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Sin dai propri albori, il cinema ha usufruito del patrimonio letterario per sfornare molte delle sue opere migliori.

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Academic year: 2022

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Sin dai propri albori, il cinema ha usufruito del patrimonio letterario per sfornare molte delle sue opere migliori.

Facendo una stima approssimativa, all’incirca la metà dei film che vediamo sul grande schermo è tratta da un libro, dai capolavori del thriller alle commedie. Ciononostante, non sempre le trasposizioni letterarie sono convincenti, anzi, non di rado le vicende subiscono delle vere e proprie rivoluzioni. Spesso chi si confronta con la visione di un romanzo che ha apprezzato esce dal cinema più deluso che soddisfatto. Questo perché il “film” era stato prima di tutto proiettato nella mente durante la lettura, attraverso ricostruzioni ambientali soggettive e visi, forme, situazioni, voci, caratteri, che la versione di un regista puntualmente disattende.

Il casting è di grande importanza, giacché ci si aspetta un’adeguata incarnazione dei

personaggi. In questo caso, memorabile fu la travagliata ricerca per l’attrice che avrebbe dovuto rivestire il ruolo di Rossella O’Hara in

Via Col Vento

: più di mille attrici furono selezionate per un provino, finché si aggiudicò la parte la

semisconosciuta Vivien Leigh, che vinse poi un Oscar per la sua magistrale interpretazione.

Agli sceneggiatori è invece affidato il difficile compito di mantenersi fedeli alla vicenda, e destreggiarsi fra modifiche e tagli a volte necessari.

. Certo, fare di un buon libro un film altrettanto riuscito non è un’impresa facile. Non sempre cinema e letteratura vanno d’accordo; esempio lampante è il disastroso Dorian Gray di alcuni anni fa, una rivisitazione in chiave horror dell’opera di Oscar Wilde che farebbe

rabbrividire il compianto scrittore. Ciò rende più comprensibile la scelta di autori come Salinger, che si oppose ripetutamente alle pressanti proposte di Hollywood di realizzare un adattamento del suo romanzo più celebre. Ulteriore conferma viene facendo un paragone fra l’adattamento cinematografico di Sulla Strada di Kerouac e la versione cartacea dello stesso.

Pur non avendo amato particolarmente il romanzo manifesto della Beat Generation, mi rendo conto che fra le due opere c’è un abisso.

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Il risultato non è interamente negativo. La ricostruzione dell’America nel dopoguerra è credibile, gli attori sono più o meno all’altezza della situazione, i paesaggi bellissimi, sublimati da

un’eccellente fotografia.

Purtroppo mancano la frenesia, quella smania di andare e di muoversi che accompagnano per tutto il romanzo, manca quell’impossibilità di restare a lungo nel medesimo luogo – quasi

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un’insofferenza cronica per ogni evento o passaggio stanziale – che nel film è appena percepibile.

Senza contare che la pellicola è stata infarcita di allusioni e scenari a sfondo sessuale non necessari, assenti nel libro, o soltanto menzionati, ma quasi mai approfonditi.

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La scelta del regista è stata quella di caricare la pellicola di ulteriori eccessi e provocazioni, ma senza tener conto che gli anni Cinquanta sono passati da oltre mezzo secolo. E le trasgressioni che si vedono sono tristemente attuali, tanto da non impressionare nessuno.

Sono dell’opinione che i romanzi ambientati in epoche antecedenti alla nostra, una volta divenuti film debbano assolutamente restare inalterati, senza subire alcun processo di

modernizzazione da parte di registi e sceneggiatori per renderli più odierni e interessanti agli occhi del pubblico.

Che sia un film o un libro, per apprezzare appieno un’opera che ha luogo in un qualsiasi

momento del passato questa deve essere giudicata con la mente e con gli occhi di allora, e non con quelli di oggi. Alle scuole superiori, al termine della visione di Gioventù Bruciata, alcune compagne della mia classe lo liquidarono come “noioso” e “lento”. Ovviamente, in un’era dove sono gli adolescenti a dettare le regole ai propri genitori e non viceversa, quanto può suscitare scalpore un film, fra i primi in assoluto nel suo genere, in cui i figli si ribellano alle direttive imposte da padri e madri?

