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Capitolo 1 Il suolo e il ciclo del carbonio

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Academic year: 2021

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Capitolo 1

Il suolo e il ciclo del carbonio

1.1 Introduzione

I suoli sono corpi naturali formatisi nella zona di contatto tra atmosfera, litosfera, idrosfera e biosfera (Sequi,1989). I fenomeni che presiedono alla formazione del suolo sono molteplici; si tratta di processi fisici, chimici e biologici che avvengono a carico delle rocce e della materia organica. Lo sviluppo di un suolo e le sue proprietà dipendono dai cosiddetti fattori di stato o fattori di

pedogenesi che essenzialmente sono: clima, organismi viventi, topografia,

matrice litologica; tutti questi fattori interagiscono fra loro determinando effetti diversi con il trascorrere del tempo. A questi vanno aggiunte le interferenze antropiche che trasformano l’ambiente influenzando notevolmente le proprietà del suolo.

I processi di addizione, rimozione, trasformazione e trasferimento che controllano la formazione dei suoli coinvolgono un numero molto elevato di sostanze, sia organiche che inorganiche. Tali processi determinano la differenziazione di un suolo in orizzonti, ovvero strati paralleli alla superficie distinguibili dagli altri per almeno una caratteristica tra: colore, tessitura1, struttura2, consistenza e contenuto di radici. Per una descrizione della suddivisione del suolo in orizzonti si rimanda all’appendice A.

Il suolo rappresenta uno dei più importanti serbatoi mondiali di carbonio e svolge un ruolo fondamentale nel ciclo del carbonio; in particolare la sostanza organica del suolo costituisce un’enorme ricchezza dal punto di vista del sequestro del carbonio.

La sostanza organica del suolo, formata da una miscela eterogenea di residui organici (foglie, rami, deiezioni animali, etc…) che arrivano al suolo, può presentare caratteristiche chimico-fisiche e velocità di decomposizione diverse a seconda del tipo di vegetazione, del clima, delle proprietà del suolo stesso e

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Si definisce tessitura la percentuale in peso tra sabbia, limo e argilla (Sanesi, 2000).

2

Si definisce struttura lo stato di aggregazione delle particelle di sabbia, limo, argilla e materia organica (Sanesi, 2000).

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del tipo di uso che ne viene fatto da parte dell’uomo (Ecological Society of America, 2000).

L'accumulo o la mineralizzazione della sostanza organica dipendono da un delicato equilibrio che può essere preservato soltanto se l'intervento dell'uomo tiene conto di tutti i fattori che concorrono ai due processi. Quindi, capire che cos'è la sostanza organica del suolo, da dove deriva, come si trasforma e come si conserva deve essere la base per una gestione sostenibile che miri alla difesa del suolo e alla salvaguardia del territorio, soprattutto in ambienti contraddistinti da un delicato equilibrio tra uomo e natura.

1.2 Ciclo del Carbonio

Il ciclo del carbonio (schematizzato in figura 1.1) riguarda tutte le trasformazioni chimiche del carbonio a livello ambientale. Esso è caratterizzato dai cosiddetti

sink (“serbatoi”) di carbonio e dai processi mediante i quali avvengono gli

scambi tra un serbatoio e l’altro.

figura 1.1: Ciclo del carbonio con flussi di CO2 in Gt/anno tra i sink del ciclo. In alcuni casi è

indicata anche la variazione annuale. GPP= CO2 utilizzata nella fotosintesi; RP= CO2 emessa

per respirazione delle piante; D= CO2 emessa dal suolo (fonte: www-cger2.nies.go.jp).

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Il ciclo globale del carbonio coinvolge, oltre all’atmosfera, la litosfera, la biosfera e l’idrosfera; esso può essere virtualmente differenziato in ciclo geologico e in

ciclo biologico (Hurst, 2000). Il ciclo geologico del carbonio si compie in

centinaia di milioni di anni e coinvolge il carbonio immagazzinato nei combustibili fossili, negli oceani e nelle rocce.

Il ciclo biologico del carbonio interessa tutti gli ecosistemi terrestri e riguarda l’assorbimento e la trasformazione del carbonio da parte degli organismi viventi. Esso può essere descritto dai seguenti passaggi: (1) la conversione dell'anidride carbonica atmosferica a carboidrati per mezzo della fotosintesi effettuata dagli organismi autotrofi; (2) il consumo dei carboidrati da parte degli organismi eterotrofi con la produzione di CO2 e di energia; (3) il ritorno della

CO2, liberata dalla respirazione degli esseri viventi, all'atmosfera; (4) la

decomposizione dei residui animali e vegetali nel suolo e quindi la riorganizzazione del carbonio in altri prodotti.

Poiché la sostanza organica immagazzinata nei tessuti animali e vegetali alla morte degli organismi raggiunge il suolo, dove si decompone in parte, il suolo riveste un ruolo fondamentale come serbatoio nel ciclo biologico del carbonio. I suoli, infatti, contengono più del 75% delle riserve terrestri di carbonio organico ed il maggior contributo proviene dai suoli delle foreste e delle praterie alberate (Ecological Society of America, 2000). È stato stimato che circa il 30 % del carbonio organico immagazzinato dal suolo è allocato nella tundra e negli ecosistemi boreali (Tarnocai et al. 2003). Esistono tuttavia notevoli variazioni tra i diversi tipi di foresta in cui il carbonio si accumula; la maggior parte del carbonio degli ecosistemi boreali è immagazzinato nel suolo, mentre nelle foreste tropicali è diviso quasi equamente tra suolo e sottosuolo (AAVV, Ed. Ambiente, 2004). Il fattore primario che determina questa differenza è la temperatura, che ad alte latitudini limita il riciclo dei nutrienti e la decomposizione della materia organica nel suolo, mentre a basse latitudini favorisce questi processi. Nelle zone umide il carbonio contenuto nella biomassa vegetale è una piccola parte di quello complessivo: il lento tasso di decomposizione nei suoli umidi, come quelli di torbiera, determina un elevato accumulo di sostanza organica nel suolo stesso.

