• Non ci sono risultati.

CAPITOLO 1

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "CAPITOLO 1"

Copied!
17
0
0

Testo completo

(1)

CAPITOLO 1

ORIGINE E DIFFUSIONE DEGLI INQUINANTI IN

ATMOSFERA

1.1 INTRODUZIONE

L’atmosfera è costituita per il 99,9% da azoto, ossigeno ed argon. Il rimanente 0,1% comprende componenti minoritari in concentrazione, tra i quali CO2, metano, ozono, ossidi di zolfo (SOx) e di azoto (NOx), e migliaia di specie organiche in traccia, denominate composti organici volatili (volatile organic compounds, VOC). In tabella 1 si riporta la concentrazione media dei costituenti dell’atmosfera [1] e di alcuni componenti minoritari.

Tabella 1 Composizione percentuale in volume dell’aria secca.

Composto Concentrazione Azoto (N2) 78,1% Ossigeno (O2) 20,9% Composti principali Argon (Ar) 0,9%

Anidride carbonica (CO2) 360 ppm

Metano (CH4) 2 ppm

Protossido di azoto (N2O) 0,3 ppm

Clorofluorocarburi (CFC) 3 ppm

Ozono (O3) 0,1 ppm

Biossido di azoto (NO2) 0,1 ppm

Composti In traccia

(2)

Oltre alle sostanze derivanti da sorgenti naturali, in atmosfera possono essere presenti, sottoforma di gas o polveri, sostanze derivanti da sorgenti antropiche e causa dell’inquinamento atmosferico.

Per inquinamento atmosferico, quindi, intendiamo lo stato di qualità dell’aria conseguente all’immissione da parte dell’uomo, in maniera diretta o indiretta, di sostanze in concentrazioni tali da mettere in pericolo la salute umana, causare danni ai beni materiali e nuocere alle risorse viventi e al sistema ecologico.

La storia dell’inquinamento dell’aria può essere suddivisa in due periodi: prima e dopo la rivoluzione industriale.

Prima della rivoluzione industriale, l’inquinamento atmosferico era confinato principalmente negli ambienti interni ed era dovuto soprattutto ad attività artigianali o al riscaldamento domestico.

“ De morbis artificum”, trattato di medicina scritto nel 1700 da Bernardino Ramazzini, per la prima volta individua le fonti principali dell’inquinamento domestico rappresentate, in questo periodo storico, principalmente dalla combustione dello zolfo per illuminare il focolare (che generava alte concentrazioni di SO2) e dall’uso di lampade ad olio o di candele a base di grassi.

In ambienti lavorativi e in ambiente esterno, invece, erano causa di inquinamento le emissioni di solfati metallici di ferro o rame dalle fornaci, le attività artigianali per la preparazione del gesso e del cemento, l’attività dei ceramisti, che usavano pitture a base di piombo.

Poiché le attività artigianali erano concentrate soprattutto in periferia, l’inquinamento dell’aria in quest’epoca non era omogeneamente distribuito [2].

Dopo la rivoluzione industriale l’inquinamento atmosferico è diventato un problema molto più esteso e ha raggiunto dimensioni enormi, determinando un cambiamento sostanziale nella composizione dell’aria, a causa della presenza di inquinanti primari e secondari. Gli inquinanti primari, sia gassosi che in forma di particolato, sono immessi in atmosfera direttamente dalle sorgenti, quelli secondari, invece, si formano in atmosfera per reazione fra gli inquinanti primari o fra gli inquinanti primari e i costituenti dell’atmosfera stessa.

In tabella 2 si riporta un confronto tra le concentrazioni in parti per miliardo (ppb) delle specie nella troposfera pulita e in aria urbana [3,4,5].

(3)

Tabella 2 Concentrazione in ppb delle specie presenti in tracce nella troposfera pulita

e in aree urbane.

Specie Troposfera pulita Aria inquinata

SO2 1-10 20-200 CO 120 1000-10000 NO 0,01-0,05 50-750 NO2 0,1-0,5 50-250 O3 20-80 100-500 HNO3 0,02-0,3 3-50 NH3 1 10-25 benzene 0,10 0,25-1,4 toluene 0,08 0,69-3,9 etilbenzene 0,01 0,09-0,63 p e m-xilene 0,02 0,24-1,9 o-xilene 0,01 0,09-0,72 benzaldeide 0,1-15,6

Le reazioni che portano alla formazione degli inquinanti secondari possono avvenire in fase gassosa (reazioni in fase omogenea) oppure possono coinvolgere sostanze presenti in due diversi stati fisici: gas e goccioline d’acqua o gas e particelle solide; in questo caso si parla di reazioni in fase eterogenea.

