Trattamento di dati sensibili: parola alle Sezioni Unite ... pag 2 Registrazioni tra presenti: l’orientamento della Cassazione ... pag 3 Diffamazione su Facebook: non si applica la Legge Stampa ... pag 4 Le reti peer-to-peer e il ruolo degli intermediari nella lotta alla contraffazione ... pag 5 Onere probatorio nel contratto di conto corrente ... pag 8 Espropriazione immobiliare ... pag 10 Ritardo nella contestazione disciplinare: il fatto è “insussistente”. ... pag 13 Divieto di controllo indiscriminato su mail aziendali e smartphone ... pag 14 Start Up e PMI Innovative i chiarimenti del MISE: spunti e riflessioni ... pag 16
Marzo2017
Marzo 2017
2 PRIVACY Avv. Flaviano Sanzari
TRATTAMENTO DI DATI SENSIBILI: PAROLA ALLE SEZIONI UNITE
Sulle corrette modalità di trattamento e comunicazione dei dati sensibili, nel rispetto dei diritti fondamentali della persona, sono chiamate a pronunciarsi le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, evocate dalla prima sezione, con l’ordinanza interlocutoria n. 3455/2017.
In particolare, si dovrà stabilire se, nella fattispecie, la banca e la Regione abbiano violato le norme sulla privacy in occasione di un pagamento eseguito in favore di un cittadino.
Questi lamentava, infatti, la diffusione di dati sensibili rivelatori del suo stato di salute, perché, nel disporre il pagamento per via telematica, la Regione, nella causale, aveva fatto riferimento alla legge n. 210/1992 (sugli indennizzi per i danni da vaccini obbligatori o da trasfusioni di sangue infetto), la stessa usata dall’istituto di credito per contraddistinguere il corrispondente movimento nell’estratto conto inviato al cliente. Il ricorso era stato respinto dal Tribunale di Napoli, mentre la prima sezione della Corte di Cassazione, di fronte alla quale è approdata la controversia, ricorda come la Giurisprudenza sul punto non sia univoca.
Con la sentenza n. 10947/2014, infatti, proprio la prima sezione aveva sanzionato una simile condotta, stabilendo il dovere di trattare i dati personali nel rispetto dei diritti fondamentali, con particolare riguardo ai dati sensibili idonei a rivelare lo stato di salute ed evidenziando la necessità di ricorrere, in tali casi, a tecniche di cifratura o a codici di identificazione idonei a renderli temporaneamente non leggibili anche a chi è autorizzato ad accedervi.
Una scelta non condivisa, tuttavia, dalla terza sezione con la sentenza n. 10280/2015, che, in un’identica fattispecie, aveva invece escluso la violazione delle norme sulla privacy. Secondo i giudici, non vi sarebbe stata la diffusione, che si configura solo quando un dato è conoscibile e messo a disposizione di soggetti indeterminati e in qualunque forma.
Quanto alla banca, andava considerata la pluralità di soggetti che potevano conoscere il dato in ragione del servizio svolto, per cui non si potrebbe esigere che siano previamente identificati i soggetti a cui indirizzare la comunicazione. L’istituto di credito, inoltre, avrebbe agito nel rispetto del contratto di conto corrente, su mandato dello stesso cliente, per cui doveva riconoscersi, come previsto dal codice privacy e chiarito dalla giurisprudenza, che non è necessario alcun consenso al trattamento di dati sensibili, quando il trattamento è necessario per adempiere un obbligo di legge.
Neppure la Regione avrebbe violato le norme sulla privacy e, in particolare, l’articolo 22 che detta le regole di trattamento per gli enti pubblici, essendo questo destinato ad impedire che,
Marzo 2017
3
attraverso la consultazione di banche dati, possano essere identificati gli interessati, ma non applicabile alla Regione che si era limitata a indicare, per ragioni di trasparenza ed efficacia dell’attività amministrativa, la causale del pagamento.
REGISTRAZIONI TRA PRESENTI: L’ORIENTAMENTO DELLA CASSAZIONE
Con la sentenza n. 5241/2017, la terza Sezione Penale della Cassazione è tornata sul tema dell'uso delle registrazioni video e sonore, anche di conversazioni telefoniche, tra presenti, effettuate da uno dei partecipanti al colloquio, o da persona autorizzata ad assistervi.
Secondo la Suprema Corte, esse costituiscono, in giudizio, prove documentali valide e particolarmente attendibili, perché cristallizzano “in via definitiva ed oggettiva un fatto storico - il colloquio tra presenti (e tutto l'incontro, se con video) o la telefonata”.
Nel particolare caso di violenza sessuale, poi, “le video registrazioni risultano particolarmente valide, per la ricostruzione oggettiva delle violenze. Le moderne tecniche di registrazione, alla portata di tutti, per l'uso massiccio dei telefonini smart, che hanno sempre incorporati registratori vocali e video, e l'uso di app dedicate per la registrazione di chiamate e di suoni, consentono una documentazione inconfutabile ed oggettiva del contenuto di colloqui e/o di telefonate, tra il violentatore e la vittima”.
Infatti, prosegue la Cassazione, le registrazioni di conversazioni - e di video - tra presenti, compiute di propria iniziativa da uno degli interlocutori, “non necessitano dell'autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, ai sensi dell'art. 267 c.p.p., in quanto non rientrano nel concetto di intercettazione in senso tecnico”, ma si risolvono, come osservato, in una particolare forma di documentazione, non sottoposta ai limiti ed alle formalità delle intercettazioni.
