• Non ci sono risultati.

4.2 T ECNICHE DI IDENTIFICAZIONE

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "4.2 T ECNICHE DI IDENTIFICAZIONE"

Copied!
18
0
0

Testo completo

(1)

4.1 I NTRODUZIONE

In tutti gli ambiti scientifici, dalla fisica, alla matematica, dalla medicina, alla biologia, dall’economia alla sociologia, il concetto probabilmente pi• utilizzato ‚ quello di modello. Con tale termine in generale si indica una rappresentazione di un oggetto o di un fenomeno che ne riproduce alcune caratteristiche o comportamenti in modo tale che questi aspetti possano essere mostrati, studiati e conosciuti laddove l'oggetto modellizzato non sia accessibile.

Tenendo presente la definizione ora data, si puƒ dire che la disciplina che prende il nome di identificazione dei sistemi, ha come scopo principale quello di permettere l’elaborazione di modelli matematici che descrivano in maniera affidabile sistemi dinamici anche molto complessi.

Le tecniche di identificazione esistenti permettono di creare tali modelli sulla base di dati sperimentali derivanti da misurazioni su sistemi reali, e di ricavare (identificare appunto), i valori numerici dei parametri che costituiscono il modello matematico scelto. In tal caso si parla di “tecniche di identificazione dei parametri”.

Come si ‚ visto nel capitolo precedente, solitamente il comportamento dinamico di un sistema puƒ essere rappresentato da relazioni che legano gli ingressi (u) alle uscite(y). Tali relazioni possono essere definite da equazioni in generale esplicitabili sia nel dominio del tempo che in quello delle frequenze.

Le metodologie disponibili si basano su un’analisi della risposta del sistema soggetto ad ingressi affetti da disturbi, oltre che da ingressi conosciuti: con tali ipotesi anche l’uscita diviene una variabile statistica. La definizione dei parametri viene quindi effettuata in termini probabilistici, ossia vengono definiti i valori pi• probabili dei parametri e viene indicata una loro stima.

In questa ottica, notevole importanza hanno le tecniche di filtraggio allo scopo di separare il segnale vero da quello affetto dai disturbi. Un problema di identificazione comporta dunque sia considerazioni teoriche, sia prove sperimentali.

Per le prove sperimentali occorre definire:

I DENTIFICAZIONE

C APITOLO 4

(2)

 le condizioni di prova e la strumentazione adeguata;

 le modalit† di eccitazione del sistema;

 le tecniche di misurazione;

 le modalit† di acquisizione ed elaborazione dati.

Le analisi teoriche necessarie comportano invece:

 la scelta del modello matematico pi• opportuno per la definizione del comportamento del sistema;

 la scelta di appropriati metodi di stima dei parametri;

 le metodologie numeriche per effettuare tali identificazioni.

Le “tecniche d’identificazione nel dominio delle frequenze” mirano in genere a identificare la funzione di trasferimento armonica del sistema: a questa categoria si possono ricondurre ad esempio le tecniche di identificazione dei parametri modali di un sistema meccanico considerato lineare. Tali sono le metodologie atte a descrivere le propriet† dinamiche di una struttura sulla base di dati ricavati da prove sperimentali.

L’identificazione modale utilizza l’approccio modale come supporto analitico nel senso che ricostruisce la funzione di trasferimento analitica del sistema considerandolo come costituito da tanti sistemi ad un grado di libert†, essendo i vari gradi di libert† definiti dalle variabili modali. La funzione di trasferimento viene ad avere in questo modo i parametri modali come parametri incogniti.

Le tecniche di identificazione nel dominio del tempo tendono a ricostruire il segnale partendo dagli andamenti temporali dei segnali sperimentali. Si parla cos‡ di sistemi autoregressivi (o sistemi a tempo discreto) ARMA, tra i quali si hanno i modelli ARX, ARMAX, AR ecc. che si differenziano per la struttura del modello matematico utilizzato in particolare per modellare la struttura del rumore sempre presente nei dati sperimentali. Tali modelli possono essere classificati in generale come predittori, identificatori o ricostruttori di segnali a seconda dell’obbiettivo che si vuole raggiungere.

Il principio fondamentale delle tecniche di identificazione ‚ quello di minimizzare la differenza tra la risposta analitica, valutata nel dominio del tempo o delle frequenze, e la risposta misurata del sistema reale sottoposto alla stessa eccitazione. Le metodologie per ottenere tale minimizzazione sono molte ma tutte riconducibili ad un approccio al criterio di massima verosimiglianza [10].

