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Il fenomeno della pirateria somala e l'intervento navale italiano.

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Academic year: 2021

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Indice

Parte I

-La pirateria ed il terrorismo marittimo ...3

I nuovi pirati ...6

Dai predoni del mare ai moderni pirati ...6

Somalia, un paese nel caos …...10

Evoluzione della figura del pirata …...16

Golfo di Aden, Stretto di Hormuz e Stretto di Bab El-Mandeb ...23

Una nuova forma di guerra asimmetrica …...28

Verso l'affermazione di terrorismo marittimo? ...34

L'organizzazione dei predoni del mare ...41

L' organizzazioni dei clan …... 41

Riscatti e sequestri navali …...51

Dove finisce il denaro dei pirati …...65

Quale ruolo per Al-Shabaab? …...71

Parte II -Inquadramento giuridico e regime di repressione della pirateria marittima L'intervento degli organismi internazionali...76

Inquadramento giuridico della pirateria marittima nel diritto internazionale e nazionale...76

Le Risoluzioni ONU...81

L'Unione Europea e la PESD...89

I pirati, giurisdizione e gestione...93

Gli accordi con gli Stati costieri...102

L'intervento della Marina Militare italiana...109

10 anni di attività antipirateria...109

Operazione Mare Sicuro …...118

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Operazione Ocean Shield...122

Operazione Atalanta...126

Missione EUCAP Nestor ...130

I nuclei militari di protezione...132

Parte III -Conclusioni………..139 Conclusioni...140 Bibliografia...……..………...144 Bibliografia...144 Riviste e periodici...149 Linkografia...153 Siti d'interesse ...156

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Parte I

-La Pirateria ed il terrorismo

marittimo

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(6)

Capitolo I

-I nuovi pirati

Dai predoni del mare ai moderni pirati.

Apparsa contestualmente alla nascita e allo sviluppo della navigazione, la pirateria marittima affonda le sue origini in un passato lontanissimo. Le imprese di audaci pirati che, solcavano il mar Mediterraneo su battelli veloci per depredare e conquistare, sono riportate da Omero, Tucidide e Ovidio, ne cui racconti le notizie storiche si confondono con la tragedia1.

I greci definivano i pirati “predoni del mare”, termine che deriva dalla parola greca preda, bottino e dal verbo denominativo predare (peiràn), riferito a chi, solcando i mari, assalta le navi e porta via uomini e cose. La parola pirata si afferma, come sinonimo di predone, soltanto più tardi, nel 140 a.c., nella prosa dello storico romano Polibio e per opera dello storico greco Plutarco che, nel 100 a.c., offrì la più antica definizione di pirateria marittima, descrivendo il pirata come chi attacca senza autorità legale le navi mercantili e le città costiere.

Predoni o pirati, questi malviventi, sono connotati sempre in modo particolarmente negativo. Essi sono «crudeles, savissimi, latrones maritimi, hostis communis omnium, barbari, incendiari», secondo l’etimologia proposta dal vescovo Isidoro di Siviglia, che era solito definirli quali predoni che sequestravano le navi abbordate con il loro carico per poi incendiarle2.

1 Omero, Odissea (Libri III, XIV), Iliade (Libri IX, XIX). Tucidide, La guerra del Peloponneso (in

particolare Libro I). Ovidio, Metamorfosi (Libro III).

2 Isidoro di Siviglia, Etymologiae (Libro X, 219, 220), trad. «Piratae sunt praedones maritimi ab

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Interagendo per millenni con le vicende politico-militari ed economico sociali, che hanno interessato dapprima il solo mare Mediterraneo, e in seguito anche i vasti oceani, la pirateria marittima è stata oggetto di un'abbondante produzione storiografica.

Non senza una certa enfasi, organizzazioni internazionali, governi, esperti e dottrina specializzata avvertono che lo scenario marittimo e la sicurezza della navigazione sono drammaticamente minacciati dal resuscitato fenomeno della pirateria. Un fenomeno che si credeva relegato nella storia e nel mito, oltre che in indimenticabili pagine di romanzi avventurosi e che invece va diffondendosi su scala sempre più ampia, con un esponenziale aumento delle aggressioni a danno di ogni tipologia di navi e con livelli di pericolosità crescenti, testimoniati dalla sempre più diffusa pratica del sequestro di navi e di equipaggi.

Novità e gravità sono i termini maggiormente impiegati per descrivere la moderna pirateria marittima.

Di novità si può parlare solo per sottolineare che gli atti di rapina in mare, crescendo in via proporzionale all'aumento del volume dei traffici commerciali, conoscono oggi più di ieri una particolare diffusione. L’incremento della pirateria è infatti la conseguenza della rapida espansione su scala globale del traffico marittimo transnazionale3.

Quanto alla gravità del fenomeno è indubbio che la moderna pirateria presenti un elevato grado di pericolosità sia per gli Stati le cui navi pubbliche e private sono continuamente minacciate, sia per i marittimi che transitano in quelle acque ad elevato rischio di abbordaggio. Ma se è vero che lo sviluppo dei traffici marittimi è accompagnato da una parallela crescita dello sfruttamento del mare a scopi illeciti, va detto anche che la pirateria è solo una delle molteplici attività criminali che minacciano oggi la sicurezza marittima. La gravità della pirateria moderna va allora correttamente rinvenuta nella circostanza che essa non colpisce soltanto gli interessi particolari di questo o di quello Stato, arrivando a minare l'intero traffico marittimo, commerciale e non, quindi, interessi economico-finanziari e politico-militari di rilevanza globale. Se è vero che la pirateria è da sempre condannata in ragione dell’attentato che essa porta alla sicurezza della navigazione,

caratteristica essenziale del modus operandi de pirati.

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mai come oggi può cogliersi il significato e la portata della speciale riprovazione che la Comunità internazionale ha riservato al brigantaggio marittimo4.

A livello globale, ad una riduzione progressiva della pirateria dal 2000 al 2005 ha fatto seguito un andamento contrario negli anni successivi, in particolare nel Corno d’Africa, dove gli atti di violenza in mare nel 2009 sono raddoppiati rispetto al 2008 (da 111 a 217), con una parallela espansione dell’area in cui i pirati operano, passata da 50 miglia al largo delle coste somale (principalmente nel Golfo di Aden) ad un quadrante di mare distante sino a 1.200 miglia, che abbraccia parte del Golfo di Oman e si spinge fino all’Oceano Indiano5.

Al contempo le cifre hanno evidenziato che negli ultimi anni i pirati somali hanno rivoluzionato il proprio modus operandi, dedicandosi più che all’impossessamento di navi e del loro carico al sequestro di ostaggi per il rilascio dei quali sono richiesti e ottenuti cospicui riscatti. Quanto alla scelta della tipologia di navi da attaccare resta percentualmente costante, ma limitata ad un 3%, l’attenzione verso gli yacht, mentre è enormemente cresciuto l’interesse per le navi porta container, evoluzione che, sia pure tenendo conto della genericità dei dati, pare giustificarsi alla luce della possibilità di richiedere maggiori riscatti. Sulla scelta dell’unità da colpire larga influenza esercita poi la bandiera di appartenenza del cargo6.

Le imbarcazioni oggetto di aggressione sono per la maggior parte iscritte in registri di comodo (flag convenience) come dimostra il fatto che delle 1.552 navi colpite dal 2003 al 2007, il 16% è iscritto a Panama, il 9% a Singapore, l’8% in Liberia, il 4% a Cipro7. La scelta non è casuale, perché è noto a tutti (pirati compresi)

che in caso di aggressione questi Stati si dimostrano poco inclini ad assicurare un tempestivo soccorso alle navi attaccate, cosi come ad instaurare procedimenti a carico dei predoni del mare.

4 F. Graziani, Il contrasto alla pirateria marittima nel diritto internazionale, Napoli, Editoriale

scientifica, 2010, pag. 56.

5 Rapporto del Segretario generale dell’ ONU, S/2010/394, 26 luglio 2010, pag.10, para 7,

relativamente. alla situazione in Somalia, « Les attaques de pirates dans le monde n’ont pas cessè d’augmenter au cours des derniere annees, phenomene presque entieremnt attriuable a la multiplication des actes de piraterie au large de la somalie. Le nombre d’attaques large des cotes somaliennes ne cesse d augmeter depuis 1991 ae au cours des deux cerniere annees, il est passe de 111 batimentes attaques en 2008 a 217 en 2009. Sachant que chacun de ces incidents fai intervene plusieurs individus il esc lair que le pirate sont en tres grand nombre».

6 L. Striuli, La pirateria nel Golfo di Aden, Roma, Centro militare di studi strategici (CeMISS),

2009.