Infine, viene ricordata l'interpretazione della Suprema Corte di Cassazione, consolidata in materia, secondo cui è infondata ogni questione di legittimità costituzionale delle norme in tema di intercettazioni, “nella parte in cui non prevedono l'estensione dei limiti di applicabilità della normativa codicistica in materia di intercettazioni telefoniche e ambientali anche alle intercettazioni di conversazioni tra presenti o al telefono svolte non solo da un estraneo, ma anche da uno degli interlocutori della conversazione medesima”, trattandosi di situazioni del tutto diverse fra loro e non potendosi in alcun modo equiparare la registrazione effettuata, sia pure occultamente, da uno dei protagonisti della conversazione, all'ingerenza esterna sulla vita privata costituita dall'intercettazione svolta per opera di un terzo.
Marzo 2017
4 REPUTAZIONE ONLINE
Avv. Flaviano Sanzari
DIFFAMAZIONE SU FACEBOOK: NON SI APPLICA LA LEGGE STAMPA
Secondo la quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione (sentenza n. 4873/2017), la diffamazione su Facebook non può essere equiparata a quella sulla stampa, anche se raggiunge potenzialmente un pubblico più vasto e, pertanto, alla stessa non è possibile applicare la relativa aggravante prevista dal codice penale.
In particolare, afferma la Cassazione che i social network (e, nel caso in questione, Facebook, uno dei più utilizzati) sono “mezzi di pubblicità”, in grado di aumentare in maniera indefinita la diffamazione, ma senza per questo poter essere considerati “stampa”.
Nella fattispecie, un 60enne catanese aveva diffamato via Facebook un terzo.
Il giudice per l’udienza preliminare aveva ritenuto che non si potesse configurare la diffamazione aggravata a mezzo stampa, ma solo la diffamazione aggravata dal “mezzo di pubblicità” (ossia, il social network), con una decisione che aveva comportato il dimezzamento della pena edittale.
La Procura aveva fatto ricorso, ma la Cassazione ha sostanzialmente confermato la tesi del gip, escludendo, in tal caso, l’applicabilità della legge 47/1948 (Legge Stampa), che prevede una pena da 1 a 6 anni di carcere per la diffamazione aggravata dall’essere compiuta a mezzo stampa.
In realtà, la decisione si inserisce in modo coerente nel solco dell’evoluzione giurisprudenziale in atto sul punto, tanto che già nel 2015 le Sezioni Unite della Cassazione si erano pronunciate, affermando che, pur accettando una interpretazione evolutiva e costituzionalmente orientata del termine stampa, si possono in esso ricomprendere senz’altro le testate giornalistiche online, ma non è possibile allargare ulteriormente il concetto, fino a ricomprendere anche i nuovi media, vale a dire blog, forum e social network.
Per ora, quindi, la diffamazione via Facebook, secondo la Cassazione, rimane una sorta di diffamazione “attenuata”.
Marzo 2017
5
PROPRIETÀ INTELLETTUALE E INDUSTRIALE Avv. Alessandro La Rosa
LE RETI PEER-TO-PEER E IL RUOLO DEGLI INTERMEDIARI NELLA LOTTA ALLA CONTRAFFAZIONE
Lo scorso 8 febbraio c.a., l’Avvocato Generale è tornato ad interpretare la nozione di
“comunicazione al pubblico” nell’ambito del procedimento C-610/15 (Stichting Brein v Ziggo BV, XS4ALL Internet BV) promosso dalla Corte Suprema Olandese (Hoge Raad der Nederlanden).
Il caso concerne la pubblicazione iniziale di opere protette dal diritto d’autore su una rete peer-to- peer e si differenzia dai precedenti casi decisi dalla Corte UE Svensson and Others e GS Media che, invece, riguardavano la comunicazione al pubblico di opere (audiovisive in un caso e fotografiche nell’altro) già accessibili sul web.
La nota fondazione Stichting Brein, coinvolta nella protezione del diritto d’autore e dei diritti connessi, ha chiesto l’emanazione di un ordine che imponga alle società Ziggo e XS4ALL -che forniscono servizi di connessione internet (mere conduit)- il blocco dell’accesso da parte dei destinatari degli stessi agli indirizzi internet del sito The Pirate Bay (“TPB”), piattaforma di ricerca per la condivisone di file peer-to-peer. Le reti peer-to-peer sono organizzate in modo tale da utilizzare il computer del singolo utente (“peer”), non solo come client che riceve le informazioni, ma anche come server, che immagazzina dette informazioni e le rende disponibili agli altri utenti (“peers”).
Data la struttura decentralizzata -articolata su differenti server appartenenti a diversi soggetti e collocati in diversi paesi- l’esistenza e l’utilizzo di tale rete dipende dalla possibilità di trovare peers disponibili a condividere i file offerti da siti come TPB che, nella fattispecie, non solo fornisce agli utenti uno specifico motore di ricerca dei detti file, ma presenta anche l’indicizzazione delle opere contenute nei file, classificate secondo diverse categorie.
Secondo l’Avvocato Generale Szpunar, nel caso di specie, non esistono dubbi circa la qualificazione di tale attività come “messa a disposizione del pubblico”, in quanto: la caratteristica tecnica della suddivisione del file nella fase di download (effettuata tramite diversi computer) non rileva in relazione alla protezione dell’opera, la quale viene resa disponibile nella sua unitarietà e giunge ai destinatari nella medesima forma; inoltre, entrambi i requisiti della messa a disposizione dell’opera ad un “numero significativo di persone”, nonché ad un “pubblico nuovo”, risultano soddisfatti per definizione, dal momento che TPB, come qualsiasi rete peer-to-
Marzo 2017
6
peer, si rivolge ad un numero indefinito di utenti “nuovi”, in quanto trattasi di iniziale condivisione dell’opera, di fatto mai autorizzata dall’autore. Peraltro, sebbene gli utenti, installando e condividendo il software (BitTorrent client), mettano a disposizione di altri utenti della rete le opere in loro possesso, il ruolo dei siti come TPB -che creano il sistema per rendere le opere accessibili- deve considerarsi necessario. Secondo l’A.G., in linea di principio, l’atto di comunicazione al pubblico di un’opera protetta non può essere attribuito al gestore di un siffatto sito nel caso in cui lo stesso: i) non sia a conoscenza dell’illecita messa a disposizione dell’opera, ovvero ii) quand’anche sia stato espressamente avvisato della natura illecita delle informazioni che appaiono nel sito -e quindi abbia una conoscenza attuale dei fatti- abbia agito in buona fede nel rimuovere quanto segnalato. Al contrario, secondo l’A.G., ai sensi dell’art. 3(1) della Direttiva 2001/29, costituisce atto di comunicazione al pubblico la circostanza secondo cui, dopo esser stato informato della messa a disposizione dell’opera senza il consenso del titolare dei relativi diritti, il gestore di un sito non prenda alcun provvedimento finalizzato ad impedire l’accesso alla suddetta opera protetta (punto 54).
