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1.3 Lo sviluppo interno

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Academic year: 2021

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Il presente lavoro si propone di andare a concentrarsi su quelle che sono le strategie e i mezzi con i quali si può giungere allo sviluppo aziendale, partendo dal concetto di crescita e di sviluppo economico. In particolare, si fa riferimento alle operazioni straordinarie come strumenti utilizzati per lo sviluppo per via esterna e nello specifico si analizzerà l’operazione di leveraged buy out, che è stata disciplinata, proprio con la riforma societaria, attraverso l’introduzione dell’art. 2501-bis.

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Nel primo capitolo si è cercato si andare ad analizzare il concetto di crescita, guardandolo sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Spesso, soprattutto nel passato, al concetto di crescita si è associato quello di crescita in senso fisico: questo è vero, però, solo nel lungo periodo, quando, cioè, la politica aziendale è volta ad un rafforzamento e adattamento della struttura ai cambiamenti che sono intervenuti a livello ambientale.

In questo contesto, è importante stabilire cosa si intenda per dimensione.

Autorevoli studiosi, hanno utilizzato, per definire nel modo migliore possibile la dimensione, dei parametri dimensionali che sono stati suddivisi in tre categorie:

di tipo strutturale, di tipo funzionale e di tipo relazionale esterno.

I parametri strutturali fanno riferimento, come indica la parola, alla struttura dell’azienda stessa, e quindi all’aspetto statico di questa. I parametri di tipo funzionale, invece, riguardano ciò che l’azienda in un dato momento effettivamente fa. I parametri di tipo relazionale esterno si riferiscono, infine, ai rapporti tra l’azienda e l’ambiente in cui essa è collocata.

Fondamentale è, però, vedere i fattori di produzione, e i parametri descritti, in un’ottica d’insieme, mettendo in evidenza i rapporti, le strategie, le sinergie e le politiche che si nascondono dietro i dati numerici. L’azienda è, infatti, un organismo dinamico, che vive in un contesto variabile e in continua evoluzione e la dinamica dimensionale aziendale è influenzata, da una molteplicità di fattori di vario tipo: tecnici, ambientali, personali, commerciali e amministrativi.

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Durante tutta la vita dell’azienda, quindi, il problema della dimensione non viene mai risolto in via definitiva, ma si ripropone costantemente. Il criterio ispiratore dovrebbe essere, quindi, quello della flessibilità dimensionale: cioè predisporre la dimensione così che possa adattarsi ai cambiamenti delle condizioni ambientali.

Il concetto di crescita, in economia, è legato soprattutto a variabili di tipo qualitativo. In questo senso, quindi, per riferirci a tale fenomeno è meglio parlare di sviluppo d’azienda inteso come “[…] un processo di crescita dell’azienda realizzabile mediante la valorizzazione delle potenzialità insite nel sistema produttivo, ovvero mediante la ricerca di nuove potenzialità esterne”. Questo fenomeno costituisce, una prospettiva di cambiamento che deve inserirsi in un disegno strategico di gestione aziendale.

Le strategie attuabili possono essere suddivise su tre livelli: quelle globali o di gruppo, le strategie competitive e le strategie funzionali. Le strategie globali sono rivolte a definire dove l’azienda opererà, il contesto e l’ambiente intorno ad essa, i mercati e settori dove agire. Con le strategie competitive si stabiliscono le modalità di competizione all’interno del settore scelto nella fase precedente.

Infine, le strategie funzionali stabiliscono come operare all’interno delle singole funzioni della struttura ( marketing, risorse umane, finanza).

L’azienda, e quindi le sue strategie, possono essere rivolte all’espansione orizzontale, all’integrazione verticale, oppure alla diversificazione.

Generalizzando si può affermare che lo sviluppo orizzontale si lega maggiormente alle aziende di piccola e media dimensione che cercano di rafforzare la loro posizione competitiva. Per contro lo sviluppo verticale e la diversificazione rappresentano opzioni strategiche che meglio rispondono alle esigenze di aziende con dimensioni più grandi, che hanno come obiettivo quello di ampliare il loro campo di azione, avendo già una posizione affermata sul mercato dove operano.

Ma, tralasciando la direzione dello sviluppo, è importante per l’azienda, scegliere le modalità per mettere in atto la strategia adottata. In questa ottica si è soliti distinguere tra: sviluppo interno e sviluppo esterno. Lo sviluppo interno si

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basa soprattutto sull’impiego delle risorse, umane, tecnologiche e finanziarie, che si trovano all’interno dell’azienda: infatti, fino a che le risorse, nelle operazioni in atto non sono pienamente utilizzate, l’azienda è spinta a cercare un sistema di utilizzazione più conveniente delle stesse; tale tipologia di sviluppo comporta, normalmente, l’ampliamento delle strutture produttive e distributive. La crescita interna presenta poi, un grado di rischio che non può essere trascurato: accanto a nuove strutture produttive e distributive, lo sviluppo interno provoca, anche e soprattutto, un aumento, non reversibile, della capacità produttiva. Il pericolo in cui può incorrere l’azienda è, quindi, quello di creare una struttura produttiva non adeguata alla domanda, creando una situazione di non economicità. Nel caso, invece, di un’acquisizione (via esterna di sviluppo), se questa si dimostra non conveniente, è possibile correggere e sanare la situazione svantaggiosa attraverso la dismissione dell’azienda o del ramo acquisito.

Prima di passare all’analisi di quello che viene definito sviluppo esterno è interessante considerare, se pur brevemente, quella fascia di operazioni che si pongono fra le due tipologie di sviluppo e che sono gli accordi di collaborazione interaziendale. Lo sviluppo fondato sulla collaborazione può essere realizzato secondo due modalità: o con la partecipazione al capitale di rischio e dunque allocando in via formale proprie risorse finanziarie, oppure con accordi che non prevedono tale tipo di partecipazione ma presuppongono il conferimento di risorse umane, di conoscenze e di esperienze. La crescita, in questo caso è fondata su risorse esterne all’azienda la cui disponibilità è ottenuta attraverso relazioni, accordi e alleanze di varia natura che non necessariamente prevedono la partecipazione al capitale di rischio. La diffusione di queste forme di accordi strategici è stata causata soprattutto dalla complessità dello scenario ambientale, che si rivolge sempre più all’internazionalizzazione, all’ipercompetizione, all’innovazione tecnologica, e che porta come conseguenza la necessità per l’azienda di diventare sempre più flessibile dal punto di vista strategico. Fra quelle più utilizzate trovano un posto di prestigio le joint venture, le cooperative e i consorzi.

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Lo sviluppo esterno, invece, si caratterizza per l’impiego di risorse, già formatesi e disponibili all’esterno dell’unità, che possono essere ottenute, innanzitutto, attraverso fusioni e acquisizioni. Generalmente negli investimenti diretti (crescita esterna) prevalgono le ragioni di tipo strategico, perché nella maggior parte dei casi, questi implicano un maggior esborso finanziario rispetto agli investimenti di crescita con strategia interna. E’ indubbio che uno degli elementi che spinge maggiormente gli operatori verso la crescita esterna è il fattore tempo: lo sviluppo esterno consente, infatti, di raggiungere gli obiettivi di crescita, in un arco di tempo abbastanza ridotto. In questa situazione, raggiungere per primi una posizione competitiva sul mercato, consente di sfruttare, fin da subito, le potenzialità di crescita offerte da quel particolare momento; mettendo in atto, invece, la via interna si potrebbe correre il rischio di tardare rispetto ai tempi della crescita. Un altro vantaggio che presenta la strategia esterna, è che consente il superamento delle barriere all’entrata attraverso le varie competenze degli organismi che si sono uniti, cosa che, invece, non può avvenire nello sviluppo interno che richiede ingenti investimenti per ottenere le risorse idonee al superamento di tali barriere. La crescita esterna, poi, permette di aumentare rapidamente la capacità produttiva e la quota di mercato dell’azienda senza andare a forzare il mercato: non aumenta, infatti, né la capacità produttiva del settore né quella dell’industria nel suo complesso.

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Nel secondo capitolo vengono analizzate, nello specifico, alcune operazioni straordinarie che sono utilizzate quali mezzi per giungere allo sviluppo dell’azienda per via esterna.

In particolare sono state descritte la fusione, la scissione, il conferimento e lo scambio di partecipazioni.

