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PENTAGRAMMI per la storia della stampa

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Academic year: 2022

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PENTAGRAMMI PER … lA sToRIA dEllA sTAMPA

Gianni Cavalli

Giovanni Gutenberg: signori, la stampa!

era l’estate del 1969 e, in azienda, un noto professore venuto per visionare le bozze di un suo articolo, impagi- nato in un giornale pronto per la stampa, mi pose un que- sito. io lo conoscevo perché, anche se non era un mio insegnante, era molto popolare. «Lo sa che la più impor- tante invenzione di questo millennio non ha portato bene- fici al genio da cui è nata, anzi lo ha esposto quasi a due fallimenti?» erano presenti vari direttori di testate gior- nalistiche: Alberto margherita, Giovanni modesti, oronzo marangelli, Aurelio Papandrea e Pinuccio Tata- rella, che cercava ettore bucciero, non ancora senatore.

nonostante fosse presente tutto l’arco costituzionale, e non, dell’epoca, – da non trascurare che si era in anni difficili: il leggendario ’68 imperava – la cordialità e il rispetto regnavano sovrani, gestiti da mario Cavalli con la saggezza, la pazienza e l’imparzialità che tutti gli rico- noscevano.

i miei ricordi sono che fu proprio il conversanese ma- rangelli a chiedere, con la non comune verve e l’appa- rente semplicità che sapeva irradiare, i «lumi» – quello che oggi si definisce «aiutino» – sufficienti a condurre tutti alla meta. in effetti vi era stata una premessa cui nes- suno aveva fatto caso: «… non dimentichi l’ambiente in cui ci troviamo». si trattava dell’invenzione della stampa.

io ritenevo di essere ferrato in materia, per cui subito dissi: Giovanni Gutenberg (1400-1468), magonza, in Germania, e l’invenzione è del 1439. il professore mi consigliò di saperne di più, a ragione, e io scrissi un arti- colo all’epoca, dopo essermi documentato abbastanza: e vi esporrò il poco che è rimasto nella mia memoria, fin dai primordi del termine stampa.

Appena mi misi al lavoro con ricerche su carta – come avveniva mezzo secolo fa, e per me nulla è cambiato al riguardo, da quegli anni pregni di sano entusiasmo – non potetti esimermi dal ricordare quello che mi disse il pro- fessore sulle date: «Come periodo ci siamo, per la data di nascita, è da considerare “simbolica”». non ci avevo fatto caso, ma quando appresi che la nascita di Johannes Gutenberg veniva collocata in un periodo tra il 1390 e il 1403, e in maniera «simbolica» si faceva risalire al 1400, senza alcuna certezza comprovata, non potetti fare altro che dedicare un deferente pensiero alla cultura del sa- piente professore, che, secondo un criptico inciso di mio padre, «aveva le mani in pasta».

il contenitore di tutti i saperi del mondo, la biblioteca di Alessandria d’egitto, quando prese fuoco per la terza volta nel 48 a.C., nel periodo in cui Giulio Cesare era ospite indesiderato, forse conteneva oltre centocinquan-

tamila volumi (secondo Filippo maria boscia, quasi due- centomila, e io mi fido ciecamente della sua dotta cul- tura!), tutti scritti a mano e, quindi, copia unica. il lavoro veniva eseguito dai «copisti» con pazienza, pagina dopo pagina, e in questo modo era tramandata la conoscenza.

Comunque anche la stampa ha avuto un iter di prepa- razione cui hanno contribuito non poche scoperte in ap- parenza insignificanti, ma tutte portatrici dell’esperienza necessaria ad osare maggiormente. saranno i cinesi, – sempre loro, un popolo che, secondo la definizione di

«Livalca», lavora anche quando vive – nel Vi secolo, a partorire la xilografia, tecnica che riproduce a pressione una matrice di legno su cui erano incisi parole o disegni.

Chiaramente, quando alla pergamena vennero sostituiti i fogli di carta, si potevano realizzare con la stessa matrice più copie, risparmiando economicamente a scapito della qualità. Fonti autorevoli testimoniano che era molto im- piegata la tecnica, per realizzare opere di natura religiosa, in cui eccedevano mediocri immagini e scarso testo.

Verso la fine del 1200 fu Wang Chen ad architettare e poi fabbricare i caratteri mobili, i primi dice la storia, in legno, e nel 1315 realizzò, servendosi del suo ingegnoso sistema, un «Trattato sull’agricoltura».

Francesco De martino mi ha precisato che il cinese Chen aveva nel suo laboratorio un catalogo di oltre 50.000 caratteri, e in europa, nello stesso periodo, già circolavano delle matrici in lega metallica, la cui inven- zione pare si deve alla Corea. La tecnica, in linea di mas- sima, era questa: si versava in stampi, quasi sempre di terracotta, del piombo liquido, che riempiva le lettere che erano state disegnate e scavate.

Manlio Chieppa, «Ginepro al vespro» (Lama Monta- naro, Ostuni), 2020-’21, cm. 37,5x51x3,5, t.m. e pietra calcarea

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Gutenberg partì da questi dati per mettere a regime la sua invenzione. nato a magonza, probabilmente da no- bile famiglia, ma secondo alcune fonti in ambiente non benestante, era un lettore accanito-instancabile, e forse questa è stata la «molla» che lo ha portato alla sensazio- nale realizzazione del torchio. Con il torchio Gutenberg fabbrica dei caratteri mobili agili, perfetti e facili da ma- neggiare.

in origine solo legno, nel tempo il sistema è mutato per i materiali, ma non per la funzione. noi, in azienda, ne possedevamo uno molto bello e scenografico, insieme con un altro molto più pratico e veloce; in sostanza, si appoggia su una superficie levigata la parte chiamata composizione, di solito bloccata in un telaio, si inchiostra una volta con un tampone, negli anni con un rullo, si in- serisce e blocca il foglio e, facendo pressione sul braccio che aziona la leva, si stampa un foglio e, con lo stesso sistema, un altro e poi ancora un altro.

signori, è nata la stampa: imprimatur! Gutenberg, per realizzare il suo sogno, aveva aperto un laboratorio-tipo- grafia con un socio, un benestante di nome Giovanni

Fust, orefice di professione, che gli prestò il capitale. era nota in città la precarietà economica di Gutenberg che, già nello stesso anno della sua invenzione, era stato chia- mato in giudizio per la mancata restituzione di una somma.

Gutenberg, coadiuvato da una squadra di operai da lui formata, decide di stampare in 180 copie la famosa bib- bia latina, denominata Bibbia Mazarina, che nel 2001 l’UnesCo ha inserito nell’elenco della «memoria del mondo». stiamo parlando di una monumentale opera di 1282 pagine, impaginata su due colonne di 21 righe per complessive 42, che sviluppava 1500 lettere per ogni pa- gina e, a voler essere pignoli, oltre tre milioni di lettere.

se non ricordo male, occorsero quasi cinque anni di la- voro, e nel 1455 i libri furono messi in vendita.

Le cronache parlano di successo incredibile, ma è risa- puto che le istituzioni sono lente nei pagamenti, e il no- stro dovette far fronte alle rivendicazioni del socio, senz’altro in mala fede, che richiese la restituzione del capitale anticipato. Portato in giudizio dal socio, il nostro Gutenberg fu costretto a cedergli le attrezzature, e ognuno per la sua strada. L’orefice, avendo dimestichezza con gli oggetti preziosi, aveva fiuto per gli affari e aprì una pro- pria azienda grafica con l’aiuto del genero schöffer, e le cose andarono talmente bene che la tipografia viene con- siderata la prima vera impresa commerciale nella storia della stampa.

Tornando alla bibbia stampata da Gutenberg, – se- condo alcune fonti, … i miei appunti dell’epoca – vi sono sparsi per il globo 43 esemplari: 32 su carta e 11 su per- gamena. Da noi, risultano due a Roma (una su carta e una su pergamena) e una su pergamena, a san marino. se vi fossero altri possessori, io sono a disposizione per la ret- tifica.

