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Conclusioni È stato più volte ripetuto che il Teatrodanza in Italia ha visto la propria nascita con la rappresentazione di

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Conclusioni

È stato più volte ripetuto che il Teatrodanza in Italia ha visto la propria nascita con la rappresentazione di Il Cortile della Compagnia Sosta Palmizi.

È però necessario fare alcune precisazioni sul grande fermento culturale che si registrava nel nostro Paese tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, soprattutto in campo teatrale, anche perché la nuova concezione della danza molto deve alle correnti teatrali di questo periodo. Alessandro Pontremoli afferma che il Teatrodanza degli anni Ottanta (quello dunque interessato dalla nostra ricerca) è caratterizzato da una riscoperta del linguaggio del corpo e, in-sieme, una ripresa dell’arte totale, «una riaffermazione del teatro come luogo dello spettacolo e dell’accadimento, all’interno del quale non esistono i confini di genere»173. Queste parole ben descrivono la concezione che sta alla base del Teatrodanza e il pensiero quindi perseguito dai giovani danzatori della fine del XX secolo che si trovavano a fare i conti con questa realtà, molto differente da quella che avevano vissuto fino a quel momento. Infatti, oggi, i danzatori dell’ex Sosta Palmizi citano spesso nomi di compagnie che, a partire dalla metà degli anni Settanta, facevano parte della Post-avanguardia del mondo teatrale. In quel periodo vengono promosse varie rassegne tra Napoli, Salerno e Cosenza ed è qui che, nel novembre 1976, all’interno del Progetto di contaminazione ur-bana, prende il via la Post-avanguardia. Inizialmente si tratta di una sorta di

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“cartello” di formazioni teatrali di nuova generazione, come il Gruppo Teatro Stran’amore (che divenne poi Beat 72, di cui Simone Carella è sempre stato il fulcro), Il Carrozzone (chiamato poi Magazzini Criminali e infine I Magazzini), La Gaia Scienza, e, subito dopo, Spazio Libero e Teatro Oggetto. A partire dalle rassegne del Beat 72 quali La Nascita del Teatro nel 1977 inizia a radi-carsi un vero e proprio movimento culturale, più che teatrale, tale da fare del cortocircuito arte/vita e privato/politico un linguaggio e un comportamento asso-lutamente inedito. È in questa fase che emergono altri gruppi come Falso Mo-vimento, Teatro Studio di Caserta, Dark Camera, Il Marchingegno, Padi-glione Italia, Tradimenti Incidentali, Teatro Valdoca (nato nel 1983 a Cesena a opera del regista Cesare Ronconi e della drammaturga Mariangela Gualtieri) e Società Raffaello Sanzio (ribattezzata poi Socìetas nel 1990).

Al fine di evidenziare il nesso tra le attività delle correnti teatrali di fine anni Settanta e della Compagnia Sosta Palmizi, in quanto inserita nella nuova realtà del Teatrodanza, mi sembra opportuno un breve excursus sulle idee che muovevano una delle compagnie teatrali in particolare: La Gaia Scienza. Fon-data nel 1975 a Roma da Giorgio Barberio Corsetti, Marco Solari e Alessandra Vanzi, La Gaia Scienza sperimentava le possibilità del corpo dell’attore in per-formance, considerandolo parte di un insieme: la presenza dell’interprete era fondamentale negli spettacoli ed esso si manifestava quale prolungamento del-la scenografia, parte cioè di un paesaggio, di un insieme. L’idea si basava sul fatto che i materiali, e tutta la scena, fossero la prosecuzione del movimento dell’attore e, viceversa, che il movimento dell’attore fosse il proseguimento della scena (un discorso che si sviluppava anche nel tema, a loro caro, della metro-poli, indistinguibile, inseparabile da chi la abita); una costante degli spettacoli de

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La Gaia Scienza eracostruire uno spazio non reale ma mentale, uno spazio in-terno, che si poneva al di qua della scena e non al di fuori, e di conseguenza anche lo spettatore avrebbe dovuto percepirlo come spazio interno, quindi, e immaginario. L’esperienza de La Gaia Scienza si colloca in un punto di raccor-do tra il “teatro d’azione”, fondato sulla presenza dell’attore libero da ogni solu-zione di rappresentasolu-zione, e una complessa progettualità scenica affidata prin-cipalmente al ruolo degli oggetti agiti sulla scena, come nel primo spettacolo La rivolta degli oggetti, in cui le azioni rappresentavano momenti esemplari di “ge-sto contemporaneo”, maggiormente legato alla nuove ideologie della danza. È dalla Contact Improvisation di Steve Paxton (una “non-forma” di danza che si sviluppa in totale spontaneità, in contatto/relazione con gli altri danzatori)174 che fu raccolta l’intuizione dei corpi che dialogano per contatti fugaci, un approccio più generico e al tempo stesso pratico rispetto alla fisicità imperante nel teatro d’allora di marca grotowskiana o derivante dal Living Theatre175. Inoltre la Compagnia rivolse, fin dall’inizio, una grande attenzione alla registrazione video degli spettacoli di cui i tre fondatori erano autori e protagonisti 176 e al mondo della multimedialità. La crisi di crescita conseguente porterà, in occasione della