La fusione viene disciplinata dall’art. 2501 del Codice civile che, nello specifico, definisce come può mettersi in atto l’operazione: “[…] la fusione di più società può eseguirsi mediante la costituzione di una nuova società o mediante l’incorporazione di una o più altre”; nel primo caso si parla di fusione per unione (o propriamente detta), nel secondo caso si parla di fusione per

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incorporazione. In entrambi i casi, il patrimonio della società incorporata o fusa confluisce nella società incorporante o in quella risultante dalla fusione; come contropartita dell’apporto patrimoniale i soci dell’incorporata o fusa entreranno nel capitale della risultante. Questo risultato viene raggiunto attraverso uno scambio di azioni o quote: ai soci delle società incorporate o fuse vengono assegnate, in cambio della partecipazione, prima detenuta nelle società fuse o incorporate, azioni o quote della società risultante dalla fusione o incorporante.

Uno degli aspetti più importanti di questa operazione è che l’apporto ricevuto dall’incorporante (o società risultante dalla fusione) non viene pagato in denaro ma attraverso l’attribuzione ai nuovi soci di azioni o quote del nuovo soggetto giuridico che si viene a creare.

Attraverso l’operazione di fusione si realizzano numerosi e diversi obiettivi come la concentrazione aziendale: l’azienda pone in essere un incremento delle proprie dimensioni per via “esterna”, oppure può essere utilizzata come strumento di riorganizzazione societaria all’interno dei gruppi. Inoltre l’operazione potrebbe essere anche il mezzo per giungere indirettamente alla liquidazione della società al fine di evitare i vincoli, i costi e le problematiche che la gestione liquidatoria vera e propria comporta. Altre volte, le operazioni di fusione rispondono a motivazioni di carattere finanziario: l’accrescimento dimensionale è mirato ad aumentare la capacità di credito di un’azienda presso il sistema bancario. La fusione può diventare, anche un utile strumento per fronteggiare le situazioni di crisi soprattutto di natura economica e finanziarie.

Oggi è venuta meno una delle motivazioni più forti della fusione, che era quella fiscale: l’obiettivo era quello di fondersi con delle bare fiscali (contenitori vuoti che apportavano solo perdite) per poter risparmiare attraverso le perdite .

La scissione, invece, è un’operazione straordinaria con la quale, la società che si scinde suddivide il proprio patrimonio e lo trasferisce ad una o più altre società, in cambio, i suoi soci ricevono una certa quantità di azioni o quote di queste ultime.

La riforma societaria del 2003, ha modificato l’articolo che conteneva tale definizione e che è diventato il 2506. Esso recita: “Con la scissione una società

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assegna l’intero suo patrimonio a più società preesistenti o di nuova costituzione o parte del suo patrimonio, in tal caso anche ad una società e le relative azioni o quote a suoi soci”. In questo articolo si usa il verbo assegnare e non più trasferire perché si vuole porre l’attenzione sul fatto che c’è una riorganizzazione aziendale.

Da un punto di vista strategico, se pensiamo alla possibilità di assegnare patrimoni a società di nuova costituzione, ci rendiamo conto che, con la scissione, si possono conseguire obiettivi di decentramento e disgregazione; al contrario, invece, se a beneficiare dell’operazione sono società già esistenti, potremo realizzare scopi di concentrazione. In questo senso la scissione rappresenta uno strumento di crescita per acquisizione esterna, con finalità di concentrazione ed integrazione aziendale, alternativo all’acquisto di azienda, alla fusione ed al conferimento. Quindi gli obiettivi che possono essere raggiunti attraverso la scissione sono molteplici e diversi: l’operazione accomuna, infatti, aspetti involutivi a potenzialità del tutto opposte. Uno degli obiettivi che può essere raggiunto è quello di concentrare l’attenzione dell’azienda sul core business delegando ad altri quella parte del patrimonio che non aveva questo indirizzo. Una delle operazioni maggiormente utilizzata è lo spin off immobiliare, con il quale viene assegnato il patrimonio immobiliare, non afferente il core business, ad una società di nuova costituzione. Allo stesso modo la scissione si utilizza per separare attività produttive, fino ad allora esercitate dalla stessa società, al fine di ottenere il massimo risultato da ciascuna. Altra funzione molto importante è quella di consentire ristrutturazioni e riorganizzazioni aziendali: è possibile, infatti, che un’eccessiva politica di concentrazione abbia formato una compagine sociale non omogenea e magari anche conflittuale.

Per quanto riguarda il conferimento d’azienda, esso, rientra tra quelle che sono definite “operazioni straordinarie” perché provoca delle rilevanti variazioni sulla struttura della combinazione produttiva. E’ anche un istituto atipico, in quanto, non vi è, nel nostro ordinamento, un’espressa definizione dell’operazione, ma è, comunque, opinione unanime, di dottrina e giurisprudenza, che questa abbia una propria autonomia giuridica. La definizione

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può essere data combinando gli articoli riguardanti i contratti aventi per oggetto il trasferimento della proprietà o del godimento dell’azienda (artt. 2556-2560 c.c.) e quella che regola i conferimenti in natura nelle diverse forme societarie.

Per evitare problemi di interpretazione, quindi, il conferimento viene definito come quell’“[…]operazione per cui l’azienda oppure un “ramo” aziendale dotato di autonoma capacità di reddito, vengono conferiti (“apportati”) ad un ente giuridicamente diverso dall’impresa conferente”. Più specificamente, con questa operazione “[…] un’azienda conferente scorpora un complesso produttivo funzionante e lo apporta in una società conferitaria, già esistente o all’uopo costituita, in cambio di azioni o quote di quest’ultima”.

Il conferimento, trattandosi di un’operazione che provoca il trasferimento d’azienda, viene spesso assimilato alla cessione d’azienda. Ciò che maggiormente differenzia le due fattispecie è che, con il conferimento, riceviamo come mezzi di pagamento le azioni o quote, mentre nella cessione d’azienda il mezzo di pagamento è il denaro.

Da un punto di vista strategico il conferimento d’azienda risponde a molteplici esigenze, ma in particolare a quella di adattamento funzionale della dimensione aziendale, in quanto può produrre sia disgregazione, caso dello scorporo, sia concentrazione, nel caso dell’apporto.

Nell’ottica, invece, del superamento delle crisi, e del ripristino della posizione di equilibrio, il conferimento può evitare che la crisi assuma un carattere irreversibile. Nel caso in cui la crisi abbia origini interne, lo scorporo, può essere utile per dismettere quei rami che non producono più come prima e che non garantiscono il recupero in termini economici. In questo modo la crisi viene circoscritta ad un’area ben determinata e si evita che questa possa espandersi nell’intera struttura.

Il conferimento nella forma dello scorporo, poi, è utile per superare i problemi legati alla gestione e alla successione imprenditoriale, soprattutto nelle aziende a conduzione familiare. Il conferimento è, anche, una modalità per cedere l’azienda o parte di essa: talvolta, infatti, la cessione d’azienda può essere non conveniente per la richiesta di notevoli mezzi finanziari, cosa che può essere

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superata con il conferimento, il quale consente di pagare l’acquisto con partecipazioni al capitale.

Infine lo scambio di partecipazioni, mediante conferimento, è quell’operazione, attraverso la quale, una società acquirente perviene al controllo di una società obiettivo a seguito del conferimento alla prima, da parte dei soci della seconda, di azioni o quote del capitale della società obiettivo. In pratica i soci della società obiettivo, detti soci scambianti, cedono le partecipazioni in questa detenute, in cambio di partecipazioni nella società acquirente.

Lo scambio di partecipazioni mediante permuta, viene definito, invece, nella direttiva comunitaria, come l’operazione attraverso cui la società acquirente attribuisce ai soci della società obiettivo, azioni rappresentative del proprio capitale. Per meglio dire, la permuta di partecipazioni, è definibile come “[…]

quell’operazione mediante la quale una società (acquirente) acquisisce una partecipazione di controllo in un’altra società (obiettivo) attribuendo ai soci di quest’ultima (scambianti) azioni proprie”. La differenza tra questa operazione e il conferimento, è che nella permuta la società acquirente non registra un incremento patrimoniale poiché le azioni da assegnare ai soci della società obiettivo non derivano da un aumento di capitale, ma da una permutazione patrimoniale, nella quale le azioni proprie vengono sostituite con le azioni acquisite.