Le cronache impietosamente raccontano che Guten- berg aprì una nuova tipografia per suo conto, ma, dal mo- mento che viveva grazie ai prestiti, le cose precipitarono.

nel 1458 il sindaco di magonza – i sindaci illuminati Biblioteca privata, dr. Alessandro Argentina, Francavilla Fontana

«PenTAGRAmmi» – Anno Vi Reg. Tribunale di bari n. 1963

del 14-04-2016

AdRIANA dE sERIo direttore responsabile Redazione: via melo, 48 – 70121 bari

Tel. 3478972205 email: [email protected]

Coordinamento Editoriale direttore scientifico doNATo FoRENzA Grafica e impaginazione: la Matrice

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sono sempre esistiti! – dispose un cospicuo finanziamento per il nostro inventore, che aprì una nuova azienda grafica e visse stampando bibbie e messali fino al 1468, anno della sua morte.

Pensando al professore che cito all’inizio dell’articolo, nel confer- mare che era molto ferrato in mate- ria, non posso fare a meno di segna- lare che, ad una affettuosa e rispet- tosa battuta di Aurelio Papandrea,

«Don mario stai attento, i fallimenti sono frequenti nelle aziende grafiche in cui predominano i soci», disse:

«… i figli non sono soci, ma collabo- ratori di fiducia». nonostante sappia abbastanza di Gutenberg, non sono in grado di affermare se avesse mo- glie e figli.

il genio italiano non tardò ad en- trare in azione, e in europa fummo tra i primi a recepire l’invenzione di Gutenberg; infatti, nasce a subiaco il primo stabilimento grafico, ad opera dei monaci benedettini, situato nell’alta valle dell’Aniene. segui- rono Venezia, Firenze e Roma.

Va ricordato anche il medico-tipo- grafo Panfilo Castaldi che, nato a Feltre, esercitò la professione me- dica a Venezia, per poi trasferirsi a milano, dove si dedicò, in una pro- pria azienda, all’arte grafica.

Anche se nato a Velletri, il famoso stampatore Aldo manuzio viene identificato come il più famoso stampatore veneto. Trasferitosi a Ve- nezia, incominciò a frequentare la tipografia di Andrea Torresano, di cui anni dopo sposò la figlia, e si di- stinse per una ingegnosa quanto utile

iniziativa: l’adozione del formato in ottavo, che riduceva di molto la grandezza dei libri, facendo risparmiare carta e rendendoli più maneggevoli. A manuzio si deve l’intro- duzione del corsivo, che lo specialista del tempo, France- sco Griffi, incise per lui.

La tipografia era specializzata nella pubblicazione di opere classiche, spesso greche, e manuzio, insieme con studiosi del calibro di erasmo da Rotterdam, Pietro bembo, egnazio battista, e altri, fondò la Neacademia, detta anche aldina, dove la lingua greca era obbligatoria.

Le opere di manuzio, per i collezionisti, oggi sono dette, semplicemente, «aldine». mi piace segnalare che il pro- fessore Francesco De martino, nel suo ponderoso-impe- gnativo volume di 1300 pagine, «Puglia Mitica» (Le- vante, bari, 2012), così si esprime: «Uno sciame di “ci- cale” che si affianca alle “formiche” di Tommaso Fiore e alle “mosche” di Puglia, i tanti pazienti e coraggiosi

“stampatori” di Puglia, dal mitico Alessandro minuziano di san severo, vissuto tra ’400 e ’500, a mario Cavalli».

minuziano (san severo, 1450 - milano, 1522) è stato un tipografo ed editore con al suo attivo, a milano, pregiate pubblicazioni di classici, tra cui l’opera omnia ciceroniana. Fu protagonista, probabilmente, del primo caso di copyright inconsape- vole, e Leone X, resosi conto della buona fede dell’editore, ritirò la sco- munica. Di questo parleremo in altra sede.

Di mario Cavalli qualcuno, prima o poi, si occuperà.

il primo catalogo di tutti questi li- bri cinquecenteschi fu realizzato nel 1688, ad Amsterdan, dal libraio olan- dese Van beughen. i libri stampati fino al 1500 sono chiamati incuna- boli (dal latino incunabula, fasce di bambini), e si indica tutta la produ- zione tipografica a caratteri mobili, da Gutenberg in poi.

È stato calcolato che sono oltre 450.000 gli incunaboli sparsi per il mondo, e il prof. Fi- lippo maria boscia mi ha fatto notare che oltre centomila si trovano sul suolo italiano.

Fu ancora un tedesco, Federico Koenig, dopo che vari stampatori avevano perfezionato negli anni il metodo di Gutenberg, ad avere, nei primi anni del 1800, l’idea, sem- plice ma geniale, di far passare i fogli intorno a un cilin- dro metallico, per poi planare sul piano di stampa. Chia- ramente non poteva essere fatta a braccia l’operazione, e si sfruttò l’invenzione dell’inglese newcomen, ossia la macchina a vapore. Fu una svolta epocale, e si passò dalle trecento stampe giornaliere alle oltre mille all’ora.

nel 1884 ottmar mergenthaler, tedesco naturalizzato sta- tunitense, fabbricò un prototipo che, partendo da una ta- stiera, come una macchina da scrivere, era in grado di comporre pagine di testo, che, fuse nel piombo, davano all’istante la riga meccanica. subito dopo, per rendere il Giovanni Gutenberg, 1400-1468 Giambattista Bodoni, 1740-1813

Copertina del volume «Puglia Mi- tica», Levante editori, Bari, 2012

(continua a pagina 12)

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Aspetti d’Arte Contemporanea di un Novecento sorprendente e un nuovo Millennio di attese

Giorgio Esposito, un artista fuori dal tempo, nel tempo infinito dei Miti di una magica realtà!

Manlio Chieppa

Qualche tempo addietro, l’amico e collega Giorgio esposito, avendo letto qualche mio articolo sull’Arte di Avanguardia attuale – che Avanguardia non è – condivi- dendo i concetti, ringraziandomi, m’inviò – col garbo si- gnorile che lo contraddistingue – un suo ricordo di vita vis- suta – un aneddoto significativo e impensato, accompa- gnato da una lettera-confessione di un personaggio che, avendo cavalcato la storia mondiale del «Novecento» – in fin di vita – da grande istrione, salutò la scena delle vanità terrene per dire che aveva «sfruttato la stupidità dei suoi contemporanei». Dirompente ammissione e… onestà intel- lettuale, non potendo non riconoscergli quella straordinaria geniale intui zione che – partita da solide inequivocabili basi

«figurative» di un realismo dalla poetica struggente (pe- riodo rosa e blu) – si evolse in una «personale» deforma- zione dell’immagine, con una libertà espressiva, diretta e istintuale, da rivoluzionare qualsiasi schema sino allora per- seguito, per lanciarsi in avanguardie (quelle si!) cubo-futu- riste. Che suscitarono (1907) scalpore, incondizionata am- mirazione, e poi… via via, un inarrestabile traffico mercan- tile esponenziale, orchestrato e fomentato da quegli stessi manipolatori che cinquant’anni dopo avrebbero furoreg- giato con la Pop art e tutto il decadentismo che ne è conse- guito! «Molti anni fa – scriveva dunque Giorgio – avevo a Roma un amico anziano che mi riportò un episodio molto interessante. Era un amante dell’arte, e nelle sue scorri- bande per Roma (era nato a Roma e la conosceva come le sue tasche) un giorno capitò nella Chiesa di S. Luigi dei Francesi e rimase estasiato davanti alle tele delle storie di San Matteo del Caravaggio. A un certo punto arrivò il sa- crista e gli portò una sedia; meravigliato il mio amico gli chiese il motivo. Al che il sacrista gli disse: lei mi ricorda un signore spa- gnolo che veniva ogni tanto in questa chiesa e

