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Il Trattato di Dublino

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Academic year: 2022

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PARROCCHIA SAN IACOPO MAGGIORE - ALTOPASCIO

Il Trattato di Dublino

Situazione attuale e possibili riforme nella gestione del fenomeno migratorio

Commissione Politica, Sociale e Lavoro

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INTRODUZIONE

Il pensiero della Chiesa riguardo all’immigrazione

Sin dall’Antico Testamento la testimonianza del popolo d‘Israele è quella dell’accoglienza nei confronti dello straniero perché anch’esso straniero in terra d’Egitto, in questo modo risponde alla propria vocazione professando la fede in Dio. Questo atteggiamento lo troviamo esplicitamente nel Codice dell’Alleanza (Es 20,22 – 23,33), nel Deuteronomio e nel Codice di Santità (Lv 17-26).

Questi valori si tramandano anche nel Nuovo Testamento che aggiunge e sottolinea l’importanza di sentirsi un unico popolo superando le barriere razziali e religiose e vivendo in questo modo il carisma della carità. Nel Vangelo troviamo principalmente tre motivi che caratterizzano il comportamento cristiano verso il forestiero: un motivo cristologico, uno carismatico, e uno escatologico.

Il motivo cristologico è ricordato in Mt 25 dove Gesù proclama che chi accoglie il forestiero accoglie lui stesso: “ero forestiero e mi avete ospitato”. L'accoglienza dello straniero non è una semplice opera buona, ma l'occasione per vivere il rapporto con Gesù.

Il motivo carismatico sta nel primato della carità. La carità é un dono superiore ad ogni altro, si esercita verso tutti, quindi anche verso lo straniero, come sottolinea la parabola del buon samaritano. Costui, considerato straniero dal popolo ebraico, non ha esitato a soccorrere un ebreo ferito, ha superato le barriere razziali e religiose e si è fatto prossimo (Lc 10,36), vivendo in questo modo il carisma della carità.

Il motivo escatologico concerne la destinazione dell'uomo alla vita eterna, tutti i credenti in Cristo sono pellegrini e stranieri in questo mondo, pertanto i cristiani sentendosi pellegrini in questa terra, sono invitati a comprendere le sofferenze e i bisogni di quanti sono stranieri e pellegrini rispetto alla patria terrena.

Il Vangelo ci fa comprendere che la morte di Gesù in croce abbatte ogni frontiera e ci fa membri di una umanità che trova la sua unità in Cristo. Lo Spirito del risorto suscita in ogni credente il carisma dell'accoglienza e quindi, sospinti da questa forza, possiamo aprirci alla scoperta di Cristo nello straniero che bussa alla nostra porta.

Nella visione cristiana gli esseri umani non sono solo cittadini di un Paese, ma anche e sempre membri della famiglia umana. Per questo è sempre un dovere morale dare rifugio a coloro che in patria sono esposti alla persecuzione o patiscono per una situazione di estrema emergenza.

Il vedere l’intera umanità come una famiglia, porta a capire quale sia la direzione da seguire quando si affronta un problema così complesso come l’immigrazione. L’altro è nostro fratello, e non un uomo qualsiasi.

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La Chiesa dice chiaramente che anche chi non ha il permesso di soggiorno gode dei diritti umani, che non gli possono essere negati:

Non è superfluo ricordare che i profughi politici sono persone; e che a loro vanno riconosciuti tutti i diritti inerenti alla persona: diritti che non vengono meno quando essi siano stati privati della cittadinanza nelle comunità politiche di cui erano membri. Fra i diritti inerenti alla persona vi è pure quello di inserirsi nella comunità politica in cui si ritiene di potersi creare un avvenire per sé e per la propria famiglia; di conseguenza quella comunità politica, nei limiti consentiti dal bene comune rettamente inteso, ha il dovere di permettere quell’inserimento, come pure di favorire l’integrazione in sé stessa delle nuove membra (Enciclica Pacem in Terris, Giovanni XXIII).

Inoltre l’emigrazione e l’immigrazione sono considerati diritti delle persone, in quanto cittadini della comunità mondiale:

Ogni essere umano ha il diritto alla libertà di movimento e di dimora nell’interno della comunità politica di cui è cittadino; ed ha pure il diritto, quando legittimi interessi lo consiglino, di immigrare in altre comunità politiche a stabilirsi in esse. Per il fatto che si è cittadini di una determinata comunità politica, nulla perde di contenuto la propria appartenenza, in qualità di membri, alla stessa famiglia umana; e quindi l’appartenenza, in qualità di cittadini, alla comunità mondiale (Enciclica Pacem in Terris, Giovanni XXIII).