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Nel terzo capitolo, invece, viene introdotta l’operazione del leveraged buy out come uno fra gli strumenti che vengono utilizzati dagli imprenditori per l’adattamento dimensionale. Il Lbo rientra fra la categoria di operazioni che viene chiamata merger and acquisitions (fusioni ed acquisizioni). Queste operazioni hanno avuto, nel corso degli anni, un successo sempre maggiore perché consentono di accedere rapidamente a risorse, addizionali e/o complementari, mancanti per conseguire traguardi di crescita quali-quantitativa.

In particolare il leveraged buy out consiste “[…] sinteticamente, nell’acquisire una società o parte dei suoi beni, utilizzando prevalentemente capitale di prestito che verrà successivamente garantito mediante le azioni o i beni della società

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acquisita e poi rimborsato attraverso il flusso di cassa proveniente da questa società”. L’operazione si configura, quindi, come attività di acquisizione del controllo di una società, prevalentemente finanziata da indebitamento, il cui piano di remunerazione si fonda sui flussi finanziari generati dall’azienda acquisita. Nel suo schema base, il Lbo prevede la costituzione, da parte di una società holding, di una Newco che si indebita per acquisire gli assets o le azioni di una società bersaglio (Target company). All’acquisizione segue, in genere, una fusione tra la Newco e la Target che può assumere la forma di un’incorporazione (forward merger) nel caso in cui sia la Newco (controllante) ad assorbire la Target (controllata) o di una fusione inversa (cosiddetto reverse merger) se è la Target (controllata) ad incorporare la Newco.

In genere i finanziatori della Newco sono le banche: la società garantisce il suo debito con il patrimonio della Target o con la capacità, della stessa, di produrre un reddito.

L'immediato successo delle attività di Lbo è dovuto, essenzialmente, alla visione delle stesse, da parte degli intermediari finanziari, come fondamentali strumenti di ristrutturazione aziendale, miranti al conseguimento di maggiori livelli di competitività e di rendimento economico, e allo snellimento di strutture patrimoniali inefficienti. Negli ultimi anni, il Lbo ha avuto una forte diffusione, tanto che si sono create operazioni che differiscono dall’originale sia per i soggetti che le pongono in essere sia per le finalità che attraverso queste operazioni si raggiungono. Proprio questa varietà di motivazioni ha dato vita a numerose varianti del modello base del Lbo.

L’obiettivo di chi mette in pratica queste operazioni, è di sfruttare al massimo l’effetto leva finanziaria, ottenendo i necessari finanziamenti sulla base del valore delle sue azioni. C’è da mettere in evidenza, inoltre, che la complessità dell’operazione di Lbo, come l’elevato rischio di un suo insuccesso, è tale per cui, affinché risulti vantaggiosa, o quanto meno con valide prospettive di successo, è necessario che, la società da acquisire, presenti delle caratteristiche economiche ed imprenditoriali particolari.

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Il Lbo può mettersi in pratica, in definitiva secondo due schemi:

l’acquisizione può riguardare le azioni o quote della Target e in tal caso l’operazione prende il nome di share sale o stock acquisition; alternativamente, l’acquisizione può riguardare solo alcuni cespiti della società Target. Questa modalità, basata solo sull’acquisto delle attività collegate all’area di business che si intende rilevare, è nota come asset sale o tecnica di Oppenheimer.

Nella pratica ci sono due caratteristiche che accomunano tutti i tipi di Lbo e sono il reperimento dei finanziamenti necessari per attuare l’operazione di acquisizione con la contestuale predisposizione di un adeguato piano di garanzie e il trasferimento del peso economico dell’operazione della società Newco alla Target.

All’operazione, poi, partecipano molti soggetti diversi che hanno interessi diversi e ricoprono ruoli diversi come ad esempio i soggetti finanziatori, i soggetti organizzatori, i consulenti e le società di revisione, e gli intermediari finanziari.

Una delle basi di un’operazione di Lbo è il piano di finanziamento;

dall’esame della prassi economica, risulta, comunque, che un modello generale di finanziamento prevede tre categorie fondamentali:

- Il capitale azionario;

- Il debito senior;

- Il debito subordinato;

Una volta determinata la struttura finanziaria dell’operazione, si pone il problema, per il potenziale acquirente, di reperire effettivamente sul mercato, i capitali di prestito necessari per l’acquisizione. Deve, quindi, trovare una o più banche (o istituzioni finanziarie), disposte a concedere questi finanziamenti. Per reperire tali capitali, quindi, il potenziale acquirente, deve descrivere dettagliatamente l’operazione ai finanziatori, illustrando tutte le caratteristiche strutturali finanziarie ed economiche. Tutte queste informazioni sono contenute in un documento chiamato offering memorandum o proposal. Il contenuto dell’offering memorandum deve essere tale da convincere gli investitori, le

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banche in particolare, della bontà dell’operazione e offrire quindi la certezza che gli impegni previsti siano concretamente attuabili.

Un altro documento importante è la quello da cui risultano le caratteristiche dell’azienda Target. Questo documento viene redatto dopo un’attenta e prolungata analisi sullo stato degli affari della Target; di solito all’esito positivo di questa analisi, è subordinata la concessione, da parte delle banche, dei finanziamenti necessari. Per la sua importanza, la due diligence, viene effettuata prima della stipula del contratto preliminare di acquisto sempre che vi sia il consenso dei venditori. Ma, nel caso in cui questa indagine venga svolta dopo la firma del contratto preliminare, l’acquirente, essendosi vincolato a procedere all’acquisto, si assume il rischio che le banche finanziatrici non concedano il finanziamento.

Comunque, è importante sottolineare che prima dell’entrata in vigore del D. Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 non vi era una definizione codicistica dell’operazione anzi vi era una diatriba dottrinale e giurisprudenziale, piuttosto accesa, in ordine alla liceità o meno dell’operazione di merger Lbo, in relazione all’art. 2357, all’art. 2358 c.c. (per le società per azioni) e all’art. 2483 c.c. (per le società a responsabilità limitata, oggi art.2474 c.c.). Sotto il primo aspetto la discussione verteva sulla violazione del divieto di acquisto di azioni proprie oltre il limite degli utili distribuiti e delle riserve disponibili. Il Lbo, avrebbe, infatti, consentito di aggirare il divieto semplicemente articolando l’operazione su due soggetti giuridici formalmente distinti (la società Target e la Newco) ma sin dall’origine destinati a convergere in uno. Sotto il secondo aspetto, invece, l’operazione era ritenuta incompatibile con il disposto dell’art. 2358 c.c., in particolare, in relazione alla formulazione dell’articolo introdotta dal d.p.r. 10 febbraio 1986, n.30, secondo il quale “[…] la società non può accordare prestiti, né fornire garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie”.

La domanda che veniva posta nel dibattito interpretativo, era, quindi, se la fattispecie del MLbo integrasse oppure no la fattispecie vietata da tale norma e quindi procurasse assistenza finanziaria per favorire l’acquisto di azioni proprie.

Già con la legge delega 3 ottobre 2001 n. 366, all’art. 7, comma 1, lettera d)

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viene detto che “ […] le fusioni tra società, una delle quali abbia contratto debiti per acquisire il controllo dell’altra, non comportano violazione del divieto di acquisto e di sottoscrizione di azioni proprie, di cui, rispettivamente, agli artt.

2357 e 2357-quater del codice civile, e del divieto di accordare prestiti e fornire garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie, di cui all’art. 2358 del codice civile”.

Il legislatore ha quindi chiarito (introducendo una norma specifica) che la fusione, che segue l’operazione di Lbo, non integra assistenza finanziaria.. La ratio della legge delega è stata quella di segnare una dicotomia tra il divieto di assistenza finanziaria e la fattispecie del Mlbo. Il Consiglio dei Ministri, recependo i principi di diritto fissati dalla legge delega ha emanato il D. Lgs 17 gennaio, n. 6, che ha introdotto nel corpo normativo del Codice civile, l’art.

2501-bis rubricato “Fusione a seguito di acquisizione con indebitamento”.

L’articolo trova fondamento nella legge delega anche se rispetto ad essa opera in modo anomalo: nel senso che l’art. 2501-bis non riprende la questione della liceità dell’operazione di MLbo ma, dandola per scontata, privilegia l’aspetto della disciplina. La fattispecie, come detto, regola le fusioni tra società una delle quali abbia contratto debiti per acquisire il controllo dell’altra e non rileva il fatto che si tratti di fusione diretta o inversa.

Gli elementi costitutivi della fattispecie descritta dall’articolo sono:

1. che una società abbia contratto debiti per acquisire il controllo di un’altra società;

2. che il controllo sia stato effettivamente acquisito;

3. che il patrimonio della società acquisita venga a costituire garanzia o fonte di rimborso di detti debiti.