Esempi di situazioni reali che possono essere studiate mediante le tecniche di identificazione sono le dinamiche di velivoli, automobili, moto, navi, ma anche dighe, per quanto riguarda il settore tecnologico, oppure si possono studiare modelli “animali” (es. cavie) per quanto riguarda il settore biologico e molti altri ancora. In tutti i casi i modelli matematici elaborati possono essere utilizzati per pervenire ad una corretta interpretazione dei fenomeni e per svolgere previsioni, diagnosi e

(3)

Il grande interesse, nel settore industriale, che ruota attorno a tali metodologie di studio, nate in origine nell’ambito dei controlli, ‚ dovuto al fatto che durante la progettazione, avere a disposizione un modello che consenta di prevedere il comportamento del sistema reale, puƒ portare a ridurre considerevolmente le indagini sperimentali necessarie su prototipi o singoli componenti, che oltre a richiedere elevati investimenti possono necessitare di lunghi periodi di esecuzione [11].

Nei paragrafi successivi viene riportata una panoramica delle varie tecniche d’identificazione comunemente utilizzate[11,12], per poi passare allo studio dei parametri delle FdT ricavate nel Capitolo 3 mediante un programma di identificazione realizzato nell’ambito della presente tesi.

4.2 T ECNICHE DI IDENTIFICAZIONE

Con il termine “tecniche di identificazione” si intende l’insieme delle metodologie atte a definire, a partire da misurazioni sperimentali, le caratteristiche di un generico sistema [12, 13], realizzando un possibile modello matematico che ne riproduca con sufficiente affidabilitƒ il comportamento in determinate condizioni operative.

Per introdurre i concetti alla base di tali studi si riportano di seguito alcuni spunti di riflessione cos„

come sono dati in [12]. Il modello matematico da realizzare ha lo scopo di descrivere il legame tra i segnali misurati. Conviene, innanzi tutto, distinguere tra segnali di ingresso (input) ed uscita (output), dal momento che le uscite sono parzialmente determinate dagli ingressi.

Come esempio, si consideri un aeroplano per il quale gli ingressi sono le superfici di controllo, come l’equilibratore o gli alettoni, mentre le uscite sono l’orientamento, la velocit† e la posizione dell’aeroplano stesso. In ogni caso le uscite sono determinate nel loro complesso non solo dagli ingressi ora menzionati, ma anche da segnali non misurati che vengono chiamati segnali di disturbo (noise signals). Nel caso dell’aeroplano tali disturbi possono essere le raffiche di vento e gli effetti delle turbolenze.

Se si indicano rispettivamente con

u

,

y

ed

e

gli ingressi, le uscite ed i disturbi, la loro interazione puƒ essere rappresentata schematicamente come nella seguente Figura:

Figura 4. 1 Rappresentazione schematica della relazione tra i segnali di ingresso ( u ) uscita ( y ) e disturbo ( e ) per un sistema dinamico.

S ISTEMA

DINAMICO

u

e

y

(4)

Tutti questi segnali sono funzioni del tempo, ed il loro valore al tempo t ‚ indicato con  u t ,  y t ed  e t . Il problema della modellizzazione del sistema ‚ quello di descrivere come questi segnali sono legati tra loro. Nell’identificazione di sistema si considerano solamente punti di tempo discreto, dal momento che le strumentazioni utilizzate registrano i segnali esclusivamente ad istanti di tempo discreti, normalmente equidistanziati, secondo un intervallo temporale detto sampling interva

  T

.

4.2.1 M

ODELLO DINAMICO BASE

Si introduce adesso un esempio di modellizzazione di un sistema dinamico.

La relazione base tra i segnali di cui si ‚ parlato sopra ‚ data dall’equazione lineare alle differenze.

Si consideri, ad esempio, la seguente equazione:

(4.1) y t    1.5 y t   T   0.7 y t   2 T   0.9 u t   2 T   0.5 u t   3 T

Tale relazione, che prende il nome di modello ARX, ci d† delle informazioni su come calcolare l’uscita

y t  

nel caso in cui si conosca l’ingresso ed il segnale di disturbo possa essere ignorato:

(4.2) y t    1.5 y t   T   0.7 y t   2 T   0.9 u t   2 T   0.5 u t   3 T

pertanto, l’uscita al tempo

t

… data da una combinazione lineare dell’ingresso e dell’uscita stessa ad istanti di tempo precedenti a quello attuale. Si parla di sistema dinamico proprio perch† l’uscita ad un certo istante di tempo, dipende dal valore dell’ingresso ad istanti di tempo precedenti.