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A rendere più fosco e preoccupante il quadro delineato è la consapevolezza che i dati appena richiamati sono parziali e raccolti per difetto. Si stima infatti che soltanto una percentuale tra il 30 e 50% degli episodi criminosi sia denunciato ufficialmente dalle compagnie di navigazione. È nota la consuetudine degli armatori a non denunciare gli attacchi subiti al fine di evitare la perdita di affidabilità nei confronti di potenziali clienti, il coinvolgimento in procedimenti investigativi e giudiziari che, per loro natura, sono time and cost consuming e, soprattutto, l’incremento delle polizze assicurative8. Statistiche e dati raccontano

comunque solo in parte la complessità di un fenomeno che appare complicato da decifrare. Difficile sintetizzare le cause che negli ultimi venti anni hanno determinato un decisivo incremento degli atti di brigantaggio marittimo.

Un unico fattore accomuna i diversi contesti in cui la pirateria si annida e prospera: la peculiare conformazione morfologica delle coste, tipica delle zone in cui si registra la maggior parte degli attacchi pirateschi. Si tratta di coste molto frastagliate o caratterizzate da un elevata concentrazione di isole e arcipelaghi cosi come da stretti e canali di ampiezza limitata, dotate di aree portuali trafficate o contrassegnate da veri e propri restringimenti (choke points) o ancora da barriere coralline o altri ostacoli naturali. Sono queste, da sempre, le zone privilegiate dai pirati, nelle quali per motivi di sicurezza, le navi sono costrette a procedere a velocità di transito contenute, cosicché i pirati possono procedere all’abbordaggio anche in navigazione, trovando poi agili vie di fuga sulla costa.

Per tutti gli altri fattori, la pirateria è in se un fenomeno molto articolato, non valutabile secondo schemi precostituiti o trasversalmente applicabili a tutte le aree in cui esso si manifesta. Tenere conto delle peculiarità dei singoli contesti in cui la pirateria attecchisce e cresce è essenziale perché ogni tentativo di semplificazione o standardizzazione in materia non da conto della poliedricità del fenomeno.

La pirateria è originata da fattori tipici e caratterizzanti che non si rinvengo in altre aree e l'efficacia dei metodi di contrasto dipende soprattutto dalla lettura corretta delle cause all’origine in ogni contesto.

In passato, alla domanda «da dove venite?», i pirati rispondevano «dal mare» perché non avevano patria e navigavano per lunghi mesi senza mai toccare terra. I moderni pirati, invece operano per lo più in zone portuali o in acque costiere e

8 A. Dani, M. Ghelardi, Pirateria e assicurazione – Il riscatto, Atti del seminario Trasporti sulla

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quand’anche si avventurano a poche miglia dalla costa, fanno tempestivamente ritorno ai loro rifugi. Sono questi veri e propri covi o novelle Tortuga, al pari di quelle abitate dai bucanieri dal 1640, con la differenza che, diversamente dai fratelli della costa, che operavano con il consenso delle marine pubbliche, i pirati moderni non hanno bisogno del rilascio di patenti per saccheggiare impunemente ogni bastimento9.

La pirateria moderna non è più esclusivamente un problema marittimo, è un problema che si manifesta sul mare, ma la cui origine si trova soprattutto sulla terraferma e la Somalia ne rappresenta a pieno la complessità e la poliedricità.

Somalia, un paese nel caos.

Dal 25 gennaio 1991, giorno della fuga del generale Barre, la Somalia è un territorio privo di alcun stabile governo dove i gruppi rivali si confrontano in una sanguinosa lotta per il potere. Il 25 maggio 1991 giunge la proclamazione dell'indipendenza della Repubblica del Somaliland con capitale Hargheisa10. Nel

1998, i leader del Puntland, regione che occupa l’estremità nord orientale del Corno d’Africa, giungono a dichiararne l'autonomia dalla Somalia11. Contrariamente alla

regione secessionista del Somaliland, il Puntland non ha mai cercato di ottenere un riconoscimento internazionale come nazione separata, basando il proprio sistema politico sui clan familiari. Il resto del Paese rimase sotto il controllo dei signori della guerra, incapaci di accordarsi per la successione. Gli anni Novanta segnarono l’inizio, per la Somalia, della guerra civile.

Gli interventi armati degli Stati Uniti d’America nel dicembre 1992 (ritiratisi nel 1994) e delle Nazioni Unite dal maggio 1993 al marzo 1995 terminarono con un nulla di fatto. Il territorio restò fortemente diviso e piccoli gruppi controllarono militarmente le rispettive aree d’influenza, in un crescendo di violenza ai danni della popolazione civile, già stremata dalla carestia. Sono gli anni degli scambi diplomatici e delle conferenze di pace reiterate e inconcludenti12.

9 P. Gosse, Storia della pirateria, Bologna, Odoya, 2008. 10 F. Graziani, op. cit., pag 204.

11 N. Carnimeo, Nei mari dei pirati, Milano, Longanesi, 2009, pag. 43.

12 I. Lewis, J. Mayall, The New Interventionism, 1991-1994: United Nations Experience in

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Dal 2000, con la Conferenza di pace di Gibuti e di Nairobi, si avviò un processo di conciliazione che tenta, ancora oggi, di affermarsi. Nel 2004 nacque, sotto l'auspicio delle Nazioni Unite, il Governo federale di transizione (Transitional Federal Government, TFG), osteggiato però dalle molteplici forze che si contrapponevano al processo di pacificazione, oltre che dalle entità separatiste del Somaliland e del Puntland. Nel febbraio 2006, i signori della guerra, per lunghi anni divisi, unirono le forze in nome di una resistenza contro l’avanzata dell’integralismo religioso islamico, identificato come una minaccia alla loro esistenza. La reazione dei movimenti islamici non si fece attendere e dall’autunno 2006, sostenute da Iran, Libia e Arabia Saudita, le Corti islamiche si costituirono in movimento politico-militare contro i signori della guerra giungendo all'instaurazione di un regime caratterizzato da una forte applicazione della legge islamica. Forti anche del sostegno della popolazione, assunsero un parziale controllo del Paese, scacciando gli avversari nel centro sud e insediandosi a Mogadiscio13.

I timori della nascita di un nuovo fronte d’integralismo religioso serpeggiarono in Somalia, dove il TFG ha stretto alleanza con l’amministrazione autonoma del Puntland, allo scopo di contrastare l’avanzata delle milizie islamiche14.

Nel dicembre 2006, con la Risoluzione 1725, il consiglio di sicurezza dell’ONU diede il via libera formale allo schieramento in Somalia di una forza internazionale regionale con il compito di monitorare e mantenere la sicurezza e revoca l’embargo di armi al governo federale, consentendogli di fatto di riarmarsi e riconsolidarsi15.

L’Etiopia, con il sostegno di Uganda, Kenya e Yemen nonché, l’appoggio prima politico e poi anche militare degli Stati Uniti d’America, intervenne in soccorso dell’esercito governativo somalo, entrando a Mogadiscio e in pochi, ma violentissimi, giorni di guerra mise in fuga le Corti islamiche16.

94 ss.;

R. Murphy, UN Peacekeeping in Lebanon, Somalia and Kosovo:Operational and Legal Issues in

Practice, Cambridge University Press, Cambridge, 2007, pag. 48 ss., pag. 93 ss., pag. 125 ss. e

pag.153 ss.

13 G. Mancusi, Dopo la conferenza di Londra, quale futuro per la Somalia?, BloGlobal, Osservatorio

di politica internazionale, 14 maggio 2012, http://www.bloglobal.net/2012/05/dopo-la-conferenza-di-londra-quale-futuro-per-la-somalia.html.

14 M. Guglielmo, Somalia: conflitti interni o destabilizzazione regionale, Istituto per gli studi di

politica internazionale, Luglio 2011, n. 62, www.ispionline.it

15 Risoluzione 1725 (2006), adottata dal Consiglio di Sicurezza al 5579° Meeting, 6 dicembre 2006,

Doc. S/RES/1725 (2006).

16 Il 9 gennaio 2007 gli Stati Uniti entrano militarmente nel conflitto, a supporto dell’esercito etiope.

L’intervento di Etiopia e USA, che provoca la morte di migliaia di civili, suscita a ferma disapprovazione dell’Unione Africana.

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Dal 2007 tuttavia il TFG venne nuovamente indebolito dall’islamismo radicale e la Somalia continuò a restare nel caos17. Nell’autunno la situazione

precipitò drammaticamente. Il paese era in piena catastrofe umanitaria, gli sfollati raggiunsero quota un milione, le truppe etiopi continuano a imperversare ed a scontrarsi con i ribelli armati, mentre il contingente ugandese della missione AMISOM (African Mission to Somalia), la cui fase operativa ha inizio il 12 febbraio 2007, non oppone resistenza18. Combattimenti ed instabilità continuarono anche

dopo il ritiro delle truppe etiopi, avvenuto il 13 gennaio 2009. Il 3 gennaio di quell’anno, il leader di una fazione moderata dell’Unione delle Corti islamiche , Sheikh Ahmed, venne eletto capo del TFG.