Nel contesto dell’art. 2501-bis l’orientamento del legislatore è stato improntato alla massima rigidità in ragione della necessità di garantire appieno la salvaguardia dei patrimoni coinvolti. Per questo è stato previsto che oltre agli adempimenti tipici della fusione venissero poste anche delle ulteriori informazioni così da rendere più sicura e rigida l’impalcatura legislativa dell’operazione di Lbo.

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Nell’ultimo capitolo si guarda, invece, in maniera più specifica ai risvolti fiscali e penali che incidono sulla convenienza dell’operazione e dell’evoluzione che questa operazione ha avuto negli ultimi anni proprio in Italia.

La riforma fiscale e quella societaria hanno molto inciso sui profili di convenienza dell’operazione di Lbo, soprattutto nella fattispecie del Merger.

Infatti, prima dell’entrata in vigore della riforma tributaria, era possibile sfruttare alcune norme, rivolte alla fusione successiva al Lbo, per ottenere dei risparmi d’imposta. La disciplina che maggiormente incideva su tale convenienza, era quella che dava la possibilità di riconoscere, gratuitamente o con il pagamento di un’imposta sostitutiva, il disavanzo (da concambio o da annullamento) generato dalla fusione. Nella pratica, accadeva che, la Newco poteva vedere riconosciuto il prezzo pagato per l’acquisizione della Target, imputando il disavanzo (da concambio o da annullamento) emergente dalla fusione, quale maggiore valore degli assets della Target o, per l’eccedenza, iscrivendo una voce di avviamento.

Questa possibilità poteva essere esercitata sia gratuitamente che con il pagamento di un’imposta sostitutiva del 19 per cento. In particolare la società incorporante otteneva un rilevante vantaggio fiscale che si concretizzava nella possibilità di dedurre, dalla base imponibile, le quote di ammortamento calcolate sui maggiori valori iscritti in bilancio per effetto dell’imputazione del disavanzo di fusione.

A decorrere dal 1 gennaio 2004, l’entrata in vigore del D. Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, ha modificato radicalmente la situazione sopra descritta infatti la fusione è diventata un’operazione neutrale, dove il disavanzo di fusione non può più essere utilizzato

Inoltre essendo il Lbo un’operazione nella quale l’indebitamento rileva in modo particolare, il regime degli interessi passivi risulta essere molto importante.

Anche riguardo a questo punto, fino al 31 dicembre 2003, nell’ordinamento italiano non esistevano particolari limitazioni. Con l’entrata in vigore della riforma fiscale, però, sono stati introdotti due istituti che rilevano in questo ambito:

- il pro-rata patrimoniale;

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- la thin capitalization.

Per quanto riguarda il pro-rata patrimoniale, l’art. 4), comma 1 , lettera f), della legge delega, ha previsto l’introduzione di un nuovo pro-rata di indeducibilità per gli oneri fiscali correlati al possesso di partecipazioni qualificate che usufruiscono dell’esenzione su capital gain.

Il nuovo articolo 97 ha previsto che: “[…] nel caso in cui alla fine del periodo d’imposta il valore di libro delle partecipazioni di cui all’art. 87 eccede quello del patrimonio netto contabile, la quota di interessi passivi che residua dopo l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 98, al netto degli interessi attivi, è indeducibile per la parte corrispondente al rapporto fra tale eccedenza ed il totale dell’attivo patrimoniale ridotto dello stesso patrimonio netto contabile e dei debiti commerciali. La parte indeducibile determinata ai sensi del periodo precedente è ridotta in misura corrispondente alla quota imponibile dei dividenti percepiti relativi alle stesse partecipazioni di cui all’art.87”.

L’istituto, invece, della thin capitalization comporta, al ricorrere di determinati presupposti, l’indeducibilità degli interessi ascrivibili a finanziamenti erogati o garantiti, direttamente o indirettamente, dai soci qualificati e/o da parti correlate. Infatti, per le società non è fiscalmente indifferente usare capitale proprio o prendere denaro a prestito: la remunerazione del capitale proprio costituisce reddito per la società e per i soci, al contrario, invece, quando la società prende a prestito del denaro, gli interessi, che essa deve corrispondere (alle banche o ai sottoscrittori di obbligazioni), sono un costo di produzione del reddito deducibile alla base dell’imposta sul reddito della società.

Il Legislatore ha, però, introdotto all’art. 98, comma 2, lett. b), un’esimente.

In base a quest’ultima le disposizioni del primo comma non trovano applicazione in due situazioni:

- l’ammontare complessivo dei finanziamenti ricevuti o garantiti dal socio o dalle sue parti correlate non eccede quattro volte il patrimonio netto contabile rettificato;

- riconducibilità dei finanziamenti eccedenti, alla capacità di credito propria della società finanziata.

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Concludendo è possibile affermare che la riforma fiscale ha prodotto degli impatti rilevanti sull’operazione di Lbo, per lo più negativi. Con riferimento al regime dei disavanzi di fusione la riforma ha prodotto come effetto quello di attenuare l’imprescindibilità della fusione come fase finale dell’operazione di Lbo, mentre sul fronte degli interessi passivi, l’introduzione del pro-rata patrimoniale e della thin capitalization, ne ha limitato la deducibilità.

L’operazione di Lbo deve essere analizzata anche sotto il profilo elusivo: la possibilità di trarre un risparmio d’imposta attraverso l’utilizzo delle disposizioni tributarie connesse alla realizzazione delle operazioni di Lbo, ha sottoposto in passato, e sottopone tutt’oggi, tale tecnica di finanziamento al vaglio della disciplina antielusiva prevista dall’art. 37 bis del Dpr 29 settembre 1973, n. 600.

Come sappiamo, tale norma, sancisce l’inopponibilità all’Amministrazione finanziaria degli atti, fatti e negozi anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi non dovuti. Per quanto riguarda l’operazioni di Lbo, le fattispecie elusive erano ravvisabili soprattutto nel periodo antecedente la riforma; dopo questa, emerge, invece, come operazione rivolta soprattutto al raggiungimento di vantaggi di tipo economico e finanziario.

Guardando in modo più specifico all’operazione di Lbo possiamo osservare che l’operazione di fusione rientra tra quelle potenzialmente elusive citate dall’art. 37-bis. Per escludere il carattere elusivo dell’operazione dobbiamo riconoscere in questa una valida ragione economica. Ma la ragione economica che è stata evidenziata nel Lbo risiede principalmente nello sfruttamento dell’effetto leva finanziaria (il leveraged), che consente, al sussistere di un rapporto positivo tra il costo dell’indebitamento e il rendimento lordo del capitale investito, di beneficiare di un effetto positivo facendo ricorso al capitale di credito piuttosto che al capitale di rischio.

Per quanto riguarda i vantaggi fiscali di cui potrebbe approfittare la società, abbiamo già illustrato come la riforma fiscale abbia quasi completamente annullato i potenziali benefici, in teoria ritraibili, dall’operazione di fusione e in

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particolare dal Lbo: infatti, l’assoluta neutralità dell’operazione (art. 172 del TUIR) e il contrasto all’utilizzo fiscale della sottocapitalizzazione (art. 98 TUIR), rendono praticamente irrilevanti tali vantaggi.

Per quanto più precisamente attiene alla esecuzione delle operazioni in esame, rileva anche l’istituto della partecipation exemption, soprattutto nella fase iniziale di acquisizione della partecipazione della Target, o nella fase finale quando si proceda alla dismissione dell’investimento della Newco dopo la fusione. In tali fasi, infatti, l’applicabilità o meno della disposizione agevolativa può rendere più conveniente l’operazione o comunque influenzare la determinazione del prezzo delle partecipazioni oggetto della cessione.

L’11 Aprile del 2002, con l’emanazione del decreto legislativo n. 61, si è conclusa anche la riforma del diritto penale societario. Con tale riforma si apre un contesto più favorevole per l’operazione di Lbo dal punto di vista penale.

Nella normativa previgente, infatti, erano presenti numerose norme che incidevano sulla rilevanza penale dell’operazione La riforma del diritto penale societario ha sostituito l’art. 2623 con l’art. 2626 c.c. che prevede che “[…] gli amministratori che, fuori dei casi di legittima riduzione del capitale sociale, restituiscono, anche simulatamene, i conferimenti ai soci o li liberano dall’obbligo di eseguirli sono puniti con la reclusione fino ad un anno”.