Una volta presenti in atmosfera, gli inquinanti ricadono al suolo per deposizione secca o umida. La deposizione secca può avvenire per semplice sedimentazione di aerosol e particelle che ricadono sotto l’effetto della forza di gravità, o per meccanismi di adsorbimento di gas reattivi sulla superficie di materiali, acqua, suolo o vegetazione. La deposizione umida avviene, invece, per cattura degli inquinanti da parte di pioggia, nebbia, rugiada, neve o grandine.

Il principale problema generato dall’inquinamento atmosferico è il potenziale pericolo per la salute umana, ma una conseguenza da non sottovalutare, anche dal punto di vista economico, è il suo impatto sui beni materiali, ed in particolar modo sulle opere d’arte esposte sia in ambienti esterni che in ambienti confinati.

In Italia è custodita la maggior parte dell’intero patrimonio storico-artistico mondiale, che ha un valore intrinseco inestimabile e che per questo motivo deve essere protetto e conservato.

Il degrado naturale a cui sono soggetti i beni artistici è fortemente accelerato e reso più intenso dall’inquinamento ambientale, come è stato evidenziato da numerosi studi

(4)

ed indagini scientifiche [6,7,8,9]. Il processo di deterioramento è progressivo e irreversibile e i tempi e le modalità d’impatto differiscono sia in funzione degli agenti contaminanti fisici, chimici o biologici coinvolti, che del tipo di materiale esposto a questi.

La rapidità e l’efficacia di questo processo dipende dal fatto che un oggetto, a differenza di un sistema biologico, non è dotato di meccanismi di smaltimento o di eliminazione delle sostanze inquinanti con le quali viene a contatto, che per tale ragione in breve tempo si accumulano.

Lo studio del processo di deterioramento di un manufatto è molto complesso, in primo luogo perchè ogni materiale è dotato di caratteristiche morfologiche, chimiche e fisiche totalmente dissimili dagli altri materiali. Per questo motivo ogni bene storico-artistico è unico e caratterizzato da una specifica vulnerabilità a lui soltanto attribuibile.

In secondo luogo, la complessità di questo studio è determinata dalla difficoltà nel separare gli effetti dei vari agenti di degrado, poiché nessun fattore agisce singolarmente. L’esposizione ad un fattore, può rendere il materiale maggiormente suscettibile alla successiva azione degli altri; l’effetto degradativo osservato sul bene esposto è, quindi, il frutto della sinergia di più fattori [10].

La degradazione delle opere d’arte a causa dell’inquinamento atmosferico non è un fenomeno che riguarda i soli beni esposti all’aperto, quali edifici storici e monumenti, ma riguarda anche le opere custodite in musei e collezioni, e, in generale in ambienti chiusi. In ambienti confinati, infatti, sono presenti inquinanti atmosferici che derivano sia dallo scambio di aria con l’esterno attraverso porte, finestre o sistemi di ventilazione, sia da ulteriori sorgenti di inquinanti poste all’interno degli edifici (indoor pollution), quali: risollevamento delle polveri ad opera dei visitatori, erosione dei materiali di rivestimento e di quelli da costruzione,vernici ecc.

Le opere di restauro e consolidamento volte a limitare questo degrado non rivestono carattere risolutivo o definitivo e spesso devono essere ripetute a distanza di brevi periodi di tempo, inoltre inevitabilmente modificano l’originalità dell’opera stessa. Dunque, il danno causato dagli agenti inquinanti comporta una grande perdita culturale, difficilmente stimabile in termini monetari e legata al valore artistico intrinseco del manufatto che risulta spesso alterato in modo irreversibile.

Alla luce di ciò gli obiettivi chiave da conseguire nella protezione e conservazione delle opere d’arte sono:

- il rallentamento del degrado e la conseguente diminuzione della perdita del materiale originale;

(5)

- la restituzione e la conservazione del contenuto estetico del monumento.

Attualmente il problema dell’inquinamento atmosferico è studiato soprattutto per i suoi effetti nocivi sulla salute umana e gli ecosistemi naturali; di conseguenza l’impatto sui materiali in genere, e sui beni artistici in particolare, rappresentano delle problematiche di secondaria importanza.