L’A.G. prosegue precisando che la responsabilità del gestore del sito che non collabori alla rimozione dei contenuti illegalmente condivisi, secondo alcuni ordinamenti, può essere configurata come “violazione indiretta” e, quindi, non essendo prevista a livello europeo alcuna armonizzazione in questo senso, spetta alle Corti nazionali accertare l’esistenza di tale tipo di responsabilità in conformità alle disposizioni dei singoli ordinamenti interni.
In riferimento alla suddetta responsabilità e relativamente all’ordinamento italiano, anche la Corte di Cassazione penale con sentenza n. 49437 del 2009, ha precisato che la tecnologia peer-
to-peer non ha l’effetto di decentrare l’illegalità della diffusione dell’opera, in quanto comunque rimane decisivo l’apporto del titolare del sito web, tale da consentire l’imputazione a titolo di concorso nel reato previsto dall’art. 171 ter, co. 2, lett. a bis), della L. n. 633/41, fatto salvo, il solo caso estremo in cui l’attività del gestore fosse “completamente agnostica, ove ad es. anche l’indicizzazione dei dati essenziali fosse decentrata verso la periferia”, creando così una sorta di social network dove gli utenti stessi indicizzano i dati e consentono la reperibilità delle informazioni.
Oltre a ciò, l’A.G. pone la dovuta attenzione al ruolo dei c.d. mere conduit, coerentemente ai principi espressi dalla Corte nel caso UPC Telekabel Wien e, in particolare, all’adeguatezza delle misure ostative che devono essere imposte ai detti mere conduit: i fornitori di connettività non potranno quindi rifiutare di adempiere all’obbligazione prevista dall’art. 12, paragrafo 3, Direttiva
Marzo 2017
7
2000/31/CE, adducendo come motivazione che la misura del blocco dell’accesso al sito pirata sia o troppo restrittiva o inefficace (punto 83).
NEWS
SEQUESTRI CONSERVATIVI COME MODALITÀ PER RESPONSABILIZZARE GLI HOSTING PROVIDERS
Finalmente, i vari sforzi di governi ed operatori, tanto a livello nazionale che internazionale, di tutelare il diritto di Internet ed in particolare del diritto d’autore cominciano a dare i loro frutti.
Ebbene, tanto si è detto sul ruolo di primo piano ricoperto dagli hosting provider, specialmente in termini di controllo e stoccaggio sui contenuti fruibili online, nonché la configurazione di una vera e propria responsabilità penale per le violazioni previste dagli artt. 171, comma 1 e 171-ter, commi 1 e 2 della LDA.
È notizia di pochi giorni fa il sequestro preventivo per oscuramento, in Italia, di 41 siti web che consentivano la visione di film, serie tv ed eventi sportivi. Ciò è stato reso possibile grazie all’utilizzo, da parte delle Unità Speciali della Guardia di Finanza, di metodologie innovative idonee a superare i sistemi di anonimizzazione (volti all’esterovestizione) utilizzati da siti che pubblicano illecitamente materiale protetto dal diritto d’autore: la prima è la nota “follow the money” attraverso la ricerca della provenienza dei servizi pubblicitari che sostengono i siti pirata;
la seconda, di maggiore interesse, consiste proprio nel “follow the hosting”, finalizzato a rintracciare il server.
Occorre salutare positivamente questi interventi, in quanto l’esperienza degli ultimi anni dimostra che i provvedimenti dell’Agcom, per quanto puntuali e incisivi, spesso da soli non risultano sufficienti ad elidere il problema se non accompagnati da un’attenta responsabilizzazione dei soggetti che mettono tali servizi a disposizione del pubblico, ossia gli hosting provider.
Marzo 2017
8 DIRITTO BANCARIO Avv. Daniele Franzini
ONERE PROBATORIO NEL CONTRATTO DI CONTO CORRENTE
Nei rapporti bancari in conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità, per mancanza dei requisiti di legge, della pattuizione di interessi ultralegali a carico del correntista, la banca ha l'onere di produrre gli estratti a partire dall'apertura del conto. Quest'ultima non può sottrarsi all'assolvimento di tale onere invocando l'insussistenza dell'obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni, perché non si può confondere l'onere di conservazione della documentazione contabile con quello di prova del proprio credito. Tale principio trova applicazione anche nel caso in cui si controverta dell'addebito di interessi anatocistici non dovuti.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza del 20.1.2017 n. 1584.
Con la pronuncia appena menzionata, gli Ermellini hanno assoggettato a riforma la sentenza n.
256/2012 resa dalla Corte di Appello di Venezia, accogliendo le doglianze dei ricorrenti laddove avevano dedotto che la Corte lagunare, pur ritenendo illegittimi gli addebiti di interessi debitori e anatocistici sul conto corrente in contestazione, aveva condiviso le risultanze della consulenza tecnica, fondata su un saldo passivo intermedio non giustificato da precedenti estratti conto. In tale senso, a parere dei ricorrenti, la Corte di Venezia avrebbe dovuto ritenere non fondata la pretesa azionata o, quanto meno, disporre nel senso che il saldo intermedio risultante alla data del primo degli estratti conto prodotti fosse ricondotto a zero.
