alessandro] posseggono un’automobile»94. Come in Per la porta, allora, si ha una debole denuncia all’ipocrisia nelle relazioni di classe.

Il motivo si declina anche nei riferimenti al teatro, per illustrare una finzione che domina i rapporti di genere. Il protagonista maschile non crede alle spiegazioni e agli atteggiamenti di Elena, che dichiara falsi. Quando la moglie tenta di convincerlo della sua innocenza, alla fine dell’opera, lui le dice schietto: «a che pro questa commedia? Commedia nella voce, commedia nelle parole, nei gesti»95. Nell’atto precedente, riferendosi all’illusione del loro matrimonio perfetto, dichiara: «ormai la commedia è finita»96.

(ii) L’ambivalenza della natura femminile è un topos caro a Felyne. Qui ritorna nel personaggio di Elena, all’apparenza moglie devota, ma che confessa un adulterio. Al marito sembra enigmatica e incomprensibile. Quando gli scrive, lo invita a leggere «tra le righe»97; nel giorno dell’invito a pranzo, in cui sfoggia una nuova pettinatura, ad Alessandro pare «di nuovo un’altra»98. Alla fine del dramma, egli, esasperato, si lamenta nel seguente modo:

93FELYNE 1926, p. 76. 94 Ibid. 95 Ivi, p. 86. 96 Ivi, p. 54. 97 Ivi, p. 15. 98 Ivi, p. 36.

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ALESSANDRO – o sei una santa, un’eroina… o l’incarnazione del male, creata

pel martirio degli uomini. Io non so se debbo caderti davanti in ginocchio o maledirti.99

Tuttavia, inizialmente Elena ispira fragilità e innocenza. Nel primo atto Alessandro la prende sulle ginocchia e «la culla come una bambina»100, mentre leigli parla nel seguente modo.

ELENA – (gli posa la testa sulla spalla) e le donne saranno contente, perché si sentono così piccine, così indifese, così paurose di tutto… così, così vogliono essere amate.101

Eppure, Alessandro non ha difficoltà a credere che sia stata infedele, perché «le parole pronunciate potevano essere le estreme… E allora… I morenti non mentono»102. Il profondo scetticismo del marito è esteso all’intero genere femminile, ed esprime una misoginia di fondo nel guardare alle relazioni di genere. Si rivolge a Maria così: «Tu pure sai mentire? … Già, tu pure sei donna»103. E qualche pagina dopo dichiara: «la donna che mente è donna, e niente altro»104, affermazione che troviamo anche nel titolo del testo.

A rafforzare l’ambiguità del personaggio femminile, Elena dichiara ogni forma di felicità un’illusione, figurarsi quella amorosa. Dal seguente passaggio, sembrerebbe che Elena voglia sottolineare l’importanza della finzione per preservare l’illusione: 99 Ivi, p. 95. 100 Ivi, p. 16. 101 Ibid. 102 Ivi, p. 52. 103 Ivi, p. 69. 104 Ivi, p. 89.

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ELENA –[…]un raggio di sole può penetrarvi in camera anche attraverso la finestra chiusa, mentre di fuori soffia e gela la tramontana […]: voi non uscirete, vi metterete a sedere presso la finestra chiusa e vi godrete il vostro raggio di sole… Una scheggia del sole di oggi… Domani, poi…105

E continua: «il vento può irrompere in camera, portando con sé il freddo e l’irrequieto tumulto della vita… E può anche lacerare il tenue tessuto di un sogno».106

(iii) Il sogno di cui parla è anche l’ispirazione principale per lo scrittore. Secondo la prospettiva del testo, l’arte si nutre di illusione, per cui più che di imitazione del reale bisognerà parlare di idealizzazione. Alessandro scrive racconti con l’aiuto prima di Maria, poi di Elena, poiché la sua capacità creativa sfocia dal suo sentimento. Gli amanti Elena e Alessandro, data la purezza ideale del loro affetto, sono dotati di una sensibilità che li separa dal resto del mondo, e permette loro di creare: gli amici definiscono le lettere che la coppia rilegge come «la vostra letteratura»107, e senza di esse è impossibile provare l’innocenza di Elena. Ne deriva che l’arte è anche il mezzo per vedere una verità irraggiungibile, che solo loro sono in grado di capire, e che devono nascondere dalla quotidianità gretta, perché questa non la contamini. Infatti, Elena sa bene che la felicità va tenuta nascosta, «non già messa in mostra»108. Inoltre, al termine della commedia, quando Elena svela di aver mentito, sa che sarebbe inutile spiegarsi anche agli altri, per i quali ad Alessandro sarebbe toccato «adoperare la triste miserabile parola del perdono»109, perché altrimenti avrebbero riso della faccenda. Per riassumere: l’arte (in senso ampio) è sogno, cioè illusione e accesso ad una dimensione privilegiata, e l’amore tra Elena e Alessandro è arte (fonte di creazione, ma anche frutto dell’arte).

105 Ivi, pp. 33-34. 106 Ivi, p. 34. 107 Ivi, p. 28. 108 Ivi, p. 14. 109 Ivi, p. 93.

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Il conflitto tra idealizzazione artistica e realtà, se messe a confronto, è inevitabile e violento. La ‘letteratura’ di Elena e Alessandro dà un’immagine ideale del rapporto amoroso, che al contatto con la quotidianità non sopravvive. Nel primo atto, l’avvocato riprende il tema in modo scherzoso:

C’è una novella di Maupassant… […]: un tale, non sapendo che fare, si dà una sera a rileggere certe vecchie lettere. La mattina appresso, si tira una pistolettata. E la novella si chiude con le parole: non rileggete mai le lettere di una volta.110

Il passaggio anticipa gli eventi. Infatti, in modo analogo, Alessandro minaccia il suicidio, dopo l’esperienza di disillusione.

Come l’arte, lo specchio dà un riflesso distorto della realtà. Si veda il seguente dialogo.

ELENA –[…]dicono che gli occhi sono lo specchio dell’anima. Ebbene, ecco: gli

occhi negli occhi, l’anima di fronte all’anima… Sai, se in una camera ci son due specchi dirimpetto… Come qui… (accenna agli specchi sulle opposte pareti). Quel che l’uno riflette, si ripete nell’altro, e così di rimando, fino all’infinito… ALESSANDRO –e se fra l’uno e l’altro si trovano un uomo e una donna?

ELENA –si vedranno molte donne e molti uomini in un corridoio lungo, lungo…

[…] Ogni donna abbraccerà il suo uomo, e gli specchi rifletteranno e ripeteranno il loro amore. […] (in tono grave). Così accadrà agli specchi, collocati di fronte. ALESSANDRO - E nella vita?

ELENA -Nella vita non ci sono due donne che possano amare allo stesso modo […].111

Elena, all’inizio del dialogo, parla della reciprocità del loro sentimento, utilizzando prima l’immagine dei loro occhi che si riflettono gli uni negli altri,

110 Ivi, p. 29. 111 Ivi, pp. 16-17.

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