Per questo motivo, la legge italiana non stabilisce dei valori limite di concentrazione degli inquinanti da non superare per garantire la buona conservazione del patrimonio storico-artistico e, d’altra parte, data la varietà dei materiali e delle opere, è difficile individuare in maniera univoca tali valori. Va, però, sottolineato che la legge italiana (D.Lgs. n.112 del 1998, articolo 150) affronta il problema della qualità dell’aria all’interno dei musei e le implicazioni dell’ambiente esterno sulle opere conservate. In genere, si presuppone che, una volta rispettati i valori limite per la tutela della salute umana, possa comunque essere garantita anche quella delle opere d’arte, che sono meno suscettibili all’inquinamento atmosferico di quanto non siano gli esseri umani.

Recentemente per gli inquinanti atmosferici indoor sono stati suggeriti quali valori accettabili quelli riscontrabili outdoor in un’atmosfera non inquinata. Una situazione di questo tipo è tuttavia difficilmente realizzabile poiché presupporrebbe che all’interno dei musei non vi siano ulteriori sorgenti di inquinamento.

Sembrerebbe più realistico, pertanto, proporre livelli di soglia che consentano di minimizzare il degrado in maniera tale che questo possa essere ritenuto accettabile su un intervallo di tempo piuttosto ampio, di circa cento anni [11].

In mancanza di tali valori limite di concentrazione, l’obiettivo di molti studi di monitoraggio ambientale è quello di correlare il danno subito dal patrimonio culturale alla concentrazione dei principali inquinanti atmosferici presenti sia in ambiente esterno che in musei e collezioni, al fine di individuare le migliori pratiche per una corretta salvaguardia dei beni culturali, anche alla luce delle diverse realtà geografiche e climatiche del nostro paese.

In questa ottica il lavoro di tesi, svolto presso il Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Pisa, ha lo scopo di determinare la concentrazione atmosferica degli inquinanti organici volatili all’interno del Camposanto Monumentale di Pisa.

Questo studio si inquadra in un progetto più ampio, commissionato dall’Opera della Primaziale Pisana, che ha come obiettivo lo studio della qualità dell’aria all’interno del monumento, al fine di salvaguardare il patrimonio culturale qui custodito.

(6)

Questo progetto coinvolge oltre ai ricercatori dell’Università di Pisa e del CNR, per gli studi condotti sulle superfici pittoriche, anche i ricercatori dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (ISAC) del CNR di Bologna, per il monitoraggio della CO2, dell’aerosol organico e dei parametri meteorologici.

Nell’ambito di queste ricerche il presente lavoro di tesi ha riguardato la caratterizzazione qualitativa e quantitativa dei componenti volatili presenti negli ambienti del Camposanto monumentale di Pisa.

Il lavoro sperimentale si è articolato nel modo seguente:

- scelta del metodo di campionamento dei composti organici volatili; - messa a punto della procedura analitica basata su GC-MS e GC-FID; - valutazione dei dati raccolti.

1.2 I COMPOSTI ORGANICI VOLATILI

Per composti organici volatili si intende un’insieme di classi di sostanze organiche caratterizzate da un’elevata tensione di vapore a temperatura ambiente. Questi composti sono quindi presenti in atmosfera in fase vapore.

Nella categoria dei VOC (volatile organic compounds) rientrano gli idrocarburi alifatici e aromatici, gli idrocarburi alogenati e quelli che presentano sostituenti quali azoto, zolfo e ossigeno.

La fonte principale di idrocarburi alifatici è la combustione incompleta di prodotti derivanti dal petrolio. Le emissioni principali di questi contaminanti, dunque, provengono dai tubi di scappamento dei veicoli (in particolar modo diesel), dalle industrie, e dal riscaldamento domestico

[12].

Gli alcheni a catena lineare sono tra i costituenti di vernici, rivestimenti e solventi [13], inoltre alcuni sono monomeri utilizzati per la produzione di materie plastiche. Tra i VOC particolare attenzione viene rivolta per la loro natura cancerogena agli idrocarburi aromatici e agli idrocarburi policiclici aromatici. Tra gli aromatici il benzene e alcuni dei suoi derivati più diffusi costituiscono la classe di inquinanti nota come BTEX (benzene, toluene, etilbenzene e xileni).

L’aumento della concentrazione dei BTEX in atmosfera è la causa principale nelle grandi città dell’aumento dello smog fotochimico, una forma di inquinamento derivante da una serie complessa di reazioni in fase gassosa indotte dalla luce solare, che portano alla formazione di inquinanti secondari, tra i quali principalmente l’ozono.