Siffatta censura è stata ritenuta meritevole di accoglimento dalla Suprema Corte, la quale ha fondato la sentenza in commento sul principio riportato in epigrafe, fatto oggetto di numerose pregresse pronunce (Cass. Civ., 25 novembre 2010, n. 23974; Cass. Civ. 20 aprile 2016, n. 7972;
Cass. Civ. 18 settembre 2014, n. 19696; Cass. Civ. 26 gennaio 2011, n. 1842; Cass. Civ. 10 maggio 2007, n. 10692).
Proseguendo nel proprio ragionamento, la Corte ha poi ribadito che “tale principio vale, ovviamente, anche ove si faccia questione dell'addebito di interessi anatocistici non dovuti. La Corte di merito, una volta accertata la non consentita contabilizzazione, da parte della banca, di interessi anatocistici, avrebbe dovuto tener conto del fatto che, con riferimento al conto corrente n. (OMISSIS), la produzione degli estratti conto non era completa: in conseguenza, non avrebbe potuto mantenere fermo il saldo debitore di apertura del primo degli estratti conto prodotti, dal momento che in esso confluivano interessi che non spettavano”.
Marzo 2017
9
In sintesi, la sentenza in commento ha confermato il principio a mente del quale il giudice, convenzionalmente, azzera le risultanze portate dall’estratto conto più antico prodotto in giudizio dall’istituto di credito, perché la lacuna documentale relativa ai periodi precedenti non consente di comprendere come si è pervenuti a quelle determinate cifre.
NEWS
SICUREZZA E OBBLIGHI DI VERIFICA SUI SERVIZI BANCARI
Rispetto all’utilizzazione di servizi e strumenti con funzione di pagamento che si avvalgono di mezzi meccanici o elettronici, non può essere omessa la verifica dell'adozione da parte dell'istituto bancario delle misure idonee a garantire la sicurezza del servizio. La diligenza posta a carico del professionista ha natura tecnica e deve essere valutata tenendo conto dei rischi tipici della sfera professionale di riferimento ed assumendo come parametro la figura dell’accorto banchiere.
Ne discende che, anche al fine di garantire la fiducia degli utenti nella sicurezza del sistema (ciò che rappresenta interesse degli stessi operatori), appare del tutto ragionevole ricondurre nell'area del rischio professionale del prestatore di servizi di pagamento, prevedibile ed evitabile con appropriate misure destinate a verificare la riconducibilità delle operazioni alla volontà del cliente, la possibilità di una utilizzazione dei codici da parte di terzi, non attribuibile al dolo del titolare o a comportamenti talmente incauti da non poter essere fronteggiati in anticipo.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sezione I civile, con la sentenza del 3 febbraio 2017 n.
2950.
Marzo 2017
10 ESECUZUZIONI Avv. Daniele Franzini
ESPROPRIAZIONE IMMOBILIARE
In caso di espropriazione immobiliare intrapresa dall’istituto di credito mutuante, in forza di cambiale rilasciata dal soggetto mutuatario a garanzia dell’esatto adempimento di un contratto di finanziamento, la cambiale medesima costituisce idoneo titolo esecutivo soltanto se in regola con l’imposta di bollo.
Non costituisce, quindi, valido titolo esecutivo la cambiale rilasciata dal soggetto mutuatario non in regola con l’imposta di bollo.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 3792 del 14 febbraio 2017.
Gli Ermellini hanno, altresì, chiarito che – per la verifica della regolarità della cambiale ai fini dell’imposta di bollo - è necessario distinguere tra operazioni di finanziamento finalizzate ad investimenti finanziari e contratti di finanziamento stipulati per esigenze familiari.
La normativa di riferimento è contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica n. 601 del 29 settembre 1973 (recante “Disciplina delle agevolazioni tributarie”), il cui Titolo IV è dedicato alle “Agevolazioni per il settore del credito”.
In particolare, l’art. 15 prevede per le operazioni di credito a medio e lungo termine, nonché per
“tutti i provvedimenti, atti, contratti e formalità inerenti alle operazioni medesime, alla loro esecuzione, modificazione ed estinzione, alle garanzie di qualunque tipo da chiunque e in qualsiasi momento prestate e alle loro eventuali surroghe, sostituzioni, postergazioni, frazionamenti e cancellazioni anche parziali, ivi comprese le cessioni di credito stipulate in relazione a tali finanziamenti, nonché alle successive cessioni dei relativi contratti o crediti e ai trasferimenti delle garanzie ad essi relativi” una serie di agevolazioni fiscali, consistenti, nello specifico, nella esenzione dall’imposta di bollo, dalle imposte ipotecarie e catastali e dalle tasse sulle concessioni governative.
Nel decidere il ricorso proposto da un istituto di credito avverso la sentenza resa dalla Corte d’Appello di Lecce a definizione di un’opposizione all’esecuzione proposta dal debitore ai sensi dell’art. 615 c.p.c., la Suprema Corte ha previamente individuato l’ambito di applicazione dell’art. 15 del D.P.R. 601/1973, stabilendo che le operazioni di finanziamento cui si applica la citata disposizione normativa sono quelle che si traducono nella provvista di disponibilità finanziarie, cioè nella possibilità di attingere denaro da impiegare in investimenti produttivi.
Marzo 2017
11
Viceversa, il negozio complesso avente ad oggetto l’erogazione di una somma di denaro a titolo di mutuo e la contemporanea costituzione su essa di un pegno ovvero il contemporaneo rilascio di una garanzia a favore della banca erogatrice, non consentendo un investimento produttivo della somma medesima, esula dall’ambito applicativo del menzionato art. 15.