Inoltre tale riforma, ha inciso invece, in maniera determinante sull’impalcatura che era stata creata, procedendo alla riformulazione del Titolo XI del codice civile intitolato “ Disposizioni penali in materia di società e di consorzi”. Innanzitutto è stato abrogato l’art. 2631 c.c., relativo come abbiamo visto al reato di “conflitto di interessi” e sono, poi, stati introdotte nuove fattispecie. In primo luogo, l’art. 2628 c.c., riservato al reato di cd. “illecite operazioni sulle azioni proprie” che punisce con la reclusione fino ad un anno gli amministratori che “fuori dai casi previsti dalla legge” acquistano o sottoscrivono azioni proprie della società, causando una lesione all’integrità del capitale sociale o delle riserve legali non distribuibili.

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Poi è sono stati introdotti il reato di compimento di operazioni in pregiudizio dei creditori (art. 2629 c.c.) e il reato di infedeltà patrimoniale (art.

2634 c.c.).

Nell’ambito dei reati fallimentari prima della riforma, astrattamente, potevano configurarsi, in un’operazione di Lbo, quelli bancarotta fraudolenta e di bancarotta semplice, previsti dagli artt. 223 e 224 della legge fallimentare.

Con la riforma (D.lgs. n.61/2002), invece, sono cambiate anche le sanzioni applicabili alle operazioni di Lbo in caso di fallimento: in particolare, l’art. 4 del decreto legislativo n. 61 del 2002 ha sostituito l’art. 223, comma 2, n. 1 l.f., prevedendo che i reati di illecite operazioni sulle azioni proprie, infedeltà patrimoniale e compimento di operazioni in pregiudizio ai creditori, in caso di fallimento della società, siano soggetti alle pene (ben più gravi) previste per il reato di bancarotta fraudolenta.

Alla luce della riforma societaria e del riconoscimento del Lbo, nell’ambito di tali operazioni, in caso di fallimento della Newco risultante dalla fusione, dovrebbe risultare assai limitato il rischio che gli amministratori siano perseguiti per il reato di illecite operazioni sulle proprie azioni. Viceversa, permane il rischio che gli amministratori medesimi siano chiamati a rispondere dei reati di infedeltà patrimoniale e di compimento di operazioni in pregiudizio ai creditori.

In caso di fallimento della società, inoltre, i reati in questione divengono perseguibili d’ufficio.

Nell’ultima parte del lavoro viene evidenziata, infine, la diffusione di queste operazioni in Europa e in Italia, facendo riferimento ad una ricerca effettuata dall’AIFI in relazione ai primi anni del 2000.

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1) LA CRESCITA AZIENDALE

1.1 CRESCITA-DIMENSIONE 1

1.2 CRESCITA-SVILUPPO 8

1.3 SVILUPPO INTERNO 20

1.4 SVILUPPO ESTERNO 32

2)LACRESCITA PER VIA ESTERNA

2.1 LA FUSIONE

2.1.1 L’operazione e le ragioni strategiche 41

2.1.2 Il procedimento di fusione 47

2.1.3 Le differenze di fusione e gli aspetti fiscali 51 2.2 LA SCISSIONE

2.2.1 L’operazione e le sue ragioni strategiche 56 2.2.2 La regolamentazione civilistica e fiscale 58 2.3 IL CONFERIMENTO

2.3.1 I caratteri dell’operazione 64

2.3.2 Le ragioni strategiche del conferimento d’azienda 67

2.3.3 Le fasi del conferimento 72

2.3.4 Gli aspetti contabili e fiscali 75 2.4 LO SCAMBIO DI PARTECIPAZIONI

2.4.1 Il conferimento di partecipazioni 82

2.4.2 La permuta di partecipazione 86

2.4.3 Lo scambio di partecipazioni 90

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3) IL LEVERAGED BUY OUT

3.1 CENNI SULL’OPERAZIONE 93

3.2 GLI ASPETTI ECONOMICI-FINANZIARI GENERALI 108

3.3 LA STRUTTURA FINANZIARIA DI UN LBO 115

3.4 LA RIFORMA SOCIETARIA 129

4) IL LEVERAGED BUY OUT

4.1 ASPETTI FISCALI DELL’OPERAZIONE

4.1.1 La riforma fiscale 150

4.1.2 Il leveraged buy out alla luce dell’art. 37-bis

del D.P.R. 29 settembre 1973, n.600. 161 4.1.3 La Partecipation exemption il nuovo regime impositivo sui

dividendi 165

4.2 ASPETTI PENALI 168

4.3 ALTRE PROBLEMATICHE CHE POSSONO SORGERE RIGUARDO

ALL’OPERAZIONE 176

4.4 DIFFUSIONE DELL’OPERAZIONE IN ITALIA

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CAPITOLO 1:

LA CRESCITA AZIENDALE

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1.1 Crescita – Dimensione

La definizione di crescita, da un punto di vista semantico1, fa riferimento ad un ambito quantitativo dimensionale.

Anche in economia aziendale, in genere, il concetto di crescita è stato associato a quello di espansione, inteso “[…]come ampliamento dimensionale, realizzato mediante nuovi investimenti2”.

Questo è vero però solo nel lungo periodo, quando, cioè, la politica aziendale è volta ad un rafforzamento e adattamento della struttura ai cambiamenti che sono intervenuti a livello ambientale3.

Rimane, in ogni modo, il problema di stabilire a cosa ci riferiamo parlando di dimensione aziendale, perché non è facile stabilire i parametri a cui far riferimento. Normalmente si parla di piccole, medie o grandi aziende, ma sappiamo bene che questo modo di dire e di definire la dimensione non può che essere relativo.

Per prima cosa, il confronto dimensionale, fra due realtà diverse, deve compiersi guardando allo stesso settore operativo, poiché i rapporti e le relazioni che esistono tra l’azienda e l’ambiente cambiano da un settore all’altro. Il confronto deve, poi, compiersi alle stesse condizioni nello spazio, perché è importante constatare su che tipo di mercato le diverse aziende si trovano, se un mercato in espansione o saturo, ad esempio; e alle stesse condizioni nel tempo4, poiché il passare del tempo può modificare le caratteristiche sia dell’istituto aziendale che dell’ambiente su cui opera. Il confronto quindi deve essere fatto fra unità produttive il più possibile omogenee.

1Il vocabolario TRECCANI, ed. 1998, per definire la crescita fa riferimento al verbo crescere: “Diventare più grande, per naturale e progressivo sviluppo, aumentare…”

2BERTINI U., Scritti di politica aziendale, Seconda edizione ampliata, G.Giappichelli Editore, Torino, 1991, pag. 59.

3Bertini, riguardo a questo argomento sottolinea come sia “[…] difficile dissociare l’idea di sviluppo da una politica di miglioramento e potenziamento della struttura produttiva” .BERTINI U., Scritti di politica aziendale,op. cit., pag. 60.

4Corticelli, appunto, chiarisce che “[…]è necessario considerare il settore nel quale essa opera e le condizioni di spazio e di tempo in cui l’analisi viene compiuta”. CORTICELLI R.,La crescita dell’azienda, seconda edizione, Collana studi economico-aziendale “ E.Giannessi”, Pisa, 1998, pag. 138.

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Dopo questa premessa e con le dovute cautele, è comunque importante andare ad indagare su quegli elementi che gli autorevoli studiosi5 hanno definito parametri dimensionali, e che sono stati suddivisi in tre categorie: di tipo strutturale, di tipo funzionale e di tipo relazionale esterno.

I parametri strutturali fanno riferimento, come indica la parola, alla struttura dell’azienda stessa, e quindi all’aspetto statico di questa. Fra questi, i più importanti, sono il lavoro umano chiamato anche “criterio personale”, le attrezzature, il capitale investito e il capitale di finanziamento. Il parametro che maggiormente viene utilizzato è quello del fattore umano, infatti, è in riferimento al numero dei dipendenti che si definisce, normalmente, se un’azienda è grande, media o piccola6. Importante è distinguere, poi, fra addetti a compiti di tipo esecutivo e addetti a funzioni direttive, perché, il numero dei primi è maggiormente influenzato dal grado di meccanizzazione dell’azienda e automazione della gestione. Questa osservazione ci fa capire come tale parametro non dia un’indicazione assoluta sulla dimensione.

