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Capitolo 1 Microfabbricazione di scaffold

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Academic year: 2021

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Capitolo 1

Microfabbricazione di scaffold

Il crescente interesse verso lo studio e la ricerca delle interazioni cellulari in specifici ambienti controllati assume sempre più rilevante importanza nel campo dell’Ingegneria Tessutale. Come conseguenza si è manifestata la necessità di sviluppare nuove tecnologie di micro- e nano-fabbricazione per la realizzazione di strutture definite sia a livello topologico, che nelle proprietà meccaniche caratterizzate dai materiali. Grazie allo sviluppo di nuove tecniche per la realizzazione di strutture miniaturizzate controllate in dimensioni, topologia e materiale di realizzazione, è stato possibile evidenziare l’importanza che ricoprono le interazioni tra cellula e scaffold sia per la topologia della struttura che per le forze trasmesse dal materiale, e tra cellula e molecole bioattive (per la comunicazione dei processi cellulari da attivare).

Per poter riuscire ad ingegnerizzare correttamente un tessuto, mantenendone la completa funzionalità, occorre prestare molta attenzione a tutti i fattori concorrenti allo scopo finale.

Un ruolo protagonista per l’Ingegneria Tessutale per la realizzazione degli scaffold è svolto dalle tecniche di microfabbricazione. Infatti grazie allo sviluppo di nuove tecnologie è stato possibile realizzare delle strutture di sostegno ben definite e con topologie opportune. Gli scaffold, realizzati con biomateriali erodibili, si propongono di fornire un sostegno meccanico bioispirato alle cellule in coltura.

Pertanto grazie alla realizzazione di scaffold sempre più bioispirati, ed allo sviluppo di nuove tecnologie di micro- e nano-fabbricazione sarà possibile studiare più approfonditamente il comportamento cellulare, orientando verso nuove prospettive di realizzazione. Scopo di questo lavoro di tesi è quello di progettare un sistema di

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microfabbricazione in grado di realizzare scaffold riproducenti la matrice extracellulare sia nella caratterizzazione meccanica che nella topologia tridimensionale, riproducendo l’ambiente fisiologico che circonda i tessuti in una coltura cellulare.

In questo capitolo saranno trattate le diverse tecniche di micro- e nano-fabbricazione, ponendo l’accento sulle tecnologie che consentono l’utilizzo di biopolimeri presenti nella matrice extracellulare o che ne riproducono le caratteristiche peculiari.

1.1

T

ECNICHE DI MICROFABBRICAZIONE

Le tecniche di microfabbricazione devono il loro sviluppo alla necessità di realizzare strutture meccaniche ed elettroniche sempre più miniaturizzate nato nei primi anni ‘80. Le prime metodiche prevedevano l’utilizzo di materiali metallici e acidi, permettendo la realizzazione di strutture che raggiungevano precisioni di qualche micrometro. La ricerca e lo sviluppo di nuovi materiali, con l’integrazione di diversi processi chimico-fisici di addizione e sottrazione del materiale integrati da un preciso controllo computerizzato sulla linea di produzione, ha permesso di raggiungere risoluzioni sempre più prossime a distanza nanometriche.

Molte tecniche di microfabbricazione utilizzano come processo tecnologico di partenza la tecnica litografica, presentando delle limitazioni in quando è possibile ottenere soltanto delle strutture bidimensionali. Altre tecniche di microfabbricazione sfruttano diversi principi fisici per la realizzazione di strutture sia bidimensionali che tridimensionali con topologie più o meno definite.

In questo capitolo si vuole dare una breve descrizione delle diverse tecniche di microfabbricazione, i loro principi di funzionamento e le caratteristiche dimensionali di fabbricazione. Un particolare significativo per la discriminazione dei diversi processi di fabbricazione risulta essere il materiale utilizzato, soprattutto per le caratteristiche chimico-fisiche che interagiscono con i principi di funzionamento dei processi produttivi, nonché per le proprietà viscose e meccaniche. Pertanto sarà

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focalizzata l’attenzione sulle metodiche in grado di realizzare strutture tridimensionali utilizzando materiali biocompatibili e geliformi.

1.2

L

ITOGRAFIA

La tecnica madre della microfabbricazione, dalla quale si sono sviluppate numerose altre metodologie, è la litografia. Grazie allo sviluppo dei processi tecnologici che costituiscono la produzione litografica è stato possibile realizzare le prime strutture MEMS (MicroElectroMecchanical Systems), utilizzate per il controllo elettronico in numerosi campi di applicazione (aerospaziale, automazione, automobilistico, industriale, etc.). Le tecniche litografiche tradizionali si basano su processi chimico-fisici che utilizzano il silicio come materiale di partenza, in particolare a partire da un wafer di silicio (ricavato da un reticolo cristallino <110>) e fondendo processi di addizione, sottrazione e drogaggio dei materiali, si riescono ad ottenere delle strutture finali con topologia e caratteristiche chimico-fisiche dei materiali appropriate allo scopo finale. Gli attuali processi di produzione litografica garantiscono elevata precisione, accuratezza e ripetibilità degli step tecnologici con conseguente ottima qualità della produzione.

Lo schema tradizionale della litografia include i seguenti passaggi:

• Trattamento chimico per rendere lucida la superficie del wafer di silicio; • Coating automatizzato, per il controllo dello spessore di deposizione, di un

materiale sensibile ad una particolare forma energetica;

• Copertura con una maschera ad elevata risoluzione per definire la topologia della realizzazione finale della superficie del wafer;

• Esposizione ad una sorgente di energia per la promozione di specifiche reazioni chimico-fisiche del materiale sensibile;

• Sviluppo del materiale impressionato per eliminare tutto ciò che non ha reagito;

• Pulitura della superficie del wafer di silicio con la deposizione superficiale della topologia finale.

Il materiale sensibile si differenzia non soltanto per la fonte energetica cui risulta essere sensibile, ma anche distinguendo sul tipo di topologia che riproduce sulla

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superficie del wafer di silicio distinguendo tra negativo o positivo; solitamente si utilizzano polimeri sintetici tossici.

Oltre alla tossicità del materiale utilizzato per la definizione della topologia finale, occorre porre attenzione sulla criticità di alcuni passaggi tecnologici quali l’esposizione e lo sviluppo. Durante l’esposizione il materiale sensibile assorbe un grande quantitativo energetico per promuovere specifiche reazioni, pertanto il materiale deve mostrare spiccate caratteristiche di stabilità per non modificare la forma e le proprietà chimico-fisiche. La fase di sviluppo solitamente utilizza acidi forti, per eliminare qualsiasi residuo indesiderato per ottenere la topologia finale. Data la natura chimica e fisica dei processi tecnologici appena descritti, la microfabbricazione con processo litografico non si pone come tecnica utile per la realizzazione delle strutture geliformi tridimensionali scopo del lavoro di questa tesi.

La forma di litografia più diffusamente utilizzata è la fotolitografia. Questo è essenzialmente un processo di realizzazione di strutture bidimensionali planari su un wafer di silicio, utilizzando come sorgente energetica una fonte di raggi UV per impressionare lo strato di materiale fotosensibile.

Altri processi litografici di importanza rilevante utilizzano diverse sorgenti energetiche, tra le più utilizzate è importante citare la LIGA (Lithographie, Galvanoformung, Abformung), la litografia a raggi X, la litografia irraggiata con un fascio di particelle cariche (ELB, Electron Beam Lithography, oppure IBL, Ion Beam Lithography).