(7)

Essendo una molecola stabile e poco reattiva, il benzene ha una minore importanza nei processi di inquinamento secondario rispetto agli altri BTEX, d’altra parte, però, proprio per questa sua stabilità, rappresenta la specie di maggior interesse per l’inquinamento primario urbano.

Le emissioni principali di BTEX derivano dagli scarichi dei veicoli, soprattutto a benzina, dalle raffinerie di petrolio, dalle cockerie, dall’industria chimica, dall’uso di solventi e dal riscaldamento domestico.

Il benzene, inoltre, può derivare da fonti naturali, siano essi giacimenti petroliferi o emissioni dalla vegetazione [14], e dalla decomposizione in benzene di xileni, toluene e altri aromatici superiori presenti nei carburanti ed emessi dai veicoli. In questo caso la percentuale di benzene rilasciata dipende dalla categoria di veicoli che transitano nell’area urbana; le sorgenti prevalenti sono riconducibili alle auto non catalizzate e, soprattutto, ai ciclomotori [15].

Tra gli idrocarburi alogenati quelli che destano più preoccupazione, ai fini della tutela della salute umana, sono i CFC (clorofluorocarburi), le diossine e i dibenzofurani.

I CFC sono stati usati ampiamente nella fabbricazione di schiume flessibili e rigide e come fluidi per i sistemi di raffreddamento e condizionamento. Nel 1987 con il Protocollo di Montreal è stato imposto un taglio netto all’uso e alla produzione di tali sostanze, in quanto gli atomi di cloro libero, risultanti dalla foto-dissociazione dei CFC, contribuivano notevolmente alla distruzione dell’Ozono nella parte alta dell’atmosfera, e, dunque, al cosiddetto “buco nell’ozono”.

Le Diossine e i Dibenzo-furani sono immessi nell’aria da processi di combustione che coinvolgono composti organici contenenti cloro, dunque, le loro fonti principali sono gli scarichi provenienti dai tubi di scappamento delle auto e gli inceneritori.

Alcuni idrocarburi alogenati, come il dicloro-metano, sono utilizzati per le loro proprietà solventi, altri sono usati come insetticidi e fungicidi, come sgrassatori e agenti per la pulizia [16].

Gli idrocarburi O-sostituiti sono formati da acidi carbossilici, aldeidi, chetoni, alcoli, eteri e esteri. Queste sostanze sono emesse in atmosfera a seguito dei processi di combustione incompleta dei derivati del petrolio, o possono essere rilasciati davernici [14], materiali da costruzione e materiali isolanti, oggetti in legno, carta e cosmetici [16].

Inoltre le aldeidi, i chetoni e gli alcoli sono presenti in aria come inquinanti secondari, in quanto sono prodotti da reazioni di ossidazione di altri idrocarburi, contribuendo così allo smog fotochimico.

(8)

Le ammine sono degli idrocarburi N-sostituiti utilizzati come solventi in molti processi chimici. Quelle aromatiche vengono impiegate come anti-ossidanti, e nei processi di produzione di polimeri, medicine, coloranti ed inchiostri.

Inoltre, sono sorgenti di ammine le discariche RSU (rifiuti solidi urbani) e gli impianti di trattamento delle acque, in quanto queste sostanze si formano a seguito della degradazione della materia organica [16].

Un altro idrocarburo N-sostituito è il PAN (perossiacetilnitrato), un prodotto dello smog fotochimico.

1.3 IL PARTICOLATO ATMOSFERICO

Il particolato atmosferico è costituito da un insieme di particelle liquide e solide aerodisperse, di dimensioni variabili tra 0,1 e 100 µm, sia di natura organica che inorganica. Essenzialmente è formato da particelle carboniose costituite da carbonio organico e da carbonio elementare, ma sono presenti anche particelle alluminosilicatiche, metalliche, e a base di nitrati e solfati.

I metalli presenti sono diversi a seconda che le particelle siano emesse da motori diesel (Fe, Ni, Cr, Cu, Mn), o da motori a benzina (soprattutto Pb, nel caso di benzine “non verdi”)

[12] .

Le polveri sospese causano danni alla salute umana, a quella della vegetazione e ai beni materiali. Le particelle di minori dimensioni (PM 2,5) possono essere inalate e causare tumori a livello polmonare, dal momento che molte delle sostanze presenti sono cancerogene, ad esempio i metalli pesanti.

Depositandosi, il particolato genera incrostazioni sulle superfici fogliari, impedendo la fotosintesi, o sulle superficie degli edifici, o dei materiali in genere, causando annerimento e corrosione.