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1.3 Effetto serra

L’effetto serra è un fenomeno naturale, indispensabile per la vita sulla Terra e reso possibile dalla presenza dell’atmosfera. Infatti è la presenza di gas serra come il vapor d’acqua e la CO che permette di mantenere costante la temperatura media terrestre; se questo fenomeno fosse assente la Terra sarebbe troppo fredda (circa -15°C, 30 °C in meno rispetto alla media attuale) (Navarra et al., 2000). Tuttavia, se amplificato, l’effetto serra può portare ad un riscaldamento eccessivo, a cui gran parte della vita sulla Terra non potrebbe adattarsi. L’aumento di gas serra, connesso alle attività antropiche (consumo massiccio di combustibili fossili, urbanizzazione, disboscamento indiscriminato, agricoltura intensiva, deviazione dei corsi d’acqua, ecc.), contribuisce all’incremento dell’effetto serra e quindi della temperatura media globale (IPCC Third Assessment Report, 2001) provocando una variazione allarmante negli equilibri naturali (Navarra et al., 2000).

2

Il suolo influenza la concentrazione nell'atmosfera di alcuni gas responsabili dell’effetto serra; in particolare può funzionare da trappola o fonte di CO2: è

trappola quando trattiene una grande quantità di carbonio organico e fonte quando rilascia CO2 a seguito a trasformazioni della SOM. L'aumento della

temperatura atmosferica, incrementando l'attività dei microrganismi del suolo e quindi la mineralizzazione della sostanza organica intrappolata, favorisce la produzione di CO2 e quindi un ulteriore aumento di temperatura dell'atmosfera.

Altri processi possono però contrastare la diminuzione del contenuto di sostanza organica del suolo provocato dall'aumento di temperatura. Infatti l'incremento della concentrazione di CO2 nell'atmosfera può influire

positivamente sulla velocità del processo fotosintetico con una maggiore produzione di biomassa vegetale e quindi con un maggior apporto di residui organici al suolo. Se la velocità di accumulo della sostanza organica è superiore alla velocità di degradazione, aumenta il contenuto di carbonio nel suolo, a scapito del carbonio dell'atmosfera, in caso contrario il contenuto di carbonio nel suolo diminuisce ed il suolo agisce come un'ulteriore fonte di CO2

atmosferica.

Anche l’effetto antropico gioca un ruolo fondamentale nell’evoluzione dell’effetto serra. Negli ultimi 150 anni si è avuto un aumento costante della

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concentrazione di CO2 nell’atmosfera, con un’impennata nell’ultimo

quarantennio (figura 1.2), attribuito da molti scienziati alla crescita della popolazione umana e delle attività economico-produttive (Brown, 2003).

Questo significa che i rapporti naturali di concentrazione tra i vari serbatoi di ciclo del carbonio sono mutati: la vegetazione è notevolmente diminuita a causa della deforestazione; il suolo ha perduto parte della sua capacità di sequestrare il carbonio a causa della desertificazione, del sovra-sfruttamento agricolo e dell’erosione delle coste; il carbonio immagazzinato sotto forma di combustibili fossili sta rapidamente diminuendo e si sta riversando in atmosfera.

figura 1.2: concentrazione atmosferica di CO2 determinata tramite carotaggio di ghiacci

antartici fra il 1850 e il 1950 e misurata nell’atmosfera presso Mauna Loa dal 1958 al 1996 (fonte:http://www.press.uillinois.edu).

Per impedire questo processo, accanto alla riduzione delle emissioni di gas serra e gas inquinanti e all’utilizzo di fonti energetiche alternative, è necessario rimuovere il carbonio atmosferico sequestrandolo nel suolo mediante una gestione programmata su scala globale del territorio forestale e agricolo. In particolare si dovrebbero individuare aree specifiche da destinare alla riforestazione, ricorrere a pratiche agricole sostenibili, impedire la deforestazione nelle aree tropicali e prevenire la desertificazione.

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1.4 Fattori di pedogenesi

I processi pedogenetici che regolano la formazione di un suolo sono riconducibili a flussi di materia e di energia che avvengono tra il suolo e l'ambiente circostante, ovvero atmosfera, idrosfera, biosfera e litosfera. Tramite questi processi diversi materiali possono essere addizionati al suolo, persi, traslocati da una porzione all'altra del profilo e trasformati. I processi pedogenetici sono determinati dai seguenti fattori: roccia madre, clima, componenti biotiche (vegetazione, microrganismi), morfologia del territorio e tempo.