quando entrava si faceva portare una sedia, perché rima- neva ore e ore davanti a queste tele, e un giorno mi confessò che questa era “l’arte vera”. Passato qualche anno, aprendo il giornale, vidi la foto di quel signore, la cui dida- scalia annunciava la sua morte: era Picasso». (!) e, a sup- porto di quanto svelatomi, l’amico Giorgio (come antici- pato) allegò una lettera che Pablo Picasso, pare, avesse scritto ad un sodale in punto di morte (aprile 1973), preso dai rimorsi per ciò che aveva fatto, definendosi impudica- mente «burlone». Questa lettera (che mi riservo di ripren- dere e pubblicare in prossime occasioni) «era comparsa sui giornali il giorno della sua morte; poi la fecero sparire, perché evidentemente molto pericolosa…», avrebbe scate- nato il finimondo sul mercato dell’Arte! Che, in verità, per altro verso – non certo per il maestro spagnolo – ha supe-

rato poi (travalicando ogni specula- zione economico-finanziaria) qual-

Giorgio Esposito, «La caduta di Fe-

tonte», 1998, cm. 100x150, olio su tela Giorgio Esposito, «Inno alla vita»,

2010, cm. 100x120, olio su tela Giorgio Esposito, «Il mangiatore di sarde», 1982, cm. 60x60, olio su tela Giorgio Esposito

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siasi ragione dell’intelletto e acquiescente comprensione umana, volendo suscitare in gran parte della loro concla- mata inconsistenza «artistica» – più che stupore – senti- menti di ripulsa!

L’antefatto per apprezzare e leggere diversamente la sto- ria di quanti rimarranno nella storia! Partendo dal presup- posto che l’italia, e la Puglia in special modo, ha una cultura di radici in prevalenza medio-orientali, per passare nella culla del mediterraneo, ed evocare, nel corso dei millenni, riferimenti formativi indiscutibili, di civiltà pervase dal sa- cro, dal rito e dal divino, di riverenza per i miti dell’olimpo e del Parnaso e i loro coinvolgimenti fantastici, in vicende strettamente connesse alla vita degli uomini e ai loro sogni.

Utilizzando un disegno descrittivo di massima espressività (coi reperti lasciati!), evidentemente esaltati dalla solennità di posture figurali, in racconti onirici dal sapore melodram- matico, nella solarità di atmosfere dense e pregnanti, ad avvolgere forme e dispiegamenti sacri e pagani – nella pie- nezza di suggestioni di una «scuola» impagabile. Come a dire «i fondamentali», perché taluni nostri artisti e maestri contemporanei si costruissero un loro percorso, in netto contrasto con gli stili propri del modernismo e del Postmo- dernismo, dedicandosi al «verismo», col seguire la lezione degli immortali, e ritrarre gesta e figure dai volti e dalle fi- sionomie sincere, unitamente a temi letterari, tra il sacro e il profano, per appagare gli spiriti puri di un «classicismo»

atemporale.

Fra gli impavidi, a sfidare le lusinghe delle mode e sulla scia degli illustri Annigoni, sciltian, Tommasi Ferroni, De Chirico…, si colloca Giorgio esposito.

barese di nascita, 1952, da genitori tosco-partenopei qui giunti dalla Grecia, e formazione artistica (oltre l’Accade- mia, a lezione da enedina Pinti - napoli, 1884, bari, 1984;

allieva del Fattori, dal 1996 in asta da Christie’ s), rinnova ormai da decenni i fasti della tecnica antica, con un Reali- smo d’impressionante fedeltà scientifica (o illusione della realtà), mutuata dalla pittura caravaggesca e fiamminga, con influenze neoclassiche, che si oppone con un ostinato rifiuto alle novità dell’epoca convulsa in cui viviamo. e lo fa difendendo coraggiosamente i presupposti etici ed este- tici, con un repertorio corposo di rappresentazioni grandio- samente scenografiche, di notevole rilevanza storica, spa- ziando dalla mitologia antica all’interpretazione biblica dei Vangeli, dalla ritrattistica aristocratica a quella borghese (a volte investigando nel sociale e d’ambiente con «composi- zioni» di sottigliezze trascendenti), e a quella sacra o eccle-

siale, solenne…, con sapiente intuizione di chi conosce la materia. ossia la consistenza dell’anatomia, studiando su modelli di cera che egli stesso elabora analizzando trattati sto- rici, col sezionare la struttura dei volumi del corpo umano e quelli animali: elementi-prota- gonisti ad animare le sue elabo- razioni. Una pittura colta e in- tellettuale, riversata in una serie interminabile di personaggi di amori mitologici; elogia gli an- tichi guerrieri, i duelli, le ceri- monie rituali, di tutto quel mondo che popolò l’olimpo, fra dei, fauni e ninfe, permeati di significati allegorici. interval- landoli alla ritrattistica, più quieta e silente, meditativa e profonda, a soppesare intimamente il soggetto, intratte- nendo magari con lui, se vivente, una conversazione, e car- pirne il carattere e il momento imperscrutabile, da coglierne la personalità che traspare dal volto, le vesti, la postura, la luce, e la stessa ambientazione, che non consente stonature, ma contribuisce ad esaltare l’immagine, immersa, talora, in atmosfere di riferimenti inequivocabili, musicalmente ine- brianti. in linea col modo tutto suo di penetrare l’anima di un personaggio, e coglierne i valori psicologici, mettendo a nudo il suo carattere, che ammalia gli astanti con quegli

«sguardi» vivi e profondi, o nebulosi e sognanti, quando smarriti e tristi, inducendoli a interpretare i pensieri miste- riosi che li attraversano. Tutto quanto nella stesura di un colore in una perfezione lenticolare di pennellate minuziose e vibranti a ottenere contrasti cromatici, con sfumature mi- surate e incarnati di notevole rigore estetico, per quella luce avvolgente d’antica corposa ricchezza. A riflettere il mondo interiore di figure e composizioni, che ripercorrono i passi del movimento pittorico che trova – nella classicità – il suo massimo splendore. il manierismo o piuttosto «la nuova maniera», il citazionismo e l’iperrealismo degli anni ’70 e

’80, che in esposito subisce una sensibilità di valori inesau- sti, una forza fuori dal tempo inesauribile. Così, fra le ul- time opere realizzate dall’artista, seguendo i modelli più alti della pittura figurativa, quella mirabile di Papa Pio Xii, col- locata appena il 10 ottobre scorso nella chiesa dei santi Celso e Giuliano (sec. iX e XVi) a Roma (in Via del banco di santo spirito), ch’ebbe la cerimonia battesimale di euge- nio maria Giuseppe Giovanni Pacelli, nato il 2 marzo 1876, lì a due passi, nell’imponente Palazzo orsini Pediconi stampa, che, col nome appunto di Papa Pio Xii, sarebbe salito al soglio Pontificio il 2 marzo 1939. Uno dei tanti dipinti, dalla resa pittorica di notevole bellezza introspet- tiva, a contraddire visivamente le condizioni della deca- dente società contemporanea. Giacché il nostro artista per- corre sempre, e in ogni rappresentazione, sensazioni visive di un vissuto quasi impossibile, nell’incrocio di tumultuose organizzazioni compositive e sguardi estasianti a diffon- dere quiete e serenità. nella trascendenza d’ispirazioni, forse, d’ideali sfondi lontani e silenti, che si condensano in forme didascaliche, quando si materializzano in dimensioni metafisiche di allegorie vivide di umori, a trascinare gli astanti in indicibili emozioni.

Giorgio Esposito, «Natura morta con strumenti musicali», 2000, cm.