Benché formalmente legittimato dai più importanti clan del Paese e assistito finanziariamente dagli aiuti internazionali, il governo di transizione non riuscì a estendere la propria autorità oltre Mogadiscio e neppure a controllare completamente la stessa capitale. Il disordine continuò ad imperversare soprattutto a sud, a causa della strisciante guerriglia condotta dalle milizie dei signori della guerra, riuniti nel'«Alleanza per la restaurazione della pace contro il terrorismo» le cui fazioni più intransigenti, note come Al-Shabaab e Hizbul Islam, tendono ormai ad operare in maniera sempre più autonoma e contrapposta rispetto alla linea ufficiale dell’organizzazione. Il livello di sicurezza in Somalia è costantemente a rischio tanto che nel giugno 2010 il TFG dichiara nuovamente lo stato di emergenza19.

A distanza di vent’anni dalla caduta del generale Siad Barre, la sovranità in Somalia è polverizzata e sminuzzata nelle mani di diverse comunità che, secondo

17 Rapporto del Segretario generale delle Nazioni Unite sulla situazione della Somalia, Doc.

S/2007/658, 7 novembre 2007. Intanto prosegue il processo di sfaldamento istituzionale del Paese, con le auto proclamazioni di autonomia avanzate dal Galguduud ( 14° agosto 2006), dal Maakhir ( 1° luglio 2007), dal Northland (1°maggio 2008) e dal Jubaland o Oltegiuba (autonomo dal 1998 e ora appartenente alla Somali sud-occidentale, dichiaratasi autonoma nel 2002).

18 L’operazione AMISOM , nata sotto gli auspici dell’Unione africana, ha inizio il 12 febbraio 2007.

A essa partecipano circa 8.000 uomini appartenenti a Burundi, Ghana, Malawi, Nigeria, Tanzania e Uganda. La missione è successivamente autorizzata dal Consiglio di sicurezza dell’ONU con la Risoluzione 1744 del 21 febbraio 2007, per un periodo iniziale di sei mesi.

19 Rapporto del Segretario generale delle Nazioni Unite del 26 luglio 2010, Doc. S/2010/394, pag. 9,

para. 4. La recrudescenza dei combattimenti provoca un emergenza umanitaria id proporzioni catastrofiche: si stima che oltre il 40% della popolazione versi in stato di estrema povertà e sia impedita nell’accesso alle risorse primarie. Secondo l’Alto Commissario per i rifugiati dell’ONU, superano ormai il milione e mezzo le internally dislaced persons in Somalia.

UNHCR News, Renewed violece in Mogadishu Sets Thousands on the Road Once More, 20 luglio 2007 e UNHCR News, Thousands Flee Mogadishu as Fres Fighting Erupts, 30 ottobre 2007, www.unhcr.org.

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la convenienza, creano e rompono alleanze, sostenendo ora l’una ora l’altra della fazioni che si contendono il controllo del territorio.

È in questo contesto che va inquadrato, per meglio comprenderne le cause e gli effetti, il fenomeno della pirateria somala, diffuso prevalentemente nella regione del Puntland. Il fenomeno criminoso è infatti letteralmente esploso in un quadro generale di cronica debolezza delle istituzioni centrali, incapaci di esercitare alcuna forma di contrasto all’offensiva dei pirati.

Il caso della Somalia rappresenta il classico «dilemma del prigioniero»20

poiché i benefici derivanti dall'instaurazione di un governo centrale realmente funzionante non sarebbero in grado di fornire incentivi materiali tali da convincere le parti in gioco a sopportare gli enormi costi, nonché i rischi, di ristabilire un'autorità suprema21.

La pirateria, come già evidenziato, è fiorente in quei luoghi caratterizzati da una carenza di sovranità (failed states) in quanto è molto profittevole e praticamente scevra da ogni conseguenza e la situazione in Somalia ne rappresenta un caso eclatante22. Le condizioni di questo paese sono talmente disastrose che ormai

da qualche anno non esistono neanche più dati ufficiali sulla consistenza del reddito pro capite dei somali23.

Come evidenziato dallo stesso Andrew Mwangura, coordinatore dell'IMB, al momento fra le coste più a rischio primeggiano quelle somale dove «il livello di violenza rimane inaccettabile, i pirati operano impunemente, sequestrando navi molto lontane dalla costa e trattenendole insieme all’equipaggio per un riscatto senza fare nulla per nascondere la loro attività»24.

Infatti chi cerca di contrastare il fenomeno deve gestire una miriade di aspetti legali che rendono la pirateria e le rapine a mano armata virtualmente non

20 Tratto dalla Teoria dei giochi non cooperativi a mosse simultanee, elaborata dal matematico

statunitense A. W. Tucker (1905-1995). Il “dilemma del prigioniero” rappresenta una situazione di rilievo nel campo economico e sociale, in particolare la scelta fra cooperare e non cooperare, il quale mette in risalto il conflitto tra razionalità individuale, nel senso di massimizzazione dell’interesse personale, ed efficienza, ovvero miglior risultato possibile, sia individuale che collettivo. Applicando una strategia individualistica si otterrebbe un esito inferire rispetto a quanto ottenibile nel caso in cui si possa raggiungere un accordo negoziale, oppure nel caso in cui ci si possa fidare dell’altro. Il teorema è stato spesso utilizzato per descrivere la corsa agli armamenti degli anni Cinquanta da parte di USA e URSS durante la Guerra fredda.

21 S. Del Priore, op. cit., p. 68.

22 E. Raggio, Il ruolo del mare negli scenari ostili, Genova, Eidon Edizioni,2009, pag. 38. 23 R. Cazzola Hofmann, I nuovi pirati, Milano, Mursia Editore, 2009, p. 47.

24 T. Maliti, Piracy Off Somalia's coast increases, Hiiraan Online, 17 ottobre 2007,

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perseguibili. Le coste somale sono un'autentica terra di nessuno, perché nel paese del Corno d'Africa vige la più totale anarchia, non esiste un solido governo centrale e quindi non può esserci alcun genere di controllo su quanto avviene in mare.

Il nesso tra instabilità politica e povertà da una parte e pirateria dall'altra risiede nei fatti, come emerge nell'analisi degli studiosi John Kleinen e Manon Osseweijer dell'International Institute for Asian Studies, secondo cui «la pirateria è davvero un grande affare economico nelle regioni costiere caratterizzate da degrado ambientale, pesca illegale, alto numero di disoccupati, emigrazione, criminalità e prostituzione»25.

La guerra civile, l'instabilità politica e la diffusione di una moltitudine di gruppi armati, attribuiscono fin dagli anni Novanta un ruolo di primo ordine al commercio ed alla disponibilità di armi.

L'avvenimento storico chiave è stata la decisione, adottata nel gennaio 1992 dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU, di porre l'embargo sull'esportazione di armi in Somalia. La conseguente Risoluzione stabiliva che tutti gli Stati, al fine di assicurare l’instaurazione ed il perdurare della pace, dovessero immediatamente imporre l’embargo su ogni traffico di armi e equipaggiamenti militari verso la Somalia, finché il Consiglio non avesse deliberato diversamente26.

Non solo tale embargo non è stato assolutamente rispettato, ma è stato raggirato attraverso il ricorso a dubbi escamotage. Sopratutto intorno al traffico delle armi si è creato un vero e proprio business che coinvolge anche gli attori istituzionali della Somalia, quelli cioè che dovrebbero lavorare per i rispetto delle decisioni poste a suo tempo dalla Nazioni Unite, business che quindi, con la complicità dei paesi terzi, contribuisce alla sopravvivenza e anzi al rafforzamento del meccanismo dell’economia di guerra27

Il processo di militarizzazione della Somalia può essere ricondotto al 1960, quando, proprio a ridosso della proclamazione dell'indipendenza, vi furono violenti scontri per il predominio nei territori di confine con il Kenya e l'Etiopia28.

25 J. Kleinen, M. Osseweijer, Piracy and robbery in the Asian seas, Newsletter 36, Maritime Piracy,

International Institute for Asian Studies, Amsterdam 2005, p.6.

26 Risoluzione del Consiglio di sicurezza 733, 23 gennaio1992, para 5 «that all states shall for the

purpose of establishing peace and stability to Somalia, immediately implement a general and complete embargo on all deliveries of weapons and military equipment to Somalia until the Council decided otherwise» .

27 S. Del Priore, op. cit., pag.104.

28 United Nation Development Program (UNDP),Human Developement Report 2001: Somalia,

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Nel corso degli anni Settanta la Somalia ha acquistato il doppio delle armi acquistate dalla Nigeria, la cui popolazione superava però quella della Somalia di più di dieci volte: tra il 1978 e il 1985 la Somalia ha acquistato più di un miliardo di dollari di armi, principalmente dagli Stati Uniti29.