La roccia madre determina la rapidità con la quale si forma un suolo e molte sue proprietà quali la tessitura, la mineralogia, la profondità, la porosità, la permeabilità e la tendenza a farsi colonizzare dalle piante. L'effetto della roccia madre si manifesta in maniera preponderante all'inizio della pedogenesi; con il procedere dei processi di alterazione dei minerali della roccia, le caratteristiche iniziali si perdono a favore di quelle indotte dagli altri fattori - soprattutto climatici - e le proprietà della fase minerale del suolo vengono a dipendere da quelle dei nuovi minerali che si formano (Foglio Divulgativo di Pedologia, 2001). Il suolo è infatti un sistema aperto per cui gli elementi liberati dalla degradazione della roccia madre possono essere rimossi dall'acqua oppure possono ricombinarsi ed essere depositati sotto forma di composti diversi da quelli d'origine.

Il clima è uno dei fattori principali della pedogenesi; i suoli infatti cambiano in base a latitudine e longitudine essenzialmente per la variazione delle condizioni climatiche. A livello mondiale, i climi caldo-umidi dell'ambiente equatoriale sono quelli in cui si trovano i suoli più evoluti, quelli in cui le trasformazioni della fase minerale sono più spinte. In generale, i fattori climatici che più influenzano la pedogenesi sono la temperatura e la piovosità. La temperatura regola la velocità delle reazioni chimiche e la solubilità dei composti. Quindi, in linea teorica, ci si aspetterebbe una maggiore alterazione all’aumentare della temperatura. Tuttavia, nella realtà ciò non avviene poiché la maggior parte dell’energia termica assorbita dal sistema suolo viene utilizzata per

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l’evapotraspirazione. Inoltre l'esposizione di un versante determina l'escursione termica e quindi i cicli freddo-caldo che favoriscono la disgregazione della roccia. Tuttavia, il carattere climatico che influenza in misura maggiore la pedogenesi è la piovosità. Se ipotizziamo di osservare l’evoluzione di due suoli caratterizzati dalla stessa roccia madre ma in due luoghi diversi, uno in un clima arido e l’altro in un clima piovoso, l'alterazione che si avrà dopo un uguale periodo di tempo sarà minore dove la piovosità è minore. La piovosità influenza inoltre l’intensità del dilavamento a cui il suolo è sottoposto. Il dilavamento dipende dal bilancio tra precipitazioni ed evapotraspirazione ed è strettamente legato al grado di drenaggio del suolo. L’acqua è responsabile dei processi di alterazione dei minerali, della dissoluzione delle sostanze neoformate e della distribuzione delle stesse all’interno del profilo. Il dilavamento influenza, quindi, anche la differenziazione degli orizzonti (Sanesi, 2000).

Gli organismi viventi condizionano in maniera considerevole la formazione del suolo. Le piante svolgono un’azione determinante nei processi di pedogenesi aumentando la porosità del suolo e favorendo il trattenimento dell’acqua attraverso l’apporto di materia organica; inoltre le radici sono in grado di penetrare nelle fessure delle rocce ed esercitare pressioni tali da provocarne la frantumazione. Le piante producono inoltre, a livello radicale, composti acidi dotati di notevole capacità alterante sulla sostanza organica. Il diverso grado di sviluppo del suolo è perciò strettamente correlato al tipo di vegetazione che lo ricopre. I microrganismi, d’altro canto svolgono un ruolo fondamentale nella decomposizione della materia organica.

La morfologia del paesaggio è strettamente connessa con l’erosione e la sedimentazione per cui influenza fortemente la formazione del suolo. L’inclinazione del pendio e la conformazione topografica dell’area in cui si trova il suolo possono determinare quindi un grado di alterazione della roccia madre e una distribuzione delle sostanze tali da originare suoli diversi anche a parità degli altri fattori. In un sistema ben drenato i prodotti più fini dell’alterazione da parte degli agenti atmosferici possono penetrare in profondità mentre nei suoli che non sono ben drenati

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prevale il ruscellamento superficiale. Tale fenomeno dipende anche dall’inclinazione del pendio; infatti i suoli di pendio dove i prodotti dell’alterazione possono essere allontanati facilmente grazie al ruscellamento superficiale, vengono costantemente ringiovaniti. Questo non avviene nelle aree pianeggianti caratterizzate da un minor ruscellamento superficiale. I suoli di pendio quindi, per la minore presenza di particelle fini, avranno un drenaggio migliore, quelli in posizione pianeggiante peggiore. Tuttavia l'erosione ed il ruscellamento superficiale sono processi che dipendono anche dal clima e dalla vegetazione.

Ogni suolo è il risultato dell’interazione di tutti i fattori sopraelencati e risulta impossibile valutare singolarmente l'effetto di ciascun fattore; in altre parole il suolo è un sistema multivariato le cui variabili sono interdipendenti.

1.5 Sostanza organica del suolo

Il suolo, indipendentemente dalle sue caratteristiche e dal suo grado di sviluppo, è costituito, oltre che da aria ed acqua, da due frazioni: una frazione minerale e una frazione organica. La frazione minerale dipende essenzialmente dal substrato pedogenetico e dal suo grado di alterazione. Per quanto riguarda invece la frazione organica l’analisi è più complessa.

La SOM rappresenta una delle maggiori riserve terrestri di carbonio, superata a livello planetario soltanto dai carbonati delle rocce (6,5·107 Gt circa), dalla CO2

disciolta nelle acque oceaniche (4·104 Gt circa) e dai giacimenti fossili (5·103 Gt circa); infatti il suolo trattiene circa 1500 Gt di carbonio organico contro le 750 Gt presenti nell'atmosfera sotto forma di CO2 e le 550 Gt che si trovano nella

biomassa vegetale (www-cger2.nies.go.jp). È da tener presente tuttavia che vi è una certa disomogeneità nella distribuzione della SOM; il contenuto di sostanza organica varia da meno dell' 1% (0,5%) nei suoli desertici e in quelli minerali, a valori intorno al 40% nei suoli forestali soprattutto in ambiente montano, a più del 90% nelle torbe (Sanchez, 1998).