In tal caso si pu‡ ricorrere alle tecniche di identificazione di sistema, disponendo di misure sperimentali di

u

ed

y

, per ricavare:

 i coefficienti dell’equazione sopra scritta (come

 1.5

e

0.7

);

 quanti ritardi temporali delle uscite ‚ necessario utilizzare nella descrizione (in questo caso ce ne sono due:

y t   T

e

y t   2 T

);

 il tempo di ritardo del sistema (nella

(4.2)

il tempo di ritardo ‚

2T

perchˆ sono necessari due unit† di tempo affinchˆ un cambiamento in

u

influenzi

y

);

 quanti ritardi temporali degli ingressi utilizzare (in questo caso due:

u t   2 T

e

u t   3 T

). Il numero degli ingressi e delle uscite ritardati solitamente viene riferito all’ordine del modello.

(5)

4.2.2 V

ARIANTI DI MODELLI PER LA DESCRIZIONE DI SISTEMI DINAMICI

Il modello dinamico base descritto sopra ‚ chiamato modello ARX. Esistono diverse varianti di tale modello note come modelli errore di uscita (output-error OE), modelli ARMAX, modelli FIR, e modelli Box-Jenkins (BJ). Ad un livello base ‚ sufficiente pensare tali varianti come strutture simili a quella presentata sopra, che includono perƒ anche la caratterizzazione delle propriet† del disturbo

e

.

Un’altra classe di modelli ‚ quella a variabili di stato (state space models). In tal caso l’elemento che caratterizza la struttura utilizzata ‚ l’ordine del modello, che diventa uno scalare, e che rende necessaria la “registrazione” di un solo “nodo” per ottenere una descrizione utile del sistema.

Un generico modello lineare puƒ essere descritto simbolicamente cos‡:

(4.3) y t    Gu t    He t  

dove l’uscita misurata  y t ‚ data dalla somma dei contributi dell’ingresso (anch’esso misurato)  u t e del disturbo He t . Il simbolo G indica le propriet† dinamiche del sistema, vale a dire come   l’uscita ‚ costruita a partire dall’ingresso. Per un sistema lineare, G ‚ la funzione di trasferimento (FdT) che lega input ed output. Il simbolo H invece, si riferisce alle propriet† del disturbo, ed infatti viene chiamato modello del disturbo. H descrive come il disturbo in uscita al sistema, sia formato dal contributo di qualche sorgente di rumore standard.

Il modello in variabili di stato permette di avere lo stesso tipo di relazione alle differenze lineari tra gli ingressi e le uscite come nel caso ARX, con la differenza che qui le equazioni assumono una forma in cui ‚ usato un unico passo precedente. Per ottenere tale risultato ‚ necessario aggiungere delle variabili dette variabili di stato che non vengono misurate, ma ricostruite a partire dai dati sperimentali. Questo tipo di modello ‚ particolarmente utile quando gli ingressi e le uscite sono dei vettori.

Nel caso in cui si consideri il dominio tempo-discreto il modello in variabili di stato puƒ essere scritto come segue:

(4.4)        

        x t t Ax t Bu t Ke t y t Cx t Du t e t

     

   

dove  x t ‚ il vettore delle variabili di stato e l’ordine del modello … dato dalla dimensione di tale vettore. Qui … la matrice K a racchiudere una descrizione del disturbo. Da notare che nel caso in cui sia K 0, la sorgente di rumore va ad influenzare solo l’uscita (seconda equazione), e non viene costruito alcun modello che rappresenti le proprietƒ del disturbo. Ci‡ equivale ad avere

H  1

nel caso di modello lineare generale (4.3), e di solito viene indicato come modello errore di uscita. Se invece si ha

D  0

significa che non c’… influenza diretta della  u t sulla  y t , per cui l’azione degli ingressi sulle uscite avviene solo attraverso le variabili di stato

x t  

con un ritardo di almeno un’unitƒ

(6)

temporale  . Infine si fa notare come il valore del vettore x al tempo tt 0

x 0

rifletta la condizione iniziale del sistema all’inizio dei dati sperimentali registrati.

Per ulteriori informazioni circa le caratteristiche specifiche dei modelli qui elencati e le possibilit†

di impiego di ciascuno di essi si rimanda a [12].