Nel periodo della dittatura di Siad Barre e del contemporaneo evolversi della Guerra fredda la Somalia divenne il paese africano più equipaggiato dal punto di vista militare, grazie all'appoggio e alle forniture dell'URSS prima e degli USA poi, nonché della stessa Italia30.

In Somalia oggi ogni genere di armi circola liberamente, su terra o in mare, per una semplice ragione: il paese è povero, quindi permeabile a ogni tipo di traffico illecito. A sua volta la povertà della Somalia dipende da ventitré anni di guerre civili e di perenne instabilità politica, «la prima ragione per cui i pirati possono agire liberamente è che operano in una terra senza legge. Se c'è disordine sulla terraferma ce ne è altrettanto in mare. Infatti i pirati somali godono di un forte supporto sulle coste»31.

Alle Nazioni Unite circolano alcune bozze di risoluzione per istituire una nuova missione ONU. Secondo una lapidaria dichiarazione del Segretario generale del Palazzo di vetro, Ban Ki-moon, però «se non esiste una pace da mantenere, non è possibile inviare alcuna forza di peace-keeping»32.

Evoluzione della figura del pirata.

Dal 1991, anno zero della storia somala contemporanea, la colpevole disattenzione all'inarrestabile escalation della pirateria spicciola, fatta di abbordaggi con bastoni e coltelli, ha consentito la sua trasformazione in ben organizzati attacchi efferati condotti con l'uso di armi pesanti33. La situazione di anarchia e di mancanza

29 Archivio Disarmo, Istituto Ricerche internazionali, Guerre e conflitti nel mondo: Somalia, 2008. 30 United Nation Development Program(UNDP), Human Development Report 2001: Somalia, op.

Cit., pag. 65.

31 S. Bateman, H. Joshua, RSIS Commentaries n.123, S. Rajaratnam School of International

Studies, Singapore 2008,

32 R. Cazzola Hoffman, Op.cit, pag. 95.

33 A. Meriggioli, Il ritorno dei pirati. Navigazione e pirateria moderna, Genova, Fratelli Friulli

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di ogni forma organizzata di governo ha rappresentato il terreno ideale per l'estensione del fenomeno dei warlord dalla terra alle acque costiere somale.

Ma chi sono i warlords? Il signore della guerra può essere definito come un uomo a capo di una ben definita area, di cui detiene il totale controllo in quanto ha sviluppato in essa un organizzazione di stampo miliare, anche in virtù delle sue precedenti attività belliche e che riconosce solo nella sua persona la massima autorità34.

Si tratta quindi di uomini il cui principale mestiere è la guerra, esercitano il proprio potere attraverso il comando di milizie locali, ma non hanno un reale interesse per il controllo dello Stato, che è generalmente da essi visto come un ostacolo per i propri affari35.

L'emergere dei warlords, figure tra l'altro non uniche della Somalia ma di molti paesi africani, nonché nella loro accezione più antica anche della storia cinese36, è stato in Somalia facilitato sia dalla enorme disponibilità di armi, sia dal

fatto che alla distruzione dello Stato e del suo apparato centralizzato abbai fatto seguito una frammentazione delle entità politiche in gioco. Nessuno degli attori politici è stato in grado di assumere un unica visione ed un unico programma politico ed economico, aprendo la strada a portatori di interessi privati e personalistici che si sono progressivamente allontanati dalle fazioni politiche di provenienza, andando a giocare la loro partita dell'arricchimento personale attraverso il reclutamento di proprie milizie e la strumentalizzazione della fedeltà clanica, il tutto ovviamente a livello locale37.

La pirateria in Somalia nasce ed evolve da capacità marittime, non solo relative al settore della pesca ma anche dal settore del contrabbando via mare, di armi e uomini, dallo Yemen alla Somalia e rappresenta una militarizzazione dello spazio marittimo nella guerra, di tutti contro tutti, per la sopravvivenza e lo sfruttamento delle risorse.38

34 Grossse-Kettler S., External Actor in Stateless Somalia: in a war economy and its promoters,

Bonn International Center for Conversion (BICC), Bonn, 2004, p. 5 «a man who was lord of a particular area by virtue of his capacity to wage war. A warlord exercises effective governmental control over a fairly well defined region by means of military organisation that obeyed no higher authority than himself».

35 S. Del Priore, op. cit., pag. 57.

36 J. A. G. Roberts, Warlordism in China, Review of African Political Economy, num. 46/1989. 37 H. M. Adam, Somalia: Militarism, Warlordism or Democracy?, “Review of African Political

Economy”, vol. 19, num 54/1992, pp. 20-21.

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È importante considerare che fino alla metà degli anni Duemila si può esclusivamente parlare più di un fenomeno di sopravvivenza altamente organizzato e profittevole, i cui attori vi si dedicavano in maniera discontinua.

Qualunque sia stata la relazione tra la pesca e la pirateria agli inizi del fenomeno sembra oramai non esservi più alcun legame sostanziale e la pirateria somala non può oggi che essere definita come un fenomeno di criminalità organizzata internazionale collegata a numerose altre attività criminali.

Risalgono agli anni Settanta ed Ottanta del secolo scorso le prime segnalazioni di assalti pirateschi soprattutto in Asia e in Africa.

Da vero precursore dall'attuale situazione, il governo svedese, dopo alcuni attacchi subiti da imbarcazioni private al largo delle coste della Nigeria pubblicò un documento che, già allora, definiva la situazione “allarmante”39.

Molti pirati, dopo il 1991, iniziarono a compiere attacchi su base sistematica alle navi in transito nel Golfo di Aden celandosi dietro forme di auto-difesa delle riserve ittiche somale ma, in realtà, rappresentavano l'estensione in mare delle attività dei signori della guerra e delle logiche predatorie di ogni forma di transito.

Secondo un ex leader pirata somalo, Farah Hirsi Kulan “Boya” il passaggio alla pirateria professionale avvenne già nel 1994 e negli anni successivi la Somalia entrò progressivamente nella scena della pirateria mondiale40.

Esemplare il caso del sequestro, nel 1994, del cargo MV Bonsella. La nave fu assaltata da una squadra di 11 pirati somali che, dopo aver sparato contro il bastimento colpi di mortaio, si proclamarono una pattuglia della guardia costiera intimando via radio l'arresto «in nome della legge e con l'accusa di aver svolto attività di pesca clandestina»41. La nave fu saccheggiata e l'equipaggio tenuto in

ostaggio per cinque giorni durante i quali essa fu impiegata, senza successo, come nave pirata per assalire altri cargo. La MV Bonsella non era una nave da pesca, bensì un cargo che trasportava aiuti umanitari in Somalia. Al termine del sequestro la nave e l'equipaggio furono rilasciati, ma senza il carico di aiuti umanitari che era stato razziato.

39 Focus on IMO, International Maritime Organization, Londra 2000 pp 2-3,

40 S. J. Hansen , Piracy in the greater Gulf of Aden, Norwegian Institute for Urban and Regional

research, 2009.

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Il caso della MV Bonsella è una conferma dell'abuso dell'alibi della pesca illegale per commettere atti di pirateria, ma anche una dimostrazione del livello, ancora non professionale, degli attacchi al largo delle coste somale condotti nei primi anni novanta42.

Alla fine degli anni Novanta il cuore delle attività di pirateria fu rappresentato dal territorio somalo del Puntland, da cui provenivano i maggiori gruppi di assalto e nelle cui acque, strategicamente prospicienti il Golfo di Aden, avvenivano la gran parte degli abbordaggi.

Dopo una leggera flessione, il livello di allerta è salito nuovamente al punto che, nel 2001, le organizzazioni internazionali parlarono di un drammatico incremento dovuto anche all'effetto sorpresa utilizzato dai pirati che avevano preso l'abitudine a portare i loro attacchi in acque territoriali o addirittura all'interno delle stesse acque portuali43.

Pur con alcune oscillazioni questa situazione si manterrà sostanzialmente stabile fino al 2004-2005 quando il fenomeno assumerà dimensioni ancora più notevoli al punto di far parlare di un epoca d'oro della pirateria somala44.

I pirati hanno mostrato grande adattabilità, riuscendo ad adeguare il modus operandi in base ai loro obiettivi e alle contromisure assunte dal settore marittimo. Alle origini il sistema era relativamente semplice, con arrembaggi condotti da squadre di banditi a bordo di piccoli battelli spinti da uno o due motori fuoribordo. Mezzi che ovviamente permettevano assalti a navi che erano molto vicine alla costa od erano dirette in un porto della zona. Molto difficile distinguere immediatamente, in questi casi, il pirata dal pescatore. La differenza era data dalla presenza di armi a bordo, ma a volte neppure da quelle vista la grande disponibilità di armi da fuoco in queste regioni afflitte da guerre civili interminabili.