174 Così viene descritta la Contact Improvisation dal suo creatore Steve Paxton: «La Contact Improvisation non è una struttura di movimenti codificati, ma ricerca nella essenza degli stessi: questi sorgono dalle risposte riflesse e dall'intuizione dello “sperimentatore”. La mente fa da te-stimone ammirata e divertita, sta a “osservare” il corpo e le sensazioni da esso generate nel movimento» Per informazioni sul metodo della Contact Improvisation di Paxton rimando ai testi: Banes S., Terpsichore in Sneakers Post-Modern Dance, Houghton-Mifflin Company, Boston, 1980, ed. ita. Tersicore in scarpe da tennis: la post modern dance, a cura di Eugenia Casini Ropa, Macerata, Ephemeria Editrice, 1993; Bentivoglio L., La danza contemporanea op. cit; Pontremoli A., La danza op. cit.

175 Per approfondimenti sul Living Theatre: De Marinis M., Il nuovo teatro: 1947-1970, Milano Bompiani 2000; per Grotowski rimando al testo: De Marinis M.,In cerca dell’attore:un bilancio

del Novecento teatrale, Roma, Bulzoni, 2000.

176 Un interesse che renderà inevitabile, dopo la scissione, l’incontro di Giorgio Barberio Corsetti con Studio Azzurro (fondato nel 1982 da Fabio Cirifino, Paolo Rosa e Leonardo Sangiorgi), atti-vo a Milano nell’audiovisiatti-vo, a sua atti-volta impegnato da tempo nell’esplorazione del rapporto tra

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Biennale Teatro del 1984, alla divisione del gruppo in due Compagnie, la Com-pagnia di Giorgio Barberio Corsetti e la ComCom-pagnia Solari-Vanzi177.

Quando La Gaia Scienza era nel pieno della propria attività la Sosta Palmizi ancora non esisteva e i suoi componenti facevano sempre parte del gruppo di danza della Fenice, ma avevano comunque avuto modo di venire spesso in contatto con quella realtà grazie alla Biennale di Venezia; e l’interesse per quel tipo di lavoro, se pure in ambito teatrale, si è poi sviluppato con la nascita della Sosta Palmizi, contestuale alla conclusione dell’esperienza della compagnia romana. Questa parentela è specialmente evidente ne Il Corti-le, attraverso l’idea che il corpo dell’interprete (non più l’attore ma il ballerino) è integralmente parte del luogo in cui avviene l’azione e gli oggetti scenici sono utilizzati per quello che realmente rappresentano, liberati da una qualsiasi im-pronta di simbolismo (carlsoniano). Questo è accaduto anche perché, come ha spiegato Giorgio Rossi

Quando Il Cortile è uscito il mondo della danza ci ha isolato, mentre il teatro di ricerca e di sperimentazione ci ha fatto lavorare tantissimo in Italia; nelle rassegne noi eravamo con Raffello Sanzio, Gaia Scienza, Falso Movimen-to, il Teatro Settimo, tutti i gruppi che facevano parte del teatro di immagi-ne, che poi hanno fatto il teatro italiano degli ultimi vent’anni178.

Come abbiamo già visto nei paragrafi precedenti, la simbolizzazione è comunque presente nel secondo spettacolo di Sosta Palmizi, Tufo, e si ricolle-ga a una componente successiva della Post-avanguardia teatrale, rappresenta-ta in compagnie quali la Società Raffaello Sanzio, narappresenta-ta nel 1981, e il cui lavoro

177 Cfr. Chinzari S., Ruffini P., Nuova scena italiana: il teatro dell’ultima generazione, Roma, Ca-stelvecchi, 2000.

178 Colloquio con Giorgio Rossi avvenuto a Cortona (AR) il 24 novembre 2006. L’intervista inte-grale si trova alla sezione Incontri in Appendice della tesi.

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metteva in scena una «simbologia esagerata, caratterizzata da figure potenti di un teatro sacro, archetipico, ispirato al mondo pre-tragico (precedente cioè la comunità umana e i suoi riti di riconoscimento)»179.

La Sosta Palmizi non è però l’unica compagnia orientata a un nuovo approccio del mondo della danza: in quel periodo nascevano altri gruppi, come la Compagnia di danza contemporanea Efesto180, l’unico gruppo ad aver vinto il prestigioso Festival di Bagnolet, e iniziavano a farsi notare gli spettacoli di Enzo Cosimi e di Virgilio Sieni181, senza dimenticare i lavori creati dalla Compagnia Nadir di Caterina Sagna.