Con queste tecniche è possibile realizzare strutture finali con precisioni sub-micrometrica, spingendo fino al nanometro nelle applicazioni elettroniche di ricerca. La minima dimensione realizzabile è nota come dimensione critica, e risulta essere indipendente dalla topologia impressa con la maschera.

È possibile definire una risoluzione limite ed un errore ad essa associato per ogni passaggio tecnologico del processo litografico, definiti a partire dalla minima distanza che intercorre tra due linee realizzate. La risoluzione e l’errore sono strettamente correlati ai materiali utilizzati, alle reazioni chimiche ed alle sorgenti energetiche coinvolte.

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Inoltre è opportuno considerare errori di registrazione e calibrazione che possono essere presenti tra due passaggi tecnologici successivi. Con una ottimizzazione dei processi e una attenta ricerca dei materiali utilizzati si è riusciti ad ottenere nei processi fotolitografici delle linee di 0.25 µm, con errori di ±0.02 µm, confrontabili con la lunghezza d’onde della sorgente UV (limite minimo di risoluzione).

Dopo il processo litografico è possibile apportare alcune modifiche alla topologia superficiale realizzata utilizzando altri processi tecnologici di addizione, sottrazione e drogaggio. Questi processi sono utilizzati soprattutto per la produzione di strutture per l’utilizzo in campo elettronico, come esempio è possibile citare la realizzazione di più circuiti integrati con tecnologie cmos (sia con drogaggio n che p) all’interno di uno stesso wafer di silicio. Questi processi, dato i loro campo di utilizzo, non sono stati presi in considerazione in questo lavoro di tesi.

Negli ultimi decenni sono state però sviluppate nuove tecniche e nuovi protocolli per la micro- e nano-fabbricazione a partire dai processi litografici standard , permettendo l’utilizzo dei biopolimeri per la realizzazione di strutture miniaturizzate ben definite.

1.2.1

S

OFT

-L

ITHOGRAPHY

La soft-lithogaphy è una tecnica di microfabbricazione derivata dalla litografia classica. La maschera di silicio realizzata attraverso processi litografici standard è utilizzata come stampo sul quale vengono colati materiali elastomerici, al fine di ottenere una replica di materiale non rigido e biocompatibile con una propria topologia definita. La risoluzione delle strutture e la geometria della replica ottenute con questa tecnica è strettamente dipendente dall’interazione tra i materiali dello stampo e della replica, in particolare occorre prestare attenzione all’effetto menisco dovuto all’interazione tra materiali con diverse caratteristiche di interazione (idrofobiche, idrofiliche).

Tra le metodiche più utilizzate per ricoprire lo stampo con materiale elastomerico si distinguono:

• Casting, tecnica per la quale la soluzione polimerica viene colata direttamente sul master di silicio;

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• Spin-Coating, tecnica che utilizza la forza centrifuga di rotazione dello stampo per favorire l’adesione del polimero sullo stesso. Attraverso questa realizzazione è possibile ottenere delle strutture con spessore variabile (tra qualche millimetro a pochi micron), funzione della velocità con cui è fatto ruotare lo stampo;

• Microfluidodinamica, tecnica che utilizza un sistema ingresso-uscita per promuovere il riempimento dello stampo con il polimero attraverso lo stampo in silicio. Per realizzare questa tecnica occorre definire lo spessore della struttura da realizzare con una superficie liscia, creare un imbocco per la soluzione polimerica e porre sul lato opposto una pompa a vuoto in modo da orientare il moto del materiale elastomerico.

In funzione della precisione richiesta per la realizzazione della replica, saranno scelti opportunamente la tecnica litografica per la realizzazione dello stampo, il materiale elastomerico che meglio interagisce con la superficie del master e la metodologia di casting.

Oltre a consentire la produzione di strutture micrometriche ben definite con materiale biocompatibile, questa tecnica presenta il vantaggio di ridurre i costi di produzione realizzando a partire da un unico stampo, ottenuto dai costosi processi litografici, numerose repliche in materiale elastomerico (notevolmente più ecomonico). All’interno della soft-lithography si possono distinguere diversi campi di applicazione, si citano tra le più importanti la replica molding (REM) ed il micro-contact printing (µCP).

Si utilizza la tecnica del micro-molding e quella della micro-replica molding per realizzare strutture negative o positive in PDMS (PoliDiMetilSilossano) rispetto al master in silicio realizzato con la litografia. Nel primo caso il casting di PDMS è ottenuto direttamente dal master, riproducendo una copia negativa della topologia definita nel processo litografico; nel secondo caso invece si esegue una seconda deposizione di PDMS sul negativo di PDMS ottenuto con il processo di micro-molding. Per consentire la separazione dei due stampi in PDMS è necessario pretrattare il primo molding (negativo) con plasma, si ottiene in questo modo una replica positiva in PDMS dello stampo prodotto con la tecnica litografica. È importante considerare gli effetti menisco dovuti alle interazioni dei materiali per

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definire la risoluzione del prodotto finale. La tecnica del micro-contact printing è utilizzata per riprodurre deposizioni di inchiostro positive rispetto allo stampo ottenuto con le tecniche litografiche, per fare questo è necessario eseguire un molding in PDMS per ottenere la struttura negativa e successivamente imprimere questa con l’inchiostro utile per lo stampo. I campi di applicazione di queste tecniche di microfabbricazione sono molto ampi, ma consentono di studiare fenomeni interenti solamente al campo bidimensionale.

La ricerca ha portato allo sviluppo di ulteriori tecniche per la microfabbricazione tridimensionale.

1.2.2

S

TEREOLITOGRAFIA

La stereolitografia è una tecnica di microfabbricazione che permette la realizzazione di strutture tridimensionali. Sviluppatasi intorno al 1988 è da considerarsi la tecnica di microfabbricazione precursore della Prototipazione Rapida (RP), trattata nel seguito del capitolo. La stereolitografia è una delle prime tecnologie di microfrabbricazione che integra un sistema computerizzato per il controllo della struttura topologica da realizzare. L’utilizzo di specifici software consente di disegnare il modello della struttura da realizzare (CAD), convertendo le informazioni spaziali definite dal modello in comandi eseguiti in linguaggio macchina (CAM) per la movimentazione del sistema i fabbricazione nello spazio. A differenza dei processi litografici standard per i quali è resa possibile soltanto una realizzazione tridimensionale, la stereolitografia permette la produzione di strutture tridimensionali. Il modello tridimensionale realizzato nella fase CAD è suddiviso in una sequenza di fette bidimensionali, ognuna caratterizzata da uno spessore costante e da una superficie specifica. Attraverso questa procedura software le superfici continue che caratterizzano il modello tridimensionale vengono tradotte in sequenze discontinue, perdendo parte dell’informazione associata al modello con la realizzazione di una copia approssimata a quella reale.

Per realizzare il processo fotolitografico è necessario un sistema di movimentazione lungo la terna ortogonale x-y-z, un opportuno software è programmato per la conversione delle traiettorie nella terna di riferimento immettendo opportuni

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comandi al sistema motorizzato. Un sistema a pressione deposita uno strato di polimero liquido sul piano x-y, successivamente il sistema di movimentazione lungo gli assi x-y disegna le traiettorie per definire la superficie del modello software promuovendo la reticolazione del polimero con un raggio laser UV montato sul sistema di movimentazione. Dopo la realizzazione del primo strato il sistema sposta il piano x-y lungo la direzione z di una distanza caratteristica (mantenuta costante per tutto il processo di realizzazione), procedendo con una successiva deposizione di polimero seguita dalla focalizzazione del raggio laser per la polimerizzazione. Ripetendo il passaggio per tutta l’altezza del modello si ottiene la struttura tridimensionale finale.

