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(Risposta a quesito del 28 aprile 1999) «In data 8 ottobre 1993, il Ministro della Giustizia, prof

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SUSSISTENZA O MENO DEL POTERE DEL MINISTRO DI GRAZIA E GIU- STIZIA DI DISPORRE UN'INCHIESTA RELATIVA AL COMPORTAMENTO DI UN MAGISTRATO IN RELAZIONE AD ATTI CHE SI ASSUMONO COMPIUTI IN QUALITA' DI COMPONENTE DEL C.S.M.

(Risposta a quesito del 28 aprile 1999)

«In data 8 ottobre 1993, il Ministro della Giustizia, prof. ..., a seguito di ripetute segnalazioni dell'allora Presidente della Corte di Appello di Reggio Calabria, dott. ...

- che denunciava l'esistenza di forti contrasti e tensioni fra i magistrati reggini - disponeva un'inchiesta sulla situazione degli uffici giudiziari di quella città.

Va detto subito che, quasi coevamente, era stata avviata dal P.M. di Reggio Calabria un'indagine preliminare per l'ipotesi di reato di cui all'art. 416 bis c.p. a carico - tra gli altri - di un notaio, ..., in relazione alla quale si era aperta presso la 1^ Commissione del C.S.M. una pratica riguardante taluni magistrati calabresi asseritamente in contatto con il predetto professionista.

Frattanto, in data 21 giugno 1994, in un articolo del quotidiano "Il Giornale", concernente tali vicende, si scriveva - tra l'altro - che "nelle perquisizioni in casa e nello studio del notaio erano stati trovati gli atti di un fascicolo del Consiglio Superiore della Magistratura riguardante un giudice di Reggio ed una lettera inviata il 9 maggio al consigliere del Consiglio Superiore della Magistratura ... Un'altra lettera, stando ad una intercettazione telefonica, ... l'avrebbe spedita a ..., componente del Consiglio Superiore della Magistratura....".

I due consiglieri, immediatamente e recisamente, smentivano ad un'agenzia di stampa tale notizia.

In particolare, il dott. ... precisava di "non aver mai conosciuto ...", soggiungen- do: "hanno presentato in modo distorto la circostanza di una lettera che all'inizio del maggio scorso ... mi indirizzo. La lettera non faceva rifermento ad alcuna pratica, si limitava a formulare un apprezzamento per l'opera di moralizzazione da me svolta. Cestinai la lettera".

Il dott. ..., dal canto suo, dichiarava: "il clima elettoralmente caldo che serpeggia tra i magistrati non può giustificare tutto e tutti. S'è scritto che il notaio ... mi avrebbe inviato un lettera. E' falso, come ho inutilmente precisato con una diffida al quotidiano Il Giornale. Non ho mai ricevuto lettere da ..., mai gliene ho scritte, nulla gli ho mai spedito, né mai gli ho parlato, né lo conosco, né l'ho mai visto. Mi domando quale sia l'in- teresse a pubblicare notizie false e provo a darmi una risposta: sono tre anni che sollecito l'attenzione del Consiglio sui magistrati coinvolti con la massoneria".

Giova aggiungere, peraltro, che - come risulta dagli atti - il dott. ... lo stesso 21 giugno 1994 aveva provveduto a chiedere al direttore responsabile de "Il Giornale" - a' sensi della legge sulla stampa - la pubblicazione di un'ampia lettera di smentita della notizia, aveva reiterato tale richiesta il 30 giugno 1994 e, nel settembre successivo, aveva pure instaurato giudizio civile nei confronti dell'estensore dell'articolo, del direttore del giornale e della società editrice dello stesso.

Inoltre, per completezza di informazione, non va omesso di sottolineare che una parallela indagine penale, avviata sullo stesso magistrato dal P.M. di Perugia, si concludeva con ampia e motivata archiviazione disposta dal GIP di quel Tribunale in data 12 giugno 1995.