Come detto nel paragrafo 1.3, dall’inizio dell'era industriale l'utilizzo di combustibili fossili e la deforestazione hanno determinato una fortediminuzione

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della sostanza organica del suolo e della biomassa vegetale, con conseguente aumento dell'anidride carbonica in atmosfera.

Data l’importanza della SOM come riserva di carbonio, risulta utile conoscere a fondo che cos'è la sostanza organica, come arriva al suolo e come si trasforma, quali sono i fattori che ne influenzano la mineralizzazione e l'accumulo e infine quali sono le sue funzioni nel sistema suolo (Celi, 2003).

La SOM comprende: gli organismi viventi, la lettiera, ossia il tappeto di foglie, rami e frutti caduti dalle piante1, i costituenti post-mortali degli organismi viventi in via di trasformazione, le sostanze umificate e i composti sintetizzati dagli organismi del suolo.

Quando si parla di costituenti post-mortali della frazione organica del suolo è opportuno suddividerli in due gruppi: i materiali che conservano in maniera più o meno marcata i segni dell’organizzazione cellulare originaria, nei quali l’organizzazione dei tessuti e delle cellule è ancora chiaramente riconoscibile, e i materiali che in seguito a radicali trasformazioni hanno perso le caratteristiche che permettono di risalire alla matrice d’origine. I composti organici presenti nei residui post-mortali di origine animale e vegetale sono essenzialmente: carboidrati, amminoacidi e proteine, lipidi, acidi nucleici, lignine, cere e resine. Questi composti sono detti, nel loro insieme, composti non umici poiché sono riportabili a ben definite categorie di composti chimici (Kohl, 2000). Essi sono destinati a subire, in tempi più o meno lunghi, processi evolutivi il cui andamento è condizionato dal tipo di ambiente in cui si trovano. Per esempio, in condizioni aerobiche e in presenza di temperature elevate l’evoluzione è di tipo ossidativo e porta alla formazione di CO2 e H2O, mentre in condizioni

anaerobiche spinte si attivano processi riduttivi che portano alla carbonificazione. Quando, invece, si instaurano condizioni intermedie allora si innescano processi che danno origine alle sostanze umiche, cioè ad un insieme di acidi organici a struttura complessa, di natura prevalentemente fenolica, ai quali non è possibile attribuire struttura e composizione chimica ben definite (Sequi,1989).

Le sostanze umiche si distinguono in acidi umici, acidi fulvici ed umine. Le umine sono composti a bassa acidità dovuta soprattutto a gruppi fenolici; gli

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Nei pascoli è composta da radici morte, mentre nei terreni coltivati è costituita soprattutto dai sovesci e dall’interramento dei residui vegetali.

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acidi umici sono composti a peso molecolare elevato (2000-3000 Da) e modesta acidità; gli acidi fulvici sono molecole più piccole (peso molecolare <1000 Da) caratterizzate da elevata acidità. Gli acidi umici si formano in suoli ricchi di basi, gli acidi fulvici invece nei suoli dove la decomposizione della materia organica è operata dai funghi.

Nonostante tecniche di indagine sempre più avanzate abbiano permesso di ottenere informazioni sulle diverse componenti della SOM, le attuali conoscenze sulla struttura chimica delle sostanze umiche sono ancora incomplete.

Le prime strutture chimiche proposte per le sostanze umiche risalgono agli anni ’70-’80 (Haworth, 1971; Buffle, 1977; Stevenson, 1982). Tali strutture si basano sull’assunzione che le sostanze umiche siano costituite da un cuore aromatico legato a peptidi, carboidrati, metalli e acidi fenolici attraverso legami chimici o fisici (un esempio è mostrato in figura 1.3). Successivamente questa visione è stata ritenuta troppo semplicistica ed è stata preferita una descrizione della sostanza umica come una miscela complessa di composti organici a diverso peso molecolare la cui caratteristica comune è quella di presentare zone aromatiche e zone alifatiche più o meno complesse (Burdon, 2002).

zucchero

peptide

figura 1.3: modello della struttura di un acido umico proposta da Stevenson (1982).

Le difficoltà che sussistono nella descrizione delle sostanze umiche sono dovute principalmente all’eterogeneità dei materiali coinvolti, alla varietà di organismi che determinano le trasformazioni della sostanza organica del suolo

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e ai fattori ambientali che regolano i processi chimico-fisici che caratterizzano il suolo stesso.

Per comprendere a fondo la natura delle vie metaboliche che concorrono al ciclo del carbonio nel suolo è necessario suddividere il processo globale in quattro fasi:

1. apporti organici al suolo;

2. degradazione dei materiali organici; 3. polimerizzazione e sintesi (umificazione); 4. mineralizzazione.

È bene tener presente che non si tratta di fasi vere e proprie, bensì di processi simultanei e interdipendenti. In figura 1.4 vengono schematizzati i processi suddetti e la loro connessione al ciclo del carbonio.