Conseguentemente, secondo il dictum dei Supremi Giudici, la cambiale rilasciata dal soggetto mutuatario a garanzia dell’esatto adempimento di un contratto di finanziamento stipulato per esigenze familiari (ovvero per finalità diverse dall’impiego della somma mutuata in investimenti finanziari) non gode del trattamento fiscale agevolato previsto dall’art. 15 del D.P.R. 601/1973.
Pertanto, la cambiale, se non in regola con l’imposta di bollo, non costituisce titolo esecutivo idoneo a fondare l’esecuzione forzata.
L’eventuale pignoramento dell’immobile del soggetto mutuatario, eseguito dall’istituto mutuante in virtù della cambiale non in regola con l’imposta di bollo, deve, quindi, essere dichiarato inefficace.
NEWS
ESPROPRIAZIONE MOBILIARE PRESSO IL TERZO
In caso di incapienza del patrimonio del debitore l’atto di pignoramento determina un effetto interruttivo della prescrizione avente carattere permanente.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 3741 del 13 febbraio 2017.
I Giudici di legittimità hanno in primis ribadito che l’atto di precetto, contenendo un’intimazione ad adempiere rivolta al debitore (con conseguente messa in mora di quest’ultimo), produce un effetto interruttivo della prescrizione del relativo diritto di credito a carattere istantaneo, sicché, verificatosi tale effetto, inizia a decorrere, dalla data della sua notificazione, un nuovo periodo di prescrizione (artt. 2943, comma terzo e 2945, comma primo, cod. civ.).
Quanto all’atto di pignoramento i Giudici di legittimità hanno precisato che detto atto determina un doppio effetto, ovvero un effetto interruttivo della prescrizione e, allo stesso tempo, sospensivo della prescrizione stessa, in virtù del disposto dell’art. 2943, comma primo, cod. civ., poiché ad esso consegue l’introduzione di un giudizio di esecuzione tutte le volte in cui risulti notificato regolarmente al debitore. In particolare, secondo i Supremi Giudici, l’effetto interruttivo della prescrizione ha carattere permanente tutte le volte in cui l’impossibilità di soddisfarsi per il creditore non sia dipesa da sua inerzia, bensì da motivi diversi, quali l’insufficienza della retribuzione già colpita da altri pignoramenti.
Marzo 2017
12 IPOTECA ISCRITTA DA EQUITALIA
In tema di riscossione coattiva delle imposte, l’ipoteca iscritta da Equitalia è nulla qualora non sia stato garantito il diritto al contraddittorio del contribuente.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 4587 del 22 febbraio 2017.
I Giudici di legittimità hanno statuito che l’amministrazione finanziaria, prima di procedere all’iscrizione di ipoteca su beni immobili ai sensi dell’art. 77 del D.P.R. 602/1973, deve previamente comunicare al contribuente che procederà all’iscrizione medesima e concedere al contribuente un termine di 30 giorni per presentare osservazioni o effettuare il pagamento.
La Suprema Corte ha così chiarito che l’omessa attivazione del contraddittorio comporta la nullità dell’iscrizione ipotecaria per violazione del diritto alla partecipazione al procedimento, diritto garantito anche dagli articoli 41, 47 e 48 della Carta dei diritti della Unione europea, fermo restando che, attesa la natura reale dell’ipoteca, l’iscrizione mantiene la sua efficacia fino alla sua declaratoria giudiziale di illegittimità.
Marzo 2017
13 DIRITTO DEL LAVORO Avv. Francesca Frezza
RITARDO NELLA CONTESTAZIONE DISCIPLINARE: IL FATTO È “INSUSSISTENTE”
Il fatto non tempestivamente contestato ex art. 7 L. n. 300/70 deve essere considerato come
“insussistente” non possedendo l’idoneità ad essere verificato in giudizio.
È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con sentenza n. 2513 del 31 gennaio 2017.
La questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte riguardava una lavoratrice delle Poste Italiane S.p.a. la quale, ottenuto il ripristino del rapporto a tempo interminato per effetto dell’illegittimità del termine apposto al contratto, manifestava la propria disponibilità a riprendere servizio presso la sede ove aveva operato a tempo determinato, ma veniva trasferita dalla società in altra sede, situata in diversa regione (Calabria). La lavoratrice non vi si recava e le Poste, dopo 15 mesi dalla mancata presa di servizio presso la nuova sede, contestavano alla medesima l’assenza ingiustificata per oltre 60 giorni.
Il giudizio di merito si concludeva in sede di reclamo con la declaratoria di illegittimità del licenziamento e la condanna della società alla reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro ed al risarcimento ex art. 18, comma 4, St. lav.
Con ricorso per Cassazione il datore di lavoro, tra le altre, lamentava la violazione e falsa applicazione dell’art. 18 St. lav. dal momento che nella novella del 2012 il legislatore aveva previsto per il licenziamento inefficace per violazione dell’art. 7 St. lav. la tutela indennitaria (6- 12 mensilità di retribuzione) e non quella reale.
Cassazione , offrendo una interpretazione del tutto innovativa, respingeva il motivo di ricorso con la seguente motivazione: “un fatto non tempestivamente contestato ex art. 7 L. n. 300/70 non può che essere considerato come “insussistente” non possedendo l’idoneità ad essere verificato in giudizio. Si tratta in realtà di una violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro a carattere radicale che, coinvolgendo i diritti di difesa del lavoratore, impedisce in radice che il Giudice accerti la sussistenza o meno del “fatto”, e quindi di valutarne la commissione effettiva, anche a fini della scelta tra i vari regimi sanzionatori. Non essendo stato contestato idoneamente ex art. 7 il “fatto” è tamquam non esset e quindi “insussistente” ai sensi a dell’art. 18 novellato. Sul piano letterale la norma parla di insussistenza del “fatto contestato” (quindi contestato regolarmente) e quindi, a maggior ragione, non può che riguardare anche l’ipotesi in cui il fatto sia stato contestato abnormente e cioè in aperta violazione dell’art. 7”.