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Ma il processo di esteriorizzazione procede anche all’opposto, tant’è che sovente mi sono trovata a preferire il film al romanzo, forse proprio grazie a quegli sconvolgimenti effettuati dai registi, che nei fatti – o nella mia sensibilità percettiva – hanno migliorato la trama anziché peggiorarla.

È il caso de

I Guerrieri Della Notte

, storia di una gang di Coney Island che, accusata ingiustamente dell’omicidio del capo di una banda rivale, intraprende una forsennata corsa verso il suo quartiere, braccata dalla polizia e dalle altre bande nemiche.

Il romanzo è senza dubbio più crudo e feroce, un cult la cui violenza è diretta, frontale, di maggiore impatto. L’uccisione casuale di un passante e uno stupro di gruppo, reati commessi da parte della banda, si susseguono a distanza di mezza pagina, narrati con raccapricciante

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precisione. Entrambi gli episodi sono assenti nel film, così come qualsiasi riferimento al quattro Luglio, giorno in cui si svolge l’intera vicenda.

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La versione cinematografica de I Guerrieri Della Notte

lascia sottendere, o comunque intravedere un lieto fine, ci suggerisce che il protagonista è ben disposto a un cambiamento di vita, cosa che nel romanzo non accade. In conclusione, il film risulta più “furbo” e scontato, sebbene a mio giudizio più adrenalinico rispetto al libro. Guardo il primo sempre con grande interesse e piacere, rileggo il secondo assai di rado.

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Vi sono infine casi in cui le opere coincidono, nel fallimento o nel successo.

Caso emblematico è Il Buio Oltre La Siepe

di Harper Lee, in cui un avvocato onesto e antirazzista si ritrova a dover difendere un nero incriminato di stupro in una sonnolenta cittadina dell’Alabama degli anni Trenta. Il romanzo è superlativo, e il film lo rispecchia, magnificamente interpretato da un Gregory Peck in stato di grazia. Le trame, qui, combaciano quasi alla perfezione.

L’intera vicenda è vista attraverso i candidi occhi della vivace figlia minore dell’avvocato, Scout, e narrata brillantemente dalla sua voce arguta e innocente. Ho sempre avuto una particolare inclinazione per i romanzi in prima persona, perché trovo che consentano al lettore di

immedesimarsi totalmente nella trama, suscitando così emozioni più intense, e proprio ciò fa de Il buio oltre la siepe uno dei libri che prediligo. La sua lettura ci trascina indietro con gli anni, alla spensieratezza dell’infanzia, ai giochi estivi, al tempo in cui scavalcare un recinto per riprendere una palla è un’avventurosa esperienza, e spingersi in un luogo dove ci è stato proibito di andare diventa un’impresa da raccontare. Il romanzo ci insegna quanto a volte, per comprendere appieno le persone che ci circondano, sia indispensabile osservare il mondo tramite il loro sguardo, e affronta tematiche scottanti come il razzismo e la paura del “diverso”, di tutto ciò che ci è oscuro e sconosciuto, quindi nemico e pericoloso.

Scout e il fratello poco più grande temono il loro vicino di casa, Boo Radley, soltanto perché questi è riservato, solitario, probabilmente affetto da un lieve ritardo mentale che all’epoca era classificato unicamente come pazzia. Il loro timore, prodotto dal pregiudizio collettivo, verrà poco a poco sostituito dalla comprensione e dalla riconoscenza quando lo schivo vicino salverà entrambi da morte certa.

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Stesso discorso per Il Padrino di Mario Puzo, che racchiude in sé il primo e il secondo film della saga realizzata da Francis Ford Coppola, considerata una pietra miliare della storia del cinema.

Malgrado alcune parti del romanzo siano state tagliate in fase di montaggio, o del tutto assenti nei film, la trasposizione è eccellente.

Uno dei romanzi che mancano a questo speciale appello è It, capolavoro di Stephen King.

L’autore, che dopo William Shakespeare vanta il maggior numero di adattamenti

cinematografici, ha visto sinora una inquietante e realistica interpretazione del diabolico

Pennywise da parte di Tim Curry, ma la miniserie che negli anni Novanta terrorizzò i bambini di tutto il mondo è scarsamente fedele al romanzo, né gli rende pienamente giustizia.

L’opera migliore del re dell’horror attende ancora di diventare un grande film.

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