Il processo di microfabbricazione strato per strato non consente di generare topologie tridimensionali complesse e che presentano delle cavità interne. La risoluzione delle strutture realizzate si differenzia nel piano x-y di fotopolimerizzazione e nella direzione z per la deposizione del materiale fotosensibile, entrambe le definizioni di risoluzione spaziale sono dipendenti dalle tecnologie di movimentazione nello spazio e dalla strumentazione laser utilizzata per la fotopolimerizzazione. Utilizzando tecnologie molto performanti è possibile ottenere delle topologie nanometriche con elevata precisione ed accuratezza di fabbricazione, con risoluzioni spaziali dell’ordine del µm e del raggio laser di 80-250 nm.

Per la realizzazione di scaffold per l’ingegneria tessutale i materiali utilizzabili con la stereolitografia devono presentare caratteristiche di biocompatibilità e biodegradabilità, bassa viscosità, stabilità alla luce visibile, fotosensibilità per determinate lunghezze d’onda e presentare buone caratteristiche meccaniche. La tecnica di stereolitografia presenta ottime caratteristiche per la realizzazione di scaffold biopolimerici, limitando però il suo utilizzo soltanto con una classe limitata di biomateriali fotosensibili.

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13

1.2.3

L

ITOGRAFIA OLOGRAFICA

La litografia olografica1 è un’altra tecnica derivante dal concetto litografico standard. A differenza delle tecniche standard la litografia olografica, come la stereolitografia, offre la possibilità di realizzare strutture tridimensionali. In particolare la litografia olografica fa riferimento alla fotolitografia, impressionando volumetti adiacenti di materiale fotosensibile con la confocalizzazione due raggi laser. Come per la stereolitografia, anche la litografia olografica utilizza un sistema di controllo CAD/CAM direttamente ottenibile da un modello tridimensionale. In un primo processo tecnologico di produzione viene generata una maschera olografica tridimensionale con indice di rifrazione variabile in funzione dello spazio. Nel processo successivo un altro raggio laser attraversa l’ologramma generato per andare ad impressionare il materiale fotosensibile. La risoluzione del prodotto finale dipende dalla risoluzione con cui è generata l’immagine olografica e dalla lunghezza d’onda del raggio laser utilizzato per la fotopolimerizzazione. Trattando con raggi luminosi ad alta frequenza e con fenomeni di diffrazione luminosa, se l’immagine olografica ed il materiale fotosensibile sono posti a distanza di circa 100 µm, è possibile ottenere delle risoluzioni nominali anche di 0.3 µm. Per realizzare l’immagine olografica tridimensionale sono necessari due raggi laser. Si distingue un raggio, chiamato raggio oggetto, ottenuto dalla difrazione del raggio incidente attraverso una maschera riproducente le caratteristiche del modello 3D implementato nel CAD. Le informazioni associate al raggio oggetto sono modificate in fase e ampiezza per determinare posizione ed intensità, e vengono memorizzate come immagine olografica in un mezzo fotosensibile quando interagiscono con l’altro raggio laser (raggio di riferimento). In questo modo viene generato un pattern tridimensionale olografico con indice di rifrazione luminosa variabile nello spazio (si definisce nel mezzo una funzione dell’indice di rifrazione f(x,y,z) che riproduce l’immagine CAD).

Nella fase di fotopolimerizzazione un fascio luminoso è focalizzato attraverso strati successivi della proiezione olografica, in base all’indice di rifrazione corrispondente ad ogni voxel il fascio luminoso sarà propriamente deviato per impressionare il materiale fotosensibile della struttura finale. L’utilizzo della litografia olografica è

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molto costoso in quanto necessita di tre raggi laser ad elevata energia e precisione. Inoltre può essere utilizzato solo con materiali fotosensibili, limitando notevolmente il campo di utilizzo per la realizzazione di strutture tridimensionali in applicazioni dell’ingegneria tessutale.

1.3

E

LETTROSPINNING

L’elettrospinning1 è una tecnica utilizzata per la realizzazione di fibre con diametri miniaturizzati e variabili in funzione di specifiche grandezze fisiche controllabili. Il dispositivo per la fabbricazione delle fibre è composto da un serbatoio contenente il materiale da estrudere attraverso un foro di dimensioni micrometriche, la distanza che separa il foro di estrusione dal piatto su cui cade il materiale è sottoposto ad una differenza di potenziale. La combinazione delle forze viscose, gravitazionali ed elettrostatiche determina la velocità e la direzione di movimento del materiale in estrusione, in particolare in una disposizione di estrusione lungo l’asse z è possibile direzionare tutte le forze al fine di ottenere delle fibre miniaturizzate.

Controllando la tensione superficiale e le forze viscoelastiche cui è sottoposto il materiale liquido da estrudere è possibile fare variare il diametro delle fibre tra 50 nm e 30 mm, riproducendo sulla superficie di deposizione una matassa con caratteristiche meccaniche e morfologiche molto simili a quelle della matrice extracellulare. Pertanto questa tecnica di microfabbricazione presenta della caratteristiche di fabbricazione e dei prodotti realizzati che possono trovare ampio campo di utilizzo nel settore dell’ingegneria tessutale.

Per la fabbricazione di strutture bioispirate controllabili nella porosità delle fibre e nelle caratteristiche meccaniche, è possibile utilizzare solo biopolimeri in soluzione con un solvente volatile quali PLA , PCL, PGA, PEO e pochi altri. I biopolimeri naturali classificati come idrogel non possono essere utilizzati con questa metodica di microfabbricazione.

Il limite dell’utilizzo di questa tecnica per la realizzazione degli scaffold risiede nell’impossibilità di generare delle strutture con una topologia caratteristica e ben definita, pertanto il loro campo di applicazione è ristretto soltanto a piccoli settori

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dell’ingegneria tessutale in cui l’aspetto morfologico dello scaffold per la comunicazione topologica non è di importanza rilevante.

Recenti studi2 hanno dimostrato come l’orientamento delle fibre nello spazio possa influenzare notevolmente le proprietà meccaniche della struttura realizzata, spostando l’attenzione sulla posizione reciproca tra fibre. Aggiustando i parametri di funzionamento del processo di microfabbricazione e le miscele polimeriche utilizzate si rende possibile una caratterizzazione delle proprietà meccaniche, della distribuzione dei pori all’interno delle fibre, della dimensione del diametro, rendendo possibile il controllo delle proprietà meccaniche delle strutture realizzate. Tuttavia la possibilità di controllare la topologia e l’orientamento delle fibre prodotte con i processi di elettrospinning rappresenta un campo di studio aperto e piuttosto interessante per aprire nuove prospettive d’indagine in ambito sia di interazioni cellulari cellula-cellula e cellula-scaffold, sia a livello di comunicazione chemiotassica.

1.4

P

ROTOTIPAZIONE

R

APIDA

Le tecnologie di Prototipazione Rapida1 (RP) designano una classe di tecnologie per la microfabbricazione che permettono la realizzazione automatica di modelli fisici tridimensionali in funzione delle variabili della tecnologia utilizzata. Tutto il sistema di microfabbricazione è controllato e gestito da un sistema computerizzato.