Marzo 2017
14
Secondo la Suprema Corte, quindi, se il datore contesta il fatto idoneo a determinare una condotta colpevole del lavoratore con eccessivo ritardo, quella condotta non può essere più considerata disciplinarmente rilevante, anzi non esiste più.
DIVIETO DI CONTROLLO INDISCRIMINATO SU MAIL AZIENDALI E SMARTPHONE
Il datore di lavoro non può effettuare un controllo “massivo, prolungato e indiscriminato”
all’attività del lavoratore.
E’ quanto previsto dal Garante della privacy con provvedimento n. 547 del 22 dicembre 2016, che ha dichiarato illegittimo il trattamento dei dati effettuato da una multinazionale.
Il Garante ha evidenziato, infatti, che il datore di lavoro, pur avendo la facoltà di verificare l'esatto adempimento della prestazione professionale ed il corretto utilizzo degli strumenti di lavoro da parte dei dipendenti, deve in ogni caso salvaguardarne la libertà e la dignità e, in applicazione dei principi di liceità e correttezza dei trattamenti dei dati personali, informare in modo chiaro e dettagliato circa le consentite modalità di utilizzo degli strumenti aziendali e l’eventuale effettuazione di controlli anche su base individuale. Il provvedimento viene emesso all’esito di un reclamo promosso da un dipendente che lamentava un illegittimo trattamento effettuato dal datore di lavoro, che avrebbe acquisito informazioni anche private contenute nella e-mail e nel telefono aziendale, sia durante il rapporto sia dopo la sua risoluzione.
All’esito dell’istruttoria è emerso che la società non aveva adeguatamente informato i lavoratori sulle modalità e finalità di utilizzo degli strumenti elettronici in dotazione, né su quelle relative al trattamento dei dati.
Con riferimento ai trattamenti di dati effettuati attraverso l’account di posta elettronica aziendale è emerso nel corso del procedimento che la società aveva raccolto i dati contenuti nelle e-mail in transito sull’account sia nel corso del rapporto di lavoro che successivamente alla sua cessazione, quantomeno fino all’esaurimento della procedura di cancellazione dell’account (sei mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro).
Emergeva altresì che tale procedura di cancellazione e di effettiva disattivazione era strutturata in modo da conservare copia di tutta la corrispondenza per ben dieci anni.
Esisteva anche una procedura che consentiva alla società di accedere al contenuto dei messaggi anche di carattere privato.
E’ stato accertato inoltre, che il titolare del trattamento poteva accedere alle informazioni contenute negli smartphone in dotazione ai dipendenti, di copiarle o cancellarle, di comunicarle a terzi violando i principi di liceità, necessità, pertinenza e non eccedenza del trattamento.
Marzo 2017
15
Il Garante, pertanto, ha affermato che “la raccolta sistematica delle comunicazioni elettroniche, la loro memorizzazione per un periodo di dieci anni e la possibilità di accedervi all’esito di una procedura, consente alla società di effettuare il controllo dell’attività dei dipendenti. Ciò risulta in contrasto con la disciplina di settore in materia di controlli a distanza. Tale disciplina, infatti, pure a seguito delle modifiche disposte con l’art. 23 del d.lgs. 14 settembre 2015 n. 151, non consente l’effettuazione di attività idonee a realizzare, anche indirettamente, il controllo massivo, prolungato e indiscriminato dell’attività del lavoratore”.
NEWS
LICENZIAMENTI COLLETTIVI: EFFICACIA SANANTE DELL’ACCORDO SINDACALE
L’accordo sindacale raggiunto per sanare i vizi di una procedura di licenziamento collettivo non ha efficacia retroattiva e si applica unicamente ai licenziamenti effettuati dopo l’entrata in vigore della Legge Fornero.
È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 3045 del 6 febbraio 2017 che ha ritenuto infondata la tesi secondo la quale l’art. 1, comma 45 della l. 92/2012, in relazione all’art.
4, comma 12, l. 223/91, ha carattere interpretativo e, quindi, retroattivo.
La Corte precisa, infatti, che la novella del 2012 ha introdotto un elemento del tutto “innovativo”
prevedendo che “gli eventuali vizi delle comunicazioni di cui al comma 2 del presente articolo possono essere sanati, ad ogni effetto di legge, nell’ambito di un accordo sindacale concluso nel corso della procedura di licenziamento collettivo”.
La Corte, dando atto di un precedente e prevalente indirizzo della stessa, secondo il quale l’accordo collettivo raggiunto nel contesto di una procedura di mobilità non è idoneo di per sé a sanare i vizi della procedura, afferma, tuttavia, che la nuova disciplina introdotta dalla Legge Fornero ha carattere “innovativo e la ratio ispiratrice consiste nella possibilità” di prevedere che parti inseriscano nell’accordo collettivo una specifica clausola che prevede espressamente la sanatoria di eventuali vizi.
Marzo 2017
16
DIRITTO SOCIETARIO, COMMERCIALE E COMMERCIO INTERNAZIONALE Avv. Milena Prisco
START UP E PMIINNOVATIVE I CHIARIMENTI DEL MISE: SPUNTI E RIFLESSIONI
Il 14 febbraio il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) con la Circolare n. 3696/C ha fornito preziosi chiarimenti circa i requisiti delle Start Up e delle PMI innovative oltre che i criteri per la loro valutazione da parte dei Registri delle Imprese al momento delle verifiche preventive e di quelle dinamiche che condizionano l’iscrizione e la permanenza di queste società nelle rispettive sezioni speciali del Registro, condizione necessaria per beneficiare del regime del DL 179/2012 e del DL 3/2015.