Per quanto riguarda le attrezzature, queste sono indice delle potenzialità produttive dell’azienda, ma se vogliamo guardare all’effettiva produzione si devono tenere in considerazioni quelle quote di impianti o attrezzature che non vengono utilizzate. Anche l’entità delle materie prime viene considerato un parametro dimensionale di tipo strutturale. Essa può essere individuata sia guardando alle quantità fisiche, sia agli investimenti di mezzi finanziari necessari per acquistarle. Ma in entrambi i casi, il valore è indice relativo della dimensione perché le materie prime vanno lette nell’ambito della politica delle scorte, quindi il magazzino può essere più o meno cospicuo a seconda che il soggetto economico ritenga più conveniente un magazzino consistente.

I parametri di tipo funzionale, invece, riguardano ciò che l’azienda in un dato momento effettivamente fa. Indicativo, in questo senso, è l’importo delle vendite, cioè il volume d’affari. Anche questo parametro, però, risente di alcuni

5Vedi GIANNESSI E., Le aziende di produzione originaria, Cursi, Pisa, 1960, pagg. 51; CORTICELLI R., La crescita dell’azienda,op. cit., pagg. 124 e seguenti; PODDIGHE F., L’azienda nella fase istituzionale C. Cursi, Pisa,1984,pag. 49.

6Di solito si dice che un’azienda è grande se ha più di …. Dipendenti, media se ha ……. Dipendenti e piccola se ha meno di ………..dipendenti.

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limiti. Infatti, a parità di volume di affari, è possibile avere due strutture profondamente diverse, dove una attua il ciclo integrale di produzione e una delega a terzi. A tale inconveniente si cerca di ovviare guardando al valore aggiunto7, che è il margine lordo che residua dopo la copertura dei costi esterni.

In questo modo, infatti, l’azienda con il ciclo di produzione integrale ha un valore aggiunto più alto rispetto a quello dell’azienda che fa ricorso a terzi; quindi alla prima è possibile attribuire una dimensione maggiore rispetto alla seconda.

I parametri di tipo relazionale esterno guardano, invece, ai rapporti tra l’azienda e l’ambiente in cui essa è collocata, come ad esempio, l’ampiezza degli sbocchi e il peso che l’azienda ha sul mercato. Quest’ultimo dipenderà da quanto l’azienda riuscirà ad incidere sulla realtà circostante8.

Tuttavia, la capacità di incidere sull’ambiente esterno non può ricondursi esclusivamente alle grandi aziende; l’assetto dimensionale ha, in questo ambito, un’importanza relativa. Infatti, se è vero che aziende di piccole dimensioni non possono incidere sulle caratteristiche generali dell’ambiente, non è da escludere che possano incidere sull’ambiente specifico9. In definitiva, quindi neanche i parametri relazionali esterni dicono molto sulla dimensione aziendale.

Questi sono solo alcuni dei parametri utilizzabili per fare un confronto dimensionale tra due realtà produttive, ma come abbiamo visto presi singolarmente, tali elementi, non esauriscono l’analisi, anzi possono distorcere la realtà. Fondamentale è, infatti, vedere i fattori di produzione, e i parametri descritti, in un’ottica d’insieme, mettendo in evidenza i rapporti, le strategie, le sinergie e le politiche che si nascondono dietro i dati numerici.

L’azienda è, infatti, un organismo dinamico, che vive in un contesto variabile e in continua evoluzione e la dinamica dimensionale aziendale è

7 Il valore aggiunto è la parte del prodotto di esercizio, che coperti i costi relativi ai fattori produttivi esterni, serve per la copertura dei costi relativi ai fattori produttivi interni e dei successivi oneri delle altre aree di gestione.

8 Secondo Bertini, è proprio il grado di incidenza sul mercato che definisce la grandezza di un’azienda.

“[ …]da questa particolare angolatura, sono grandi quelle aziende che hanno un ruolo decisivo ai fini dello sviluppo economico nazionale e internazionale. Possono invece considerarsi piccole quelle che non sono in grado di esercitare alcuna influenza sulle condizioni economico-sociali genera” BERTINI U., Introduzione allo studio dei rischi nell’economia aziendale, Giuffrè, Milano, 1987, pag. 118.

9 La crisi di una grande azienda può influire sull’andamento generale dell’economia, così come può incidere anche a livello politico. In Italia, un esempio, può essere il caso FIAT. La sua crisi economica ha portato nel tempo instabilità anche all’economia di tutta l’Italia.

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influenzata, da una molteplicità di fattori - tecnici, ambientali, personali, commerciali e amministrativi - sui quali è opportuno soffermare l’attenzione prima di affrontare il tema della conveniente dimensione d’azienda10.

I fattori tecnici riguardano il rapporto tra lavoro meccanico e manuale. Fino a qualche anno fa si credeva che, prerogativa delle grandi aziende, fosse un alto grado di automazione. Oggi però, con il progresso scientifico, la tecnologia si è diffusa in ogni tipologia di azienda, alzando il livello di quella che è stata definita dimensione minima vitale11. Ciò ha influito non sono sulla dimensione aziendale ma anche su tutta l’organizzazione interna. L’inserimento, infatti, dei computer, ha stravolto la vita aziendale, dall’organico all’ordinamento delle funzioni, le mansioni che prima venivano svolte dagli uomini oggi sono svolte dalle macchine, con la necessità quindi di riorganizzare e riqualificare il personale12.

Fra i fattori tecnici è da ricordare la possibilità di conseguire economie di scala. Spesso, infatti, l’aumento dimensionale è rivolto proprio alla ricerca della riduzione del costo unitario, che però è conseguibile solo se certi livelli di produzione sono realmente raggiunti. Nel caso contrario si genererebbero delle diseconomie di scala.

Le variabili di natura ambientale, fanno riferimento in particolare alla struttura del mercato in cui opera l’azienda. Con riguardo ai mercati di approvvigionamento, ci sono tutta una serie di vincoli che possono favorire o meno certe tipologie di aziende. Ad esempio, risultano importanti, la maggiore o minore lontananza dal mercato di approvvigionamento, anche per gli oneri di trasporto, e le eventuali barriere all’importazione, come i dazi13. Altrettanta importanza rivestono i mercati di sbocco, ma non solo, anche i mercati del lavoro

10RISALITI G. Partecipazioni e sviluppo. Profili strategici e di bilancio, Giuffrè editore, Milano, 2004, pag. 44.

11 La dimensione minima è stata definita da Zanda come “ […]una condizione fondamentale per l’adozione delle tecniche che risultano indispensabili per la sopravvivenza delle aziende”. ZANDA G. La grande impresa. Caratteristiche strutturali e di comportamento. Giuffrè, Milano, 1974, pag. 38-39.

12Cavalieri spiega che “[…] Ciò ha influito non solo sull’estensione ma anche sulla struttura dell’unità e quindi sull’organico, l’ordinamento delle funzioni, la posizione dei centri di responsabilità, e di potere, il modo di comunicare ed il livello delle informazioni, il modo di eseguire i controlli”. CAVALIERI, Sul tema della dimensione d’impresa, Kappa, Roma, 1981, pag. 16.

13Secondo Poddighe “[…]sono tutte condizioni che favoriscono certe classi di aziende e non altre, che rendono convenienti le vaste o ristrette dimensioni, in quanto possono facilitare o meno sia l’accesso che la continuità alle forniture”. PODDIGHE, L’azienda nella fase istituzionale, op. cit. pag. 64.

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e quello finanziario, di reperimento del capitale di credito, influenzano in vario modo la dimensione aziendale14. Sempre riguardo alle condizioni ambientali, è importante la struttura del particolare comparto operativo, infatti, la dimensione di un’impresa è funzione anche delle dimensioni assunte dalle imprese presenti in quel comparto.

Rispetto all’elemento personale, c’è da sottolineare, che, spesso, la dimensione aziendale è molto condizionata dagli intenti che ispirano l’azione imprenditoriale. Accade, infatti, che in aziende a carattere individuale o familiare, il soggetto economico eviti di realizzare grandi complessi per limitare i rischi e per mantenere il maggior grado di indipendenza dall’esterno.

I fattori di ordine commerciale che possono incidere sulla dinamica dimensionale sono riconducibili alla necessità di ottenere una maggiore forza contrattuale negli scambi, alla capacità di controllare quote più ampie di mercato, di sfruttare maggiormente l’azione pubblicitaria, nella possibilità di rivolgersi ai consumatori con una produzione differenziata e innovativa15.

I fattori di ordine amministrativo risiedono, infine nella possibilità di ottimizzare le politiche di gestione dell’area commerciale, produttiva, finanziaria e organizzativa attraverso dimensioni più grandi.