Il sistema della prototipazione rapida si basa su un sistema già utilizzato nel settore industriale, e noto come sistema CAD/CAM. La realizzazione di un oggetto finale è possibile attraverso una progettazione software del modello da ottenere, fase CAD (Computed-Aided Design). Con l’utilizzo di opportuni sistemi di controllo è possibile tradurre i comandi di disegno software in comandi di esecuzione macchina, eseguiti da sistemi meccanici automatizzati e controllati, fase CAM (Computed-Aided Manifacturing).

L’utilizzo di questi sistemi ha proposto nuove possibilità di realizzazione degli scaffold per l’ingegneria tissutale, snellendo notevolmente i costi ed i tempi di produzione dei prototipi da utilizzare nello studio delle interazioni cellulari. Inoltre i sistemi CAD/CAM permettono di controllare in tempo reale il processo di

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fabbricazione degli scaffold, modificando, se necessario, alcuni parametri al fine di ottenere strutture sempre più verosimili e funzionalizzate per lo studio in atto. Una volta definito il modello ottimizzato della strutture desiderata, tali tecnologie possono essere utilizzate per la produzione di più oggetti (applicazioni non-prototyping), pertanto tali tecniche sono anche definite come Solid Free-Form Modelling (SFF) o CAD/CAM Manufacturing. Le tecniche di RP sono utilizzate per la realizzazione di strutture tridimensionali di cui è già noto il modello, oppure per la realizzazione di strutture ex-novo. In entrambi i casi è necessario suddividere la struttura 3D in una sequenza di fette 2D con uno spessore noto ed omogeneo, ciò è dovuto ai limiti delle tecnologie utilizzate nelle diverse micro fabbricazioni. Lo spessore della fetta (solitamente definito lungo l’asse z della terna di riferimento x-y-z) determina la risoluzione e le discontinuità della realizzazione rispetto al modello disegnato a livello software.

Per questa peculiarità di suddividere gli oggetti tridimensionali in una successione di fette, la RP è definita come un processo di fabbricazione additivo per il quale la realizzazione finale è conseguenza dell’unione di più strati di materiale. Differenziando dai processi di lavorazione meccanica standard che si fondano sulla sottrazione di materiale quali fresatura e tornitura. È possibile distinguere le diverse tecniche di microfabbricazione in funzione della natura fisica del materiale utilizzato1. Esistono tecniche di RP che utilizzano materiale solido ed altre che utilizzano materiali liquidi. Per conoscenza dello stato dell’arte delle tecniche di RP verranno di seguito brevemente trattate quelle tecniche che utilizzano materiali di partenza solidi. L’attenzione sarà invece focalizzata sulle tecniche di RP che utilizzano materiali liquidi in quanto scopo di questo lavoro di tesi riguarda lo sviluppo di strutture tridimensionali geliformi.

1.4.1

P

ROTOTIPAZIONE

R

APIDA DI MATERIALI SOLIDI

Tra le tecniche di RP che utilizzano materiali di partenza solidi si distinguono: 3D printing, membrane lamination, solid laser sintering, laser ablation.

Di seguito viene fornita una breve descrizione che non pretende di trattare esaustivamente l’argomento.

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17

3D-

PRINTING

La tecnica di microfabbricazione 3D-printing ha dimostrato la capacità di realizzare microstrutture controllando la topologia locale con una elevata risoluzione. La realizzazione inizia con la definizione di un modello tridimensionale a livello software (CAD), successivamente un algoritmo appropriato definisce la informazioni per la definizione dei contorni nella successione di strati 2D con uno spessore definito dalle caratteristiche del sistema e del materiale utilizzato (impilando i diversi piani successivamente si ottiene nuovamente la struttura 3D).

Ogni strato è realizzato ripetendo i seguenti passaggi. Il procedimento inizia con la stesura di un sottile strato (di spessore noto ed omogeneo per tutti gli strati successivi) di materiale solido in polvere. Successivamente, utilizzando una tecnologia simile alla ink-jet printing si inietta un materiale liquido che unisce le micro particelle solide per formare la topologia 2D definita dal CAD. Il materiale liquido è iniettato con un sistema a pistone, interagendo con la polvere del materiale solido va a formare un materiale solido con proprietà meccaniche ben definite. L’operazione è ripetuta per tutti gli strati necessari a riprodurre il modello. Alla fine del processo il materiale solido non legato viene rimosso, lasciando il modello micro fabbricato.

Tuttavia questa tecnica di microfabbricazione presenta dei limiti quando la struttura contiene delle cavità all’interno della struttura realizzata, in queste evenienza risulta problematica la rimozione del materiale non legato.

La microstruttura locale, la definizione dei contorni e la risoluzione possono essere controllati sia con il materiale liquido legante, sia cambiando i parametri caratteristici della stampante. Generalmente le particelle solide utilizzate con questi processi hanno dimensioni comprese tra 80 e 250 mm, per ottenere delle microstrutture si rende necessario un pretrattamento dei materiali per ridurne drasticamente le dimensioni e rendere possibile la realizzazione di microtopologie. La rugosità superficiale e le proprietà di aggregazione, tra particelle solide e aggregante liquido, possono compromettere la risoluzione delle strutture realizzate. Con la 3D printing possono essere utilizzati materiali polimerici solidi quali PCL e PEO ed altri biopolimeri naturali e come legante acqua distillata, realizzando

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18

microstrutture riproducenti ambienti biologici sia nella forma che nelle caratteristiche meccaniche e molecolari.

M

EMBRANE

L

AMINATION

La membrane lamination è una metodologia di microfabbricazione basata sulla realizzazione di un modello tridimensionale sempre partendo dall’adesione di strati bidimensionali successivi di spessore definito e omogeneo3,4. Dopo la realizzazione degli strati successivi con un materiale appropriato, gli strati vengono sequenzialmente inseriti in un meccanismo di feeder/collector. Dopo che un raggio laser ha definito il contorno della superficie bidimensionale segue l’avanzamento di un rullo caricato con materiale collante, un nuovo strato è deposto sopra il precedente e pressato a forza con un altro rullo. Il sistema prevede l’abbassamento della piattaforma con gli strati impilati di una distanza pari allo spessore delle membrane. Il processo è ripetuto fino a quando tutti gli strati non sono stati definiti dal raggio laser. In fase finale vengono rimosse le parti tagliate dal laser ottenendo la struttura finale.

S

OLID

L

ASER

S

INTERING

La Solid Laser Sintering è una tecnica di microfabbricazione che utilizza un fascio laser per

fondere selettivamente i materiali in polvere depositati su strati successivi per realizzare un oggetto solido tridimensionale. È possibile controllare l’energia fornita dal fascio laser in funzione del materiale solido utilizzato.

Gli strati sono depositati su una piattaforma con uno spessore definito, un fascio laser segue il modello CAD del primo strato, sinterizzando insieme i grani del materiale prescelto per formare una topologia bidimensionale ben definita. Successivamente la piattaforma è abbassata di un tratto pari allo spessore della deposizione di materiale solido, ed un nuovo strato di polvere è nuovamente depositato e compattato. Questo processo continua fino a che il prototipo non è

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19

completamente realizzato. La polvere eccedente in ogni strato contribuisce a sostenere la parte durante i successivi step di fabbricazione5,6,7.