***
La Circolare n. 3696/C costituisce un documento di sintesi capace di dare una panoramica sugli orientamenti del MISE che si sono susseguiti nel corso degli anni in relazione all’interpretazione dei requisiti sostanziali, imposti dalla normativa per le Start Up (DL 179/2012) e per le PMI innovative (DL 3/2015) come condizioni necessarie per accedere alla disciplina speciale. I requisiti caratterizzanti le Start Up e le PMI innovative passano il vaglio delle verifiche del Registro delle Imprese sia nell’ambito degli adempimenti preventivi e prodromici al momento dell’iscrizione delle società nel registro speciale sia nell’ambito di quelle cosiddette dinamiche che avvengono periodicamente per accertare la permanenza dei requisiti. La pubblicazione della Circolare arriva in un momento cruciale considerato che il prossimo 18 dicembre scade il termine quinquennale dalla data di costituzione delle società per la permanenza delle Start Up nella sezione speciale. A tal proposito la Circolare ha raccomandato i Registri delle Imprese di inviare tempestivi alert alle Start Up in “scadenza” al fine di consentire alle stesse di procedere con la modalità semplificata per la conversione senza soluzione di continuità in PMI innovative, ove ve ne siano i requisiti. La posizione del MISE riflette un approccio ormai consolidato e volto a fornire tutti i chiarimenti utili per impostare una Startup in un’ottica di lungo periodo che sfoci, dopo il primo quinquennio di avviamento, nella morfologia delle PMI innovative, il cui regime di favore non sconta limiti di tempo. Questo approccio deve, pertanto, incoraggiare gli imprenditori a strutturare la propria attività innovativa secondo i parametri della normativa ed a costruire i loro business plan già nell’ottica di poter crescere come una PMI, i cui requisiti di base sono il numero dei dipendenti inferiore a 250 e un fatturato non superiore a 50 milioni di euro o un totale di bilancio non superiore a 43 milioni di euro.
Passando in rassegna i requisiti preventivi, la Circolare chiarisce come anche le società di capitali, basate negli Stati membri dell'Unione europea o in quelli aderenti all'Accordo sullo spazio
Marzo 2017
17
economico europeo, possono accedere alla normativa speciale, a condizione che abbiano in Italia una filiale o anche solo una “sede produttiva”, quest’ultima intesa tanto come sede secondaria quanto come semplice unità locale di impresa “estera”. Il chiarimento non è di poco conto se coordinato con il pacchetto di incentivi fiscali introdotti dalla Legge di Bilancio 2017 e può rappresentare un elemento interessante di attrazione di investimenti.
Riguardo al core business delle Startup, e delle PMI la prevalenza del carattere innovativo non può limitarsi solo ad una attenta descrizione dell’oggetto sociale della società ma deve essere connesso con una serie di elementi non correlati alla mera formulazione testuale in cui consta l’oggetto sociale. Ed infatti, qualora la Startup presenti il requisito della privativa industriale per la titolarità di un brevetto o di una domanda di brevetto o di un software originale, questi asset per espressa disposizione di legge, devono essere “direttamente afferenti all'oggetto sociale e all'attività di impresa”. Il carattere innovativo del core business è l’elemento che maggiormente viene passato al vaglio del Registro delle Imprese che compie una attenta valutazione sulla prevalenza del carattere innovativo che va dall’ esame documentale di presentazioni e business plan, al sito web, con particolare attenzione ai casi in cui la Startup sia ospitata presso un incubatore o un acceleratore.
Guardando al lungo periodo, i requisiti che si sostanziano in licenze di privative industriali e software, dovranno fondarsi su accordi di licenza con durata prolungata o addirittura illimitata evitando meccanismi di interruzione del contratto in via anticipata rispetto alla naturale scadenza (es. recesso delle parti) e questo per evitare che venga meno il requisito nel corso della vita della Startup, con conseguente decadenza dal regime speciale. Nel caso, invece, di domande di brevetto in corso di concessione, sarà opportuno, in caso di mancata registrazione, ovviare alla venuta meno del requisito con diversi requisiti alternativi. Infine per “blindare” la permanenza del requisito che più degli altri fonda il carattere innovativo della Startup, sarebbe opportuno stabilire dei vincoli di indisponibilità (es. divieti di cessione /sub-licenza).
Lo stesso approccio del lungo periodo deve aversi anche con riferimento al requisito del personale qualificato, in cui rientrano il lavoro dipendente, la para-subordinazione (è il caso del socio amministratore) e la “collaborazione a qualunque titolo”, che viene agevolmente garantito con contratti a tempo indeterminato o determinato e rinnovabili, con cariche in consiglio di amministrazione per un periodo superiore ai tre anni o fino a revoca, con contratti di collaborazione di lunga durata e sprovvisti di meccanismi di interruzione automatica (es. recesso senza giusta causa del collaboratore) e quindi incontrollabile per la Startup.
Marzo 2017
18
In conclusione, la Circolare del MISE deve essere l’occasione per ripensare a come rendere l’innovazione delle nostre imprese non un espediente spot, ma una caratterista strutturale che diventi la prerogativa durevole della crescita e dello sviluppo delle Startup in PMI.
NEWS
L’AMMINISTRATORE DELLA SOCIETÀ È UN “INSUBORDINATO”
Le Sezioni Unite tornano ad occuparsi, dopo più di 20 anni, del rapporto che corre tra società e amministratori per sostenere che si tratta di un rapporto di tipo “societario” non assimilabile né ad un contratto d’opera né tanto meno ad un rapporto di tipo subordinato o parasubordinato.
L’amministratore è, pertanto, “il vero egemone” della gestione dell’impresa con la conseguenza che per principio non è sostenibile la natura subordinata del rapporto che lo lega alla società, salvo il ricorrere effettivo di elementi rilevatori di un rapporto di lavoro subordinato.