Gli apporti di carbonio organico al suolo possono essere fenomeni periodici o continui a seconda dell’ambiente; inoltre dipendono dai vegetali (secrezioni radicali, sostanze mucillaginose, spoglie radicali, foglie e rami caduti), dagli animali (deiezioni e spoglie) e dagli organismi microbici (prodotti extra-cellulari e spoglie).

Il più importante contributo di carbonio è quello dovuto alle radici delle piante. Le sostanze rilasciate dagli apparati radicali possono essere distinte in tre categorie principali: le secrezioni, composte generalmente da sostanze a basso peso molecolare; le sostanze mucillaginose, che favoriscono i meccanismi di trasporto metabolico; le spoglie radicali, che comprendono singole lisi cellulari, resti di specifici tessuti, radici intere o loro parti.

La sostanza organica caduta al suolo proveniente dagli esseri viventi è costituita da:

sostanze semplici come amminoacidi, zuccheri, acidi organici mono- e bicarbossilici;

composti a più alto peso molecolare come polisaccaridi, proteine, acidi nucleici, lipidi e lignine.

La velocità di trasformazione della sostanza organica nel suolo dipende strettamente dall’attività dei microrganismi del suolo che prima di tutto provvedono alla riduzione delle dimensioni dei residui vegetali grazie al rilascio di enzimi. In questa prima fase di decomposizione si ha una rapida perdita dei composti facilmente degradabili come zuccheri semplici, amminoacidi, molte

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proteine ed alcuni polisaccaridi che possono essere facilmente idrolizzati dai microrganismi a composti semplici e utilizzati dagli stessi come fonte di energia. In uno stadio successivo vengono attaccati i composti più resistenti, come le cere, i grassi, la cellulosa e la lignina che, pertanto, persistono per lunghi periodi nel suolo.

figura 1.4: Processi di umificazione e ciclo del carbonio (Sequi, 1989).

La velocità di degradazione non è influenzata soltanto dalla resistenza intrinseca delle molecole, strettamente connessa al tipo di struttura chimica, ma anche dall’interazione con la frazione minerale. L'intrappolamento nei micropori degli aggregati del suolo e l'interazione tra la SOM e i colloidi inorganici (minerali argillosi) costituiscono infatti una vera e propria barriera fisica contro l'attacco microbico (McConkey et al., 2000). E’ stato infatti osservato che la sostanza organica e la frazione colloidale dei minerali argillosi formano facilmente complessi organo-minerali molto stabili che migliorano lo stato di aggregazione e la stabilità del suolo, rallentando i processi di degradazione

composti facilmente o difficilmente degradabili Degradazione

monomeri e piccole unità

Umificazione

(resintesi, polimerizzazioni, condensazioni)

sostanze umiche Mineralizzazione

cellule di organismi viventi

Polisaccaridi e altri polimeri non umici

CO2 Apporti organici al suolo Catene alimentari Fotosintesi fotosintetati 12

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microbica della sostanza organica (figura 1.5). In suoli sabbiosi, dove tale interazione è ridotta, la degradazione è quindi più veloce.

figura 1.5: formazione di un complesso organo minerale dall’interazione fra i minerali delle argille e la SOM (AAVV, Ed. BTU, 2004).

La velocità di decomposizione della sostanza organica dipende, inoltre, da altri fattori, tra cui le condizioni climatiche, il pH del suolo e la sua destinazione. Le condizioni climatiche influenzano notevolmente il turnover della sostanza organica in quanto la disponibilità di acqua e la temperatura del suolo regolano le reazioni di ossidazione e influenzano la crescita vegetale e l'attività microbica. Nei suoli aridi la scarsa presenza d’acqua blocca la crescita vegetale e quindi viene favorita la decomposizione rispetto all’accumulo. Nei suoli in climi umidi, invece, la decomposizione viene rallentata dalle condizioni di scarsa ossigenazione. La temperatura presenta valori ottimali diversi per la produzione vegetale e per la respirazione del suolo, e quindi per l’attività microbica. Infatti, gli apporti di materiale organico al suolo sono influenzati dalla temperatura dell'aria, mentre il tasso di decomposizione è controllato dalla temperatura del suolo. Climi freddi portano all'accumulo della sostanza organica per il prevalere della produzione vegetale su quella microbica: la temperatura del suolo rimane bassa per tutto l'anno mentre la temperatura dell'aria in estate si alza sufficientemente da permettere una certa produzione di biomassa vegetale; di conseguenza questi suoli contengono elevate quantità di carbonio. I suoli dei climi caldi, invece, presentano bassi contenuti di sostanza organica dato che

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l’attività microbica è favorita rispetto alla produzione vegetale (Evanylo et al., 2000).

Un altro parametro molto importante è l'acidità del suolo che non solo influenza le reazioni chimiche, ma orienta anche l'attività biologica: il pH ottimale per lo sviluppo di popolazioni batteriche è attorno a 6-8, mentre in suoli acidi e sub-acidi l'attività biologica è svolta prevalentemente da funghi.

L’umificazione è un processo complesso che coinvolge l’idrolisi enzimatica dei polimeri, la trasformazione ossidativa delle molecole così formate, la polimerizzazione e la policondensazione dei prodotti. Dato che la struttura chimica delle macromolecole umiche non è certa, è possibile in questa sede suddividere le sostanze umiche come segue:

sostanze umiche a basso peso molecolare ed elevata solubilità che hanno quindi un tempo di residenza breve nel suolo;

sostanze umiche a più elevato peso molecolare, poco o per niente solubili in acqua che hanno tempi di residenza molto più lunghi nel suolo. La mineralizzazione delle sostanze umiche è un processo molto lento che include la decomposizione della sostanza organica umificata e la formazione di composti inorganici, con lo sviluppo di CO2.