Con questa tecnica è possibile ottenere dei prodotti finali con elevate risoluzioni, dipendenti dalla lavorazione e dalle dimensioni dei grani di materiale solido, nonché dallo spessore di deposizione e dall’energia irraggiata dal laser. È bene sottolineare come la risoluzione tra linee successive non sia confrontabile con la lunghezza d’onda del laser ma sia di poco maggiore, ciò è dovuto alla fusione incontrollabile delle particelle solide.

L

ASER

A

BLATION

La laser ablation è una tecnica che sfrutta l’energia associata al fascio laser per sublimare il materiale.

Il materiale solido è posizionato e riferito rispetto al sistema di riferimento del sistema di movimentazione del laser nel piano x-y. Attraverso un controllo software il laser viene mosso nel piano, definendo le superfici delle fette di spessore noto ricavate durante la fase CAD dal modello tridimensionale che si vuole realizzare. Il fascio laser inoltre ha un controllo sulla profondità di fuoco, rendendo non necessario uno spostamento del pezzo lungo l’asse z.

L’energia associata al laser è estremamente elevata in quanto deve promuovere due passaggi di stato successivi (dallo stato solido a gassoso) depositando un grosso quantitativo energetico al materiale utilizzato.

Le topologie realizzabili con questo sistema sono limitate dalla risoluzione del fascio laser e dal sistema di movimentazione del laser sul piano x-y. In generale non è possibile scendere sotto dimensioni di 2 µm.

1.4.2

P

ROTOTIPAZIONE

R

APIDA DI MATERIALI LIQUIDI

Le tecniche di prototipazione rapida che utilizzano materiali in forma liquida sono numerose, ognuna caratterizzata da risoluzioni dipendenti dalla movimentazione nello spazio, dalle caratteristiche fluidodinamiche dei materiali utilizzati e da altre caratteristiche variabili e controllabili caratterizzanti i processi di

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20

microfabbricazione. Tra le tecniche di microfabbricazione RP utilizzanti materiali in forma liquida si distinguono: Ink-Jet System, Pressure Activated Microsyringe3 (PAM), Piston Syringe, Liquid Laser Sintering, Fused Deposition Modeling (FDM) ed numerosi altri processi utilizzanti simili processi tecnologici.

I

NK

-J

ET

S

YSTEM

L’ink-jet system è una tecnica di microfabbricazione che sfrutta il principio di funzionamento delle stampanti ink-jet. Una miscela di polimero è disciolta in un solvente volatile che, non appena a contatto con l’aria, evapora lasciando il polimero allo stato solido con una topologia definita. Per la determinazione delle topologie si utilizzano software tradizionali CAD che convertono in linguaggio macchina gli spostamenti sul piano x-y, successivamente lo strato è abbassato di una distanza pari allo spessore della deposizione di polimero. La risoluzione della topologia bidimensionale dipende sia dalla movimentazione della testina della stampante nello spazio, e soprattutto dal meccanismo di controllo per l’estrusione del polimero dalla testina. Per la risoluzione occorre considerare che le testine della stampante possono andare incontro a erosione per azione del solvente, oppure ad occlusione per intervento del polimero. È necessario controllare periodicamente le testine per avere delle micro fabbricazioni che rispettino le risoluzioni nominali. Con le attuali stampanti ink-jet e con i polimeri utilizzati è possibile ottenere delle strutture con risoluzioni intorno ad 1 nm.

Questa tecnologia di microfabbricazione permette l’utilizzo di numerosi biopolimeri in soluzione che non necessitano dell’azione di altri agenti che favoriscano la reticolazione. Pertanto, seppur rispecchiando le caratteristiche di produzione di microstrutture topologicamente definite per scaffold polimerici, questa tecnica non consente l’utilizzo di biopolimeri geliformi.

(17)

P

RESSURE

A

CTIVATED

La Pressure Activated Micros

sviluppata al Centro Interdipartimentale di Ricerca E. Piaggio di microfabbricazione utilizza un sistema

per la movimentazione nello spazio l’estrusione di materiale allo stato liquido

Figura 1.1: Struttura meccanica CAD

La PAM sfrutta il concetto di microfabbricazione multi

strutture tridimensionali. Come tutte le tecniche di Prototipazione Rapida, anche PAM si basa su un sistema di fabbricazione CAD/CAM controllato. Il sistema CAD utilizzato differisce per alcuni particolari da

microfabbricazione, infatti

per ricostruire il modello tridimensionale finale. Gli strati bidimensionali adiacenti sono disegnati e successivamente riferiti rispetto alla stessa terna per la definizione completa del modello da realizzare.

microago in vetro, con diametro compreso tra 20

polimero estruso, realizzato con apposito macchinario. L’ago è connesso ad un serbatoio fissato sull’asse z, e definisce la posizione di estrusione sul piano sottostante. Durante l’estrusione la posizione del serbatoio e dell’ago è mantenuta

CTIVATED

M

ICROSYRINGE

(PAM)

La Pressure Activated Microsyringe3 (PAM) è una tecnica di microfabbricazione al Centro Interdipartimentale di Ricerca E. Piaggio. Questa metodologia

utilizza un sistema motorizzato lungo gli assi ortogonali x per la movimentazione nello spazio di un sistema controllato in pressione l’estrusione di materiale allo stato liquido, come mostrato in figura 1.1.

Figura 1.1: Struttura meccanica CAD della Pressure Activated Microsyringe

sfrutta il concetto di microfabbricazione multi-strato per la realizzazione di strutture tridimensionali. Come tutte le tecniche di Prototipazione Rapida, anche

si basa su un sistema di fabbricazione CAD/CAM controllato. Il sistema CAD utilizzato differisce per alcuni particolari da quello utilizzato da altri sistemi di

infatti il software dedicato adopera un approccio bottom e il modello tridimensionale finale. Gli strati bidimensionali adiacenti sono disegnati e successivamente riferiti rispetto alla stessa terna per la definizione completa del modello da realizzare. Per la realizzazione delle strutture si utilizza un o in vetro, con diametro compreso tra 20-100 µm variabile in funzione del polimero estruso, realizzato con apposito macchinario. L’ago è connesso ad un serbatoio fissato sull’asse z, e definisce la posizione di estrusione sul piano estrusione la posizione del serbatoio e dell’ago è mantenuta è una tecnica di microfabbricazione . Questa metodologia motorizzato lungo gli assi ortogonali x-y-z controllato in pressione per

.

della Pressure Activated Microsyringe

strato per la realizzazione di strutture tridimensionali. Come tutte le tecniche di Prototipazione Rapida, anche la si basa su un sistema di fabbricazione CAD/CAM controllato. Il sistema CAD altri sistemi di il software dedicato adopera un approccio bottom-up e il modello tridimensionale finale. Gli strati bidimensionali adiacenti sono disegnati e successivamente riferiti rispetto alla stessa terna per la definizione Per la realizzazione delle strutture si utilizza un m variabile in funzione del polimero estruso, realizzato con apposito macchinario. L’ago è connesso ad un serbatoio fissato sull’asse z, e definisce la posizione di estrusione sul piano estrusione la posizione del serbatoio e dell’ago è mantenuta

(18)

22

costante sull’asse z, ed il piano x-y di deposizione viene controllato nella movimentazione per la definizione della topologia dello strato. Dopo la realizzazione del primo strato il punto di estrusione è sollevato lungo l’asse z di una distanza opportuna, definita in base ad alcuni parametri variabili (dipendenti sia dal materiale che dalla movimentazione). Il procedimento è ripetuto per tutti gli strati di deposizione necessari per completare il modello implementato. Questo sistema è stato progettato per l’estrusione di materiale polimerico in soluzione con un solvente altamente volatile, controllato in viscosità per consentire un’estrusione ottimale attraverso il microago in vetro. Tuttavia non è da escludere un possibile utilizzo con biopolimeri controllati in viscosità per la realizzazione di strutture micrometriche con una topologia definita, pertanto questo sistema risulta avere alcune caratteristiche per la realizzazione di scaffold geliformi.