60x80, olio su tela

Giorgio Esposito, «Natura morta», 2000, cm. 25x35, olio su tela

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Aspetti d’Arte Contemporanea di un Novecento impagabile

Il «rosso guascone» del Rinnovamento pugliese, Nicola Ficarra artista e antagonista, osservatore e polemista

Manlio Chieppa

Quanto si dicono le coincidenze occasionali di fatti e circostanze – curiosamente intriganti – a riportarti il ri- cordo di personalità indimenticabili, che per certi versi hanno scritto e delineato il personale destino. L’amico norberto Tansella (conosciuto alle esequie dell’indi- menticato Giorgio saponaro, 29 aprile 2019) nel rico- struire comuni affettuose memorie di tempi andati – coltiva interessi culturali e artistici, individuabili, fra l’altro, a collezionare piccole o grandi opere d’arte. Per- ciò, mancando ormai gallerie e luoghi deputati all’in- contro (per… restrizioni opportune, e non solo), spigo- lando fra i pochissimi rari antiquari di una bari persa in chiacchiere di tutt’altra specie, di tanto in tanto, girova- gando, mi sottopone conquiste, scrivendomi per avere conferme. Già allorquando in lasciti ereditari, si è ritro- vato un bel pastello col torrione di un castello marchi- giano, inviandomelo (con illeggibile firma), affinché gli svelassi l’arcano autore.

Che alle mie perplessità – ri-trasmettendomelo ade- guatamente – fu riconosciuto nell’indiscutibile – di- chiarai – Antonio Piccinni, «è una delle sue due tipiche firme, e, benché si dedicasse prevalentemente alle fi- gure, è suo, il modo di racchiudere gli scorci, con anno- tare a margine sinistro, in stampatello, la località rap- presentata: pittore e fine incisore di acqueforti; tranese di fine ottocento, allievo di biagio molinaro, fine os- servatore di un realismo “sociale” ante litteram, erra- bondo disegnatore di mappe e coste della marina mili- tare di stanza a Genova; apprezzatissimo, e, ahimè (scomparso da diversi decenni Franco silvestri, suo ac- canito collezionista e critico d’arte raffinato), è fra que- gli artisti dimenticati». nonostante numerose mirabili

opere siano nella Pinacoteca metropolitana «C. Gia- quinto» di bari! non passa molto tempo che l’entusia- sta norberto m’invia per posta elettronica un «Ritratto di donna con cammeo» (così mi piace titolarlo), ano- nimo (con sul telaio una firma estesa a biro); un olio, che (per la conoscenza e gli aneddoti che andrò a rac- contare), alle sue attese, gli svelo: «è inequivocabil- mente di nicola Ficarra, quell’espressione negli occhi mi è nota». ma la sorpresa non si esaurisce, perché sul retro della stessa tavoletta vi è un altro dipinto, una

«natura morta con frutta», ed io: «inconfondibilmente, è dello stesso Autore», riscontrando, oltre tutto, le me- desime gamme cromatiche di un ritratto della moglie del ’43. il perché poi del fronte/retro (come s’interroga l’amico norberto), rientra in facili deduzioni: caratte-

riali, in quasi tutti gli artisti, chè, con l’avanzare degli anni, esaspe- Castello Svevo, Bari, maggio 1939: da destra, Nicola Ficarra, Roberto De Robertis, Maria Amendola (?), il Capo Redattore de Il Giornale d’Italia Puglia, Nicola Maria Chieppa

Nicola Ficarra, «Ritratto della mo-

glie», 1943, olio Nicola Ficarra, «Donna con cam- meo», anni ’40/’50, cm. 38x28, fronte, olio su tavoletta

Nicola Ficarra, «Fiori», 1949, cm. 36x30, olio su tavoletta

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riamo l’insoddisfazione di quel che si va proponendo. e capita che accantonando un dipinto – magari dimenti- candolo – quando lo ritroviamo, osservandolo, ci tor- niamo su modificandolo. Come altre volte biaccando il tutto, usiamo la stessa tela per irrimandabili ispirazioni;

oppure, non avendo altra disponibilità all’urgenza, ag- guantarne una già dipinta e utilizzarla sul retro. specie poi, quando urge un «ritratto» ad una fugace presenza e, oltretutto, «femminile»…, alla quale l’ineffabile mae- stro (conoscendolo impenitente!) non sottraeva le sue attenzioni! «Quello spirito libero e inquieto», titolai al- cuni miei appunti, che ripesco volentieri, per un mode- sto «omaggio», perché, al solito, ritengo la «memoria»

sia foriera di cultura e di conoscenza del passato, e so- prattutto, di intime ricordanze, avendomi svelato, il mae stro, le sortite giovanili e «scamiciate» accompa- gnandosi al «mio papà» (tumulato nel 1943, il giorno del mio secondo compleanno). specie poi in momenti tali, che i pensieri esacerbati sono subissati da appren- sioni esistenziali quotidiane, alterate dall’isolamento…, e mancando le occasioni di relazioni, incontri, manife- stazioni… e quant’altro, ci si aggrappa alle remini- scenze liete. e nicola Ficarra – ho anticipato – è stato l’artefice delle mie scelte adolescenziali, che mi avreb- bero incanalato in studi formativi, seguendo la mia pre- disposizione verso l’arte – come dirò qui di seguito – ricostruendo un po’ la storia dell’artista e il contesto ambientale in cui visse la sua interrotta e tribolata vita per l’Arte.

Fra i protagonisti dunque, che animarono la vita arti- stica pugliese nel fervore di quegli anni a partire dai primi Anni ’30 e poi a cavallo degli Anni ’40/’50 del novecento, in una svolta di Rinnovamento, nicola Fi- carra si conquistò un suo ruolo distintivo e originale nell’interpretazione figurativa: riuscendo a coniugare la tradizione con la ricerca di inesplorati percorsi men- tali.

Quegli irrinunciabili valori umanistici del passato che andò ad innestare su una percezione che superasse le perduranti convenzioni, per approdare a una visione moderna delle cose; con l’irruenza di un’espressione carica di tensioni morali conformi al suo temperamento di curioso cultore di nuove esperienze. Ad avvalorare e riscuotere unanime rispetto e considerazione: già nell’organizzazione delle famose sindacali del «Venten- nio» (con De Robertis, Conte e stìfano) e poi nei tanti momenti esaltanti del Sottano, fino alla chiusura, che

visse con esacerbata reazione. Di- stanziandosi dagli amici divenuti

«docenti», col rifiutare l’insegna- mento (pur avendone i titoli guada- gnati all’Accademia di bb.AA. di Venezia), che gli avrebbe fruttato ben altri traguardi e sicurezze esi- stenziali. ma avrebbe abdicato a quel suo spirito libero, insofferente a qualsiasi compromesso e disci- plina, condizionando l’autonomia di quel pensiero, per il quale si trovò a dissentire vivacemente nella mi- sura leale delle sue opinioni d’indo- mabile anticonformista e poco acquiescente alle impo- sizioni, quanto da raffinato intellettuale, polemista a ragion vedute. scelse di rintanarsi nel suo modesto stu- dio-mansarda nell’austero palazzo dell’Aquila, al ci- vico 247 di via Abate Gimma (quadrilatero che si con- chiude su piazza Garibaldi, al cui interno, con vasto giardino-agrumeto, in altri tempi, si affacciava la casa e la bottega del pittore e decoratore d’interni mastro ni- cola Rega, capostipite dei Rega e degli spizzico).

Lì dove m’inerpicai nella primavera del 1954 ed ebbi la sorte di conoscerlo intento al suo lavoro, intabarrato nel suo giaccone blu, sopra un maglione a girocollo, sotto le travi di quel gelido sottotetto, mi accolse in compagnia di qualche piccione grugante, sciogliendomi dall’imbarazzo di un tredicenne di fronte ad una figura arcigna e quasi burbera, dalla capigliatura rossiccia, sotto un berretto da marinaio ed un pizzetto alla gua- scona.

Che tra nugoli di fumo – appreso chi fossi e il motivo – si aprì in un sorriso incoraggiante, invitandomi a mo- strargli quella mia cartella colma di disegni, perché esa- minandoli perorasse consiglio all’incerta mia genitrice (vedova dell’inseparabile suo compagno di brigata), per strapparle la mia iscrizione al recente istituto d’Arte;

cosa che avvenne, quantunque fosse persuaso che le istituzioni accademiche fossero il condizionamento per ogni spontaneismo creativo.