Fattori climatici e pedologici regolano la formazione degli orizzonti organici differenziando la distribuzione della sostanza organica nel suolo in base alla profondità. Per esempio nei suoli forestali l’evoluzione della sostanza organica aumenta passando dagli orizzonti organici superficiali a quelli minerali sottostanti. Generalmente il contenuto di proteine, polisaccaridi, lipidi estraibili e lignina diminuisce con la profondità, mentre la quantità di frazione organica non idrolizzabile umificata aumenta.

1.6 Effetto antropico sulla SOM

L'uso antropico del suolo influenza sia la sostanza organica presente nel suolo stesso sia la biomassa vegetale. Quando un suolo naturale viene utilizzato per attività agricole o ricreative, normalmente viene ridotto l'apporto di materiale organico al suolo e si assiste ad un declino del suo contenuto di carbonio organico. La produzione vegetale aumenta specialmente con la fertilizzazione, ma una larga parte della biomassa viene rimossa durante la raccolta. Le

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elevate produzioni tipiche dell'agricoltura intensiva, inoltre, vengono ottenute grazie al fatto che le piante sono indotte a sviluppare maggiormente la parte aerea rispetto alle radici, riducendo la quantità di materiale organico che rimane nel suolo. Inoltre, le alterazioni del suolo distruggono gli aggregati organo-minerali, rimescolano gli orizzonti superficiali, riducono la densità apparente e modificano la temperatura del suolo. La frammentazione degli aggregati organo-minerali causa perdite di humus mentre l'aerazione, che avviene in seguito all'aratura, e l'irrigazione stimolano intensamente la degradazione da parte della biomassa microbica presente nel suolo, portando ad una drastica riduzione dei livelli di sostanza organica. Tutti questi fattori determinano la quantità di materiale organico che raggiunge il suolo e influenzano la velocità di decomposizione della sostanza organica.

Il mantenimento di un livello di equilibrio della sostanza organica richiede che la quantità di carbonio che raggiunge il suolo sia approssimativamente uguale all'emissione di CO2 nell'atmosfera. Effettivamente in un suolo indisturbato il

contenuto di sostanza organica rimane essenzialmente costante anno dopo anno; al contrario, in un ecosistema soggetto all'azione umana il carbonio perso in seguito alla mineralizzazione è molto maggiore di quello in entrata nel suolo. La sostanza organica ha un effetto diretto sulla crescita delle piante poiché, garantendo una buona porosità, che aumenta l'aerazione e il drenaggio del suolo, favorisce la strutturazione, facilita le coltivazioni e consente la circolazione di gas e soluzioni all'interno del suolo; inoltre favorisce lo sviluppo delle radici e la germinazione dei semi e stimola processi fisiologici e biochimici del metabolismo cellulare e svolge la funzione di filtro, permette di ridurre gli effetti tossici di metalli pesanti e pesticidi (Celi, 2003).

La conservazione di una buona struttura del suolo ha delle implicazioni ambientali connesse anche con l'erosione: lo sfaldamento degli aggregati e il ruscellamento in seguito a violente piogge portano infatti alla perdita degli strati superficiali più ricchi in materiale nutritivo causando l'impoverimento del suolo, favorendo fenomeni di eutrofizzazione e interramento di canali e fiumi. Inoltre l'acqua trattenuta dalla sostanza organica influenza notevolmente il regime di temperatura: il suolo infatti si raffredda e si riscalda molto più lentamente quando il contenuto di acqua è elevato.

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1.7 Suoli caratteristici degli ecosistemi costieri

L'ambiente di transizione tra la terra emersa e il mare è caratterizzato da condizioni ambientali quasi estreme che limitano l'esistenza e la distribuzione delle piante alle sole che vi si sono adattate.

I fattori che condizionano maggiormente la vita delle piante in ambiente dunale sono: il grado di salinità dell'acqua che, se elevato, provoca un appassimento delle piante per osmosi; il vento salmastro che brucia le foglie e, a causa dei granuli di sabbia in sospensione, ne smeriglia la superficie; la mancanza di sostanza organica nel suolo e la sua forte permeabilità; l'escursione di marea, che sommerge temporaneamente alcune aree. L'influenza di ciascuno di questi fattori sugli esseri viventi non è costante ma dipende, oltre che dalla distanza dal mare, dall'azione congiunta di ciascun fattore con tutti gli altri .

Nella fascia più vicina al mare vivono pochissime specie erbacee annuali che germinano solo quando nel terreno è presente sostanza organica in decomposizione. In genere queste piante, per resistere all'appassimento per osmosi, sono succulente e possiedono un ciclo vitale molto rapido. Queste specie vengono comunemente denominate "pioniere" perché, grazie alla loro superiore capacità di adattamento, riescono in breve tempo a colonizzare i suoli nudi e a renderli ospitali per altre specie.

Nella zona del retro-duna si trovano associazioni vegetali che accolgono specie più esigenti per quanto riguarda la presenza di SOM e la minore salinità della falda acquifera.

La sabbia imbrigliata nel cordone dunale rappresenta un "serbatoio" di sedimento per il ripascimento naturale della spiaggia, mentre la densità delle piante e l'altezza del cordone creano una barriera naturale all'intrusione dei venti salmastri, proteggendo le porzioni retrostanti anche da possibili inquinamenti provenienti dal mare.