In seguito all'intensificarsi degli assalti, i cargo hanno cominciato a mantenersi più lontani e per contro, i predoni, si sono spinti in alto mare oppure hanno proiettato gli interventi molto più ad est. Da questi intenti sorse l'esigenza delle cosiddette navi madre, piattaforme di lancio per gli scafi incaricati di portare a termine l'assalto. Il termine navi madre descrive categorie diverse di natanti, dai pescherecci-battelli con doppia bandiera, utilizzati per attività legali, ma che al

42 F. Biloslavo, P. Quercia, op. cit., pag, 12.

43 Focus on IMO, International Maritime Organization, Londra 2000 pag. 2-3, 44 F. Biloslavo, P. Quercia, op. cit., pag, 12.

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momento opportuno innalzano il «Jolly Roger», su yacht, rimorchiatori e battelli sequestrati che vengono convertiti in unità da diporto per missioni temporanee. Quest'ultime suscitano meno sospetti, a volte sono più veloci delle carrette del mare ed inoltre permettono di organizzare trappole perfette45.

È necessario effettuare una distinzione tra gli stessi pirati, in quanto vanno divisi in dilettanti e organizzati. I primi rubano oggetti di valore agli equipaggi minacciandoli con coltelli e poi scompaiono, i secondi oltre ai valori dell'equipaggio si appropriano anche del carico. Questi sono solitamente armati con pistole, mitra e granate ed operano rigidamente inquadrati in bande con emissari a terra dislocati opportunamente. Infine vi sono i veri e propri pirati, ossia coloro che riconoscono nella pirateria la loro unica professione. Questi mirano al sequestro della nave, alla vendita del carico in un porto amico ed infine al riscatto. Sono ben organizzati e dispongono di luoghi dove tenere prigionieri i membri dell'equipaggio sequestrati, sono pesantemente armati ed equipaggiati. Talvolta si servono di motovedette con apparenze militari e assolutamente senza scrupoli, abbandonano alla deriva senza cibo ed acqua, su zattere di fortuna, quei membri dell'equipaggio che non servono ai loro scopi46.

Tutti i pirati scelgono come destinazione per la fuga i lidi amici dove esiste la massima indifferenza verso il fatto criminoso. In queste zone franche gli abitanti dei villaggi prossimi alle coste sono, frequentemente, dei simpatizzanti, se non proprio dei fiancheggiatori. Le piccole bande di malviventi che hanno operato per molti anni spartanamente e senza essere associate le une alle altre, ultimamente hanno mostrato preoccupanti complicità con altri gruppi in particolare con quelli terroristici47.

Grazie a complici a terra, i pirati sono spesso in grado di individuare i carichi più ricchi e le navi più indifese inoltre riescono ad agire con sicurezza sui bersagli prescelti. In virtù di una maggiore autonomia e velocità dei battelli utilizzati per gli attacchi, non operano più nelle aree geografiche prossime ai covi ma seguono gli spostamenti dei bastimenti imposti dalle modifiche geografiche, commerciali e anche politiche delle correnti di traffico48.

45 M. A. Alberizzi, C. Biffani, G. Olimpio, Bandits. Lotta alla pirateria somala del XXI secolo,

Roma, Fuoco Edizioni, 2009, pag. 73.

46 A. Meriggioli, op. cit., pag. 19. 47 Ivi, pag. 20.

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Gli ufficiali dell'Alleanza Atlantica hanno stimato che tra l'avvistamento da parte dei corsari ed il successivo abbordaggio passano appena 15-20 minuti. Dalla nave madre di solito si muovono dai due ai tre barchini che inseguono ed affiancano l'obbiettivo, stando molto attenti allo stato del mare ed al vento in quanto accostarsi ad un mercantile con una manovra errata può diventare pericoloso, così come salire a bordo. Determinante può essere il ricorso alle armi da fuoco. Una raffica di mitra è in grado di intimidire il capitano e se questa non è sufficiente un lancio di un razzo RPG (Rocket Propelled Grenade) diventa decisivo49.

Raramente i pirati hanno usato i loro fucili per uccidere, ma solo per tenere sotto minaccia gli equipaggi e respingere eventuali azioni di liberazione. Sono stati registrati due o tre casi di marinai assassinati, ma i banditi di solito si sono preoccupati dell'incolumità degli ostaggi. I marittimi vengono infatti risparmiati in quanto sono una preziosa moneta di scambio, senza di loro non si arriverebbe mai al riscatto.

Il clima di allarme e preoccupazione internazionale si è alzato in seguito ad uno degli attacchi più gravi e spavaldi mai portati a termine. Il 25 settembre 2008, nel Golfo di Aden, viene abbordata e sequestrata la nave ucraina Faina, ufficialmente diretta verso il porto di Mombasa, in Kenya. La motonave, per il cui riscatto sono stati pagati circa 3,2 milioni dollari a fronte dei 20 milioni richiesti, rappresentava una vera e propria santabarbara galleggiante50.

Al suo interno il cargo celava 33 carri armati russi T-72 (usati dall'armata sovietica durante la Guerra fredda), 6 lanciamissili calibro 122, 36 lanciarazzi e circa 14 mila munizioni ed un quantitativo imprecisato di armi. Seppur ufficialmente destinate al Kenya, l'evento ha messo in luce probabili violazioni dell'embargo per la vendita di armi al Sudan51, scatenando una forte reazione internazionale, visto anche

l'interessamento da parte di altre nazioni africane per l'acquisto del consistente carico bellico52.

Nonostante gli eventi degli ultimi anni, in quello che resta della Somalia, c'è chi ancora si ostina a sostenere che l'attività di pirateria portata avanti è in realtà

49 M. A. Alberizzi, C. Biffani, G. Olimpio, op. cit., pag. 74. 50 S. Del Priore, op. cit., pag. 123.

51 Somalia liberato il Faina, il cargo ucraino che trasportava armi, Peacereporter, 05 febbraio 2009,

http://it.peacereporter.net/articolo/14087/

52 M. A. Albertizzi, L'Eritrea vuole riscattare il cargo Faina, Corriere della sera.it 28 settembre

2008, http://www.corriere.it/esteri/08_settembre_28/cargo_faina_chiesto_riscatto_f6d607fe-8d3d-11dd-90cc-00144f02aabc.shtml

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un attività di vigilanza e protezione delle risorse ittiche, condotta da coloro che si definiscono «Il Comitato di sorveglianza del mare»53.

Nella Somalia del Terzo millennio ormai il sancta sanctorum della pirateria, la minaccia non è più rappresentata da sprovveduti pescatori mossi da uno spirito di mutua assistenza nei confronti dei connazionali marittimi.

Le moderne organizzazioni somale dedite alla pirateria hanno un ordine gerarchico e regole di condotta nell’abbordaggio e nella gestione del sequestro. Un documento visionato dall’UNODC54 stabilisce undici regole di comportamento, che

comprendo per esempio la proibizione di maltrattare gli ostaggi, se non arrivano ordini di farlo al fine di influenzare il negoziato per il riscatto. A ogni violazione delle regole è prevista una multa che varia da 5.000 dollari, per maltrattamento dell’equipaggio sotto sequestro o se ci si addormenta durante i turni di guardia, fino a 10.000 dollari se la manovalanza dei pirati rifiuta un ordine. Il documento definisce le regole di condotta e disciplina di una compagine strutturata e paramilitare che opera secondo una catena di comando (non a caso i bucanieri vengono definiti un esercito Army), esempio che dimostra il livello organizzativo raggiunto da alcuni gruppi di pirati somali55.

La nuova figura emergente nel contesto somalo è rappresentata dai Jinn, termine di matrice araba che significa demoni. Vi si identificano i capi dei pirati a Bosaso e a Garowe, capitale del Puntland, noti per i loro elevati standard di vita e per una rete informale di rapporti che garantisce loro appoggio politico e logistico a terra. La corruzione endemica in Somalia è fortemente correlata al fenomeno della pirateria i cui capi più influenti finanziano i politici locali con un sistema molto simile a quello mafioso. Ricevono la loro clientela in lussuose ville o in alberghi, come pessime imitazioni di uomini di affari parlano continuamente al cellulare, distribuiscono denaro a parenti ed amici e per non far venire meno il consenso della società investono anche in infrastrutture come nuovi presidi medici56.

Possiedono qualunque dotazione tecnologica, arrivando ad includere navigatori GPS (sistemi che consentono l'utilizzo di satelliti artificiali per conoscere

53 N. Carnimeo, op. cit., pag. 72.

54 Rapporto UNODC, The Illicit Financial Flows linked to piracy off the Coast of Somalia, Maggio

2011.