Le particelle più grandi derivano dai processi industriali, e da agricoltura, raffinerie, disgregazione meccanica dei materiali, polline, risospensione di suolo e polvere da terra da parte del vento o dei veicoli.

Le particelle più piccole derivano dalla combustione della biomassa o dei combustibili fossili (riscaldamento domestico, centrali elettriche ed emissioni veicolari) e dalla condensazione di SO2 e NOx nelle emissioni industriali in atmosfera, che genera aerosol a base di nitrati e solfati [14]. Il particolato, infatti, così come le sostanze gassose, può essere immesso direttamente in atmosfera o formarsi successivamente

(9)

per reazioni di smog fotochimico o per condensazione in particelle solide di gas a bassa tensione di vapore.

1.4 LE SPECIE VOLATILI INORGANICHE

Le specie volatili inorganiche più diffuse in atmosfera sono gli ossidi di azoto (NO e NO2), comunemente indicati come NOx, gli ossidi di zolfo, SOx, l’ozono e l’idrogeno solforato.

Il monossido di azoto si forma per reazione dell’ossigeno con l’azoto in tutti i processi di combustione che avvengono in aria alle alte temperature (>2000°C).

Successivamente il monossido di azoto viene ulteriormente ossidato in maniera molto rapida, cosicché la quasi totalità degli NOx emessi si trova sottoforma di biossido di azoto.

Le emissioni naturali di NOx derivano principalmente da fulmini, incendi, eruzioni vulcaniche e dal suolo, le emissioni antropiche sono, invece, dovute principalmente ai motori degli autoveicoli, all’uso di combustibili per la produzione di elettricità e di calore e alle attività industriali che producono composti azotati.

Si calcola che in Italia siano immessi nell’aria ad opera dell’uomo circa 1,9 tonnellate all’anno di NOx, metà dei quali prodotti dagli autoveicoli. NO2 è, inoltre, un prodotto dello smog fotochimico.

L’anidride solforosa presente in atmosfera deriva da emissioni industriali, traffico veicolare (soprattutto motori diesel) [6], combustione di carbone e oli ad alto contenuto di zolfo [14] e processi di fusione di minerali non ferrosi, che possono contenere solfurio zolfo come impurezze

[

10].

Le emissioni vulcaniche sono la più importante fonte naturale.

NOx e SOx costituiscono la causa principale delle piogge acide, in quanto in atmosfera si ossidano originando prodotti acidi solubili in acqua che ricadono al suolo con le precipitazioni.

SO2 è la causa principale della formazione di croste nere, strati di gesso che corrodono e incrostano le superfici di marmo di edifici e monumenti. Alle croste nere sono associati vari inquinanti per deposizione secca e umida, quali idrocarburi e particolato carbonioso e metallico, con conseguente annerimento delle superfici [12].

Le fonti principali dell’ozono sono costituite dai fulmini e dalle reazioni di smog fotochimico, di cui è il principale prodotto, come descritto dal prossimo paragrafo.

(10)

1.5 LO SMOG FOTOCHIMICO

Il complesso di fenomeni indicato con il termine “smog fotochimico” fu osservato per la prima volta a Los Angeles nel 1944.

Lo smog fotochimico è una forma di inquinamento tipica di tutte le aree urbane del mondo e si presenta nelle zone con alta densità di traffico, o in prossimità di esse, quando dominano situazioni meteorologiche con calma di vento o venti deboli, elevata insolazione e temperatura.

All’interno dei motori degli autoveicoli si formano prodotti non completamente combusti della benzina o del gasolio, quali NOx e diverse centinaia di idrocarburi, che vengono scaricati nell’atmosfera urbana. Questi, in presenza di luce ultravioletta, reagiscono tra loro con meccanismi molto complessi, dando origine al fenomeno dello smog fotochimico. I meccanismi di tali reazioni prevedono la rottura degli idrocarburi con formazione di radicali liberi instabili e altamente reattivi, come mostrato nell’esempio di figura 1.

Fig.1 Esempi di specie radicaliche.

Per la maggior parte degli idrocarburi atmosferici, le reazioni più probabili che portano alla formazione di specie radicaliche sono l’addizione di un radicale ossidrile, la deidrogenazione, e l’ossidazione ad opera dell’ozono o dell’ossigeno atomico. Tali reazioni portano alla formazione di radicali alchilici, i quali a loro volta reagiscono con O2 a dare radicali perossidici.