A questo proposito mi sembra opportuno ricordare l’attività di Anna Sa-gna, la quale ha grande importanza nella formazione, di stampo prettamente italiano, di coloro che faranno poi parte del nuovo Teatrodanza nel nostro Pae-se, a partire dalla figlia Caterina, che proprio da lei ha ricevuto i primi insegna-menti. Anna Sagna si inserisce in quello che può a ragione essere definito il ca-so Torino, facendo propria una definizione di Alessandro Pontremoli182: il capo-luogo piemontese, nel periodo tra le due guerre mondiali, diviene un centro di divulgazione delle idee della modern dance, promosse da Bella Hutter e dalla

179 Ibidem.

180 La compagnia di danza contemporanea Efesto è stata fondata nel 1984 a Catania dai core-ografi e danzatori Donatella Capraro e Marcello Parisi, e si rivela vincendo nel 1985 il Concorso coreografico di Bagnolet con Il pozzo degli angeli, cui seguono diversi lavori come Humi

Pro-cumbere (1986), Harem (1988), Pietre (1993), Mater Odorosa (1996), L'occhio non è un organo fisso (1997), ai quali si affiancano creazioni per altre compagnie: Renard (Opera di Genova,

1986), Nei miei panni ravvolto (Balletto di Toscana, 1987), La sagra della primavera (Dennis Wayne Company, 1987), in cui si elabora un teatro di danza attento al rapporto con le arti visive e le altre tecniche interpretative dell’attore, la cui fisicità assume una forte valenza espressiva (Cappa F., Gelli P. (a cura di), Dizionario dello spettacolo del ‘900, Milano, Baldini e Castoldi, 1998).

181 «Virgilio Sieni prende da subito distanza da una forma di danza e di spettacolo ancora sot-tomessa alle leggi della rappresentazione e della recitazione e, sulla scia di tutto quello che era avvenuto e stava avvenendo nell’arte e nel teatro contemporanei, rende adulta e internazionale anche la coreografia italiana e la sua messa in scena teatrale» (Sergio Risaliti nella presenta-zione della Compagnia Virgilio Sieni sul sito www.sienidanza.it).

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sorella Raja, le quali tenevano scuola presso il circolo dei coniugi Gualino183. Partendo dalle dottrine della scuola Bella Hutter, inizialmente come costumista e scenografa dei saggi della scuola e poi come insegnante succeduta alla Hut-ter stessa, Anna Sagna diviene, alla fine degli anni Sessanta, l’esponente di un Teatrodanza originale, non dipendente da modelli stranieri, ma espressione di una personale ricerca nell’ambito della drammaturgia del corpo184: il suo meto-do si basava sulla ricerca di una forma di espressività individuale di ognuno dei suoi allievi, i quali erano infine consapevoli dei mezzi da poter usare in scena. Così, nel 1987 nasce la Compagnia Sutki, dal titolo dello spettacolo creato nel 1970 dall’allora Gruppo di Danza Contemporanea Bella Hutter, promotrice di un tipo di danza indipendente, un teatro senza parole, come dice la Sagna, «un te-atro di movimento, dove a volte si saltella e a volte si sta fermi». La Compagnia ha cercato di evitare, fino alla conclusione della sua esperienza nel 1999, di es-sere inserita in qualunque tipo di incasellamento, una sorta di marchio di fabbri-ca: «Quando mi dicono che gli spettacoli che facciamo non sono danza, non sono mimo, non sono teatro gestuale capisco che vuole essere una critica ne-gativa. Ma non posso rattristarmi di non rimanere sotto un’etichetta»185. Se pur trascurato dalla storiografia, il lavoro coreografico e pedagogico di Anna Sagna

183 Bella Hutter promulgava le idee dei maestri Mary Wigman e, in particolare, Jacques-Dalcroze: per lei la danza era un linguaggio che rendeva espressivo tutto il corpo che si univa alla musica e alla scena in modi sempre diversi a seconda del contenuto emotivo del soggetto teatrale, e le sue allieve non portavano più il rigido tutù, bensì erano vestite con tuniche e piedi scalzi, alla “moda” della Duncan ( Cfr. Ivi, p. 13. Per le dottrine della Hutter rimando inoltre a Pestelli G., Bella Hutter, madre russa della danza moderna italiana, <La Stampa>, 25 luglio 1985; per Mary Wigman e Jacques-Dalcroze ai testi Bentivoglio L., La danza contemporanea op. cit., Izrine A., La Danse dans touts ses états op.cit., Casini Ropa E., Alle origini della danza

moderna op. cit. e Carrieri R., La danza in Italia. 1500-1900, Milano, Editoriale Domus, 1946).