4.2.3 P

ASSI BASE PER L

IDENTIFICAZIONE DEI SISTEMI

Come ormai detto piˆ volte il problema dell’identificazione dei sistemi … quello di stimare un modello del sistema basandosi sull’osservazione di dati di ingresso ed uscita sperimentali. Esistono diversi modi di descrivere un sistema e di stimare gli elementi del modello scelto. Di seguito si riportano alcuni concetti basilari per tale approccio.

La procedura per determinare una possibile soluzione richiede tre ingredienti fondamentali:

 I dati di ingresso ed uscita.

 Un set di modelli potenzialmente adatti alla descrizione richiesta.

 Un criterio per selezionare uno dei sistemi ipotizzati, sulla base dei dati a disposizione.

Il tipico processo di identificazione porta attraverso stadi iterativi in successione a selezionare la migliore struttura del modello che riproduca con la pi• alta affidabilit† possibile i dati che si possiedono.

Tale processo puƒ essere suddiviso nei seguenti punti:

1) Progettare un esperimento adatto alla raccolta di dati di ingresso ed uscita idonei alla identificazione del sistema che si vuol identificare.

2) Analisi dei dati raccolti. In particolare questi dovranno essere ripuliti e dovranno essere selezionate porzioni adatte al processo di identificazione. Si possono ad esempio applicare dei filtri in maniera da cogliere gli estremi delle frequenze utili alla comprensione del problema.

3) Scegliere e definire una struttura del modello (oppure un set di modelli).

4) Calcolare i parametri della struttura scelta in modo che questa risponda al meglio ai dati sperimentali in base al metodo di identificazione scelto.

5) Analizzare le propriet† del modello ottenuto.

6) Se il modello ottenuto … soddisfacente si conclude l’operazione di identificazione, altrimenti … necessario tornare al passo 3 per provare con un’altra struttura, oppure al passo 4 per provare con un altro metodo di sima. Altrimenti … necessario tornare a lavorare sui dati sperimentali.

(7)

4.2.4 P

OSSIBILI APPROCCI ALL

IDENTIFICAZIONE DEI SISTEMI

Per quanto riguarda il processo di costruzione di un modello matematico che descriva un sistema dinamico, a priori non si ha un’unica tecnica possibile. Anzi se ne possono individuare almeno tre distinte, utili a seconda degli obiettivi che il progettista si prefigge nel suo studio. Queste sono chiamate:

 “SCATOLA TRASPARENTE” o “WHITE BOX”;

 “SCATOLA NERA” o “BLACK BOX”;

 “SCATOLA GRIGIA” o “GRAY BOX”.

Nell’approccio a “scatola trasparente” il modello viene ricavato a partire dalla descrizione delle parti costituenti il sistema dato mediante le leggi che regolano il comportamento delle parti stesse. I modelli a scatola trasparente sono cio‚ modelli a sfondo fisico. Il vantaggio di una descrizione del genere risiede nel fatto che non servono dati sperimentali e si ha sempre la possibilit† di aggiungere nuovi componenti. Gli svantaggi sono dovuti al fatto che solitamente ‚ necessario ricorrere ad ipotesi semplificative e nel caso di sistemi complessi si devono realizzare modelli di grandi dimensioni.

In altri casi, non ‚ possibile ottenere, o non si ‚ interessati ad ottenere, un modello a “sfondo fisico”

del sistema e si puƒ ricorrere ad un approccio a “scatola nera”, col quale si cerca di pervenire ad una descrizione sintetica purch† in grado di approssimare la dinamica esterna con sufficiente accuratezza. I modelli ARX, ARMAX, ARMA, OE,ecc, appaiono come una scelta naturale dato che i relativi parametri sono direttamente stimabili dai dati sperimentali. Questo metodo richiede una minore necessit† di ipotesi semplificative, permette di ottenere modelli semplici anche se il fenomeno ‚ complesso ed ‚ utilizzabile, a differenza del precedente anche se non esistono leggi costitutive elementari. Per contro sono necessarie le raccolte di dati sul fenomeno da studiare.

La tecnica a “scatola grigia” ‚ una via di mezzo tra le prime due. Questa ‚ utile in particolare quando si conosce (almeno in parte) la struttura del modello matematico del fenomeno studiato, ma non si conoscono i valori dei parametri.