Solo i composti carbonilici (aldeidi e chetoni) possono rompere i loro legami per dissociazione fotochimica, producendo radicali alchilici e radicali del tipo HĊO.

La principale fonte del radicale idrossilico in atmosfera è la fotolisi dell’ozono che avviene a lunghezze d’onda minori di 315 nm, secondo il seguente meccanismo di

reazione:

(11)

O* + H2O Æ 2

˙

OH Dove O* indica un atomo di ossigeno eccitato.

L’ozono, invece, si forma in atmosfera principalmente tramite la reazione:

˙

O + O2 + M Æ O3 + M

Dove M è una qualsiasi altra specie chimica (N2, O2) che rimuove l’eccesso di energia e stabilizza O3.

La fonte principale dell’ossigeno atomico è la dissociazione di NO2 a causa dell’assorbimento di energia solare a lunghezze d’onda inferiori a 420 nm:

NO2 +hν Æ NO +

˙

O

Di solito la reazione iniziale dello smog avviene tra gli idrocarburi e il radicale libero

˙

OH, piuttosto che l’ossigeno molecolare o l’ozono, per le cui reazioni è richiesta una più elevata energia di attivazione.

I radicali perossidici, così formati, sono molto reattivi e partecipano a reazioni a catena durante le quali NO è convertito a NO2.

NO2, a sua volta, può reagire con altri radicali perossidici a dare PAN (perossiacetilnitrato), aldeidi (le quali sono precursori nella formazione dell’ozono) ed altri componenti dello smog, quali chetoni e alcoli.

Dunque, le possibili reazioni terminali di questo processo a catena sono: - la reazione tra radicale perossidico e NO a dare NO2 e altri prodotti, - l’assorbimento di un radicale sulla superficie di una particella solida,

- la reazione tra un radicale perossidico e NO2 a dare prodotti quali ad esempio il PAN. L’ultima reazione citata è la reazione terminale più comune, dal momento che NO2 è di per sé un radicale libero stabile presente in alte concentrazioni in atmosfera [16]. I prodotti finali di questa complessa serie di reazioni sono:

- composti organici parzialmente ossidati come aldeidi, chetoni e alcoli, - specie inorganiche come sottoprodotti: O3 e HNO3,

- PAN e altre specie contenenti il gruppo –C(O)OONO2, - particolato solido.

(12)

Nello schema seguente sono riassunte le reazioni dello smog fotochimico:

I radicali liberi degli idrocarburi reagiscono con NO2 per produrre

CH3COONO2 (PAN), Aldeidi ed

altri componenti dello smog

Idrocarburi reattivi autoveicoli NO NO2 Radicali liberi di idrocarburi O3 O3

O reagisce con O2 e forma O3

NO reagisce con O3 o RO2

·e

produce NO2

Ossigeno atomico O, HO· e O3

reagiscono con gli idrocarburi per produrre radicali liberi molto reattivi

NO

NO2

O

Input di energia solare

Assorbimento di energia solare da parte di NO2:

NO2 +hν Æ NO+ O

O

O2

Con la notazione RO2

·

sono stati indicati i radicali perossidici.

Affinché gli idrocarburi possano partecipare a queste reazioni, producendo smog, è necessario che siano sia reattivi che abbondanti. Gli alcani sono i gas organici più abbondanti in atmosfera ma sono molto poco reattivi e dunque rappresentano gli idrocarburi che meno contribuiscono allo smog fotochimico. A causa del loro lungo tempo di semivita in atmosfera, possono, però, dar luogo a reazioni con ·OH a grande distanza dal punto in cui sono stati emessi.

Gli alcheni, al contrario, sono molto reattivi nei confronti del radicale idrossilico e dell’ozono e, dunque, contribuiscono notevolmente allo smog.

(13)

Tra gli aromatici, i più importanti nella formazione dello smog sono il toluene e lo xilene, mentre tra gli alcoli i più reattivi sono il metanolo, che porta alla formazione di formaldeide e ozono, e l’etanolo che origina acetaldeide, che, in presenza di luce, è un precursore del PAN.

1.6 ANDAMENTO TEMPORALE DELLA CONCENTRAZIONE DI

INQUINANTI NELLE AREE URBANE

Nelle aree urbane la variazione delle concentrazioni di inquinanti nell’arco della giornata e nel corso di un anno dipendono molto dai fattori che condizionano la velocità delle reazioni di smog fotochimico: temperatura dell’aria, intensità del vento e presenza di luce. Più l’insolazione e la temperatura sono elevate, più l’aria è stagnante, più velocemente procederanno le reazioni fotochimiche.

