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L IR IC H E D I M IC H E L E V Ò R O SM A R T Y

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Academic year: 2022

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L IR IC H E D I M IC H E L E V Ò R O S M A R T Y

A P P E L L O

S ii fedele, oh Magiaro, con invitto animo alla tua patria.

Tua culla e tuo sepolcro, essa t’alleva ed essa ti ricopre.

Tranne questa non c è nell’universo altro luogo per te:

lieto o avverso il destino, qui tu devi e vivere e morire.

Questa è la terra tante volte intrisa del sangue dei tuoi padri,

questa è la terra che ai più santi nomi un millennio congiunse;

Qui di Àrpàd le schiere eroicamente pugnaron per la patria,

qui le braccia di Hunyadi il servile giogo ruppero alfine.

Furon portate qui le tue bandiere tutte rosse di sangue

oh Libertà! e caddero i migliori dei nostri combattendo.

Fra tanti mali, fra discordie e guerre, mutilata talora,

abbattuta non mai, su questa terra la nazione pur vive —

E coraggiosamente volta al mondo, patria di tante genti,

grida: un millennio di dolor richiede o la vita o la morte.

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Esser non può che tanti petti invano versino il loro sangue

e sian spezzati da un amaro affanno tanti cuori fedeli;

Esser non può che mente e braccio ad una così sacra speranza

languiscan vanamente sotto il peso d una maledizione.

Oh verranno, verran tempi migliori.

L i invoca una preghiera

che a Dio si leva dalle susurranti labbra di mille e mille.

0 , se deve venir, venga la morte, una morte grandiosa,

per cui, prostrata, una nazione intera nel sangue giacerà.

E di un popolo intorno al gran sepolcro staran le genti

e brillerà una lagrima, in milioni di pietosi occhi umani.

S ii fedele, oh Magiaro, con invitto animo alla tua patria.

Essa per te è la vita, e se tu cadi, la sua terra ti copre.

Tranne questa non c è nell'universo altro luogo per te;

lieto o avverso il destino, qui tu devi e vivere e morire.

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O S T E R IA D E L L A P U S Z T A

Questa osteria è famosa e sul suo tetto si posa la cicogna petulante,

ma s'io cicogna fossi, ci scommetto, da questa casa mi terrei distante.

Di qua, di là, van pencolando i muri, dentro arriva la folgore di Dio,

sopra, il turbine, e sotto in antri scuri sode di streghe in danza il calpestio.

H ei! N é dentro né fuori c è qualcuno?

Sano o malato non c'è neanche un cane?

Che mi porti da ber, non c'è nessuno, non m'offre una ragazza del buon pane?

Vorrei pan fresco, e la mia sete attende del buon vino, con cui la spegnerei

e se l'amore poi le vene accende 10 la bella ragazza abbraccerei.

Hei, nessuno risponde, solamente questa cicogna il becco fa crocchiare:

si prepara a partire; non si sente neanche lei, poverella, di restare.

Andiamo via di qua, cavallo mio, 11 Tibisco è vicino; dissetare

ti farò nel Tibisco, perché io

fino al Danubio non mi vo' fermare.

Io ti saluto, oh albergo, e il mal ti colga.

Nido di pipistrelli è il tuo camino, l'acquazzone d'autunno ti travolga, poiché non hai un sorso di buon vino.

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IL P O E T A M A G IA R O Esule, solo, il giovane cammina e nell’andar col canto s accompagna;

e tanto dolcemente la canzone dalle labbra fluisce, e così triste, che si distaccherebbe dalle cime sin la roccia dei monti, intenerita.

Canta, il giovane, ed evoca il glorioso passato e della patria il più bel tempo e le antiche battaglie e gli avi illustri;

e l'amor suo, le chiome e gli occhi e il viso della fanciulla, il doloroso affanno

che serra il cuor del giovinetto. Canta ed il volto s'oscura e trema il pianto.

«Oh caro figlio! inutilmente canti, della patria il bel tempo se riè andato

ormai per sempre; — il giovane non sente, — e la fanciulla non t'intende. Invano

speri corone pel tuo amor fedele:

si faccia muto il tuo dolor per lei.

Oppure canta, ma per te soltanto, là dove posa l'aquila selvaggia quando la notte l'aspre cime avvolge.

Sull'orfano tuo capo allora posa l’orfano alloro, premio alla canzone.»

Il giovane così va senza gioia, sempre ignorando ove sarà domani.

La sua patria lo lascia andar vagando esule, e il triste canto a poco a poco, come la fiamma del suo cuor dolente, si va estinguendo finché tutto tace.

«0 albero selvaggio! Eternamente copri il giovane e serba il nome suo;

roccia! nel petto chiuditi il suo cuore;

dopo la vita forse calmo è il sonno:

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o notturno usignoli canta i suoi sogni»

tace e silente si rimane, avvolto d'ombre selvagge, dove corre il lupo dietro al fuggente capriolo, e all'alba incontro al sole la sua rabbia grida ed infuriando torna alla sua tana.

M a la luna invernale sulle vette si leva con la schiera delle stelle e sorridendo nella notte chiede:

Dopo la vita, o giovane, che sogni?

Bei sogni canta l'usignol, s'arresta il lupo, fermo il capriol rimane, per ascoltar s'acquieta la tempesta.

(T ra d u zio n e di N O E M I Fe r r a r i)

M i c h e l e Vò r o s m a r t y

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