Questi sono, appunto, alcuni di quei fattori che possono dare un impulso alla crescita dimensionale.

Il carattere però, come abbiamo visto, molto complesso dei fattori che influenzano la dimensione, ci fa capire che anche questa fa parte di quelle caratteristiche che definiscono il carattere dinamico dell’azienda. Per questo motivo, le decisioni in ordine alla dimensione devono essere prese coordinando le altre azioni rivolte al raggiungimento della posizione di equilibrio economico durevole.16

14Su questo argomento si sofferma Poddighe, che mette in evidenza il fatto che“ […] Per il reperimento di personale specializzato e di dirigenti qualificati sono facilitate le aziende di grandi dimensioni, poiché hanno la possibilità di offrire livelli retributivi più interessanti.”. PODDIGHE, L’azienda nella fase istituzionale, op. cit., pag. 40.

15RISALITI G., Partecipazioni e sviluppo aziendale. Profili strategici e di bilancio, op. cit. pag. 51.

16Corticelli sottolinea che “ […] La dimensione non deve essere piccola, media o grande ma, piuttosto, contribuire all’economicità del sistema operativo ”. CORTICELLI, La crescita dell’azienda, op. cit. pag.

140.

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E’ solo in questo ambito che è possibile parlare di ricerca della dimensione ottima. Non è semplice dare una definizione di questo concetto, vista l’indeterminatezza del concetto di dimensione. Di solito si cerca di valutarla in termini di efficienza, sicché la dimensione ottima rappresenta “[…] la dimensione idonea a conferire all’azienda la massima efficienza possibile nel perseguimento dei fini ad essa assegnati”17. Ma anche se fosse possibile definire e raggiungere la dimensione ottima, non sarebbe comunque possibile mantenerla, vista la variabilità aziendale e ambientale. Nel corso della sua vita, l’azienda incorrerà, quindi, necessariamente in riorganizzazioni, ristrutturazioni e ridimensionamenti; la sua sopravvivenza dipenderà da come i soggetti economici sapranno prevedere e leggere il mutamento ambientale e da come sapranno, poi adattare l’organismo azienda a questi mutamenti.

Durante tutta la vita dell’azienda, quindi, il problema della dimensione non viene mai risolto in via definitiva, ma si ripropone costantemente.

Tale problema nasce fin dalla fase dell’istituzione dell’azienda. La dimensione deve essere predisposta, in questo momento particolare dell’azienda, in modo da porre i presupposti per un adeguato svolgimento degli andamenti futuri18. Il criterio ispiratore dovrebbe essere quello della flessibilità dimensionale: cioè predisporre la dimensione così che possa adattarsi ai cambiamenti delle condizioni ambientali. Quindi, ad esempio, all’inizio potrebbe risultare opportuno sovradimensionare alcuni fattori, in modo da predisporre riserve di capacità produttiva da sfruttare in momenti favorevoli19 Queste aliquote inutilizzate devono comunque essere funzionali sul piano dell’economicità. In questo caso, fin dal principio, il soggetto economico predispone la struttura prevedendo in futuro un possibile ampliamento dimensionale. Nel caso, invece, in cui l’azienda vada incontro ad un ridimensionamento, cioè un restringimento delle condizioni di partenza, ciò sarà indice di una valutazione che si dimostra errata alla luce della realtà.

17ONIDA P., Economia d’azienda, Utet, Torino, 1968, pag. 324

18 Poddighe, infatti, sottolinea che “[… ] la scelta dimensionale non può che effettuarsi in chiave prospettica” PODDIGHE, L’azienda nella fase istituzionale, op. cit. pag. 68.

19Ciò potrebbe essere particolarmente conveniente per quelle aziende che nascono con elevato grado di immobilizzazioni e per le quali una variazione repentina della dimensione potrebbe essere poco agevole.

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L’avvio dell’attività, quindi anche la definizione della dimensione iniziale, deve avvenire con molta prudenza e come conclusione di una seria complessa di valutazioni accurate e approfondite.

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1.2 Crescita e sviluppo

A proposito della crescita, molti autori20, sono arrivati alla conclusione, pressoché unanime, che questa, in economia, assuma una valenza che va oltre il semplice aspetto quantitativo, è un concetto, infatti, che abbraccia soprattutto la sfera del qualitativo.

In questo senso, quindi, per riferirci a tale fenomeno è meglio parlare di sviluppo d’azienda inteso come “[…]un processo di crescita dell’azienda realizzabile mediante la valorizzazione delle potenzialità insite nel sistema produttivo, ovvero mediante la ricerca di nuove potenzialità esterne”21. E’

proprio per questo che i veri attori della crescita, o meglio dello sviluppo aziendale, sono i fattori qualitativi, sono, infatti, questi a dare lo stimolo per avviare quel processo di sviluppo che i fattori quantitativi, da soli, non sono in grado di generare.

Ne consegue, quindi, la necessità di distinguere il processo di sviluppo da quello di aumento dimensionale.

Non è da escludere, ovviamente, come già abbiamo sottolineato prima, la possibilità di crescita accompagnata da aumento dimensionale, soprattutto, in un’ottica di lungo periodo, ma questo è solo un aspetto del più vasto concetto di sviluppo aziendale. Questo fenomeno costituisce, una prospettiva di cambiamento che deve inserirsi in un disegno strategico di gestione aziendale22.

In concreto, nella vita aziendale, possono esservi delle condizioni che influenzano negativamente la linea politica da seguire, e condizioni che, invece, la favoriscono. Tra le prime ricordiamo la propensione del soggetto e la non adeguata percezione del fenomeno economico. La propensione dell’individuo economico è molto importante: accade, infatti, che il soggetto decisionale sia, a priori, orientato in maniera sfavorevole verso il cambiamento e soprattutto verso l’ampliamento della dimensione. Questo perché entra in gioco la componente

21CORTICELLI R., La crescita dell’azienda,op. cit. pag. 183; RISALITI G., Partecipazioni e sviluppo aziendale. Profili strategici e di bilanci, op. cit., pag. 50; BERTINI U., Scritti di politica aziendale, op.

cit., pag. 59.

21RISALITI G., Partecipazioni e sviluppo aziendale. Profili strategici e di bilanci, op. cit., pag. 60.

22RISALITI G. Partecipazioni e sviluppo aziendale, op. cit. pag. 63

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emotiva: la paura, cioè, che le decisioni prese possano condurre a investimenti sbagliati o a conseguenze sfavorevoli per l’azienda, poi difficili da recuperare.

Tale comportamento potrebbe, tuttavia, nella realtà, produrre anche l’effetto contrario: il soggetto, nella maggior parte dei casi, non si accorge che il non attuare certi provvedimenti può procurare ancora più danno alla combinazione aziendale23. Dall’altro lato, tuttavia, esiste anche il comportamento opposto: la propensione al cambiamento a prescindere dalle reali ragioni economiche.

Questa dipende principalmente, dallo spirito d’iniziativa del soggetto, che vede la possibilità di cambiamento, sempre come una prospettiva di miglioramento per l’azienda. In realtà la predisposizione al cambiamento serve, ma solo per mettere in atto quelle strategie che vengono ritenute valide a livello economico, cioè giustificate in termini di costi e ricavi. In più, il non percepire il sistema produttivo in termini adeguati porta alla distorsione della realtà. Si legge la dinamica aziendale partendo da presupposti sbagliati e si interpreta l’ambiente senza dare il giusto peso agli avvenimenti. Questo è espressione di un atteggiamento mentale sbagliato e dipende molto dalle propensioni del soggetto.

Per realizzare una strategia di sviluppo, anche dimensionale, è necessario, quindi, che le decisioni in ordine a questa, siano prese in condizioni di tendenziale obiettività. Occorre superare i limiti illustrati prima, per avvicinarci, il più possibile, ad una rappresentazione della realtà, perlomeno, verosimile. Per fare questo l’uomo ha a disposizione degli strumenti, ma l’idea riguardo al contesto in cui si svolge l’attività produttiva, alla decisione da prendere, scaturiscono in ogni modo dalle sue capacità. Le principali condizioni positive che si possono indicare, quindi, sono: l’atteggiamento di ricerca degli aspetti e dell’essenza del fenomeno aziendale e la considerazione degli elementi di giudizio24.