L’Italia è un paese che presenta 7680 Km di coste caratterizzate sia da dune marine basse e uniformi, sia da scogliere alte e frastagliate che formano numerose baie e golfi. Le coste rappresentano un enorme patrimonio naturalistico e una risorsa economica rilevante per la popolazione. Purtroppo quest’ultimo aspetto ha indotto uno sfruttamento eccessivo per cui, ad oggi, ci sono soltanto 412 km di costa selvaggia su un totale di 7680, per una

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percentuale del 5,4%; di questi 292 Km si trovano in Sardegna, 68 Km in Emilia Romagna, 22 Km in Puglia, 18 Km in Basilicata e 12 Km in Sicilia (http://www.riservalitoraleromano.it/amb2.htm). Questi dati sono indicativi di quanto le aree litorali siano ambienti fortemente a rischio. L’erosione e lo sfruttamento antropico innescano infatti un feedback che porta all’inesorabile riduzione della sostanza organica nel suolo e quindi alla diminuzione della vegetazione in ambiente dunale, che a sua volta promuove l’erosione.

Lo studio e l’analisi dei suoli costieri dal punto di vista del contenuto di sostanza organica risulta quindi di grande interesse nell’ambito di una descrizione dettagliata della condizione delle coste italiane. Conoscere la tipologia e la distribuzione della SOM nelle coste mediterranee non fornisce certo informazioni complete sullo stato degli ecosistemi costieri, ma costituisce una delle fasi fondamentali nella valutazione globale di tali ecosistemi. L’analisi della sostanza organica nei suoli costieri fornisce infatti informazioni su numerosi aspetti rilevanti per l’equilibrio dell’ecosistema:

intensità dell’attività microbica; fertilità del suolo;

grado di sviluppo delle radici delle piante; resistenza all’erosione.

Nonostante l’importanza di studi di questo tipo, ad oggi in Italia non esistono studi che riguardano la SOM dei suoli costieri; anche a livello europeo questi studi sono rari (si può citare come uno dei pochi esempi il lavoro di Miltner et al. (1995) sulla decomposizione della SOM in tre suoli in Turchia).

1.8 Metodi di analisi del carbonio organico nei suoli

L’approccio classico allo studio del carbonio organico dei suoli prevede l’applicazione di tecniche analitiche, strumentali e non, su frazioni di SOM ottenute mediante la procedura di estrazione schematizzata in figura 1.6.

Per prima cosa viene effettuata l’eliminazione delle particelle macroscopiche per flottazione o setacciatura e delle particelle organiche solubili in acqua (particelle con diametro inferiore a 45 µm) per estrazione. L’humus così ricavato comprende le sostanze umiche e quelle non umiche che possono essere separate tramite adsorbimento selettivo su resine idrofobiche macroporose a

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basso pH seguito da eluizione in soluzioni alcaline: le sostanze umiche rimangono adsorbite sulla resina (Rosenstock et al., 2003; Kaschl et al., 2002).

Carbonio organico del suolo

figura 1.6: frazionamento del carbonio organico del suolo.

Le due frazioni possono essere separate anche utilizzando soluzioni acquose di basi forti, molto efficaci nel solubilizzare le sostanze umiche presenti nel suolo1.

1

Con NaOH allo 0.1%, ad esempio, è possibile estrarre fino all’80% della sostanza umica presente (Weber, 2000)

Carbonio organico disciolto <45µm

Rimozione del carbonio organico disciolto mediante estrazione e della materia organica macroscopica mediante frazionamento

per densità e dimensione delle particelle.

Lettiera vegetale, libera e occlusa da pezzetti carboniosi, carbone di legna

e residui carbonizzati.

humus

Sostanze umiche

Biomolecole non umiche di origine vegetale o microbica.

Separazione per adsorbimento selettivo su resina o per solubilizzazione con basi forti

Carboidrati Strutture proteiche Residui di lignina Strutture alifatiche Umina (sostanza umica non solubile in alcali) Acido umico (estraibile in alcali insolubile in acido) Acido fulvico (estraibile in alcali solubile in acido) Frazionamento in base all’estraibilità in alcali e solubilità dopo acidificazione di estratti alcalini

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Trattando l’estratto alcalino con HCl concentrato fino a raggiungere pH 1= si ottiene la precipitazione della frazione di sostanze umiche a più elevato peso molecolare, gli acidi umici. La frazione solubile in acido rappresenta invece gli

acidi fulvici. La sostanza organica non estratta dalla soluzione alcalina rappresenta la frazione più fortemente legata alle componenti minerali del suolo e viene chiamata umina.

L’utilizzo di metodi chimici di separazione possono dar luogo a diversi problemi: a) non è garantito che l’insieme delle frazioni estratte possa rappresentare

la composizione dell’intero suolo;

b) le molecole organiche estratte, quando comparate con lo stesso materiale nella matrice minerale del suolo, mostrano differenze nelle caratteristiche chimiche come capacità di scambio cationico, idrofobicità, conformazione…etc;

c) durante la procedura di estrazione possono avvenire reazioni chimiche che portano alla formazione di sostanze diverse da quelle naturalmente presenti nel suolo.