55 Rapporto del Gruppo di Monitoraggio delle Nazioni Unite sulla Somalia, marzo 2010, para. 130 e

Fighting Somalia Piracy Onshore and off, febbraio 2011.

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il proprio posizionamento), telefono satellitari e piccole imbarcazioni dotate di radar che consentono di individuare l'obiettivo sopratutto di notte 57.

Nella disastrata economia locale sono tra i pochi a poter offrire un lavoro, cercano marinai, navigatori esperti, mercenari di ogni genere ed insegnati di lingue, che a Garowe sono diventati introvabili. Chiunque fosse in grado di parlare una lingua straniera ha lasciato ben presto il proprio lavoro per diventare interprete e negoziatore sulle navi sequestrate, dove con una buona conoscenza dell'inglese e del francese, in pochi giorni si guadagna quanto in un anno di stipendio.

Ma la vera peculiarità dei Jinn somali va ricercata nel singolare concetto di legalità, che giustifica e caratterizza ogni loro azione, poiché essi si considerano patrioti, gli unici veri difensori del mare e delle loro coste.

Abdi Garad, comandante di uno dei maggiori gruppi di pirati58 del

Puntland, ha affermato:

per noi si tratta solo di affari, lo consideriamo alla stessa maniera in cui altri considerano il loro lavoro. Io solco l'Oceano da tempo, non per pescare ma per inseguire i cargo che entrano nelle nostre acque territoriali e che nessuno controlla, a parte noi. Difendiamo le nostre acque dagli stranieri che scaricano i loro rifiuti tossici e saccheggiano le nostre risorse. Un giorno dovranno ricompensarci per questo59.

La pirateria assume il sapore di un riscatto sociale agli occhi di chi non possiede nulla, questa volta i soldi non c'è bisogno di guadagnarli con il sudore della fronte, passano in alto mare, basta andarseli a prendere.

57 Middleton R., Livello di organizzazione: ipertecnologici, Nigrizia, dicembre 2008, p. 43.

58 Somali Piracy: We're defending our waters, The Guardian, 14 ottobre 2008,

http://mg.co.za/article/2008-10-14-somali-piracy-were-defending-our-waters

59 G. Olimpio, Dal Mar Rosso alla Malaysia. La rete dei pirati del terzo millennio,

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Golfo di Aden, stretto di Hormuz e stretto d Bab El- Mandeb.

Dal 2005 al 2008 gli attacchi dei pirati sono stati sempre più frequenti e violenti60. Quando nel luglio 2008 sembrarono raggiungere il loro picco, il Segretario

generale dell’ONU dichiarò che le acque al largo della Somalia erano uno dei luoghi più pericolosi al mondo per i bastimenti marittimi61.

La maggior parte delle depredazioni avviene nel Golfo di Aden, il braccio di mare che separa il Corno d’Africa dalla penisola arabica (coste dello Yemen). L’area investita dalla globalità degli attacchi si estende però oltre questa zona di transito, lambendo l’intera area costiera somala e spingendosi fino in Tanzania, Kenya, Seychelles e Madagascar62.

L’azione delle marine militari è oggettivamente complicata da fattori tecnico operativi di innegabile consistenza, a cominciare dall’ampiezza della zona di mare da controllare, compresa tra le 200.000 miglia quadrate, se ci si limita al Golfo di Aden e alla porzione più pericolosa del bacino somalo, e le 800.000 miglia quadrate se si includono le coste dello Yemen, le Seychelles e lo stretto di Bab-el-mandeb63.

Per i pirati, il Corno d'Africa ed i suoi stretti rappresentano la possibilità di intercettare ed impadronirsi facilmente dei carichi del naviglio diretto ai porti somali, keniani o eritrei ma sopratutto permettono di volgere l'attenzione verso i traffici, ben più remunerativi, tra Asia e Mediterraneo.

Petroliere o mercantili rappresentano un importante bottino in grado di assicurare un ben più remunerativo riscatto in cambio della liberazione dell'equipaggio, ricattando gli armatori e spesso gli stessi governi. Talvolta i sequestri permettono di rivendere sul mercato nero le navi stesse ed i loro carichi oppure di incrementare la flotta pirata disponendo cosi di nuove «navi madre».

60 Rapporto del Segretario Generale sulla Situazione in Somalia, Doc. S/2007/381, 25 giugno 2007,

pag. 12, para 51, «one of the most dangerous places in the world for marine vessels»«one of the most dangerous places in the world for marine vessels»«one of the most dangerous places in the world for marine vessels»«one of the most dangerous places in the world for marine vessels»«one of the most dangerous places in the world for marine vessels»«one of the most dangerous places in the world for marine vessels».

Lettera del Segretario Generale indirizzata al Presidente del Consiglio di Sicurezza, 20 settembre 2007, Doc. S/2007/566, 26 settembre 2007, pag. 3 ss.

61 Rapporto del Segretario Generale sulla Situazione in Somalia, Doc. S/2008/466, 16 luglio 2008,

pag. .6, para 23.

62 F. Graziani, op. cit., pag. 220.

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Il tratto di mare tra lo Yemen e Somalia, punto geografico fondamentale per l'economia mondiale, è frequentemente soggetto ad attacchi di pirati a causa sopratutto del vuoto di potere creatosi a seguito dell'instabilità politica degli Stati costieri.

Il Golfo di Aden, che nel punto più largo misura 320 chilometri ed è lungo circa 900 chilometri, è il check point strategico per il trading tra l'Occidente, il Golfo Persico, il Sud Est Asiatico e l'Oceania, con oltre tre milioni di barili di petrolio al giorno e circa 24.000 transiti l'anno, con un volume globale di oltre 54.000 movimenti, compreso il traffico locale.

Figura3: Golfo di Aden. | Fonte: www.uskowioniran.org

Il Piracy Reporting Center di Kuala Lumpur lo ha definito key hotspot della pirateria mondiale64. Ciò spiega perché i premi assicurativi per le navi da carico

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in transito attraverso il Golfo di Aden siano aumentati di dieci volte nel corso degli ultimi anni65.

In assenza del fenomeno della pirateria, il Golfo non avrebbe particolari attrattive, ma la presenza dei pirati lo pone al centro dell'attenzione mondiale in quanto, in caso di abbandono delle acque somale, tutti i traffici marittimi tra Asia, Medio Oriente ed Europa, dovrebbero essere deviati verso una rotta molto più lunga ed onerosa. Sarebbe necessario circumnavigare l'Africa passando per il Capo di Buona Speranza e, secondo i vertici della Frontline Ltd., tale deviazione comporterebbe un incremento del 40% dei tempi di percorrenza e relativi costi66.

Lo Stretto di Hormuz è un lembo di mare, largo appena 21 miglia nel punto più ampio, che divide la penisola arabica dall'Iran, mettendo in comunicazione il Golfo di Oman a sud-est con il Golfo Persico ad ovest.

Figura 4: Stretto di Hormuz | Fonte:www.veteranstoday.com

Lo Stretto ha un importanza strategica in quanto vi transita circa un quinto di tutto il petrolio prodotto nel mondo67 e vi è la maggior concentrazione

mondiale di petroliere.

65 Pirateria marittina, record di attacchi nel 2008, Newsmercati, newsletter n. 69,

http://www.newsmercati.com/Article/Archive/printPage_html?idn=72&ida=3558&idi=-1&idu=-1

66 H. A. Sheik, Somali piracy and increasing prices for final costumers, 25 novembre

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La necessità di tutelare questo “imbuto” marittimo si rende fondamentale in quanto la chiusura dello Stretto di Hormuz costringerebbe all'utilizzo di più lunghe e quindi onerose rotte alternative per il trasporto del petrolio prodotto.

Lo Stretto di Bab El-Mandeb, “porta delle lacrime” o “porta della lamentazione funebre” secondo la traduzione araba, solo 18 miglia di larghezza massima, divide Gibuti dallo Yemen, vi passano le esportazioni petrolifere dirette dal Sudan alla Cina ed è una via obbligata per le navi che devono raggiungere il terminal petrolifero di Sidi Kerir, da cui parte un mastodontico oleodotto, che passando per il deserto Orientale, giunge nel Mar Mediterraneo.

Figura 5: Stretto di Bab el Mandeb. | Fonte: www.somalitalk.org

In ultima considerazione, ma di cruciale importanza, dallo stretto transitano le navi dirette verso il Canale di Suez, nevralgico per il commercio mondiale in quanto vede transitare ogni anno circa tremila petroliere da e per le acque mediterranee. Emerge chiaramente come la pirateria sia un fenomeno che

67 I dati geografici ed economici sono tratti dal rapporto: World Oil Chockepoints, Energy

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nasce e si sviluppa in sintonia a quanto avviene nel mondo a livello economico e politico.