L’intervento della Suprema Corte segna un passaggio storico e soprattutto il riconoscimento degli interventi legislativi sopravvenuti in questi 23 anni (l’ultima sentenza delle SS. UU. al riguardo è infatti datata 1994). Sempre sul tema i giudici hanno inoltre constatato come, in ogni caso, per la qualificazione di un rapporto di lavoro come subordinato ai sensi dell’art. 409, n. 3 c.p.c., sia necessaria la presenza di un’attività di coordinamento, che deve essere intesa come vera e propria soggezione del lavoratore alle direttive di un individuo/organo posto in posizione gerarchicamente superiore; con ciò escludendo la possibilità di considerare tout court l’amministratore come un lavoratore subordinato. La sentenza mette al riparo dal rischio di subordinazione la prassi consolidata delle aziende di remunerare gli amministratori con compensi fissi mensili slegati da variabili di produttiva individuale o redditività dell’azienda, tuttavia espone l’amministratore al rischio che il proprio compenso sia pignorabile senza il limite del quinto previsto per i lavoratori subordinati. È indispensabile precisare che tutto questo discorso concerne la figura dell’amministratore societario nelle sue funzioni tipiche di gestione e rappresentanza della società; cosa diversa se in parallelo s’instauri, tra la società e “la persona fisica che la rappresenta e la gestisce, anche un autonomo, parallelo e diverso rapporto che assuma, secondo l’accertamento esclusivo del giudice del merito, le caratteristiche di un rapporto subordinato, parasubordinato o d’opera”.
SABATINI-TER +INDUSTRIA 4.0=SABATINI 4.0
Con l’obiettivo di incentivare la manifattura digitale e il ricambio tecnologico (e di conseguenza, l’efficienza e la capacità di innovazione dell’industria), il Governo ha prorogato la cosiddetta
Marzo 2017
19
“Sabatini-bis” (che diventa Sabatini-ter con scadenza al 31 dicembre 2018), un provvedimento che mira ad incentivare l’“acquisto, anche in leasing, di macchinari, attrezzature, impianti, beni strumentali ad uso produttivo, nonché di hardware, software e tecnologie digitali” attraverso la copertura (da parte del Mise) di una parte degli interessi maturati su finanziamenti bancari compresi tra i 20.000 e i 2 milioni di euro.
In relazione ad investimenti “ordinari”, ovvero a quegli investimenti che non riguardano il digitale e le nuove tecnologie, la Sabatini-ter consente di accedere ad un contributo pari al valore degli interessi che l’impresa pagherebbe se il finanziamento concessole avesse un piano di ammortamento con rata semestrale al tasso del 2,75% annuo per la durata di 5 anni. In altre parole, se l’impresa avesse ottenuto un finanziamento a condizioni d’interesse più favorevoli rispetto al 2,75%, il contributo non andrebbe solo a coprire gli interessi, ma anche parte del capitale da rimborsare. Ove invece avesse ottenuto condizioni meno favorevoli, l’impresa vedrebbe comunque ridotto l’ammontare degli interessi dovuti alla banca.
Questo per quanto riguarda gli investimenti ordinari. Se invece gli investimenti riguardano strumenti e tecnologie digitali, rientranti nel piano Industria 4.0, il contributo della Sabatini-ter viene maggiorato del 30% passando, quindi, al 3,575% annuo.
Dal 1 marzo le imprese potranno presentare domanda per usufruire di quest’ultimo contributo maggiorato a fronte di investimenti in tecnologie digitali e in sistemi di tracciamento e pesatura dei rifiuti, utilizzando il nuovo modulo (“release 4.0” - le domande presentate con il vecchio modulo dopo il 1 marzo non saranno ammissibili).
FRANCIA: LA LENTE DEL GIUDICE SUI CONTRATTI COMMERCIALI
imprenditori, con un focus particolare sulla c.d. convention unique (v. newsletter di Febbraio:
“Francia: dal 1 gennaio la nouvelle dei contratti commerciali”), la recente sentenza della Cour de Cassation (n. 15-23.547), muovendo proprio da un contratto quadro introduce ulteriori limiti alla strutturazione dei rapporti tra imprese e un “nuovo” tipo di controllo giudiziale su questo tipo di accordi commerciali.
Partendo dall’art. 442-6, I, n. 2, del Code du Commerce (che sancisce la responsabilità della parte che abbia imposto e cerchi di imporre all’altra significativi squilibri contrattuali), la Corte infatti introduce la possibilità di un sindacato giudiziale non solo in relazione al rapporto tra diritti e obblighi, ma addirittura al prezzo negoziato dalle parti.
La decisione sovverte la precedente interpretazione della norma (in precedenza letto in combinato con gli artt. 1171, co. 2 del Code Civil e L212-1 del Code de la Consommation - Codice del
Marzo 2017
20
Consumo), la quale limitava il controllo del giudice ai soli obblighi contrattuali senza con ciò arrivare ad intaccare la libera negoziabilità dei prezzi tra le parti. Secondo la Corte, infatti, l’art.
442-6 segue una logica propria, che, se da un lato, porta a limitare il principio della libertà di negoziazione, dall’altro non arriva a lederne lo spirito, andando anzi ad inserirsi in tutti quei casi in cui una libera negoziazione, nei fatti, non si è avuta o si è avuta in una situazione di forte squilibrio quanto al potere di una delle parti.
L’orientamento della Corte diventa cruciale con riferimento ai contratti quadro predisposti per essere firmati dalle parti senza troppo spazio lasciato alla negoziazione tanto più che il controllo giudiziale può essere attivato non solo a seguito dell’insorgere di una causa intentata dal partner commerciale eventualmente leso, ma anche dal presidente dell’Autorité de la Concurrence, dai Pubblici Ministeri e dal Ministro delle Finanze. Gli imprenditori italiani con un ridotto potere negoziale sono, quindi, tutelati nel caso di contratti quadro fortemente sbilanciati a favore del partner francese.