L’atteggiamento di ricerca riguarda coloro che, per prendere una decisione, cercano di avere più chiaro possibile il contesto, cioè coloro che attraverso un atteggiamento di indagine, cercano di raccogliere il maggior numero di

23Infatti, Corticelli sottolinea“ […] il non prendere i provvedimenti del caso potrebbe voler dire conferire aspetti rischiosi al comportamento creduto meno caratterizzato in tal senso”, CORTICELLI R., La crescita dell’azienda, op. cit., pag. 205.

24CORTICELLI R., La crescita dell’azienda, op. cit., pag. 209.

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informazioni sull’oggetto della decisione. La raccolta dei dati permette, al soggetto, di superare quelle propensioni personali che, nel momento in cui non abbiamo informazioni, guidano le nostre scelte. Lo studio, poi, deve essere adeguato all’oggetto della ricerca e deve essere conveniente, in altre parole non deve generare un dispendio di tempo, energia e ricchezza25.

Ma la condizione che favorisce maggiormente la presa di decisioni convenienti per l’azienda è avere coscienza del fenomeno aziendale26: cioè considerare l’azienda come un organismo formato da elementi diversi che sono, però, legati gli uni agli altri. L’azienda deve essere considerata, quindi, come un sistema, nel cui interno esistono molteplici realtà che si influenzano e che sono in relazione27. Grazie a questa visione d’insieme è possibile prendere le decisioni, riguardo allo sviluppo aziendale, nel modo migliore possibile. Si tiene conto di elementi che, da un’analisi approfondita, non sarebbero emersi ed è possibile avere uno sguardo più ampio sugli effetti di certi provvedimenti. In questa ottica è, dunque, possibile porsi come obiettivo l’equilibrio economico durevole28, cioè quella situazione nella quale è conveniente porre in essere le strategie.

In generale, l’equilibrio va visto sotto un duplice punto di vista: quello finanziario e quello economico. L’equilibrio economico è però la base sulla quale mettere in atto quello finanziario.

L’equilibrio finanziario si attua con la sincronizzazione dei flussi finanziari, sia dal punto di vista dell’entità che dal punto di vista dei tempi, in modo da rendere disponibili i mezzi liquidi occorrenti nel momento giusto. Non è la stessa cosa, infatti, avere i mezzi a disposizione nel momento in cui i provvedimenti

25Corticelli su questo argomento afferma che “ La ricerca non deve essere troppo limitata né estesa oltre il necessario. Nel primo caso i dati raccolti non basterebbero per raggiungere lo scopo conoscitivo voluto.

Nel secondo, l’eccesso di materiale reperito, magari con dispendio di tempo e di mezzi, potrebbe talora appesantire e anche creare confusioni nella seguente fase interpretativa” CORTICELLI R., La crescita dell’azienda,op. cit., pag. 210.

26Corticelli mette in evidenza che riguardo al fenomeno aziendale “ […] bisogna essere consapevoli cioè dei vari aspetti, tecnici finanziari ed economici, che esso presenta, del ruolo che è possibile riconoscere alle diverse manifestazioni e delle connessioni esistenti tra queste”, CORTICELLI R., La crescita dell’azienda,op. cit., pag. 210.

27 Secondo Giannessi l’azienda va intesa come “[…] unità dell’ordine economico-generale, dotata di vita propria e riflessa, costituita da un sistema di operazioni”. GIANNESSI E., Appunti di economia aziendale, Pacini Editore, Pisa,1979, pagg.10-11.

28Il tema dell’equilibrio economico aziendale è trattato con attenzione dall’Amaduzzi e dal Giannessi:

AMADUZZI A., Azienda GIANNESSI PRODUZIONI,

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devono essere presi oppure non averli. E anche la situazione in cui i mezzi siano sovrabbondanti non è poi così favorevole: potrebbe spingere a investimenti non giustificati sul piano economico.

L’equilibrio economico, cioè il giusto rapporto tra costi e ricavi, permette, invece, di mantenere una continuità di convenienza, in sostanza consente all’azienda di continuare ad esistere. Questo può non realizzarsi nel breve periodo, in questo caso è importante andare ad analizzare i motivi e le cause che hanno generato tale situazione. Le cause di non economicità possono essere molteplici29, e non è possibile dire quale di queste cause influisca in maniera più grave delle altre. In tutti i casi è importante, però, andare ad indagare nello specifico: ad esempio come è stata predisposta la struttura aziendale, se la non economicità deriva da un andamento generale dell’economia e soprattutto se è possibile ristabilire una situazione di equilibrio. Nel breve periodo, comunque è sostenibile uno squilibrio; fondamentale è guardare l’equilibrio nel lungo andare e spostare l’attenzione al fatto che esso deve essere durevole30. L’azienda è, appunto, un fenomeno che si svolge nel tempo e quindi anche la sua condizione di esistenza segue questo andamento31.

Lo scopo, del soggetto economico che guida l’azienda, deve essere quello di ricercare, mantenere e migliorare la posizione di equilibrio, è così che l’azienda si trovi nelle condizioni per generare nuova ricchezza, nuovo valore. In un contesto varabile, come è l’arena competitiva, l’equilibrio economico deve essere attentamente studiato se si vogliano delineare le politiche da attuare per raggiungere gli obiettivi.

29Secondo Corticelli queste sono alcune delle cause di non economicità: “ […] la non adeguatezza dei caratteri di dati fattori produttivi, la non formazione di un collegamento di tipo combinatorio fra tutti i fattori, il carattere non sistematico delle operazioni e delle politiche, errori nella sincronizzazione dei flussi e dei deflussi”, CORTICELLI R., La crescita dell’azienda, op. cit., pag. 86.

30Secondo Corticelli “[…] L’equilibrio economico deve quindi realizzarsi il più spesso possibile, come espressione del perseguimento di esso nel tempo”, CORTICELLI R., La crescita dell’azienda,op. cit., pag. 94.

31Infatti, afferma Giannessi “[…] il fenomeno aziendale non può avere uno scopo transuente, lo scopo deve essere il conseguimento di un determinato equilibrio economico, […] avente carattere durevole”, GIANNESSI E., Appunti di economia aziendale, op. cit., pag. 38.

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Ma sappiamo che il soggetto decisionale opera nel presente, e sono queste scelte che influiscono sul perdurare o meno dell’azienda nella situazione di equilibrio.

L’equilibrio economico è una condizione essenziale per la vita aziendale e per questo motivo deve essere mantenuta nel tempo. Colui che si trova a scegliere oggi, deve quindi tenere presente che l’azienda opera nel presente ma rivolta al futuro. La redditività, anche se necessaria, non basta a garantire la posizione di equilibrio economico durevole, questa deve essere connessa agli obiettivi competitivi e sociali. Per questo motivo la fase di studio della strategia da attuare gioca un ruolo molto importante: il disegno strategico e le politiche, gli obiettivi da raggiungere, stabiliti da managers e imprenditori, pongono le basi per un possibile successo dell’azienda stessa.

La fase di definizione di un piano strategico, inizia con un’analisi delle possibilità che il futuro può offrire all’azienda, per stabilire, in linea di massima, gli obiettivi da raggiungere. La pianificazione vera e propria prevede una fase strategica e una operativa; con la prima ci si rivolge agli aspetti strutturali della gestione, con la seconda alle operazioni che costituiscono il normale ciclo produttivo. Questa fase si conclude con la formazione di piani e programmi32 e da qui ha inizio la fase operativa.

Le strategie attuabili possono essere suddivise su tre livelli: quelle globali o di gruppo, le strategie competitive e le strategie funzionali33.

Le strategie globali sono rivolte a definire dove l’azienda opererà, il contesto e l’ambiente intorno ad essa, i mercati e settori dove agire. Non è semplice la definizione dell’ambito di azione: i confini fra un settore e l’altro tendono ad affievolirsi a causa, o per merito, dell’innovazione tecnologica e in certi casi quasi si converge verso un unico settore. Il mercato oggi è caratterizzato da un incessante divenire, il mondo stabile e definito della

32Bertini distingue in questo modo i concetti di piani e programmi: “[…] le ipotesi di piano presentano un limitato grado di approssimazione, in quanto le trasformazioni strutturali richiedono tempi abbastanza lunghi di attuazione, ipotesi di programma hanno un più elevato grado di approssimazione in quanto riflettono le operazioni di esercizio che hanno tempi brevi e brevissimi di attuazione”, BERTINI U., Scritti di politica aziendale,op. cit., pag. 54.

33 Questa suddivisione viene attuata da Risaliti. RISALITI G., Partecipazioni e sviluppo aziendale . Profili strategici e di bilancio, op. cit., pag. 64.

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