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La nostra patria è il cielo

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Academic year: 2022

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La nostra patria è il cielo

Si chiama anche volatile il bene immateriale: questo genere alea- torio, impalpabile, intangibile, che è ormai anche un genere di patrimonio dell'umanità. L'aleatorietà non è il massimo del ras- sicurante in un'ottica patrimoniale, e il concetto di patrimonio immateriale sembra quasi una contraddizione in termini. Un campanile svetta, ma è piantato sul sodo, come ben radicata alle sue fondamenta appare questa ex-chiesa barocca intitolata a San Sisto, nel cuore di Milano, divenuta lo Studio Museo Francesco Messina, che oggi ospita la mostra Con straordinario trasporto, sulle Grandi Macchine a Spalla Italiane: un tempietto fermamen- te immobile, nonostante l'animazione delle iniziative culturali che lo connotano di continuo. Ora la fermezza delle chiese non attiene altrettanto ai riti. Il sito è appunto sito, mentre un rito vola: la musica e la danza volano. Come diceva Esiodo, l'oralità scorre nell'aria come un fiume. E bisogna riuscire ad afferrarli, questi fragili beni volatili, per preservarli. Ebbene, la macchina per catturare tali creature era già stata inventata quando siamo nati noi. Lapalissianamente fu battezzata "macchina da presa":

perché serviva a prendere, ad afferrare ciò che fugge, appunto, ciò che vola. E in effetti la cinepresa è perfetta, come prelievo del bene immateriale. Infatti è grazie alla macchina da presa che oggi riusciamo a diffondere l'essenza delle feste nell'aura di un tem- pio ove si espongono le macchine da festa. La macchina da presa e la macchina da festa: sono entrambe protagoniste del nostro affresco digitale che, dalla volta materna di una compatta cupola del seicento, ammanta la nostra esposizione contemporanea.

Non c'è niente di più volatile della festa. Ma se la festa è volatile

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io dico che è anche voliera, nel senso che contiene e comprende altri volatili, che appunto volteggiano nella sua sfera. Il gesto e la parola, l'inno, il passo, la preghiera, quali organi immateriali nel corpo aereo della festa, quali altrettanti volatili nella voliera. Ma nel caso di questa mostra siamo alla voliera della voliera! Parlo dell'alta volta di questa ex-chiesa, sotto la quale le feste della no- stra tradizione oggi volteggiano per l'appunto anche a Milano, con lo stesso straordinario trasporto che le connota dal vivo.

Gesti, grida, lacrime e sudore... canti, danze, sollevamenti, culla- menti, sempre verso l'alto, sempre verso il cielo, ma è un'altezza dell'abisso, un'altezza profonda... Allora si deve guardare in alto come i portatori, anche dal ventre della chiesa, per immergersi nell'aria-aura in cui volteggiano le feste. Ecco, tuffarsi in alto, come risucchiati dall'ossimoro dell'altezza profonda, vuol esse- re il senso di questo nostro affresco digitale, proiettato sulla vol- ta dello Studio Messina e dipinto con la cinepresa. Il film che lo individua e di cui si sostanzia è stato interamente girato con la tecnica della camera a mano: una scelta estetica, cinematogra- fica, ma anche, nel nostro caso, una scelta di risonanza. La came- ra a mano, ai tempi di Pasolini, si chiamava macchina a spalla, e fu la vera protagonista di molte inquadrature del suo Vangelo, la cui sceneggiatura appassionata contemplava, oltre alla descrizio- ne dei campi e dei piani, anche le indicazioni poetiche dei movi- menti della macchina da presa. L'espressione stessa "movimen- to di macchina", che fa parte del lessico cinematografico, richia- ma subito le macchine a spalla dei trasporti rituali e il loro fluire dinamico, ma è la definizione specifica della nostra modalità di ripresa la cosa più sorprendente di questa risonanza, perché col-

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lima perfettamente con la denominazione della struttura centrale dei trasporti devozionali: "macchina a spalla".

La trovo una coincidenza interessante, o comunque pertinente, dato che questa maniera di filmare si basa su una modalità di

"trasporto" della camera che coinvolge tutto il corpo, come nel trasporto processionale, anche se con un diverso tasso di fatica.

Nel linguaggio del cinema dire "macchina a spalla" significa al- ludere implicitamente al peso della camera e alla tipologia del flusso iconico che questo tipo di ripresa determina, ossia al rollio e al beccheggio dell'inquadratura, dovuti all'incedere del corpo filmante quando appunto "fa corpo" con la cinepresa.

Si sente il passo, insomma, nell'inquadratura, e lo si sente attra- verso la lente della ripresa, che trasmette l'esserci della camera, ma anche, non di rado, il respiro palpitante dell'operatore: un piano-sequenza fisico, corporale.

L'osservante è in gioco alquanto, come lo sono gli osservati: un confronto critico di culture. Il piano-sequenza girato con mac- china a spalla è maieutico: "tira fuori". E la ripresa tira fuori proprio in quanto la camera entra dentro. Uno dei padri del- l'antropologia visiva, Jean Dominique Lajoux, specialista nel filmare le feste, ha sempre affermato, provocatoriamente, che la festa non si filma, si fa. Era il suo recitar-cantando cinematogra- fico: quel filmare facendo, che nei maestri come Jean Rouch si traduceva in un filmar-danzando. Solo la macchina a spalla lo consente: con la camera a mano, l'uomo-cinepresa si tuffa nella festa, e danza nella danza. Per questo il testo iconico del nostro affresco appare più coreografico che etnografico e la cine-danza che ne scaturisce è il risultato del serrato contrappunto tra i mo- vimenti vasti delle alte torri rituali in avanzamento e i fluidi mo-

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vimenti di macchina impressi alla camera dal corpo vibrante del- l'operatore. Tutto naturalmente ad altezza portatori, vale a dire documentato a strettissima vicinanza, quando non a totale con- tatto fisico, coi corpi frementi dei protagonisti-devoti.