Profughi immigrazione e lavoro: una risorsa e una necessità

“L'immigrazione può essere una risorsa, anziché un ostacolo per lo sviluppo. Nel mondo attuale, in cui si aggrava lo squilibrio fra Paesi ricchi e Paesi poveri e in cui lo sviluppo delle comunicazioni riduce rapidamente le distanze, crescono le migrazioni di persone in cerca di migliori condizioni di vita, provenienti dalle zone meno favorite della terra: il loro arrivo nei Paesi sviluppati è spesso percepito come una minaccia per gli elevati livelli di benessere raggiunti grazie a decenni di crescita economica. Gli immigrati, tuttavia, nella maggioranza dei casi, rispondono a una domanda di lavoro che altrimenti resterebbe insoddisfatta, in settori e in territori nei quali la manodopera locale è insufficiente o non disposta a fornire il proprio contributo lavorativo.” (297. Compendio della dottrina sociale della Chiesa)

La manodopera straniera ricopre nella stragrande maggioranza dei casi ruoli di lavoro non qualificato che gli italiani non sono più disposti a fare. Inoltre, la riduzione della popolazione italiana in età lavorativa che si aspetta nei prossimi anni (stimata di 1,8 mln di persone nei prossimi 10 anni) potrà essere compensata dall’immigrazione, almeno parzialmente. La riduzione della popolazione che lavora infatti comporterà un pericoloso abbassamento del numero dei contribuenti, soprattutto a confronto con l’aumento dei pensionati: già oggi gli immigrati sono principalmente contribuenti, prima che usufruenti di trattamenti pensionistici-previdenziali-assistenziali. I problemi lavorativi che si generano con l’immigrazione nascono da un errato comportamento nei paesi accoglienti, ovvero, lo sfruttamento della manodopera a basso costo può comportare situazioni di disparità e perdita di occasioni di lavoro per gli italiani. Tuttavia il problema resta lo sfruttamento e, dunque, lo sfruttatore, non lo sfruttato.

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Da sottolineare come il Compendio individui nel “benessere raggiunto” il principale bene che interessa tutelare ai paesi sviluppati.

“La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro! Dov’è tuo fratello? Oggi nessuno nel mondo si sente responsabile di questo;

abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parlava Gesù nella parabola del Buon Samaritano:

guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo “poverino”, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci tranquillizziamo, ci sentiamo a posto”. (Papa Francesco, omelia a Lampedusa, 08-07-2013)

Dall’omelia di Papa Francesco si capisce come l’indifferenza non debba essere una caratteristica di un cristiano. Siamo quindi chiamati a non essere indifferenti e ad affrontare il problema. Ma come si affronta?

A fronte di quanto è stato spiegato precedentemente sembra chiaro il messaggio della Chiesa, che è quello di vedere l’altro come un fratello e quindi membro della stessa famiglia. Questo dovrebbe portare ad una naturale solidarietà ed a considerare quello che è stato l’esempio di Gesù. La Chiesa incoraggia un’unità mondiale per la risoluzione di problemi come le migrazioni, e cerca di dare delle linee guida su come affrontare i flussi migratori:

La regolamentazione dei flussi migratori secondo criteri di equità e di equilibrio è una delle condizioni indispensabili per ottenere che gli inserimenti avvengano con le garanzie richieste dalla dignità della persona umana. Gli immigrati devono essere accolti in quanto persone e aiutati, insieme alle loro famiglie, ad integrarsi nella vita sociale. In tale prospettiva va rispettato e promosso il diritto al ricongiungimento familiare. Nello stesso tempo, per quanto è possibile, vanno favorite tutte quelle condizioni che consentono accresciute possibilità di lavoro nelle proprie zone di origine (298. Compendio della dottrina sociale della Chiesa).

Vivere le immigrazioni da un punto di vista cristiano vuol dire:

1- Regolare i flussi migratori: il che non significa “mandare a casa chi non ha diritto” ma impegnarsi a livello politico a non aumentare il divario fra paesi ricchi e poveri e agire direttamente, insieme agli stati più poveri per favorirne la crescita e l’indipendenza.

