2 I TERREMOTI
Tra la fine degli anni ‘60 e gli inizi degli anni ’70, dopo numerosi studi condotti nei fondali oceanici, si giunse a dare una risposta alla domanda che riguardava la deriva dei continenti, formulando la teoria della tettonica a zolle.
Questa teoria si basa sul fatto che la litosfera terrestre, in altre parole lo strato solido roccioso più superficiale della terra, non ha una struttura continua bensì è suddiviso in porzioni di varie dimensioni dette placche o zolle.
Ne sono state identificate sette principali di grandi dimensioni (pacifica, nordamericana, sudamericana, eurasiatica, africana, indo-australiana e antartica) e di minori, dette microzolle, come le placche di Nazca, di Cocos, caraibica, delle Filippine e araba (Figura 1).
Le placche poi, galleggiano sulla sottostante astenosfera e si spostano orizzontalmente a causa dei moti convettivi che avvengono nel mantello, trasportando con sé continenti ed oceani.
I confini delle placche quindi sono in movimento tra loro, determinando margini di vario tipo quali:
- margini trascorrenti a scorrimento laterale in cui non si crea o si distrugge materia ma vi è solo uno scorrimento tra zolle;
- margini convergenti lungo i quali le zolle si avvicinano l’una all’altra determinando fenomeni di subduzione. Quando a convergere sono una placca continentale e una oceanica, la seconda sottoscorre alla prima e la litosfera oceanica viene trascinata in profondità nel mantello dove fonde per tornare sottoforma di magma.
In queste aree troviamo le fosse abissali e spesso archi vulcanici in superficie;
- margini divergenti, lungo i quali le zolle si allontanano l'una dall'altra e lo
spazio creatosi viene occupato da nuova litosfera oceanica.
Si ha quindi la creazione di una catena montuosa chiamata dorsale oceanica lunga decine di migliaia di chilometri e che percorre tutti gli oceani del globo in modo più o meno regolare. Un esempio è dato dalla dorsale medio-atlantica che corre al centro dell'oceano Atlantico e che separa le zolle americane a ovest da quella euroasiatica e africana a est.
Tuttavia capita che questi spostamenti rallentino grazie a forze interne di attrito le quali causano un accumulo di energia che viene rilasciata repentinamente quando le forze di natura tettonica vincono quelle interne con il conseguente spostamento di massa rocciosa e onde che si propagano sottoforma di terremoto.
Figura 1: suddivisione in zolle della litosfera.
Il punto in cui ha origine il terremoto è detto ipocentro mentre la sua proiezione in superficie è detto epicentro.
L’energia che si libera si propaga dal sottosuolo alla superficie sottoforma di
onde e più l’ipocentro è poco profondo, maggiori sono i danni in superficie
poiché si ha poca dissipazione dell’energia rilasciata con conseguenti scosse
di alta intensità (terremoti crostali) su aree limitate.
Le onde che si propagano si dividono in:
- onde di corpo o di volume, comprendenti le onde P ed S;
- onde superficiali che si distinguono in onde di Rayleigh e di Love.
Le prime sono quelle che interessano l’intero volume del sottosuolo e si propagano in ogni direzione. In particolare le onde P (dette anche di compressione o primarie) corrispondono a contrazioni e rarefazioni del mezzo in cui viaggiano mentre le onde S producono oscillazioni nel materiale attraversato in senso perpendicolare alla direzione di propagazione.
Le onde di Rayleigh e di Love scaturiscono dalla composizione vettoriale delle onde P ed S e si producono quando vi è una discontinuità fisica come tra superficie ed atmosfera.
2.1 Sismicità in Italia e Normativa
L’Italia è situata al margine di convergenza tra due grandi placche, quella africana e quella euroasiatica ed i movimenti relativi tra queste due placche causano terremoti che nella quasi totalità dei casi sono di tipo crostale (soprattutto sulle Alpi occidentali, lungo gli Appennini e nell’Arco Calabro) anche se ne sono stati registrati alcuni di intermedi e profondi nella zona del tirreno meridionale, la cui profondità aumenta in direzione Nord-Est sottolineando la subduzione attiva della litosfera ionica sotto l’Arco Calabro.
In materia di sismicità, le prime norme che sono state emanate in Italia risalgono agli anni ‘70 con la Legge 5 novembre 1971, “Norme per la disciplina delle opere in conglomerato cementizio, normale e precompresso ed a struttura metallica” e la Legge 2 febbraio 1974, n°64, “Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche”.
Negli anni ‘80 venne emanato il D.M.LL.PP del 19 marzo 1982 nel quale si
riportava una prima generica classificazione del territorio nazionale in aree a
basso e ad alto rischio sismico, suddivisione che con il trascorrere del tempo e il verificarsi di importanti eventi sismici è risultata inadeguata.
È nata quindi l’esigenza di fornire mappe del territorio nazionale con una classificazione ben dettagliata e che catalogasse le varie zone del paese in funzione della loro effettiva sismicità.
Dopo circa 20 anni di studi e modifiche si è pervenuti alla compilazione dell’O.P.C.M. n°3274 del 20 marzo 2003, con la quale venivano delegati gli enti locali ad effettuare la classificazione sismica di ogni singolo comune, in modo molto dettagliato, col fine di prevenire eventuali situazioni di danni a edifici e persone a seguito di un evento sismico.
All’INGV fu affidato l’incarico di aggiornare le mappe di classificazione sismica (Figura 2) in modo da fornire un quadro più specifico affidando un minimo di sismicità anche alla quarta categoria che in precedenza non richiedeva alcun intervento sismico.
Un altro aggiornamento è stato condotto poi nel 2006 con
l’O.P.C.M. 3519 del 28 aprile 2006 in cui è stata allegata una nuova mappa
che suddivide il territorio non più in zone ma in base ai livelli di PGA
registrati (Figura 3).
Figura 2: A sinistra vi è la mappa di classificazione sismica proposta nel 1998 mentre a destra la mappa di zonazione sismica contenuta allegata all’ordinanza del 2003.
Figura 3: Mappa di pericolosità sismica allegata all'O.P.C.M 20 aprile 2006, n°3519.