Immediatamente dopo questa vicenda giornalistica, il nuovo Ministro della Giustizia, on. BIONDI, a seguito di segnalazione del 24 giugno 1994 fattagli pervenire dall'Ispettorato Generale e volta ad accertare - fra altri argomenti - pure i presunti collegamenti tra il notaio ... ed i due componenti del C.S.M. dell'epoca, estendeva l'incarico ispettivo dell'ottobre 1993 anche a tale aspetto.

Orbene, nell'ambito di questa delega, l'ispettore ministeriale convocava per il 19 settembre 1995 il dott. ... (frattanto cessato dalla carica nel luglio 1994 e ritornato alle

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funzioni di giudice presso il tribunale civile di Roma) per fornire chiarimenti su questi presunti rapporti a' sensi dell'art. 12, comma 3, della legge nE 1311/1962.

Con nota depositata presso il C.S.M. il 19.9.1995, il dott. ... opportunamente segnalava, in modo tempestivo, di essersi presentato quella mattina all'Ispettore, scrivendo quanto segue:

"alle ore 10.30 odierne, a seguito di formale convocazione, mi sono recato presso l'Ispettorato Generale del Ministero di Grazia e Giustizia, dove sono stato informato che mi sarebbe stato richiesto di chiarire se conoscessi il notaio ... di Reggio Calabria, quali fossero i miei eventuali rapporti col medesimo, chi li avesse eventualmente provocati ed a quali fini.

"Ho dunque formalmente appreso di aver assunto, nell'ambito dell'inchiesta sulla

<questione Reggio Calabria> e con specifico riguardo ai suoi risvolti consiliari quanto alle posizioni mia e dell'ex componente ... la veste di inquisito; e che in tale qualità il magistrato ispettore incaricato dell'inchiesta mi ha deverosamente domandato chiarimenti ai sensi dell'art. 12, terzo comma, della legge n. 1311 del 1962.

"Non ho alcuna personale remora a fornire i richiestimi <chiarimenti> che (nei limiti, ovviamente, in cui è possibile offrire la prova di un fatto negativo) mi paiono del tutto elementari e che sarebbero, forse, assolutamente risolutivi.

"Epperò, ho ritenuto doverso, prima di offrirli, di investire del problema il Consiglio, sembrandomi che la questione sia di non poco momento per le sue rilevantissime im- plicazioni.

"Posto, invero, che l'art. 12, comma 3, L. cit. indica come finalità dell'inchiesta amministrativa l'acquisizione di dati informativi <in merito al servizio prestato> dal ma- gistrato inquisito, <alle attitudini ed alla capacità da lui dimostrate nell'esercizio delle funzioni giudiziarie>, <nonchè su ogni altro fatto e elemento suscettibile di valutazione in sede disciplinare>, il problema che immediatamente si pone è se sia compatibile con la posizione di autonomia del CSM il sindacato da parte del Ministro, organo dell'Esecutivo alle cui dirette dipendenze l'Ispettorato generale è posto, sull'attività non certo giudiziaria svolta da un magistrato quale (ex) componente del Consiglio, al fine di valutarne attitudini e capacità, ovvero di promuovere nei suoi confronti l'azione disciplinare.

"Sotto tale profilo il problema sembra porsi in termini assolutamente identici in ordine all'attività espletata dai componenti togati in carica.

"Adeguerò il mio comportamento all'opinione del Consiglio".

Il 28 settembre 1995, su richiesta avanzata dai Cons. ZAGREBELSKY e PIVETTI, il plenum del Consiglio - in via interinale e d'urgenza - così deliberava:

- premesso che il Consiglio Superiore della Magistratura, organo di rilevanza costituzionale, va garantito nella sua indipendenza tanto nei rapporti con gli altri poteri quanto nei rapporti con l'ordine giudiziario nella misura necessaria a preservarlo da influenze che potrebbero indirettamente pregiudicare l'esercizio imparziale dell'amministrazione della giustizia (C. Cost.