2- Integrare nel tessuto sociale l’immigrato: come si apprende bene ciò non significa annullare le differenze ma di restituire la piena dignità alla persona umana, ovvero la possibilità di lavoro, di esprimere rispettosamente la propria cultura e, soprattutto, di favorire l’aggregazione familiare e il “ricongiungimento” in maniera di non rompere quella che è la società naturale per eccellenza.

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Cenni storici dell’evoluzione delle normative in materia di domanda d’asilo:

1990 Convenzione sulla determinazione dello stato competente per l'esame di una domanda di asilo presentata in uno degli stati membri delle Comunità Europee (Convenzione di Dublino). Trattato tra membri UE e non come Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera.

Il "sistema di Dublino" fu istituito dalla omonima Convenzione di Dublino, firmata a Dublino (Irlanda) il 15 giugno 1990

1997 Entra in vigore il 1º settembre per i primi dodici stati firmatari (Belgio, Danimarca, Francia,

Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna e Regno Unito), il 1º

ottobre 1997 per Austria e Svezia.

1998 Entra in vigore per la Finlandia 1º gennaio 1998.

2003 Dublino II (regolamento 2003/343/CE) sostituisce il precedente in tutti gli Stati Membri dell’UE ad eccezione della Danimarca

2006 Accordo con la Danimarca sull'estensione dell'applicazione del regolamento anche in tale paese.

2008 Estensione alla Svizzera (dopo un referendum passato con il 54,6%) e al Liechtenstein.

Infine viene siglato un accordo con la Danimarca.

2013 Dublino III (2013/604/CE) va a sostituire il regolamento di Dublino II, e si applica a tutti gli Stati membri ad eccezione della Danimarca.

2015 Ai sensi del regolamento di Dublino, se una persona che presenta istanza di asilo in un paese dell'UE attraversa illegalmente le frontiere verso un altro paese, deve essere riconsegnata al primo stato. Durante la crisi europea dei migranti del 2015, l'Ungheria venne sommersa dalle domande di asilo di profughi provenienti dall'Asia; a partire dal 23 giugno 2015 ha iniziato a ricevere indietro i migranti che, entrati in Ungheria attraverso la Serbia, avevano successivamente attraversato i confini verso altri paesi dell'Unione europea. Il 24 agosto 2015, la Germania ha deciso di sospendere il regolamento di Dublino per quanto riguarda i profughi siriani e di elaborare direttamente le loro domande d'asilo. Altri stati membri, come la Repubblica Ceca, l'Ungheria, la Slovacchia e la Polonia, hanno di recente negato la propria disponibilità a rivedere il contenuto degli accordi di Dublino e, nello specifico, ad introdurre quote permanenti ed obbligatorie per tutti gli stati membri.

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Alle radici del termine: Regolamento di Dublino. Cosa è un regolamento nell’ordinamento giuridico europeo? I regolamenti sono le “leggi dell’Ue”, e cioè atti giuridici dell’Unione europea con portata generale (valgono per tutti), applicazione diretta (non hanno bisogno di essere recepiti all’interno dei vari ordinamenti nazionali) e obbligatorietà in tutti i propri elementi. Si sovraimpongono rispetto alle leggi nazionali.

Il regolamento di Dublino mira a "determinare con rapidità lo Stato membro competente”

(per una domanda di asilo) e prevede il trasferimento di un richiedente asilo in tale Stato membro.

Cosa prevede il trattato di Dublino 3 (quello attualmente in vigore)?

1. Qualsiasi domanda di asilo deve essere esaminata da un solo Stato membro.

2. Lo Stato competente, responsabile della gestione della domanda d’asilo del richiedente, è quello in cui abitano legalmente i suoi parenti stretti o dove ha già ricevuto un permesso di soggiorno.

3. In seconda battuta, in assenza di legami accertati, lo Stato che si fa carico della domanda è quello di primo ingresso. Per stabilire di quale si tratta, c'è una banca dati centrale, Eurodac, con le impronte di chi entra irregolarmente o presenta richiesta di asilo.

4. In caso di dubbi sulla competenza si apre una fase di accertamento. Le autorità del Paese dove è stata presentata una domanda possono chiedere il trasferimento del richiedente a un altro Stato, se si accerta che è quest'ultimo quello di ingresso nell'Ue.