È indubbio che il maestro avesse capacità inesauri- bili e una conoscenza tecnica notevole, per una prepara- zione culturale vastissima, verificabili quando, da ar- guto osservatore (invitato dal capo redattore michele Campione), imbastiva più tardi per la Rai di bari «il prisma», una rubrica d’arte radiofonica (con la voce di Tonino Rossano), a recensire gli avvenimenti nel mondo dell’arte in Puglia. nelle rare esposizioni per l’italia (fi- gurando in collezioni persino in brasile), ebbe giudizi lusinghieri da critici e storici dell’arte importanti (che ho avuto modo io stesso d’incrociare nelle mie scorri- bande), come Giorgio mascherpa, Carlo munari, mario monteverdi, mario Lepore.

ma lui non se ne curava, dedicandosi, da stanziale invaghito della sua Puglia, a un dialogo ininterrotto con se stesso come fatto intimo, di ricerca privata. Una scelta travagliata che si rinnovava in quel linguaggio intuitivo, caricando la pennellata di valori vibranti, sempre più decantati e impreziositi, da produrre effetti scabri in un colore che assumeva, sulle superfici, suc- Nicola Ficarra, «Natura morta con

frutta», anni ’40/’50, cm. 28x38, retro, olio su tavoletta

Nicola Ficarra, «Pomellati bian- chi», olio

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cose ricchezze espressive per una luce violenta: sfilac- ciata nei rossastri crepuscolari o abbacinante nella sola- rità spaziale, su fondi a volte oscurati di pece e terre di siena. senza nulla concedere a un facile edonismo d’in- guaribile romantico, nelle sue puntigliose analisi lunghe meno di cinquant’anni (morì a 68 anni nel febbraio del 1980), si soffermò spesso al «paesaggio» delle perife- rie, dalle parti di s. Francesco all’Arena (dove abitava, vicinissimo a quel lido di sabbia che negli anni addietro gestiva la sua famiglia, giunta dalla sicilia), le archeo- logie industriali, malinconiche e spettrali, prospicienti marisabella (ormai demolite per far posto a enormi sca- toloni di vetro e cemento) a ridosso della cosiddetta

«cittadella della cultura»! oppure quello magico ed evanescente dei trulli nelle campagne della Valle d’itria, visti in una dimensione arcana e ludica, come ritrarre mandrie di cavalli al galoppo, quando vele al vento, ol- tre spiagge settembrine con rare romantiche cabine e qualche ombrellone, piuttosto che ritrarre la «figura», dall’espressione perennemente intensa ed enigmatica, pensierosa e attonita nel suo turbamento; non trala- sciando tuttavia di aprirsi alle «composizioni» con frutti e altri oggetti, ancorché floreali, con intimismi di deli- cata poesia.

Quel sentimento latente, in un artista volubile e in- quieto, sagace nella battuta, talvolta sferzante, con una carica umana incontenibile, che trasmetteva inesausto nei momenti di grande eccitazione: memorabili nei duetti (onnipresente «ombra» dell’amico d’infanzia Peppino suglia) col sodale di schermaglie Giordano belardinelli (simpaticamente definito ù gnòr, rispetto a lui, soprannominato ù rùss, a contendersi gli spazi espo- sitivi di alte pareti, con un’infinità di dipinti, sino a lam- bire i soffitti della prima Galleria «n. Piccinni», diretta da mario e Guido Prayer, in un locale sotto il porticato del Teatro); finché il poliedrico effervescente compa- gno d’indicibili avventure migrò a Roma per migliori fortune alle sue ricerche «astratte», pennellando maioli-

che e tele. e lui, scomparsi anzitempo Giovanni Conte, Vito stìfano, don Armando scaturchio e Roberto De Robertis, prese a intrattenersi alla Vernice col superstite Ciccio spizzico. mentre s’infittirono le nostre frequen- tazioni presso la stessa galleria d’arte che ci rappresen- tava, la «Cassiopea due», degli amici muciaccia sulla via imbriani, dove, per generosa intuizione, mi regalò un reperto fotografico (qui pubblicato), scattato a mag- gio del 1939 a bari nel Castello svevo: con lui, a destra sono ritratti Roberto De Robertis, la pittrice maria Amendola (?) e il Capo redattore de Il Giornale d’Italia Puglia, nicola maria Chieppa, in occasione dell’inau- gurazione della Vi mostra del sindacato interprovin- ciale Fascista belle Arti di Puglia, il cui segretario era R. De Robertis, e la Giuria per la scelta delle opere (97 su 210) era formata da G. Conte, R. Giurgola, L. Russo, V. stìfano, F. Vacca. Finché l’inesorabile nera signora, se lo portò via, privandolo dell’attraversare la stagione di un’arte che volgeva all’incomunicabilità, con perfor- mance e installazioni dagli allestimenti straordinaria- mente «ruffiani!».*

L’inizio della grande impostura e la chiusura progres- siva di tutte le gallerie storiche di bari, e, con esse, la memoria di un’epoca forse irrimediabilmente perduta!

Giacché non vi sono speranze che la città metropolitana – a cinquant’anni dall’epilogo del famoso «maggio di bari» (che ne auspicava l’istituzione!) – possa avere una Galleria d’Arte Contemporanea, per raccontare de- gnamente – alla pari di numerosissime progredite realtà italiane – la storia dell’Arte del novecento in Puglia!

*suscitando ripulsa persino del ministro dei bb.

Culturali; tant’è, il 17 marzo u.s., nella sua relazione sul

«Piano nazionale di ripresa e resilienza» (PnnR, € 5,6 miliardi), si è espresso solo per un impegno: varare il

«Codice dello spettacolo», a sostegno dell’industria culturale e creativa del Cinema, e le location per girare le fiction! (da Arts Life).

CoNsERVAToRIo dI MUsICA «NICColò PICCINNI» dI BARI

seminari didattici on-line

Adriana De Serio

il Conservatorio di musica «n. Piccinni» di bari (direttore: m° Corrado Roselli) prosegue con costante impegno, anche nei mesi di febbraio-marzo, la pro- grammazione di seminari didattici (on-line, nell’at- tuale periodo di emergenza pandemica), con l’obiet- tivo di offrire ai propri studenti, ma anche a fruitori interessati, opportunità formative innovative, di eccel- lente valenza.

È stato previsto, pertanto, il Ciclo di seminari

«mezzogiorno in musica», che presenta tre eventi:

«Dialogo e fusione tra musica antica e musica d’oggi», con i maestri Gianvincenzo Cresta, Gioacchino De Padova, Gianfranco Vinay; «suoni di donna - musica e clausura nel Regno di napoli in antico regime», con la docente Annamaria bonsante; «Gli esordi del vio-

loncello a napoli e in europa», con il m° Dinko Fa- bris. Vengono poi organizzati: il seminario-laborato- rio per cantanti e strumentisti, e per la formazione dei docenti di musica; il seminario «La mousiké nel tempo e nello spazio», con il m° Domenico molinini, già docente presso il Dipartimento TADeC del Con- servatorio di musica di bari, la grecista prof. maria Anna e. Lagioia, del Liceo Classico «socrate» di bari, il fisico dott. Angelo Colelli, del Dipartimento interateneo di Fisica «m. merlin», di bari, e il coordi- namento del m° Vincenzo Pannarale; il seminario

«sulle tracce del Wanderer», a cura del m° Luca Ciammarughi; il Ciclo di seminari «Analisi musicale e processi cognitivi: la Working memory nell’ascolto e nella perfomance», con elvira brattico e Daniela Dentico; il seminario-incontro con l’autore-composi- tore Pasquale Corrado.