I pirati del Terzo Millennio possano essere considerati come una delle influenze esterne in grado di provocare instabilità e fluttuazioni al mercato petrolifero mondiale.

Per i pirati somali, le acque del Golfo di Aden sono un territorio in cui fare il bello e il cattivo tempo, muovendosi con la massima libertà in ogni direzione e passando con tutta disinvoltura da un imbarcazione sequestrata all'altra. Ad incrementare il clima di insicurezza e terrore che i pirati hanno creato nel Golfo di Aden è proprio la totale impossibilità di prevedere dove, quando e come potrebbe avvenire il prossimo sequestro68.

Su noonsite.org (sito per velisti nomadi) l'irrequieto popolo dei velisti erranti si da appuntamento per formare i convogli specialmente quando dal mar Mediterraneo si deve affrontare il mar Rosso e poi, passato lo stretto di Bab El-Mandeb, entrare nell'inferno somalo del Golfo di Aden.

Il passaggio del Canale di Suez è un avventura e viene soprannominato dai più il Marlboro Canal perché le sigarette sono merce corrente di scambio con i corrotti poliziotti egiziani e funzionari della Suez Canal Authority69.

All'ingresso del Canale nelle banchine di Port Said l'International Maritime Bureau ha registrato diversi abbordaggi mentre le navi sono impegnate nelle manovre di ormeggio. I pericoli iniziano però lungo le coste di Sudan, Eritrea e Yemen specialmente al largo delle isole Dahlak o delle Farasan70.

Lo stesso sito sconsiglia l'ingresso in qualunque porto somalo se non in casi di estrema gravità e navigare a distanza dalle coste somale e yemenite durante l'attraversamento del Golfo di Aden. Sottolinea inoltre che, data l'assenza di un governo nazionale funzionante, l'intero territorio è tormentato da scontri armati, saccheggi e brigantaggio. Qualora si volesse comunque attraversare quel tratto di mare l'approccio migliore sarà quello di navigare in convoglio con altri natanti e cercare di essere in contatto permanente con una persona a terra che conosca la

68 R. Cazzola Hofmann, op. cit., pag 60.

69 In media il costo per il passaggio di una porta containers di 30.000 tonnellate è di circa 200.000

dollari . Se è necessario un rimorchiatore ci vogliono altri 9500 dollari al giorno, 16.000 dollari se è imposto dall'Autorità del Canale.

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propria posizione in ogni momento e che possa, in caso di pericolo, allertare le autorità71.

Una nuova forma di guerra asimmetrica.

La pirateria è una guerra silente. Si stima che negli ultimi venticinque anni, nelle sole acque del Sudest asiatico siano state attaccate più di 17.000 navi con una media di settecento per anno. Migliaia di morti, dispersi, lasciati alla deriva su zattere di fortuna o scaraventati in mare, come i ventitré marinai del Cheung Son, ritrovati putrefatti nelle reti dei pescatori72.

Di molte vittime non si conosce neanche il nome. Fanno parte dell'esercito di marittimi del Terzo mondo, indiani, indonesiani, filippini, marinai senza garanzie, imbarcati su navi registrate in Liberia, Panama, Bolivia. Il 90% del naviglio mondiale batte bandiere ombra73, trasporta equipaggi con identità sfumate,

carichi misteriosi che contribuiscono all'imperante anarchia di mari e oceani.

Per le marine militari delle varie nazioni, le difficoltà di intervento in acque internazionali e l'impossibilità di varcare quelle territoriali degli «Stati canaglia» sono altrettante frecce nella faretra dei nuovi pirati. Essi sono in grado, non solo di abbordare e depredare una nave, ma anche di dirottarla per ottenere un riscatto o farla sparire per sempre. Si chiamano ghost ships, navi fantasma, sono nelle mani delle mafie del mar Cinese, organizzazioni con una struttura fortemente piramidale, infiltrate nella società, con complicità istituzionali e nel mondo degli affari, dall'estremo Oriente agli Stati Uniti.

In base al numero delle navi registrate, la più grande potenza marittima mondiale dovrebbe essere Panama, seguita dalla Liberia, ma in buona posizione vi

71 http://www.noonsite.com/Countries/Somalia

72 M. Ricci, Torna l'incubo dei pirati, La Repubblica.it, 28 aprile 2000,

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/04/28/torna-incubo-dei-pirati.html

73 Spesso definite anche bandiere di comodo o bandiere di convenienza, indicano l’insegna di una

nazione che viene issata da una nave di proprietà di cittadini o società appartenenti ad un'altra nazione. In questo modo, il proprietario della nave può spesso evitare il pagamento di tasse e ottenere una registrazione più facile, la nazione che fornisce la bandiera ombra riceve soldi in cambio di tale servizio. La Federazione Internazionale dei Lavoratori(ITF) ha stilato una listadi naizoni che offrono le proprie bandiere per tale scopo.

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sono anche paradisi caraibici come le Bahamas o Saint Vincent e Grenadine oppure la Bolivia, che non ha neppure uno sbocco al mare74.

Lo stratagemma delle bandiere di comodo, inventato dagli Stati Uniti durante il secondo conflitto mondiale, permise di rifornire, mantenendo la neutralità, l'Inghilterra già in guerra. Per primi gli armatori americani compresero che la strategia consentiva di sfuggire alle rigide norme nazionali e iscrissero le navi nei registri di paesi compiacenti, assoggettandosi di volta in volta, alle leggi panamensi o liberiane. Ovvero al nulla. I vantaggi furono enormi, sopratutto fiscali, anche nell'assunzione del personale e per gli investimenti nella sicurezza75.

Ancora oggi molti registri non hanno neppure sede nel Paese che rappresentano, sono in mano a compagnie private e con l'avvento di Internet la registrazione diviene ancora più semplice, si fa online andando sul sito, è sufficiente fornire dati e documentazione, versare qualche migliaio di dollari in base al tonnellaggio e il gioco è fatto.

In questo modo anche una ghost ship, una nave sequestrata e poi rivenduta o riutilizzata dai pirati, potrebbe acquisire una nuova identità. Le nuove Tortuga, sono oggi concentrate in Africa e nel mar Cinese a ridosso di importanti vie commerciali.

Nonostante il passare dei decenni, le evoluzioni tecnologiche ed i modificati assetti politici ed economici, la pirateria, quale fenomeno criminale, non si è mai estinta. Tutto al più è declinata con l'accresciuta presenza delle marine da guerra europee sui mari del mondo. Negli ultimi anni però i pirati sono sfuggiti così facilmente e per così lungo tempo ad ogni tipo di di punizione, a causa della carenza di leggi idonee e di mezzi adeguati per un appropriata repressione da ingenerare la convinzione di aver guadagnato l' impunità. Questa sicurezza ne ha alimentato lo sviluppo favorendone il trapasso dalla criminalità semplice e relativamente a bassa violenza, a quella più organizzata e feroce. Una escalation prevedibile che ha visto la trasformazione di furti e rapine a ferimenti ed uccisioni ed, in casi estremi, al sequestro di nave ed equipaggio. Tali eventi, apparentemente diversi tra loro, sopratutto nel loro palesarsi, sono invece legati da una matrice che li accomuna discendendo da fattori sociali collettivi quali l'estrema indigenza degli abitanti

74 S. Pollastrelli, Il contratto di trasporto marittimo di persone, Milano, Giuffrè Editore, 2008, pag.

80.

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rivieraschi di alcune zone dei Paesi asiatici, africani e centro sudamericani. A ciò va aggiunto che il credo popolare degli abitanti dei paesi in questione giustifica questa forma di reato non ravvisando in essa una colpa grave. Anche l'indifferenza della polizia verso la criminalità sul mare negli anni Settanta ed Ottanta ha contribuito a incoraggiare l'evoluzione, instillando negli assalitori la certezza di essere praticamente non perseguibili. L'attività delittuosa diviene un alternativa legittima al lavoro ordinario76.

Quando alla pirateria si è poi sovrapposto il terrorismo, il fenomeno è divenuto incontrollabile. Le centinaia di attacchi, le decine di morti e gli innumerevoli sequestri di navi ed equipaggi a scopo di riscatto sono una guerra asimmetrica difficile da reprimere. La recrudescenza degli episodi banditeschi ha infine costretto sulla difensiva i Paesi che gravitano nelle zone calde e quelli le cui flotte, mercantili o turistiche, si trovano a rischio di abbordaggio; ma il tempo perso nei lunghi periodi di indifferenza non ha ancora permesso di raggiungere i successi auspicati, danneggiati come sono stati, tali paesi, dalla parsimonia nel dispiegare risorse destinate al contenimento o all'esaurimento della delinquenza e delle sue cause.