In città nell’arco di una giornata NO, NO2, O3 e altre sostanze inquinanti prodotte dallo smog fotochimico seguono l’andamento mostrato nel grafico di figura 2 [16].

Fig.2 Tipici profili di concentrazione degli inquinanti in funzione del tempo in un ciclo

di smog fotochimico [16].

NO e gli idrocarburi, che sono emessi dagli autoveicoli, hanno un picco di concentrazione nelle ore di maggiore traffico, cioè quelle mattutine, mentre nella parte rimanente del giorno le loro concentrazioni tendono a diminuire. Dopo circa 2-3 ore da quando si è raggiunto il picco di NO e idrocarburi, l’atmosfera sviluppa una

(14)

sufficiente capacità ossidante per trasformare NO in NO2, e si raggiunge il picco di concentrazione di NO2.

Quando il rapporto NO2/NO è alto è favorita la produzione di ozono, di aldeidi e nitro-composti (come il PAN), i principali prodotti dello smog fotochimico. Ciò in genere si verifica nelle ore di maggiore insolazione, tra le 12 e le 14.

La rimozione degli idrocarburi non metanici (VOC) per effetto fotochimico è un processo che si manifesta con maggiore intensità durante il periodo estivo a causa delle temperature più alte che, inoltre, favoriscono anche la reazione fra questi idrocarburi e il radicale idrossilico. Per questo motivo durante i mesi invernali si manifestano, in genere, i livelli più alti di idrocarburi non metanici in atmosfera, e più bassi dei prodotti dell’ossidazione fotochimica (aldeidi, chetoni, PAN) [16].

In figura 3 è riportato l’andamento della concentrazione di ozono nell’arco di un anno [16].

Fig.3 Variazione delle concentrazioni orarie di ozono nell’arco di un anno [16].

Bisogna inoltre ricordare che in ambiente urbano durante il periodo estivo la fonte principale di precursori dello smog fotochimico è il traffico, mentre in inverno alle emissioni provenienti dagli autoveicoli si sommano quelle provenienti dagli impianti di riscaldamento domestico.

(15)

1.7 DIFFUSIONE SPAZIALE DEGLI INQUINANTI NELLE AREE

URBANE

I fenomeni meteorologici che si verificano nello strato di atmosfera più prossimo al suolo, la troposfera, condizionano la diffusione degli inquinanti in aria e la loro ricaduta al suolo. In ambiente urbano il flusso del vento risulta disturbato a causa della topografia della città, cioè della presenza di edifici, che rappresentano ostacoli al moto del vento.

La turbolenza, cioè la creazione di vortici d’aria che si formano a causa della presenza degli edifici, varia con la dimensione, la forma e la densità di questi ultimi; a parità di distanza dalla fonte emissiva la concentrazione di inquinanti è maggiore per le aree urbane più dense di edifici [12].

Il flusso d’aria attorno ad un ostacolo isolato è noto come isolated roughness flow ed è caratterizzato dalla presenza di due vortici, uno posto a monte e uno a valle dell’edificio che costituisce l’ostacolo, come mostrato in figura 4.

Fig.4 Flusso dell’aria rispetto ad un ostacolo isolato (rugosità isolata).

l vortice localizzato a monte dell’edificio è noto come bolster eddy vortex ed è dovuto

e degli inquinanti emessi dal traffico veicolare è

hezza ridotta ed alti edifici al I

all’impatto del flusso d’aria sulla facciata dell’edificio sopravento; il vortice localizzato nella cavità a valle dell’edificio è chiamato lee eddy vortex ed indotto dalla separazione del flusso di vento in corrispondenza degli spigoli della sagoma dell’edificio. Inoltre, a valle dell’ostacolo si verifica un aumento locale del livello di turbolenza ed una diminuzione di velocità del vento rispetto al flusso medio, tale fenomeno è noto come building wake.

Nello studio del fenomeno di dispersion

interessante descrivere la struttura del flusso d’aria attraverso l’introduzione di una unità geometrica fondamentale detta “strada canyon”.

La presenza di strade canyon, caratterizzate da larg

(16)

Tale fenomeno è noto come “effetto canyon” e causa un aumento della concentrazione di inquinanti emessi dal traffico veicolare e trasportati dal vento a livello degli incroci stradali.