Facchino-cullatore e cullatore-operatore: portano entrambi la macchina a spalla. Ora, la fisicità della ripresa, che nel film ti tuffa nel trasporto, rende addirittura "tattile" il bene intangibile, va bene, ma l'emozione di filmare in tal modo questo genere di cose riverbera in tutto il corpo, al punto che guardare il film montato, al confronto, non è che una pallida imitazione di questa così intensa partecipazione integrale. Il momento della ripresa è dunque aurorale in questo genere di cinema, per l'essenza della visione che verrà e all'insegna dell'umana attitudine "equilibri- stica" ad impianto verticale: l'equilibrio, sancito dall'orecchio, orientato dal suono, regola al fine il movimento e l'azione. Una coscienza fisica alla Feldenkrais, per il quale tutto il nostro equi- librio meccanico "è controbilanciato da un complesso gioco di muscoli che mantiene verticale e, almeno per ciò che ri- guarda la nostra consapevolezza, praticamente svincolato dalla gravitazione, il nostro corpo in continua oscillazione".

Micro-movimenti incessanti, persino rimanendo fermi, ep- pure come volando, senza sentire il peso della gravità: è evidente che il gioco dei muscoli è spinto al massimo du- rante lo "straordinario" trasporto delle macchine a spalla, siano esse rituali o cinematografiche, e tantopiù è spinto al massimo quando l'etnologo incorpora la cinepresa al fine di documentare l'intangibile. La camera a mano dunque signi- fica: a braccia, a spalla, a petto, a pancia, a corpo: la camera

"a corpo", e a prolungamento protesico del corpo. E in tutto questo il peso ha il suo peso: sembra incredibile, ma la pe-

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santezza della camera è assolutamente decisiva per questa tipologia di ripresa che nella dinamica delle sue traiettorie risulta invece leggera, aerea, volante.

In volo insieme ai "volatili", per documentarli con la cine- presa: "vincere la resistenza del peso - come ci rammenta Arnheim - è un'esperienza fondamentale di libertà, non solo umana: gli uccelli e gli insetti che volano per l'aria celebra- no tutto il loro trionfo sull'impedimento del peso. Ma qual- siasi movimento, di ogni specie, rappresenta una consimile vittoria". Muoversi con la camera, dicevamo, anche da fer- mi: si è parlato di cine-yoga a proposito di questo cinema del respiro, ove la cinepresa che si protende occupa il posto dell'arma assente tipica dell'asana classico del guerriero.

L'affresco è un film sperimentale in due atti. Ma in che consiste l'esperimento? Nel primo atto, nella scommessa percettiva di far confluire, grazie al cinema, le quattro feste già patrimonio del- l'umanità, in una festa sola, che poi significa far esperire una ce- rimonia dentro l'altra senza soluzione di continuità, all'insegna del comune denominatore che coniuga i quattro riti della Rete.

Un caleidoscopio cerimoniale e audiovisivo, come se si trattasse di un'unica partitura cinesica e musicale. Nel secondo atto, de- dicato alla festa che, quanto a patrimonio dell'umanità, è ancora in via di nominazione, vale a dire la Corsa dei Ceri a Gubbio, l'esperimento consiste in una specialissima ripresa a ralenty che, in sincrono lirico con una partitura intessuta sul paesaggio sono- ro della festa, penetra i meccanismi dell'azione rituale, svelando la complessa tessitura antropologica di questa festa veloce nel- l'antica città di pietra. Il flusso delle immagini, ad altissima riso- luzione, "danza" sul contrappunto di tutti gli elementi sonori

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della festa, grazie ad un missaggio volto ad evidenziarne l'ampio ventaglio timbrico.

Sotto la volta di un tempio immobile, grazie all'affresco digitale, sfilano a Milano miriadi di uomini trasfigurati in colonne mobili dei loro magnifici monumenti ambulanti: coreografie rituali frui- bili nella generalizzazione ritmica della loro rappresentazione.

"Ogni forza visiva scaturisce dal proprio centro di ancoraggio", ce lo ha insegnato Arnheim. Ma le macchine a spalla, nel loro anelito verticale, rivelano poeticamente che l'ormeggio più am- bìto è la volta celeste, come già aveva intuito Platone nel Timeo:

"Noi uomini non siamo come le piante della terra, perché la nostra patria è il cielo, dove fu la prima origine dell'anima, e do- ve Iddio, tenendo sospesa la nostra testa, ossia la nostra radice, tiene sospeso l'intero nostro corpo che perciò è eretto".

Francesco De Melis

Arnheim, R., 2016, Il potere del centro, Abscondita, Milano.

Ejzenstejn, S. M., 1985, Teoria generale del montaggio, Marsilio, Venezia.

Feldenkrais, M., 1996, Il corpo e il comportamento maturo, Astrolabio, Roma.

Platone, 1982, Opere complete, Laterza, Bari.

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