P

ISTON

S

YRINGE

La Piston Syringe è una tecnica di microfabbricazione con un principio di funzionamento analogo a quello del sistema PAM. Associato ad un sistema motorizzato per la movimentazione controllata nello spazio, utilizza un pistone dotato di un appropriato sistema di controllo per controllare la pressione di estrusione del materiale liquido caricato all’interno di una siringa. Come per tutti i sistemi di microfabbricazione RP, anche il Piston Syringe utilizza una metodologia di fabbricazione con sistema CAD/CAM. Il modello disegnato su software è suddiviso in topologie bidimensionali multi-strato, deposizioni successive consentono la realizzazione di una struttura tridimensionale.

I materiali che possono essere utilizzati con questa tecnologia di microfabbricazione sono molteplici, in particolare molti biopolimeri possono trovare spazio di utilizzo in questa applicazione in quanto non presenta limiti di utilizzo rilevanti. È opportuno caratterizzare alcune proprietà del materiale utilizzato in funzione dei parametri variabili del sistema, quali velocità di movimentazione e pressione di estrusione, al fine di ottenere delle strutture opportunamente dimensionate per lo scopo di utilizzo. Nel seguito di questo capitolo sarà fatta una trattazione più esaustiva, in

(19)

23

quanto questa tecnica di microfabbricazione risulta essere la più appropriata per rispondere alle specifiche dettate dall’obiettivo di questo lavoro di tesi.

L

IQUID

L

ASER

S

INTERING

La liquid laser sintering è una tecnica di microfabbricazione analoga alla fused laser sintering descritta nella sezione della RP utilizzante materiali solidi. Il principio fisico di utilizzo dell’energia associata al raggio laser si differenzia dalla fused laser sintering in quanto invece di fornire l’energia necessaria per la fuzione delle particelle solide deposte sullo strato bidimensionale, la Fused Laser Sintering si propone di fornire la materiale liquido l’energia necessaria per favorire il processo di reticolazione.

Le risoluzioni ottenibili con questa tecnica sono confrontabili con la lunghezza d’onda del fascio laser, consentendo la realizzazione di strutture con topologie ben definite. Con questa tecnica è però possibile utilizzare soltanto i biopolimeri in grado di attivare la reazione di reticolazione con fattori enegetici, inoltre l’utilizzo di un fascio laser energetico può indurre la modificazione della struttura polimerica, influenzando le caratteristiche meccaniche del prodotto finale.

F

USED

D

EPOSITION

M

ODELING

(FDM)

La Fused Deposition Modelling è una tecnica di microfabbricazione molto simile alle metodologie PAM e Piston Syringe descritte precedentemente. La FDM permette di realizzare strutture tridimensionali attraverso l’estrusione di filamenti di materiale termoplastico, opportunamente riscaldato fino alla temperatura di fusione per controllarne la viscosità, da un augello e movimentato nel piano x-y. La piattaforma è posta ad una temperatura inferiore a quella della testina di estrusione in modo che il materiale termoplastico estruso solidifichi rapidamente e formi delle linee ben definite nei contorni e nelle superfici. Una volta realizzato il primo strato, la piattaforma è abbassata di un tratto lungo l’asse z e la testina di estrusione è comandata per depositare il secondo strato. Il processo si ripete fintanto che l’intera struttura non è stata realizzata.

(20)

24

I materiali normalmente utilizzati i tale tecnica sono il policarbonato, il polifenilsulfonato o la cera. Questa tecnica può essere utilizzata con materiali geliformi solidi a temperatura ambiente, per i quali è possibile controllare le proprietà fluidodinamiche in funzione della temperatura. Questi biopolimeri devono presentare delle caratteristiche chimico-fisiche e proprietà meccaniche stabili alle variazioni di temperatura. Un biomateriale che soddisfa queste caratteristiche è l’agarosio, un carboidrato derivato da batteri ed alghe brune. Purtroppo l’agarosio, nelle sue diverse forme biologiche, non possiede la caratteristica di raffreddare velocemente, rendendo impossibile la definizione di strutture con contorni e superfici ben delineati e definiti.

1.5

S

CAFFOLD TRIDIMENSIONALI GELIFORMI

La realizzazione di strutture tridimensionali con topologia definita può essere ottenuta attraverso diverse metodiche di microfabbricazione illustrate nei paragrafi precedenti.

Lo scopo di questo lavoro di tesi si concentra sulla realizzazione di strutture tridimensionali riproducenti le caratteristiche fisiche e meccaniche dello spazio extracellulare. Questa condizione risulta essere approssimata con un minimo livello di errore utilizzando dei materiali geliformi. I materiali geliformi sono ottenuti da biopolimeri, naturali o sintetici, in soluzione acquosa. L’interazione tra la struttura polimerica e l’acqua consente la formazione di interazioni polari deboli tra questi due composti, conferendone le caratteristiche tipiche dei gel. Al variare della concentrazione è possibile modificare alcune proprietà meccaniche della soluzione geliforme, ottenendo proprietà chimico-fisiche più o meno simili a diversi ambienti fisiologici. Data la natura geliforme dei biopolimeri, è necessario trovare un sistema in grado di stabilizzare la struttura per mantenere una topologia desiderata nel tempo. Una classe di biopolimeri costituenti soluzioni geliformi è in grado di interagire con delle molecole chelanti, promuovendo la formazione di legami polari più forti responsabili dell’unione di diverse catene polimeriche. In questo caso si definisce lo ione o la molecola che forma i legami forti con le catene polimeriche

(21)

25

agente reticolante, e l’interazione tra catene biopolimeriche e agente di reticolazione è chiamata reazione di reticolazione.

Dopo la reazione di reticolazione l’idrogel stabilizza la propria forma, legando le catene polimeriche con interazioni sufficientemente forti e stabili nel tempo. La concentrazione del biopolimero in soluzione e dell’agente reticolante influenza il numero di legami tra catene polimeriche, e quindi va a modificare significativamente le proprietà meccaniche dell’idrogel. L’analisi delle proprietà meccaniche dei diversi idrogel dopo la reazione di reticolazione sarà descritta dettagliatamente nei prossimi capitoli, nel seguente paragrafo saranno trattate in modo sufficientemente esaustivo le caratteristiche che deve presentare una soluzione polimerica precedentemente alla reticolazione per consentire una realizzazione controllata di strutture tridimensionali. In questo modo sarà possibile fare una scelta adeguata del biopolimero che presenta le caratteristiche chimico-fisiche e meccaniche migliori sia per la fabbricazione, sia per l’interazione a livello cellulare.