5. Chi ottiene protezione internazionale da uno Stato può circolare per tre mesi nell'Ue ma non può trasferirsi stabilmente in nessun altro Stato membro.

6. Lo Stato mantiene la sua responsabilità per l'ingresso del migrante in Ue per 12-18 mesi. Trascorso questo periodo, il migrante può far ripartire la procedura in un altro Paese dell'Ue.

7. Uno Stato può rifiutarsi di trasferire un rifugiato nello Stato deputato ad occuparsene qualora si verifichi il pericolo di che esso riceva un “trattamento disumano e degradante”.

Il capo III del trattato di Dublino (artt. 7-15) è interamente dedicato ai “CRITERI PER DETERMINARE LO STATO MEMBRO COMPETENTE”. Lo stato di primo arrivo deve occuparsi di identificare il migrante e individuare secondo i criteri del Capo III del trattato quale sia lo Stato competente, che non necessariamente è quello di primo arrivo. I criteri sono elencati in rigoroso ordine gerarchico e danno ampio spazio ai ricongiungimenti famigliari e alla tutela dei minori.

Il meccanismo, apparentemente semplice, nasconde in realtà molte insidie. Lo Stato di primo arrivo infatti, dopo aver individuato il migrante, deve mettere in atto una serie di verifiche al fine di identificare lo Stato competente basandosi sui criteri del Capo III e collaborando con gli altri Stati membri: se ad esempio un migrante sbarca in Italia ma ha familiari in Francia, lo Stato competente diventa automaticamente quest’ultimo, a patto che fornisca al paese di primo arrivo (l’Italia) tutta la documentazione che attesta che il migrante in questione ha

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effettivamente familiari residenti in terra francese. Purtroppo, la collaborazione cui si fa riferimento come base del trattato di Dublino è molto spesso scarsa: gli Stati tendono a difendere le proprie frontiere e scaricano il problema sui paesi di primo approdo come l’Italia o la Grecia rendendo di fatto inefficace il meccanismo previsto dal trattato stesso.

È da sottolineare che il trattato non ha mai subito, nonostante varie riscritture, uno stravolgimento nella sua parte centrale riguardante appunto i criteri per lo smistamento dei migranti e probabilmente era concepito come uno strumento di “ordinaria amministrazione”, ma le ondate migratorie degli ultimi anni, unite al montante malcontento europeo in fatto di immigrazione, hanno messo a dura prova il trattato che si è rivelato inadeguato a fronte di una situazione di straordinarietà.

Obiettivi: - impedire che i richiedenti asilo possano presentare domanda in più Stati.

- ridurre i richiedenti asilo trasportati da Stato a Stato.

Critiche: - Secondo il Consiglio europeo per i rifugiati e gli esuli (ECRE) e l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), il sistema attuale non riesce a fornire una protezione equa, efficiente ed efficace.

- È stato dimostrato in diverse occasioni sia dall'ECRE sia dall'UNHCR, che il regolamento impedisce i diritti legali e il benessere personale dei richiedenti asilo, compreso il diritto a un equo esame della loro domanda d'asilo e, ove riconosciuto, a una protezione effettiva.

- Conduce a una distribuzione ineguale delle richieste d'asilo tra gli Stati membri.

- L'applicazione del regolamento può seriamente ritardare la presentazione delle domande e dar luogo a richieste d'asilo che non vengono mai prese in considerazione. Le cause di preoccupazione includono anche l'uso della detenzione per il trasferimento dei richiedenti asilo da parte dello Stato in cui fanno domanda allo Stato ritenuto competente (cosiddetto Dublin transfer), la separazione delle famiglie e la negazione di una effettiva possibilità di ricorso contro i trasferimenti.

- Il sistema di Dublino aumenta inoltre la pressione sulle regioni di confine esterno dell'UE, dove la maggioranza dei richiedenti asilo entrano nell'UE e in cui gli stati sono spesso meno in grado di offrire sostegno per l'asilo e la protezione dei richiedenti.