Per questi motivi l’approccio di analisi mediante estrazione è stato gradualmente abbandonato grazie allo sviluppo di tecniche con le quali è possibile risalire alla composizione chimica della materia organica del suolo senza necessariamente separare le varie frazioni. Le tecniche più utilizzate sono: la pirolisi analitica, la spettrofotometria infrarossa a trasformata di Fourier (FT-IR) e la spettroscopia di Risonanza Magnetica Nucleare del nucleo 13C (13C NMR) a stato solido (Baldock, 2000).

La pirolisi analitica caratterizza un materiale attraverso l’analisi dei suoi prodotti di pirolisi. La pirolisi può essere semplice o accoppiata ad altre tecniche quali spettrometria di massa e gas cromatografia. La pirolisi consiste nell’applicazione di energia termica alla materia organica rompendo i legami deboli e determinando il rilascio di prodotti di reazione a basso peso molecolare. Nella pirolisi non accoppiata a tecniche analitiche viene misurata la perdita di carbonio dal campione avvenuta nel corso della pirolisi stessa; questa perdita è proporzionale al contenuto di carbonio organico soggetto a volatilizzazione (formazione di CO2) alla temperatura applicata. Nella pirolisi

accoppiata alla spettrometria di massa i prodotti di reazione vengono inviati

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direttamente ad uno spettrometro di massa capace di separare i composti in base al rapporto tra massa (m) e carica (z). I segnali individuati a diversi valori di m/z costituiscono delle “impronte digitali” diagnostiche di particolari tipi di molecole, consentendo quindi di identificare alcune sostanze presenti nella SOM (ad esempio polisaccaridi e lignina). È necessario sottolineare che, per un’analisi quantitativa, i segnali dello spettro vanno attentamente interpretati e questo per due motivi: le intensità osservate ad ogni singolo valore di m/z possono risultare da più frammenti della pirolisi; la volatilizzazione di determinati tipi di frammenti avviene a temperature differenti. L’incorporazione di un gas-cromatografo tra la camera di pirolisi e lo spettrometro di massa può ulteriormente aiutare la separazione di frammenti di pirolisi simili prima di rilevarli e analizzarli con lo spettrometro di massa.

La spettrofotometria FT-IR si basa sull’assorbimento di radiazioni infrarosse che ha luogo a diverse frequenze a seconda del tipo di atomo al quale il carbonio è legato e della natura del legame. L’assorbimento dipende infatti dalle frequenze caratteristiche, e quindi dalle energie, associate a “stretching” e “bending” dei diversi legami, e permette, quindi, di individuare i diversi gruppi funzionali in cui è presente il carbonio. Tuttavia, dato l’elevato grado di sovrapposizione delle bande di assorbimento è in genere necessario analizzare frazioni di SOM ottenute da estrazioni successive. Inoltre, una determinazione quantitativa delle specie contenute nella SOM mediante questa tecnica non è immediata ma richiede un’analisi statistica multivariata.

La spettroscopia 13C NMR a stato solido è una tecnica che fornisce picchi di risonanza diversi per i diversi nuclei di carbonio-13 presenti nel campione. È da notare che l’NMR a stato solido è l’unica fra queste tecniche a consentire una caratterizzazione della struttura chimica del carbonio organico in maniera non distruttiva e senza pretrattamenti del campione. Nonostante la sovrapposizione dei numerosi picchi osservati, diversi studi hanno mostrato che mediante la tecnica 13C NMR è possibile determinare quantitativamente i vari gruppi funzionali (Skjemstad et al. 1996). La tecnica e la sua applicabilità alla scienza dei suoli verranno descritte più in dettaglio nel capitolo 2. è da tener presente, tuttavia, che l’NMR a stato solido è una tecnica costosa (vedi appendice D) che richiede apparecchiatura specifica presente solo in alcuni laboratori di ricerca in

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Italia. Peraltro va sottolineato che si prevedono notevoli progressi nell’immediato futuro nell’applicazione dell’NMR allo studio della SOM; infatti grazie al progressivo sviluppo della strumentazione, ed in particolare all’utilizzo di campi magnetici più elevati, sarà possibile migliorare considerevolmente la risoluzione spettrale in sistemi complessi.1

Data la complessità della SOM, non esiste una tecnica in grado di fornire informazioni esaustive sulla composizione chimica della componente organica di un suolo. Come dimostrato da alcuni studi riportati in letteratura (Skjemstad et al., 1996; Fabbri et al., 1998; Fan et al., 2000; Kögel, 2000; Poirier et al., 2000; Veeken et al., 2001), dove possibile, sarebbe auspicabile l’utilizzo di più tecniche (pirolisi, FT-IR e NMR) che forniscono informazioni complementari sulla SOM. Tuttavia, possiamo affermare che la spettroscopia 13C NMR a stato solido costituisce di gran lunga la tecnica più informativa attualmente presente.

1 La gran parte degli spettrometri NMR a stato solido presenti attualmente nel mondo hanno campi

magnetici fino a 11.7 Tesla. Vi sono solo una decina di laboratori dotati di strumenti NMR con campi di 17.6 Tesla e il primo strumento con campo magnetico di 21.1Tesla sarà installato a Ottawa entro l’anno.

Figura

figura 1.1: Ciclo del carbonio con flussi di CO 2  in Gt/anno tra i sink del ciclo. In alcuni casi è
figura 1.2: concentrazione atmosferica di CO 2  determinata tramite carotaggio di ghiacci
figura 1.3 :  modello della struttura di un acido umico proposta da Stevenson (1982).
figura 1.4: Processi di umificazione e ciclo del carbonio (Sequi, 1989).
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Riferimenti

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