Un primo tentativo per coinvolgere le forze navali è stato fatto durante il quinto simposio delle marine militari dei 25 Paesi del Mediterraneo e del Mar Nero, tenuto a Venezia il 13 ottobre 2004, quando il Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, Ammiraglio Di Squadra Sergio Biraghi, ha presentato un progetto pilota chiamato V-Rmtc (Virtual Regional Maritime Centre) per la creazione di un centro di coordinamento a Roma contro il terrorismo77.

Le navi mercantili in generale non hanno armi a bordo, per cui le difese possibili contro le intrusioni ostili, che si avvalgono dell'effetto sorpresa, dell'insufficienza della sorveglianza o dell'oscurità della notte (la maggioranza degli abbordaggi avviene tra le 01.00 e le 06.00), sono poche e tutt'altro che efficaci78.

Contro coloro che arrivano di sorpresa dal mare è vano l'uso delle manichette antincendio che lanciano acqua calda o fredda a forte pressione, insufficiente la chiusura ermetica verso l'esterno dei locali equipaggio e poco migliore è il funzionamento dell'illuminazione a giorno. Qualche risultato hanno dato

76 A. Meriggioli, op. cit., pag. 53.

77 Atti del Quinto Regional Simposium, www.marina.difesa.it 78 A. Meriggioli, op. cit., pag. 25.

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il lancio di bombe detonanti e lo sparo di razzi di soccorso. Le difese passive come le grate elettrificate a 9.000 volt dislocate intorno agli alloggi dell'equipaggio hanno rallentato le intrusioni all'interno, ma gli equipaggi stessi si sentono imprigionati e preferiscono evitare tale misura.

Di recente sono apparsi sul mercato, sotto la spinta di una raccomandazione dell'IMO, strumenti per comunicare in tempo reale la posizione della nave sotto attacco agli armatori, al Centro IMB di Kuala Lumpur, alla stazione VTS più vicinia o ai centri di sicurezza a terra, da dove è possibile coordinare le azioni da intraprendere per risolvere l'emergenza.

La Anglo Marine Oversea Service79 con sede Londra, offre invece un

deterrente attivo sotto forma di 300 ex militari Gurkha80.

Un efficace deterrente può essere rappresentato dalle Marine da guerra che, oltre ad intervenire con mezzi adeguati all'inseguimento dei pirati ben oltre le acque di pertinenza, possono affiancare l'azione militare con strumenti diplomatici di pressione sui governi che abitualmente offrono rifugio agli assalitori.

Il fenomeno della pirateria trae origine da alcuni fattori favorevoli alle strategie dei pirati, fattori che hanno determinato un enorme incremento del livello di minaccia.

Il primo di questi riguarda la mancanza di una concreta attività di contrasto da parte del paese ove il fenomeno ha origine. La Somalia è uno Stato unicamente dal punto di vista dei confini geografici, visto che di fatto è senza governo da più di un ventennio. Niente forze di polizia degne di tale nome, nessuna presenza sul territorio di apparati in grado di contrastare le attività criminali, non un tribunale in grado di giudicare i pirati in caso di cattura e sopratutto una popolazione che ha un reddito pro capite fra i più bassi al mondo e che considera quindi la pirateria come una risorsa accettabile anche dal punto di vista etico81.

Il secondo fattore riguarda il favorevolissimo rapporto costo-beneficio: la manodopera è in numero praticamente inesauribile ed il finanziamento di un

79 Gurkhas offered as anti piracy deterrent, BBC News, 25 febbraio 2000,

http://news.bbc.co.uk/2/hi/europe/657167.stm

80 La brigata Gurkha è un reggimento di fanteria dell'esercito britannico reclutato tra la popolazione

nepalese a partire dalla guerra anglo-nepalese del 1812-15 dove gli indigeni della valle del Gorkha si distinsero per le loro spiccate abilità nel combattimento. I fucilieri Gurkha sono, tuttora, considerati trai migliori soldati dell'Esercito britannico e tra i più stimanti al mondo.

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operazione di pirateria marittima prevede costi irrisori rispetto ai guadagni realizzabili.

Il terzo fattore è quello collegato alla grandissima quantità di obbiettivi che transitano in quel tratto di mare. Attualmente passa di fronte alla coste della Somalia il 20% del traffico navale del commerciale mondiale. Non appena il canale di Suez verrò ampliato, cosa che si prevede possa accadere entro qualche anno, tale numero è destinato a raddoppiare passando dalle attuali 18.200 navi ad un numero prossimo a 40.000 l'anno82.

All'inizio ai pirati bastava arrivare al massimo ad un centinaio di miglia di distanza dalla costa, tenersi pronti, ed il gioco era fatto. Per attuare i loro progetti criminali, era sufficiente disporre di motoscafi veloci in gergo skiff e di equipaggi disposti a navigare seduti su un numero imprecisato di taniche contenenti carburante con il quale rabboccare i serbatoi dei fuoribordo. Quando poi il numero degli attacchi ha raggiunto livelli pandemici, come anche sono cresciuti a dismisura quelli portati a buon fine, le compagnie di navigazione di concerto con i comandi militari internazionali, hanno provato almeno nei tratti ove fosse possibile, ad individuare corridoi più sicuri spingendosi ove vi si riuscisse, anche a distanze superiori alle 1.000 miglia dalla costa83.

Sino ad oggi si è optato per il non colare a picco le barche dei banditi per timore che potesse sembrare quasi eccessivo esercitare una forza preponderante contro dei poveri ex pescatori armati, solo, di qualche fucile d'assalto e lancia granate.

A tal proposito bisogna riconoscere che questi predoni del mare sono strateghi con enormi capacità di manipolazione delle informazioni ed una profonda conoscenza delle modalità di condizionamento dell'opinione pubblica. Attaccano le navi, fanno prigionieri i marinai, li sottopongono a soprusi e privazioni, lo fanno in maniera estremamente determinata e violenta, sequestrando per mesi interi centinaia di persone e trattandole spesso con vera brutalità, ma se una nave militare affonda un battello dei pirati ed il suo equipaggio, a giudizio della comunità internazionale, esercita un livello di forza incongruente rispetto alla minaccia esercitata dai pirati stessi.

82 Canale di Suez: allargato per attirare container, Il sole 24 ore, 21 febbraio 2011,

http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2011-02-21/canale-suez-allargato-attirare-081212.shtml

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Matt Bryden è il coordinatore del gruppo, nominato dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU, incaricato di monitorare le violazioni dell' embargo sulle armi in Somalia. Sostiene che:

i pirati sono parte integrante delle comunità che abitano la costa. Ormai si sono organizzati come imprese private: ci sono finanziatori,con una strategia militare ed una pianificazione, e gli sponsor, che procurano le barche veloci, il carburante, le armi, le munizioni, i sistemi di comunicazione ed i salari dei bucanieri. Abbiamo i loro nomi : Garad Mohamud Mohammed, Mohammed Abdi Hassan “Afweyne”, Fara Hersy Kula “Boyah”84.

L'organizzazione, grazie alla diaspora, può contare su spie dislocate nei maggiori porti limitrofi alla Somalia. Gedda, Aden, Salalah, Muscat, Dubai, Abu Dhabi. Poi qualcuno monitorizza il canale di Suez.

Nel rapporto presentato al Consiglio di Sicurezza, Matt Bryden scrive:

per incrementare il proprio raggio di azione, i pirati utilizzano navi madri, pescherecci che stazionano in alto mare. E fanno rifornimento non solo nei porti somali ma anche in Yemen, ad Al-Mukalla e Al-Shishir. Individuata la preda, dalle navi-madre si staccano tre o quattro barchini veloci, con a bordo da quattro a otto uomini armati, che procedono all'arrembaggio. La prima nave madre è stato un rimorchiatore sequestrato nuovo di zecca proveniente dall'Europa e destinato all'Indonesia: il contenzioso su chi doveva pagare il riscatto, se il costruttore o il compratore, aveva fatto si che nessun abbia versato i soldi richiesti. I pirati hanno a disposizione telefoni satellitari, apparati GPS in grado di determinare la posizione geografica, serbatoi supplementari di carburante, piccoli radar, binocoli potentissimi, rampini e scale telescopiche85.

I loro motoscafi comprati negli Emirati Arabi Uniti di solito sono sofisticatissimi. Nel 2011 sono state sequestrate e poi liberate tre navi italiane, la Savina Caylin, la Rosalia D'Amato e l'Enrico Ievoli. Proprio nel rapporti di quell'anno86

l'IMB ha evidenziato come la pirateria abbia fatto un salto di qualità, in quanto i pirati appaiono molto più preparati, armati e violenti; alcune frange della pirateria hanno attivato collegamenti con la criminalità organizzata e gli attacchi sono sempre

84 Rapporto del Gruppo di Monitoraggio su Somalia e Eritrea, 27 giugno 2012. 85 Ibidem.

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