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AssoCIAzIoNE CRoCERossINE d’ITAlIA oNlUs

Sostenibilità, Biodiversità, Umanità

Vincenzo Nicola Casulli

L’Associazione Crocerossine d’italia onlus, con la sua di- namica sezione di bari, di cui è responsabile Grazia Andi- dero, e con il versatile input della Vice-presidente nazionale, prof. dott. santa Fizzarotti selvaggi, ha proseguito con co- stante generosità e lungimiranza la propria intensa attività nell’ambito della solidarietà e dell’impegno sociale, anche in occasione di varie celebrazioni, tra cui le festività natalizie e il nuovo anno, bypassando le problematiche imposte dall’emergenza sanitaria Covid 19.

La sezione di bari dell’Associazione Crocerossine d’ita- lia onlus, ben consapevole dell’insostituibile potenza ecume- nica della musica, nel rendere possibile la comunicazione fra popoli, civiltà, etnie differenti, pur nella sofferenza e nel do- lore, ha ideato e progettato il concerto di musica e Poesia «il natale della speranza», dedicato ai pazienti, ai medici e al personale sanitario del Pronto soccorso del Policlinico di bari. mercoledì 23 dicembre, alle ore 12, in connubio con il Pronto soccorso del Policlinico di bari, e con i patrocini di FnomCeo (Federazione nazionale ordini dei medici Chi- rurghi e odontoiatri) e Associazione Culturale «incontri», l’Associazione Crocerossine d’italia onlus, con il coordina- mento artistico e la presentazione musicologica della prof.

dott. Adriana De serio, professore ordinario nel Conservato- rio di musica di bari, e musicoterapeuta, il coordinamento registico di Angela Campanella (Ass. Cult. «incontri»), la rea lizzazione video dell’Associazione Culturale «incontri»

(presidente, Giancarlo Liuzzi), ha trasmesso online l’evento- concerto, sui canali Facebook dell’Associazione Croceros- sine d’italia onlus, nonché dell’Associazione Culturale «in- contri».

Protagonisti del concerto sono stati due eccellenti allievi del Conservatorio di musica di bari, il clarinettista siciliano Luigi mancini (allievo del m° Antonio Tinelli, biennio acca- demico) e il soprano russo irina Gorbatenko (laureata a mo- sca e, a bari, laureanda nel biennio accademico, allieva del m° Domenico Colaianni), con al pianoforte la prof. Adriana De serio. il duo mancini-De serio ha magistralmente inter- pretato musiche di H. Klosè (Oberon) e m. Tamanini (Clari- nissimo). il duo Gorbatenko-De serio ha mirabilmente inter- pretato musiche degli autori russi P.i. Ciaikovski, del quale ricorre nel 2020 l’anniversario dei 180 anni dalla nascita (Non dimenticare velocemente l’amore, e Notti di amore), s.

Rachmaninov (Non cantare il paese lontano), dell’italiano G. Verdi (da «La Traviata»: È Strano - Follie - Sempre li- bera), il canto popolare natalizio russo La neve brilla alla luce della luna, e poi i canti natalizi della tradizione interna- zionale e italiana, Jingle Bells (autore J. Pierpont) e Tu scendi dalle stelle (autore A.m. De’ Liguori), in connubio con un emotivamente e artisticamente avvincente video natalizio pugliese-barese-russo, creato dalla stessa irina Gorbatenko.

il concerto è stato introdotto dai saluti di santa Fizzarotti selvaggi, Grazia Andidero e Giancarlo Liuzzi, e da interventi di: dott. Filippo Anelli, Presidente nazionale FnomCeo;

dott. Vito Procacci, Direttore del Pronto soccorso del Policli-

nico di bari; prof. Donato Forenza, docente esperto di biodi- versità e sostenibilità paesaggistica, vice Presidente Accade- mia scientifica «merli», Presidente Accademia scientifica internazionale oikart; prof. Adriana De serio. La voce reci- tante di Franco minervini, avvocato, attore e regista, interval- lando le esecuzioni musicali, ha ottimamente declamato al- cuni splendidi versi, tratti dalla raccolta poetica «La via del nardo», di cui è autrice santa Fizzarotti selvaggi. betelgeuse ha, infine, eseguito al pianoforte, con la sua polivalenza di artista, la melodia natalizia «Astro del ciel», di F. Gruber.

L’Associazione Crocerossine d’italia onlus sezione di bari ha, altresì, organizzato il secondo seminario nazionale

«biodiversità e sostenibilità: Curare la terra per prendersi cura dell’umanità», con coordinamento scientifico di Donato Forenza, Uniba, patrocini di Università degli studi di bari, Federazione nazionale degli ordini dei medici Chirurghi e odontoiatri (FnomCeo), Accademia Pugliese delle scienze, Associazione medici Cattolici italiani (A.m.C.i.), Comunità Greca di bari, Associazione «incontri», movi- mento internazionale oikart.

Del seminario è stata programmata la trasmissione online, con il coordinamento registico di Angela Campanella, sui canali Facebook dell’Associazione Crocerossine d’italia on- lus e dell’Associazione «incontri», domenica 14 febbraio, alle ore 16.30.

il seminario, di rilevanza strategica affrontando aspetti della complessità ambientale per il miglioramento della qua- lità della vita, è stato introdotto dai saluti istituzionali di:

santa Fizzarotti selvaggi; Antonella bellomo, Prefetto di bari; Antonio Decaro, sindaco della Città metropolitana di bari; stefano bronzini, magnifico Rettore dell’Università degli studi di bari; Grazia Andidero. sono stati svolti inter- venti da: eugenio scandale, Presidente Accademia Pugliese delle scienze; Giovanni maria Panaiotis Grittani Thalassi- nos, Presidente Comunità Greca di bari; Giancarlo Liuzzi.

Hanno effettuato relazioni tematiche: Filippo Anelli, Presi- dente FnomCeo; Filippo boscia, Presidente A.m.C.i.; Pa- dre mariano bubbico, frate cappuccino; Valeria montaruli, Presidente Tribunale per i minorenni di Potenza; nicola si- monetti, medico e giornalista; Angelo Vacca, ordinario e Direttore medicina interna Universitaria baccelli, Policli- nico, bari; Donato Forenza, Presidente oikart; prof. Adriana De serio.

Le relazioni sono state intervallate dalla voce recitante di Franco minervini, e dal concerto «Radici della Vita e dell’Umanità: omaggio alla biodiversità e alla sostenibilità», con interpreti la pianista Adriana De serio, che ne ha effet- tuato, altresì, coordinamento artistico e presentazione musico- logica, e il baritono cinese Tao Liu, laureato in canto in Cina, e laureando nel biennio di ii Livello di canto nel Conservato- rio di musica di bari. il concerto si è articolato con due inte- ressantissimi brani di musica popolare cinese, la celebre me- lodia «Di Provenza il mar, il suol» dall’opera «La Traviata» di Giuseppe Verdi, «musica proibita» di Gastaldon.

La «Chanson» di Franco schirò è stata, inoltre, libera- mente eseguita al pianoforte da betelgeuse.

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Donato Forenza

La Giornata nazionale del Paesaggio fu istituita nel 2016 dall’ex mibACT (attuale miC) con l’obiettivo di promuovere la Cultura del Paesaggio e di sensibilizzare le persone, attraverso specifiche attività da compiersi sull’intero territorio nazionale mediante il concorso e la collaborazione delle Amministrazioni e delle istitu- zioni, pubbliche e private. nel 2021, per la seconda volta, viene celebrata in italia la Giornata nazionale del Paesaggio, che ha registrato molte attività online e in streaming. il ministero ha diramato inviti, nei rispettivi ambiti di competenza, per sviluppare iniziative e atti- vità di sensibilizzazione, di educazione e conoscenza in riferimento ai temi del paesaggio, preferibilmente in modalità online. La Giornata 2021 è una valida occa- sione per evidenziare l’importanza interdisciplinare del paesaggio italiano e della Transizione ecologica (T.e.).