In una strada a canyon le concentrazioni più elevate degli inquinanti sono presenti nella zona centrale, che è quella meno soggetta ai ricambi d’aria. Al contrario andando verso gli estremi della strada le concentrazioni decrescono in maniera simmetrica. Due sono i parametri che influenzano il flusso dell’aria intorno ad una strada canyon: - il fattore di forma, definito come il rapporto tra altezza degli edifici che delimitano il

canyon e la distanza tra i medesimi;

- la densità degli edifici, definita come il rapporto tra la superficie media coperta dagli edifici e l’area di pertinenza del singolo edificio.

Al variare di questi due fattori, si possono individuare due regimi di flusso fondamentali: wake interference e skimming flow.

Fig.5 Descrizione del fenomeno di Wake interference.

Il regime noto come wake interference (vedi figura 5) si riscontra nella condizione in cui gli edifici siano sufficientemente distanti tra loro da far sì che la turbolenza a valle degli stessi sia poco o per nulla influenzata dagli edifici sottovento. In questa condizione lo scambio di massa tra lo strato d’aria prossimo al suolo (ricco di inquinanti emessi dal traffico) e quello immediatamente sovrastante contenente aria pura, è molto elevato.

Nel caso di regime di skimming flow (vedi figura 6) le perturbazioni generate dagli edifici adiacenti interferiscono tra loro, ne risulta, quindi, una riduzione dello scambio di massa tra lo strato adiacente al suolo e gli strati a quote più elevate dove l’aria è

(17)

più pura, con formazione di un vortice stabile all’interno della strada del canyon che non scambia praticamente massa con gli strati soprastanti.

Questa condizione già di per sé critica per il ristagno degli inquinanti all’interno della strada a canyon è ancora più aggravata nel caso in cui la velocità del vento sia molto bassa poiché non si ha la formazione del vortice all’interno della strada canyon.

Nella stagione invernale si può avere un ulteriore peggioramento della situazione con l’effetto isola di calore urbana, un fenomeno che si verifica in ambiente urbano a causa del calore rilasciato dal traffico e dal riscaldamento domestico, per cui la temperatura dell’aria risulta elevata rispetto al valore che assumerebbe in aree non contaminate e uniforme con la quota fino all’incirca all’altezza degli edifici.

Fig.6 Descrizione del fenomeno di Skimming flow.

In aree non urbane, invece, la temperatura dell’aria tende a diminuire con la quota durante il periodo diurno e ad aumentare con essa durante il periodo notturno.

L’effetto isola di calore urbana, porta, quindi, alla formazione di una cappa al cui interno rimangono intrappolati gli inquinanti [17].

Si può dunque concludere che, a parità di produzione da parte del traffico autoveicolare, la diffusione di inquinanti nell’area urbana dipende principalmente da due tipi di fattori:

- fattori orografici, cioè forma, distribuzione spaziale, densità degli edifici e orografia della rete viaria;

- fattori meteoclimatici, cioè intensità e direzione del vento ed effetto isola di calore urbana [18].

Figura

Tabella 1  Composizione percentuale in volume dell’aria secca.
Tabella 2 Concentrazione in ppb delle specie presenti in tracce nella troposfera pulita

Riferimenti

Documenti correlati

Diverse le cause della tosse persistente, ma il fattore inquinamento atmosferico oltre all’abitudine tabagica e l’esposizione al fumo passivo rivestono un ruolo chiave.. Un

Il fumo è cono- sciuto da decenni come un potente fattore di rischio per ictus ischemico, agendo, in particolare, come fattore favorente l’insorgenza di aterosclero- si precoce,

Per gli esperti la maggiore consapevolezza e cono- scenza della celiachia da parte dei medici, l’aumento della sensibilità della collettività e l’introduzione, nella

Una recente metanalisi che ha analizzato 72 studi prospettici ha indicato che la maggior parte degli indici di grasso centrale tra cui cir- conferenza della vita, rapporto

Le entrate dell’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e le ritenute sugli interessi ed altri redditi di capitale mostrano una crescita pari a +6,0% per

Nel calcolo del valore aggiunto lordo totale sul latte e sui latticini, il valore aggiunto lordo di ciascun gruppo di prodotti è ponderato in base alla quantità di latte

Per quanto riguarda la parte in strumenti finanziari - tra le diverse possibili modalità prese in esame - è stata individuata la soluzione consistente nell’adozione di un Piano

CAPITOLO PREVISIONI INIZIALI VARIAZIONI PREVISIONI DEFINITIVE SOMME PAGATE SOMME DA PAGARE SOMME VARIAZIONI. CODIFICAZIONE DENOMINAZIONE IN AUMENTO IN DIMINUZIONE