4.3 I DENTIFICAZIONE DEL SISTEMA RUOTA SU MACCHINA DINAMOMETRICA

4.3.1 C

ONSIDERAZIONI PRELIMINARI

Nei Capitoli 1 e 2 si … piˆ volte accennato al fatto che il presente lavoro di tesi … inserito all’interno di un piˆ ampio progetto di ricerca che vede quale obiettivo finale la modellizzazione tramite software

(8)

della dinamica di velivoli al suolo e che nello specifico, questo lavoro ‚ la conseguenza di ampi studi svolti in [1] con lo scopo di realizzare un modello che consenta di interpretare adeguatamente la dinamica del pneumatico e lo scambio di forze tra il suolo e la ruota sul quale ‚ il pneumatico stesso ‚ montato.

In particolare, i legami funzionali utilizzati nel modello energetico presentato (cfr ‰ 2.1.2), vede l’adozione di molti parametri che ‚ necessario stimare sulla base delle propriet† del singolo pneumatico al variare delle condizioni operative. Per cui, gi† nella prima fase di messa a punto del modello QSTM_04, ‚ stato necessario effettuare un’operazione di identificazione preliminare di tali parametri, come riportato in [1] e [7].

Parte del lavoro svolto in questa tesi ‚ stato concentrato sullo studio della possibilit† di mettere a punto una metodologia di tipo “scatola grigia”, adatta al caso specifico, che consenta un’identificazione dei parametri della dinamica tramite il modello QSTM_07.

4.3.2 S

TUDIO DEL MODELLO DA IDENTIFICARE

Prendendo come riferimento i punti del ‰ 4.2.3, si osserva come per una corretta identificazione di un sistema dinamico, sia necessaria la disponibilit† di dati sperimentali ricavati da prove studiate in base agli obiettivi da raggiunge (punto 1) e come sia necessario rielaborare opportunamente tali dati in modo da eliminare il rumore legato alla presenza di fattori di disturbo per il sistema (quali ad esempio possono essere le vibrazioni della macchina dinamometrica stessa per effetto della rotazione della ruota e del tamburo) (punto 2). Si torna a ripetere pertanto (cfr. ‰ 2.1.1), come nel caso qui presentato non sia disponibile una esauriente documentazione relativa all’acquisizione dei dati forniti al DIA, per cui allo stato attuale delle cose si ‚ preferito non manipolare in alcun modo i dati a disposizione, onde evitare di perdere informazioni, circa possibili dinamiche non ancora introdotte nel modello QSTM.

Per quanto riguarda il punto 3, vale a dire l’elaborazione di una possibile struttura del modello da identificare, si ‚ scelto di avvalersi di quello fornito dalla linearizzazione delle equazioni di moto della ruota (cfr. Capitolo 3). In questo modo adottando una metodologia di tipo “scatola grigia”, si puƒ procedere nel tentativo di identificare i parametri delle FdT cos‡ da ottimizzare la risposta da esse fornita, sulla base degli andamenti sperimentali delle velocit† angolari della ruota e del tamburo della macchina dinamometrica. Prima di procedere in tal senso ‚ perƒ necessario andare a studiare le FdT ottenute nel Capitolo 3 che legano il vettore delle uscite y  

W,F,x

al vettore degli ingressi

W,

u  TV . Si riportano qui sotto tutte e sei le FdT calcolate:

11 12

W

1 K K

  T

  

  

   

(9)

dove gli zeri i poli ed i guadagni presenti sono:

(4.6)

11 1 12 1 21 2

22 2 31 3 32 3

2 2 3 3

22 32

2 3

g f g f g f

g g f g

g f g f g f g f

g g f

W W W W W

W W

W W W W

W

T V T

V T V

V V V V

V V

K K K

K K K

z z p

     

   

 

  

Si ricorda inoltre che la (4.5) ‚ una delle possibili rappresentazioni che si puƒ dare del sistema di equazioni differenziali linearizzate che descrivono la dinamica della ruota, alternativamente rappresentabili anche in termini di variabili di stato:

(4.7)   

  

x x u

y x u

A B

C D

con

x   

W vettore delle variabili di stato (qui solamente una) e con:

(4.8)

1 1 1

2 2 2

3 3 3

g g g

g g g

g g g

W W

W W W W

W W

T V

T V T V

T V

   

   

                  

   

   

A f B f f C D

matrici caratteristiche del sistema.