È stata prevista la consegna del Premio nazionale del Paesaggio, un peculiare riconoscimento che il mini- stero attribuisce agli attuatori di iniziative brillanti in grado di valorizzare le potenzialità del Patrimonio cul- turale italiano mediante validi iter idonei ad implemen- tare attività per la qualità del paesaggio e della vita delle comunità locali, creare programmi sostenibili e proget- tazione per la sensibilizzazione dei valori etici e cultu- rali, in sinergia con le normative della 7a edizione del Premio del Paesaggio del Consiglio d’europa (Forenza, 2021).

Va osservato che il concetto di paesaggio ha subito notevoli trasformazioni polisemiche. il termine paesag- gio è stato oggetto di interventi legislativi sin dall’inizio del secolo. Le leggi 778/1922 e 1497/1939 erano ispi- rate da una concezione prevalentemente estetizzante, che identificava il paesaggio con una percezione di ve- duta d’insieme, il panorama, la «bellezza naturale»

(come recitava il testo di legge). nel 1985 la legge 1497/39 è stata integrata dalla legge Galasso 431/1985,

«Recante disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale». Tale norma ha, a sua volta, spostato il fulcro tematico verso la protezione di sistemi naturali e boschi da preservare. Pertanto, è stata determinata un’evoluzione parziale, ma necessaria, da un nuovo approccio percettivo-estetico dei sistemi del paesaggio e una visione fondata anche su elementi fisici e oggettivi, preziosi per la salvaguardia degli ecosi- stemi. nel successivo ventennio, con i cambiamenti so- ciali, la valorizzazione del concetto di ambiente e di biodiversità, in connubio con le nuove dimensioni di tu- tela del territorio, salute e biodiversità, e con l’afferma- zione della sostenibilità, si è verificato un nuovo corso di rafforzamento degli strumenti legislativi, che ha deli- neato le matrici tra «paesaggio» e «ambiente». L’ap- proccio semantico epistemologico di varie discipline correlate al trinomio «etica / ecologia / economia» ha contribuito a definire il rapporto sistemico tra «am- biente, paesaggio, territorio» e i prodotti delle opere dell’uomo sull’ambiente naturale, in una matrice inte-

rattiva di visioni storiche e bioecologiche; inoltre, sono stati anche recuperati valori culturali e dimensioni este- tiche e artistiche, in simbiosi con le matrici polifunzio- nali ecosistemiche correlate ad altre discipline connesse alla Pianificazione territoriale e paesaggistica. La T.e.

si deve coniugare con il Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.L.vo 42/2004), che rende operativi orien- tamenti avanzati in merito alla definizione di paesaggio, attribuendo l’appartenenza di quest’ultimo, a pieno ti- tolo, al patrimonio culturale.

elemento fondamentale nell’elaborazione del D.L.vo 42/2004 è stata la Convenzione europea del Paesag- gio (CeP; formulata nell’ambito del Consiglio d’eu- ropa), firmata a Firenze nel 2000 (ratificata nel 2006).

L’aspetto identitario è uno dei cardini della CeP ed è richiamato dall’art. 131 del Codice («Il presente Codice tutela il paesaggio relativamente a quegli aspetti e ca- ratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell’identità nazionale, in quanto espressione di valori culturali»). nel D.L.vo 42/2004, «Codice dei beni culturali e del paesaggio», per il significante paesaggio si intende una parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni. nella T.e. va ribadito che la tutela e la valorizzazione del paesaggio consi- stono in attività che devono provvedere a salvaguardare i valori che esso esprime quali manifestazioni identita- rie percepibili (Forenza, 2004).

Particolare importanza riveste (art. 132) la coopera- zione tra amministrazioni pubbliche a differenti scale territoriali, che devono, in sinergia, definire indirizzi e criteri riguardanti le attività di tutela, pianificazione, re- cupero, riqualificazione e valorizzazione del paesaggio e di gestione dei relativi interventi. La pianificazione degli indirizzi e dei sistemi di organizzazione deve per- seguire gli obiettivi della salvaguardia e della reintegra- zione dei valori del paesaggio anche nella prospettiva dello sviluppo sostenibile. inoltre, al fine di diffondere e accrescere la conoscenza del paesaggio, le ammini- strazioni pubbliche devono intraprendere attività di for- mazione e di educazione. in tale sistemica il mibACT e le Regioni definiscono le politiche di tutela e valorizza-

Transizione Ecologica e Giornata Nazionale del Paesaggio 2021

Paesaggio urbano di New York (foto Donato Forenza)

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zione del paesaggio, tenendo conto anche degli studi, delle analisi e delle proposte formulati dall’osservato- rio nazionale per la qualità del paesaggio, istituito con decreto del ministro, nonché dagli osservatori istituiti in ogni regione con le medesime finalità. oggi, per la T.e. è fondamentale la cultura del paesaggio (Forenza, 2016, 2021).

Le attività internazionali di tutela e di valorizzazione del paesaggio si conformano (art.133 - Convenzioni in- ternazionali) agli obblighi e ai principi di cooperazione tra gli stati, derivanti dalle convenzioni internazionali.

sono considerati (art. 134) beni paesaggistici: - a) gli immobili e le aree indicati all’art. 136, individuati ai sensi degli artt. da 138 a 141; - b) le aree indicate all’art.

142; - c) gli immobili e le aree comunque sottoposti a tutela dai piani paesaggistici previsti dagli artt. 143 e 156. L’art. 135 prevede la Pianificazione paesaggistica a cura delle Regioni, che assicurano che il paesaggio sia adeguatamente tutelato e valorizzato; a tal fine sotto- pongono a specifica normativa d’uso il territorio, ap- provando Piani paesaggistici ovvero Piani Urbanistici Territoriali (PUT), con specifica considerazione dei va- lori paesaggistici, concernenti l’intero territorio regio- nale, entrambi denominati «Piani Paesaggistici». il Piano Paesaggistico definisce, con particolare riferi- mento ai beni pae saggistici (art. 134), le trasformazioni compatibili con i valori paesaggistici, le azioni di recu- pero e riqualificazione degli immobili e delle aree sotto- posti a tutela, nonché gli interventi di valorizzazione del paesaggio, anche in relazione alle prospettive di svi- luppo sostenibile. L’individuazione dei beni paesaggi- stici (art. 136) concerne gli immobili e le aree di note- vole interesse pubblico: - a) le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica; - b) le ville, i giardini e i parchi, non tutelati dalle disposizioni della Parte seconda del presente Co- dice, che si distinguono per la loro non comune bel- lezza; - c) i complessi di cose immobili che compon- gono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale; - d) le bellezze panoramiche considerate come quadri e così pure quei punti di vista o di belve-

dere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spetta- colo di quelle bellezze.

Dopo circa un ventennio dalla CeP, la Transizione ecologica e i sistemi di protezione dai cambiamenti climatici necessitano di algoritmi e modelli calibrati per la Pianificazione ecologica del Paesaggio e per la Pro- gettazione Ambientale di Foreste Urbane e territori paesaggistici multifunzionali (Forenza, 1988, 1990).

sono necessari innovativi procedimenti per ottimizzare le interconnessioni tra: - sistemi della Complessità (sistemi Ambiente / sistemi del paesaggio / sistemi del territorio); - sistemi della sostenibilità (economia / ecologia / etica / biologia / sociologia / innovazione);

- sistemi di Pianificazione paesaggistica (matrici di af- ferenza: Architettura del paesaggio, ecologia del Paesaggio, ingegneria naturalistica, Legislazione del Paesaggio, etica del Paesaggio). È bene sviluppare un elevato livello di consapevolezza per il miglioramento della qualità della vita (Forenza, 1995), mediante inci- sivi valori di solidarietà interdisciplinare, che insieme determinano la scienza dei sistemi Complessi per la protezione del Paesaggio e per la Transizione ecolo- gica.