Molte delle tecniche descritte nei paragrafi precedenti evidenziano dei limiti di utilizzo con biopolimeri, determinate o dai principi fisici di funzionamento del sistema oppure da limiti intrinseci al materiale. Molte tecniche centrano il loro funzionamento sull’utilizzo di materiali fotosensibili, pertanto sono escluse a priori dall’analisi per uno studio di fattibilità di realizzazione tecniche di microfabbricazione quali la stereolitografia e la litografia olografica. Altre tecniche utilizzano una fonte energetica laser per promuovere o la reticolazione di polimeri oppure una transizione di stato, come la Liquid Laser Sintering o la Laser Ablation. Nel primo caso risulta inutile un processo di unione tra catene polimeriche per la realizzazione di idrogel, in quanto si va ad ottenere soltanto una variazione delle proprietà meccaniche nella fase pre-reticolazione (allungamento della catena polimerica aumenta il peso molecolare del composto) senza influenzare la definizione di strutture tridimensionali geliformi stabili nel tempo. Nel secondo caso si mantengono stabili le proprietà meccaniche della soluzione polimerica, ma la struttura realizzata manca della reazione di reticolazione e quindi risulta instabile e soggetta a modificazioni rapide nel tempo.

(22)

26

Altre tecniche di microfabbricazione che utilizzano soluzioni acquose polimeriche per la definizione delle strutture, come l’elettrospinning, presentano la limitazione di non poter controllare la topologia della struttura finale realizzata.

La FDM possiede delle caratteristiche di realizzazione interessanti per strutture tridimensionali, ma il suo utilizzo è confinato alle soluzioni polimeriche che necessitano un aumento della temperatura per consentire l’estrusione. I biopolimeri utilizzati devono formare delle soluzioni solide a temperatura ambiente, oppure avere una viscosità variabile con la temperatura. In entrambi i casi è necessaria una caratterizzazione della modalità di estrusione in funzione della temperatura per definire delle strutture controllate in dimensione. Biopolimeri termosensibili non presentano la necessità di far avvenire la reazione di reticolazione in quanto risultano di per se stabili per la natura solida a temperatura ambiente, ma necessitano di un rapido scambio termico una volta estrusi per non modificare la forma superficiale della struttura deposta ottenuta con le tecniche di microfabbricazione. Gli idrogel che presentano caratteristiche biomeccaniche similari alla matrice extracellulare non sono termosensibili, pertanto solo le tecniche di microfabbricazione per Prototipazione Rapida quali la Ink-Jet Printing, la PAM e la Syringe Piston risultano essere compatibili con l’utilizzo di biopolimeri in soluzione. Tra queste metodologie soltanto la PAM e la Piston Syringe presentano la caratteristica di estrudere il materiale polimerico in un ambiente tale da favorire la reazione di reticolazione, consentendo la realizzazione di topologie definite e con superfici stabili. Infatti la Ink-Jet Printing consente la microfabbricazione di strutture depositando il biopolimero su una superficie accessibile soltanto a deposizione ultimata.

1.6

PAM

E

P

ISTON

S

YRINGE

Come conseguenza di quanto esposto nel paragrafo precedente, le tecniche che presentano caratteristiche compatibili per la realizzazione di strutture geliformi risultano essere la PAM e la Piston Syringe.

Per un corretto utilizzo di queste metodiche si rende necessaria una trattazione matematica per la modellizzazione delle caratteristiche di estrusione del sistema e

(23)

27

del materiale. Verrà qui di seguito illustrata la modellazione dei meccanismi di estrusione delle tecniche di microfabbricazione scelte.

1.6.1

M

ODELLAZIONE DELL

ESTRUSIONE CON

PAM

In questo paragrafo viene presentato un modello fisico-matematico che permette di descrivere in meccanismo di estrusione di una soluzione polimerica attraverso il microago in vetro, nota la viscosità dei polimeri utilizzati e alcune variabili tipiche della PAM quali il diametro interno ed esterno dell’ago, la velocità di avanzamento e la pressione applicata.

Il modello fluido-dinamico del meccanismo di estrusione della soluzione polimerica si concentra sull’analisi delle condizioni al contorno presenti sulla punta dell’ago poco prima che il fluido sia estruso. In questo modo è possibile fare una previsione della larghezza e dell’altezza delle linee di materiale microfabbricate, lasciando al capitolo successivo una trattazione più esaustiva completata dall’analisi sperimentale.

Per modellizzare l’estrusione è necessario assumere che la punta del microago abbia una geometria semplice, e che la soluzione polimerica in uscita possa uscire in gocce di volume definito e costante, assumendo che abbiano una forma semisferica nello stato pseudo-stazionario che precede l’estrusione.

Come mostrato in figura 1.2 le forze agenti sulla superficie del microago, nel punto di estrusione della soluzione, sono:

• il peso della goccia di soluzione polimerica, mg; • la pressione di estrusione, P;

• una pressione addizionale causata dall’evaporazione del solvente della soluzione polimerica da sommare alla pressione di estrusione, P*;

• la tensione superficiale tra la soluzione polimerica e la superficie di deposizione (vetro), γ;

• l’attrito dinamico tra la soluzione polimerica ed il vetro del microago, funzione della viscosità della soluzione polimerica µ;

(24)

• angolo di contatto tra la soluzione polimerica e la superficie di deposizione in vetro, θ;

• la velocità della goccia di soluzione polimerica, v.

Figura 1.2: Forze agenti durante la deposizione di materiale sul piano

Considerando il sistema in condizioni di equilibrio è possibile scrivere un semplice sistema di equazione di bilancio di forze ed energetico. Si ottengono le seguenti due equazioni: 0 2 1 8 2 0 cos 2 2 2 * 2 * = − + − − + = + − ∂ ∂ − + mv V P r hv PV mgh S P r rh x v PS mg

γπ

µ

θ

π

γ

π

µ

Le seguenti grandezze servono per la definizione della tensione superficiale γ, definita in seguito:

• m, è la massa della semisfera della goccia di soluzione polimerica, caratterizzata da volume V, densità ρ e raggio r;

• h, altezza della goccia sopra il substrato; • R1, raggio interno della punta del microago.

La tensione superficiale γ risulta essere 2

1 2 R mg

π

γ

= . mg µ γ Rs P P*

(25)

29

Esprimendo la massa della goccia come m=2/3πr3ρ, e passando da un sistema di coordinate cartesiano ad uno cilindrico, in cui x = r cosΦ, con le condizioni che non ci sia variazione della forma della goccia, per cui Φ =2π e quindi dx=dr. Si ottiene un nuovo sistema di equazioni per il bilancio delle forze e dell’energia:

0 3 8 2 3 2 0 3 cos 2 2 3 2 2 1 * 5 1 2 1 3 2 1 * 4 1 2 1 3 = + − − + = + − ∂ ∂ − + h R P r R g hv h PR r gh R P r R g r v hr PR gr πρ µ π ρ ϑ ρ µ ρ

Che può essere espresso come una funzione del raggio della goccia:

0 0 2 3 6 5 5 4 3 2 3 1 5 4 4 3 2 3 1 = − + − − + = + − ∂ ∂ − + v r b b r b v b b r b a r a r v r a a r a in cui

Con l’integrazione rispetto a r dell’equazione (a) si ottiene la velocità della goccia come funzione del diametro del punto di estrusione:

K r a a r a a a r a a v = − + − 4 + 3 4 3 5 2 3 3 1 4 ln ) ( 3 3 3 8 2 3 2 6 2 1 * 5 1 4 3 2 1 2 1 πρ π πρ µ π π ρ = = = = = = b h R P b R g b h b h PR b gh b (a) (b) 2 1 * 5 1 4 3 2 1 2 1 3 cos 2 2 3 2 R P a R g a h a PR a g a = = = = = θ ρ µ ρ

(26)

30

Che sostituita nell’equazione (b) fornisce un’unica equazione del sistema dipendente solo da r. Per semplificare ulteriormente l’equazione è possibile fare un’approssimazione del primo ordine in cui ln(r) ≈ r (per lo sviluppo in polinomi di Taylor per ordini infinitesimi di r). Si ottiene un’equazione di 11 grado espressa come segue: 0 0 1 3 3 4 4 5 5 6 6 7 7 8 8 9 9 10 10 11 11r +c r +c r +c r +c r +c r +c r +c r +c r +cr+c = c

In cui sono definite le costanti:

1.6.2

M

ODELLAZIONE DELL

ESTRUSIONE CON

P

ISTON

S

YRINGE

In questo paragrafo viene presentato un modello fisico-matematico per descrivere il meccanismo di estrusione di una soluzione polimerica attraverso l’ago di una tipica siringa commerciale. Lo sviluppo di questo modello, come per quello trattato nel paragrafo precedente, è possibile dalla conoscenza di alcuni parametri caratteristici del sistema quali le caratteristiche viscose della soluzione polimerica utilizzata, la pressione di estrusione, il diametro interno dell’ago, il diametro della goccia in formazione e la velocità della soluzione polimerica. Per potere fare una semplice trattazione occorre anche in questa analisi concentrarsi sulle condizioni al contorno sulla punta dell’ago poco prima che il fluido sia estruso. Per semplicità in questa trattazione non sarà considerato il piano di taglio obliquo caratteristico degli aghi di

(

)

(

)

      + − + =       − − =       =       + + − − =       = 3 5 2 6 3 3 5 3 3 2 1 2 6 3 1 3 1 3 3 4 3 4 2 3 5 2 2 5 2 2 6 4 5 3 6 1 6 2 3 4 2 3 2 a a a Kb a b a a b a c K b a a b b c a a b c a a a a a b b c a b Ka c

(

2 3 5

)

0 3 6 4 2 3 5 2 1 6 7 2 3 6 5 2 4 8 2 3 2 1 6 9 2 3 4 1 6 10 2 3 2 4 6 11 2 3 ) ( 2 2 ) ( 9 6 16 b K b b c a K b a a a a a b c a b a a a c a a b c a a a b c a a b c + − =       + + =       + =       − =       =       − =

(27)

31

una siringa commerciale, ma sarà considerata una sezione di estrusione parallela al piano di deposizione. Per continuità di analisi si esegue il bilancio delle forze e delle energie allo stato pseudo-stazionario di estrusione sulla punta dell’ago. Si ricava un sistema di equazioni molto simile al modello della PAM:

0 2 1 8 2 0 cos 2 2 2 2 = − − − + = − ∂ ∂ − + mv r hv PV mgh r rh x v PS mg

γπ

µ

θ

π

γ

π

µ

In questo modello l’unica variabile modificata rispetto al precedente risulta essere la definizione del volume di estrusione V, definito come: V=πr2L e L=vstepper∆t. Infatti

in questo modello occorre considerare un’altra grandezza caratteristica del sistema quale la velocità di movimentazione del motore che controlla la pressione del pistone della siringa.

Risolvendo analogamente al modello precedente è possibile ricavare la dimensione della goccia di soluzione polimerica che andrà ad impattare sul piano di deposizione, in particolare assumendo che la soluzione sia estrusa secondo la legge di Poiseuille:

ܳ =ܸ݀݀ݐ =ߨܴௌସΔpΔz

Con ܳ =ௗ௏

ௗ௧ = ߨݎଶvstepper , si ricava una dimensione caratteristica di

ݎ = ට ோೄర∆௣

(28)

32

1.7

S

CAFFOLD INGLOBANTI CELLULE

Come evince dalla trattazione precedente, le tecniche di microfabbricazione scelte permettono di controllare parametri caratteristici per la definizione di opportuni profili di pressione e velocità dei materiali. In questo modo è possibile definire non soltanto le dimensioni della struttura finale in funzione di alcuni parametri caratteristici, ma anche la determinazione delle forze e la loro distribuzione all’interno del materiale scelto.

In particolare, con un dimensionamento opportuno delle variabili del sistema di fabbricazione, è possibile quantificare l’andamento degli sforzi cui è sottoposto il materiale. Dopo un’attenta analisi delle grandezze significative in gioco quali pressione di estrusione, profilo di velocità e viscosità, è possibile derivare il profilo degli sforzi di taglio durante l’estrusione.

Si apre da questo studio la prospettiva affascinante di realizzare delle strutture geliformi inglobanti cellule. Dallo studio di questo innovativo sistema di realizzazione degli scaffold si possono aprire nuove frontiere di analisi dell’interazione cellulare, ponendo direttamente in una piastra di coltura una struttura completa. Di seguito viene riportata una modellazione delle caratteristiche peculiari che rendono possibile la sperimentazione di questa tecnica di microfabbricazione, lasciando ai capitoli seguenti una trattazione più esauriente delle grandezze in gioco interagenti con le cellule.

(29)

1.7.1

M

ODELLA

Per poter quantificare la distribuzione di alcune grandezze caratteristiche del sistema di estrusione, è stato realizzato un modello CAD

opportunamente dimensionato dell’ago da cui far uscire la soluzione polimerica. Il modello realizzato è stato poi studiato con un opportuno software agli elementi finiti per fornire una descrizione più dettagliata

distribuzione della pressione all’interno della soluzione polimerica, gli sforzi di taglio e la velocità di estrusione.

ODELLAZIONE SOFTWARE DEL SISTEMA DI ESTRUSIONE

Per poter quantificare la distribuzione di alcune grandezze caratteristiche del sistema di estrusione, è stato realizzato un modello CAD

opportunamente dimensionato dell’ago da cui far uscire la soluzione polimerica. Il to è stato poi studiato con un opportuno software agli elementi finiti per fornire una descrizione più dettagliata di alcune grandezze quali la distribuzione della pressione all’interno della soluzione polimerica, gli sforzi di taglio

usione. Tali studi saranno descritti nei seguenti capitoli.

Figura 1.3: disegno CAD di un ago da 29 Gauge

SIONE

Per poter quantificare la distribuzione di alcune grandezze caratteristiche del (figura 1.3) opportunamente dimensionato dell’ago da cui far uscire la soluzione polimerica. Il to è stato poi studiato con un opportuno software agli elementi di alcune grandezze quali la distribuzione della pressione all’interno della soluzione polimerica, gli sforzi di taglio

(30)

34

Bibliografia

1. M.J. Madou- Fundamentals of Microfabbrication. The Science of Miniaturization. CRC Press (2002)

2. Q.P. Pham, U. Sharma, A.G. Mikos- Electrospinning of polymeric nanofibers for tissue engineering application: a rewiew. Tissue Eng, 12, 5 (2006).

3. G. Vozzi, A. Previti, D. De Rossi, A.D. Ahluwalia- Microsyringe-Based Deposition of Two-Dimensional and Three-Dimensional Polymer Scaffolds with a Well-Defined Geometry for Application to Tissue Engineering. Tissue Eng. 8, 6 (2002)

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