I termini

f

W ,…,

g

1

W ,…,

g

3V, presenti nelle (4.6) e (4.8) sono le derivate parziali delle relative funzioni (

f

,

g

1, ecc…) rispetto alla variabile indicata come pedice, calcolate al trim, essendo:

(4.9)

       

 

  

0

0

0 0 0 0

0 0

0 0 0

0 0

1 , , 0

f f 1

1 f

f 1 f 1 1

f f ,

W

W

W

W W W

W W W

W W W W W W

T V W

W W W W W

N T

F V h V x V

I I I

F N x

I h V I

F h N x

h V F V

T I V I V I V I V

    

   

    

   

    

      

    

f X, X, U

 

e

(4.10)

 

 

 

 

1

21

31

1 1 1

2 2 2

0 0

0 0 0

3 3 3

0

,

, ,

,

1 0

g g 0 g

g g 0 g

0 g

g g

W W

W W

W W

W

T V

T V

W W W

T V

W

g

g F

g x

F F

T V V

x

   

 

 

      

 

 

 

 

 

         

                              

              

   

 

     

 

 

 

X U

Y g X U X U

X U

g g g

0

x V

 

 

 

 

 

 

 

  

 

da cui:

(10)

(4.11)

1 1 1

2 2 2

3 3 3

g g g

g g g

g g g

W W

W W

W W

T V

W

W

W T V

T V

F T x V

   

  

  

   

 

   

          

      

     

Il risultato sintetizzato dalla (4.5) ‚ sicuramente notevole dal punto di vista della semplificazione delle complesse strutture che costituiscono i termini

f

W ,…,

g

1

W ,…,

g

3V (cfr. Appendice C), ma nel contempo questa operazione fa perdere di vista il ruolo dei singoli contributi, legati in origine alle strutture ipotizzate nel modello energetico, di

F

ed

x

:

(1.23) FF

b

F

roll

(1.39)

   

1 1

1 1

1

b

b

D e

roll b D

e D

R R

h h

h h

x F F T

N R N

R N

 

 

 

   

   

  

   

  

 

Questo fatto potrebbe portare a trascurare possibili legami tra i parametri delle FdT, col rischio di tentare un’identificazione di alcuni di essi scelti in maniera pi• o meno arbitraria, e di sottoporre al programma di ottimizzazione una richiesta incoerente. Š necessario dunque cercare di risalire agli eventuali legami presenti.

Come primo passo si semplificano le espressioni della (4.11) utilizzando le (4.10):

(4.11')

2 2

3 3

1 0 0

g 0 g

0 g g

W

W

W

W

W V

V

F T x V

      

  

         

          

      

     

Considerando poi le (4.9) si ha che:

(4.12)  

0

0 0

2 3

g g

f 1

W

W W W W

W W

F N x

I h V I

 

   

 

   

2 3

f g g

W W W

dove

‚ costante, e

(4.13)

 

0

0 0

0 0 0

2 3

2 3

g g

1 1

f , .

f g g

V W

W W W

V V V

V V

F h N x

h V F V

I V I V I V

  

    

  

   

 

  

dove

‚ trascurabile qualora si decida di non considerare la variazione della

h

con la

V

. Gi† da queste semplici relazioni si nota come le derivate di

f

e

g

non indipendenti tra loro.

Si riscrivono poi le FdT, partendo dalla prima, che lega l’uscita in

W all’ingresso

T

W, utilizzando

(11)

 

11

W W

W T

W

G K

T s p

  

 

 

1

1

g f f

W W

W W

W

T

G

T

s

  



(4.14)

 

11

2 3

f

g g

W W W

W W

T T

K

p

G

s

 

 





 

12

W

W V

G K

V s p

   

   

1

1

g f f

W W

W

V

G

V

s

  



(4.15)  

 

12

2 3

2 3

g g

g g

W

W W

K

V V

V

p

G

s

  

  





 

21 FTW

W

F K

G T s p

   

   

21

2

2 3

g f

g g

W W W

W W

K

T FT

p

G s

  

 





(4.16) g

2

W W W W

FT T

G

G

 

 

22 22

FV

K s z G F

s p

 

  

   

2 2

2

2

2 3

22

22

g f g f

g g

g g

W W

W W

V V

V

V FV

z K

p

s

G s

 

  

  

 

 

 

 







 

 

2 2 3 2 2 3

22

2

g g g g g g

g

W W W

V V V

V FV

K s

G s p

     

  

 

 

2 2

22

g g

W V

FV

K s G

3 2 2 2

g g g g

W V V W

 

3 2 2

2

g g g

g

W W

V

V

s p

 

3 2 3 2

2

22

g g g g g

W V V W W

FV

K s G

 

g2V

s p

 