UNA BAREsITÀ … POLITA

Felice Laudadio

Vittorio Polito ha doppiato la boa degli 85 anni – anche se non li dimostra – ed ha sentito l’esigenza di fare sintesi di tutte le sue espe- rienze di vita, delle conoscenze, delle passioni, delle curiosità e so- prattutto di quello che ha realiz- zato, compresi ovviamente i suoi non pochi libri.

È tutto nell’ennesima pubblica- zione, «baresità», edita da ecaedit, di Franco manzietti, Pescara, alla fine del 2020 (95 pagine), che Vito

signorile presenta efficacemente come uno zibaldone. È una defini- zione «azzeccata» per un volume agile, moderno, perfino civettuolo, ampiamente illustrato con le im- magini a colori di una bari mai tanto magica, la sua città, che Vit- torio non ha mai tradito. e lei non lo ha mai deluso, ha ricambiato il suo amore con «cuore di mamma»

e con un affetto dolce, confessa con commozione in una poesia,

«bàre mì».

Perché Polito – chi non lo cono- sce, tra cronisti, artisti, gente di

cultura e di N’derr alla lanz? – è poeta oltre che scrittore ed anche giornalista instancabile, uomo di lettere, ricercatore e cantore di bari e del dialetto barese. Di recente, con grande orgoglio, ha conseguito anche il titolo per niente onorifico di accademico del mare e dei frutti di mare, meritato con applicazione e soprattutto gran gusto e palato fine.

La competenza linguistica ver- nacolare è stata premiata dall’As- (continua a pagina 12) Paesaggio rurale della Basilicata (foto Donato Fo- renza)

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sociazione «Giovanni Falcone» e le poesie in barese hanno raccolto consensi, citazioni ed altri ricono- scimenti.

Lo stato ha ricambiato la sua de- dizione al lavoro e ai valori morali, sociali, culturali, conferendogli nel 1995 l’onorificenza di Cavaliere e nel 2002 di Ufficiale dell’ordine al merito della Repubblica, su propo- sta della Presidenza del Consiglio dei ministri e decreto del Capo dello stato.

Vittorio non perde tempo nello spiegare cosa si debba intendere per «baresità». Fa presente, nelle primissime battute del testo, che il termine non si limita a indicare la componente dialettale, ma va esteso al complesso delle arti, delle scienze e delle conoscenze. Com- prende tutto quello che riguarda bari: la storia, le tradizioni, il folklo re, la cucina tipica, i modi di dire, gli usi e costumi.

Anche i monumenti, le chiese, i teatri. Vittorio aggiunge i proverbi, i soprannomi ed anche i quotidiani (le testate sopravvissute ad una pandemia non biologica ma econo- mica, che ha tolto l’ossigeno alla carta stampata ben prima del co- vid-19).

non dimentica san nicola e in- clude i comportamenti, tanto quelli

della gente a modo che le «scostu- matezze» di certi concittadini, che non sfuggono all’ottimo Vito si- gnorile. Purtroppo, fanno parte an- che quelle dell’essere baresi, anche se ne faremmo volentieri a meno, soprattutto quando vanno ben oltre il folklore (e lo scavalcano quasi sempre, più d’uno da queste parti confonde la sguaiataggine con la simpatia).

La città è sempre protagonista nel libro. È in testa e in coda, in primo piano e sullo sfondo, in co- pertina e in filigrana. nel di tutto un po’ del Polito-pensiero e produ- zione, si corre da riflessioni a poe- sie, da notizie storiche a leggende, da prefazioni tratte dalla ricca bi- bliografia personale a lezioni sulle tecniche di degustazione di crosta- cei e molluschi, cotti o crudi.

Quanto alle curiosità, perché chiamiamo «carpaccio» le fettine di pesce o carne crudi marinati? Ci spiega che a Venezia, in occasione di una mostra sul pittore rinasci- mentale Vittore Carpaccio, una no- bildonna aveva chiesto al ristora- tore di preparare un piatto appeti- toso, avvisandolo di non poter con- sumare cibi cotti. Lo chef dell’Har- ry’s bar l’aveva conquistata, fa- cendole gustare delle sottilissime fette di controfiletto di manzo con- dite con sale, pepe, spezie e tanto limone.

e il «pesce san Pietro»? Deriva proprio dal primo degli apostoli. si narra che un giorno, dovendo pa- gare una gabella, abbia trovato la moneta che gli serviva in bocca ad un pesce appena pescato.

ecco pagata prontamente la tassa. il «pesce san Pietro», medi- terraneo, ha un corpo ellissoidale molto schiacciato sui lati, grandi occhi e sui fianchi due caratteristi- che macchie nere tondeggianti, che la leggenda vuole impresse dalle dita del santo nell’energica cattura dello sfortunato (in quel caso) abi- tante del mare.

A proposito di pesce, che oltre ai molluschi non manca mai nella dieta del cittadino barese doc, non si può non citare un classico as- sunto di Vittorio Polito:

«Per i baresi mangiare non si- gnifica nutrirsi. Tanto meno signi- fica nutrirsi in qualunque posto si trovino. Per i baresi mangiare si- gnifica anzitutto mettersi a tavola».

il nostro cantore della baresità sostiene da tempo che l’essere an- ziani non è affatto una «malattia», contrariamente a quanto sembra prevalere nella vulgata contempo- ranea.

«Più invecchio, più continuo ad imparare», dice. C’è da attendersi che metterà quanto prima su carta tutto quello che di nuovo andrà im- parando.

tutto più agevole, soprattutto per i giornali, ci fu l’introduzione della giustezza. signori, la linotype era nata!

in un continuo crescendo, vede la luce la rotativa nel 1861, grazie all’inventore americano Richard Hoe, la quale ingoiava, letteral- mente, intere bobine di carta, circa 15.000 copie in un’ora.

non si può non rendere omaggio a un tipografo-fonditore, Giovanni battista bodoni (saluzzo, 1740 - Parma, 1813), che, dopo un proficuo apprendistato nella tipografia pa- terna, per intercessione di un parente prete, fu assunto nella stamperia dell’istituto «Propaganda Fide», a Roma, ma, dal momento che rite- neva che non fossero riconosciute le sue indubbie capacità, riuscì a farsi

segnalare presso la stamperia Reale di Parma. in breve divenne direttore e stampò un testo un poco «ruf- fiano»: «Canto per la felicemente restituita salute di Sua Eccellenza il signor Don Guglielmo du Tillot mar- chese di Felino, primo ministro e Se- gretario di Stato di S.A.R.». La sem- plice e pur ricercata eleganza del ca- rattere ancor oggi conosciuto come

«bodoniano» ha tramandato nel tempo la sua figura e resa perenne la sua gloria. Cinque anni dopo la sua scomparsa, la moglie Paola marghe- rita dall’Aglio ha pubblicato il «ma- nuale tipografico» del marito.

Le raffinatezze delle sue edizioni sono spesso criticate per la mancata cura delle legature, ma chi vuole vi- sionare con mano può recarsi nella biblioteca Palatina di Parma, dove sono conservate le matrici e i pun- zoni di bodoni e una collezione,

quasi completa, delle sue stampe.

Per lui, il detto «Fama crescit eundo»

è una realtà evidente.

ora, spazio alla fotocomposizione elettronica, che nel mio caso si tra- duce in una ammissione di inferio- rità, per cui mi ritiro, ubi maior, mi- nor cessat, e lascio il campo alla stampa … digitale.

P.s. «La conoscenza è apprezzata nella misura in cui è utile: vale per la rivoluzione industriale e per quella digitale. non a caso la figura eroica di entrambe le epoche non è lo scien- ziato, ma l’ingegnere» (Franco mo- retti, 1950).

«Per alcuni l’“Avvenire” è solo un quotidiano italiano di ispirazione cattolica, per me l’Avvenire compete a tutti gli esseri viventi ma non ap- partiene a nessuno» (Anonimo, 1976).

(dalla pagina 3)

(dalla pagina 11)

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