44/68 e 148/83);

- premesso inoltre che i componenti del Consiglio non sono

compresi nell'ambito del potere di sorveglianza attribuito al Ministro della Giustizia dalle vigenti norme di legge e che, conseguentemente, le ispezioni e le inchieste non possono avere per oggetto le attività funzionali dei suoi componenti;

- ritiene che il dott. ..., a salvaguardia dell'autono-

mia stessa del Consiglio, non dovrà assoggettarsi al prospettato sindacato ispettivo;

- richiede al Ministro della Giustizia ed all'Ispettorato Generale presso il Ministero copia del mandato ispettivo in base al quale il dott. ... è stato convocato per essere interrogato;

- rimette la pratica alla Commissione Riforma (oggi VI Com-missione) per il seguito.

Tale delibera, in data 30 settembre 1995, veniva portata a conoscenza del Ministro della Giustizia, il quale - con note del 31 gennaio e del 13 maggio 1996 - faceva rappresentare per iscritto dall'Ispettore Generale del dicastero i motivi che avevano portato alla convocazione del dott. ..., dei quali si è dato succinto richiamo in epigrafe.

Orbene, non è chi non veda come il quesito opportunamente posto dal dott. ... (sul quale l'organo di autogoverno ha tempestivamente deliberato giacchè il problema poteva involgere - in linea di prima ipotesi - l'obbligo del magistrato di collaborare con l'Ispettorato

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Generale del Ministero, principio più volte ribadito dal Consiglio Superiore della Magistratu- ra) meriti ancora oggi una più meditata riflessione per i suoi aspetti e risvolti istituzionali.

A cominciare da quelli connessi al rischio di improprie interferenze nelle regole di correttezza che devono presiedere ai rapporti tra le istituzioni, ed alla necessità di definire misure idonee a contenere una situazione di potenziale conflittualità nel limite del rispetto delle rispettive attribuzioni.

A tale proposito, va preliminarmente ricordato che l'art. 13 del D. Lgs. nE 511/1946 prevede che il Ministro della Giustizia eserciti l'"alta sorveglianza" su tutti gli uffici giudiziari, sui giudici e sui pubblici ministeri.

Appare evidente, però, che in tale previsione non possono rientrare né il Consiglio Superiore della Magistratura né i suoi componenti togati, i quali, come noto, non esercitano - durante il periodo del mandato consiliare - né funzioni giudicanti né requirenti né possono ritenersi appartenere ad un ufficio giudiziario.

Ne consegue che non si ravvisa sotto alcun profilo un potere di "sorveglianza" del Ministro sul Consiglio Superiore della Magistratura e sui suoi membri togati e che non sussiste, pertanto, alcuna funzione ispettiva o di inchiesta che possa essere esercitata in relazione a tale potere.

Queste funzioni, infatti, implicano la esistenza di un rapporto gerarchico ovvero l'attribuzione per legge ad un soggetto determinato di uno specifico potere, ed è palese che nessuno di tali casi sembra ricorrere per quanto concerne i rapporti tra il Ministro della Giustizia ed il Consiglio Superiore della Magistratura.

Ciò premesso, deve dunque affermarsi che il magistrato eventualmente sottoposto ad inchiesta da parte del Ministro per atti compiuti nella sua qualità di componente del Consiglio Superiore della Magistratura ha non soltanto il diritto, ma addirittura il dovere istituzionale di non riconoscere (e soggiacere ad) un potere ispettivo impropriamente esercitato.

Infatti, l'esclusione dell'assoggettamento al potere ispettivo risponde, in questo caso, all'esigenza primaria di tutelare interessi di rango costituzionale attinenti all'autonomia della Magistratura, e solo in via subordinata rispetto ad essi di garantire la posizione individuale del magistrato stesso.

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