184 «L’espressione corporea non nacque come intuizione personalistica, bensì come rilettura o-riginale di un preciso contesto culturale, quello della Torino degli anni Settanta. Nacque come ricerca di una coreografa geniale che seppe danzare e dipingere, in parte seguendo e in parte trasgredendo, i canoni espressivi della sua epoca» (Pontremoli A., Zo E, Anna Sagna op. cit., p. 49).

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rappresenta una delle tappe fondamentali del panorama della danza italiana del secondo Novecento

Alla luce del vasto panorama culturale del XX secolo, che spazia dal tea-tro alla danza, possiamo affermare che il Teatea-trodanza italiano non si riassume pertanto nelle opzioni poetiche della sola Sosta Palmizi ma vive, grazie alla costellazione delle compagnie contemporanee, di svariate “alternative”, caratte-rizzazioni, modalità espressive e concetti di danza autonomi o in qualche modo connessi alle tradizioni recenti della danza moderna, della post-modern dance e del Tanztheater tedesco. Diversamente dagli altri Paesi europei, tuttavia, in Ita-lia i fenomeni di Teatrodanza non sono categorizzabili e meno ancora totalizza-bili, ma tutti possono ugualmente essere inseriti in qualcosa come un paradig-ma locale che si caratterizza per la sua congenita contraddittorietà: esiste in-somma una vera e propria “italianità”, determinata, tra gli altri apporti, da un’ironia genuina e spiccata comicità anche nelle riflessioni più profonde.

Il corpo che danza, oltre a rivelare se stesso e la persona di cui è incarna-zione, nella sua immediatezza si presenta come un corpo sociale, un cor-po, cioè, che appartiene a una società ben identificabile, cui deve le sue forme e le sue deformazioni186.

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Ringraziamenti

Ringrazio in primis la professoressa Angela Guidotti, per aver accettato l’argomento proposto per l’elaborato, e il dottor Roberto Fratini Serafide, per la disponibilità e la professionalità con cui mi ha affiancato durate la stesura di queste pagine, dando a quest’ultima prova da me sostenuta alla fine del per-corso accademico un valore personalmente indiscutibile.

Un ringraziamento vivissimo va a coloro che hanno reso possibile il re-cupero delle notizie e del materiale necessario:

Luisa Costa della Compagnia Abbondanza Bertoni, per aver reso possi-bile l’incontro con Michele Abbondanza, e, quest’ultimo, per il tempo conces-somi,

la Sosta Palmizi Network, per avermi accolto nella loro sede, dove ho po-tuto visionare i video originali della prima formazione di Sosta Palmizi, anche grazie al coordinamento di Alice Brilli e di Romana Walther; Raffaella Giordano e Giorgio Rossi, per avermi dato la possibilità di conversare con loro,

Francesca Bertolli, per avermi concesso una mattinata del suo periodo di vacanza natalizio,

Caterina Sagna, per avermi accolto nella suo appartamento, regalato una sua visione dei fatti e concesso le registrazioni video autentiche dei suoi primi spettacoli come coreografa,

la Fondazione I Teatri di Reggio Emilia e lo staff dell’Archivio Biblioteca del Teatro Municipale Valli, per aver contribuito al reperimento del materiale cartaceo e visivo su Carolyn Carlson,

la professoressa Eugenia Casini Ropa e la dottoressa Concetta Lo Iaco-no del D.A.M.S. di Bologna, la prima, per avermi accolto nel suo studio e dato la possibilità di consultare alcune tesi sulla coreografa californiana, la seconda, per avermi indirizzato alla videoteca I Teatri di Reggio Emilia,

Michele Arena della Compagnia danza Effetto Parallelo, per avermi con-sentito l’accesso alla documentazione video su Carolyn Carlson,

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il critico di danza Francesca Pedroni, per i suggerimenti e il rilevante con-tributo interpretativo per la stesura della prima parte della tesi,

Paola Vezzosi e Francesca Lettieri dell’Associazione di danza Adarte, per i loro consigli.

Si ringraziano tutti coloro che, in vari modi, hanno contribuito alla realiz-zazione del presente elaborato: la mia migliore amica Serena, i miei familiari e tutti coloro che ho avuto il piacere di conoscere in questi mesi, per avermi dato il supporto morale necessario; in particolare, i componenti della Compagnia tea-trale Quieta Movēre che, con affetto e stima, mi hanno sostenuto, senza ecce-zione, in tutto ciò che ho affrontato, con o senza di loro.

Dedico infine questo lavoro ai miei genitori che mi hanno dato sempre la possibilità di scegliere, a mio fratello Marco e a Umberto, per avermi sempre appoggiato in questa lunga ricerca.

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