(4.17)

 

 

3 2 3 2

22

2 22

g g g g

g

W V V W

V FV

z

K s

G s p

 

  

  

 

 

 



(12)

 

31 xTW

W

x K

G T s p

   

   

3

2 3

31

g f

g g

W W W

W W

T xT

K

p

G s

  

 





(4.18) g

3

W W W W

xT T

G

G

 

 

32 32

xV

K s z

G x

V s p

 

  

 

 

3 3

3

3

2 3

32

32 g f g f

g g

g g

W W

W W

V V

V

V xV

z K

p

x s

G V s

 

  

  

 

  

  

  







 

31 11 12

32 3 3

3

g f f g

g

W W

K K K

V V

V K xV

p s

G s p

 



(4.19)

 

12 31

32

11 32 32

xV

z

K K K s p

K K

G s p

 

 

 

 

 

 

 



Ricapitolando, tutti i parametri da identificare nelle FdT sono

,

,

g

2

W ,

g

3

W ,

g

2V,

g

3V ed analizzando gli zeri, i poli ed i guadagni delle FdT, si vede che il solo parametro che risulta essere completamente disaccoppiato dagli altri ‚ il

K

11 (che ‚ una costante).

(4.20)

 

 

11 12

21 22 22

31 32 32

W

1

W

K K

F K K s z T

s p V

x K K s z

    

  

      

         

    

      

(4.21)

 

 

2

11 12 2 3 21 2

3

22 2 31 3 32 3

3 2 3 2 2 3 3 12 31

22 32 2 3

2 3 11 32

1 g

f f g g g f

g g f g g

g g g g g g f g f

f g g

g g

W

W W W

W W W

W W W W W

W W W

T V V V T

W W

V T V

W

V V V V

V V

K K K

I I

K K K

I

K K

z z p p

K K

           

   

Andando poi a calcolare il valore numerico degli zeri

z

22 e

z

32al trim per

0

0

s

x

, si vede che sono molto piccoli (dell’ordine rispettivamente di

10

5,

10

4), per cui in prima istanza si puƒ anche decidere di porli uguali a zero. Da notare inoltre il fatto che le (4.14), (4.16) e (4.18) sono la stessa FdT a meno di un fattore moltiplicativo (Figura 4.2).

(13)

Figura 4. 2 Confronto tra le FdT che legano la variazione di T alle variazioni in uscita di W

 , F ed x . Le tre curve sono identiche a meno di un fattore moltiplicativo.W

4.3.3 P

ROGRAMMA PER L

IDENTIFICAZIONE DEI PARAMETRI DELLE

F

D

T

Il programma realizzato per effettuare l’identificazione dei parametri delle FdT del modello QSTM_07 linearizzato, … concepito nell’ottica di adottare un approccio di tipo “scatola grigia”.

Avendo infatti a disposizione un modello basato sulla descrizione della fisica del problema che fornisce dei buoni risultati, si vogliono ottimizzare i parametri in esso contenuti in modo da migliorare l’andamento delle risposte ottenibili.

La struttura del programma … tale da permettere di confrontare iterativamente i dati sperimentali delle velocitƒ angolari della ruota e del tamburo della macchina dinamometrica, con quelli ottenuti dalla simulazione del modello in funzione del valore attuale dei parametri. In base al risultato di tale confronto, sfruttando la funzione dell’Optimization Toolbox di Matlab “lsqnonlin”, il programma adatta ad ogni passo successivo il valore di tutti i parametri., fino ad ottenere la migliore risposta possibile [15].

La funzione “lsqnonlin” consente infatti di determinare la miglior approssimazione di funzioni non lineari con la tecnica dei minimi quadrati. Traducendo in termini matematici, si pu‡ scrivere:

(14)

(4.22) min     min 

1

 

2 2

 

2

...

m

 

2

x

f x

x

f xf x   f x

All’utente, per mezzo della “lsqnonlin”, non spetta il compito di impostare la somma dei quadrati, ma di definire una funzione costo

  F

, che rappresenta un vettore i cui termini elevati al quadrato e sommati tra loro, danno la somma dei quadrati da minimizzare:

(4.23)

 

 

 

 

1

2

...

m

f x f x F x

f x

 

 

 

  

 

 

 

Per cui in termini vettoriali il problema puƒ essere posto anche nel seguente modo:

(4.24)      

22

 

2

min min 1 min

2

i

x x x

i

f xF xf x

   

  