Due opzioni per Dublino 4:

1. Versione approvata dal Parlamento il 16 novembre 2017: Stabilire un meccanismo automatico di ripartizione a favore dei paesi più esposti. I principi di fondo sono quelli della «condivisione equa» di responsabilità (quanti richiedenti asilo vanno accolti, paese per paese) e solidarietà (l’aiuto da fornire ai paesi più esposti e le sanzioni da infliggere a chi si defila). Secondo il primo testo elaborato dalla Commissione, la quota di richiedenti asilo accettabili da un singolo paese deve essere proporzionata a un doppio criterio (Pil e popolazione, con incidenza del 50% ciascuno). Se un paese supera del 150% la sua “capienza”, ogni nuova richiesta deve essere reindirizzata in

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automatico ad altri paesi. Se questi ultimi rifiutano, scatta una penale di 250mila euro per ogni richiedente asilo che viene respinto.

Nella seguente tabella, una simulazione di come questa prima proposta si traduce nell’applicazione concreta:

Paese A Paese B

60 10 Popolazione

20 40 Pil

(60+20)/2=40 (10+40)/2=25 Criterio

8 5 Numero ammissibilità max

13 4 Situazione reale

162,5% 80% % della capienza

Sì No Reindirizzamento

automatico

Come si evince dalla tabella, il Paese A ha un evidente problema nella possibilità di accogliere altri richiedenti asilo. Se esistessero solo questi due Paesi, toccherebbe quindi obbligatoriamente a B farsi carico dei richiedenti asilo in eccesso. In caso B rifiutasse di prenderne 2, a questo Paese sarebbe comminata una multa da 500mila euro.

2. Versione del Consiglio: la Bulgaria, presidente di turno del Consiglio Ue, ha tentato di accelerare l’adozione del regolamento proponendo un testo di compromesso che rinforza la responsabilità e riduce la solidarietà. Il meccanismo di ridistribuzione scatterebbe su base volontaria solo quando un certo paese si “sovraccarica” del 160%

rispetto all’anno precedente, diventando obbligatorio solo quando si arriva al 180%. La proposta bulgara diminuisce la penale per il rifiuto di un richiedente da 250mila a 30mila euro, oltre a introdurre il principio di «responsabilità stabile»: quando un migrante entra in un certo paese, lo Stato in questione deve garantire di farsene carico per 10 anni. Nel caso in cui un paese dell’Unione europea superi del 120 per cento la quota stabilita di richiedenti asilo (calcolata tenendo conto del prodotto interno lordo e della popolazione) è previsto che scattino delle misure di aiuto. Nel caso in cui superi il 140 per cento è previsto un sistema di quote con adesione volontaria dei paesi membri. Infine solo nel caso in cui si superi la soglia critica del 160 per cento è previsto il ricollocamento obbligatorio (che comunque dovrebbe passare dal voto del Consiglio).

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ALCUNI DATI:

Come mostra il seguente grafico, gli sbarchi di migranti sulle coste italiane è andato nettamente diminuendo nel corso degli ultimi anni. Questa diminuzione è la conseguenza degli accordi presi dal Governo italiano, nel corso del 2017, con le milizie armate libiche.

Fonte Dipartimento di Pubblica Sicurezza

Tra questi migranti si possono prendere in esame i cosiddetti “Dublinanti”, cioè quelle persone che, arrivate in Italia, sono poi andate in altri paesi europei e in seguito rimandate in Italia per presentare richiesta di protezione internazionale e attendere l’esito della domanda, come prevede il regolamento di Dublino, essendo il nostro Paese il luogo del loro primo approdo.

Dal grafico seguente possiamo vedere come dal 2009 al 2016 le richieste da parte di altri Paesi UE verso l’Italia di riprendere dei migranti siano superiori a quelle del nostro Paese verso l’UE. Ovviamente questi dati mostrano solo il numero di richiedenti asilo che rientrano nel regolamento di Dublino e per i quali l’Italia diventa lo Stato di riferimento per la richiesta di protezione internazionale.

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Fonte Ministero dell’Interno

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Questi numeri sono molto lontani da quelli proposti dalle televisioni e dai giornali. Infatti i

“Dublinanti” sono solo una piccola parte della moltitudine di immigrati che arrivano in Italia.

Nel 2017 circa 130 mila persone hanno chiesto protezione al nostro Paese, un dato storico perché per la prima volta sono maggiori le richieste di asilo rispetto al numero di persone sbarcate, inoltre è un dato in aumento rispetto al 2016 (123.600 richieste) e al 2015 (83.970 richieste).

In totale, nel 2017 possiamo contare 183.681 tra rifugiati e richiedenti asilo in Italia che corrisponde a circa il 3% della popolazione residente.

(Fonte Fondazione Migrantes)

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