Nel caso qui trattato la funzione costo scelta ‚ data dalla somma di due contributi:

(4.25) F F

1

F

2

dove

F

1 ed

F

2 sono vettori, i cui elementi sono la differenza, ad ogni istante di campionamento dei dati sperimentali, tra i corrispondenti valori delle velocit† angolari sperimentali e simulate, rispettivamente della ruota e del tamburo rotante, espresse come percentuali del valore sperimentale. Il peso di ciascuna di esse ‚ stabilito mediante il valore dei coefficienti

e

, per i quali deve valere:

(4.26)  1

4.3.4 R

ISULTATI DELL

IDENTIFICAZIONE

I risultati che si ottengono utilizzando il programma per l’identificazione dei parametri realizzato, variano considerevolmente in funzione delle scelte che vengono fatte, quali ad esempio l’intervallo di tempo nel quale valutare le funzioni costo

F

1 e

F

2, il peso relativo delle stesse, le condizioni iniziali dei parametri.

Considerando ad esempio un intervallo di tempo

t

di 2 secondi, escludendo dall’identificazione i due zeri, fornendo come valore iniziale dei parametri i rispettivi ordini di grandezza e prendendo

pari a 0.7 (dando quindi un maggior peso alla funzione costo relativa alla ruota), si ottengono le curve di Figura 4.3. Tali condizioni, come ‚ evidente, portano ad un pessimo risultato, in parte a causa delle condizioni iniziali (curva blu) lontane da quelle di puro rotolamento quasi stazionario, ed in parte a causa del valore di

scelto che vede come conseguenza il fatto che il programma forza i parametri in modo da ottenere una risposta relativamente migliore per quanto riguarda la velocit† angolare della

(15)

Figura 4. 3 Identificazione dei parametri con tmax 2s,  0.7 e valore iniziale dei parametri pari al rispettivo ordine di grandezza.

Figura 4. 4 Identificazione dei parametri con tmax 2s,  0.2 e valore iniziale dei parametri pari al rispettivo ordine di grandezza.

(16)

Figura 4. 5 Identificazione dei parametri con tmax 2s,  0.2 e valore iniziale dei parametri dato dalla condizione di puro rotolamento quasi stazionario.

(17)

Figura 4. 7 Identificazione dei parametri con tmax 1.8s,  0.15 e valore iniziale dei parametri dato dalla condizione di puro rotolamento quasi stazionario.

Figura 4. 8 Identificazione dei parametri con tmax 15s,  0.15 e valore iniziale dei parametri dato dalla condizione di puro rotolamento quasi stazionario.

(18)

(Figura 4.4).

Facendo partire il valore iniziale dei parametri da quello relativo alla condizione di puro rotolamento quasi stazionario, si nota come la curva che si ottiene dai valori identificati sia migliore di quella di partenza (Figura 4.5).

Inoltre anche l’identificazione condotta su tutta la lunghezza dei dati sperimentali porta all’ottenimento di risposte complessivamente migliori rispetto a quelle dei dati di partenza (Figura 4.6).

Da ultimo si osserva come le strutture delle FdT ricavate per mezzo della linearizzazione delle equazioni del modello QSTM_07, necessitino di essere completate con ulteriori parametri che permettano di seguire quelle dinamiche oscillatorie, visibili in tutti e tre i test, che le strutture attuali non riescono a riprodurre (Figure 4.7 e 4.8).

Riferimenti

Documenti correlati

Il testo del compito deve essere consegnato insieme alla bella, mentre i fogli di brutta non devono essere consegnati.. Durante la prova non ` e consentito l’uso di libri,

Il testo del compito deve essere consegnato insieme alla bella, mentre i fogli di brutta non devono essere consegnati.. Durante la prova non ` e consentito l’uso di libri,

Il testo del compito deve essere consegnato insieme alla bella, mentre i fogli di brutta non devono essere consegnati.. Durante la prova non ` e consentito l’uso di libri,

Il testo del compito deve essere consegnato insieme alla bella, mentre i fogli di brutta non devono essere consegnati.. Durante la prova non ` e consentito l’uso di libri,

La risposta a ciascun quesito va scelta esclusivamente tra quelle gi` a date nel testo, annerendo un

2 Completa le frasi in modo da ottenere periodi contenenti una subordinata soggettiva9. che non tutti

[r]

L’obiettivo è collegare ogni isola con ponti orizzontali o verticali in modo che abbia un numero di ponti corrispondente al numero dato e si formi un percorso che colleghi