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Academic year: 2022

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A cura di Ennio Vial

La stabile organizzazione

Lo scopo del presente intervento è quello di fornire, in sintesi, una panoramica sulle principali questioni legate al tema della stabile organizzazione. Come noto, la stabile organizzazione rappresenta una delle modalità con le quali l’imprenditore può operare all’estero e presenta profili di criticità spesso ignoti ai soggetti che operano in ambito internazionale. Si ricorda, infatti, che anche un agente dipendente che conclude contratti all’estero configura la stabile organizzazione. Di conseguenza, quando un’impresa residente di uno Stato produce reddito d’impresa in un territorio diverso da quello della propria residenza dovrà sempre interrogarsi e verificare se in tale secondo stato non si configuri una stabile organizzazione. Definite, quindi, le ipotesi in cui si è in presenza di una stabile organizzazione (sono evidenziate ovviamente anche le ipotesi negative) si esamina la determinazione del reddito della stessa. Anche in tal caso si deve porre particolare attenzione poiché, come noto, la tassazione avviene sia nel paese della fonte che nel paese della casa madre con possibili fenomeni di doppia imposizione. Per evitare tali situazioni il legislatore nazionale e internazionale ha previsto la concessione di un credito d’imposta per le imposte pagate all’estero a titolo definitivo. Ulteriore elemento di criticità attiene ai rapporti tra casa madre e stabile organizzazione. Evidenzieremo, infatti, come i citati rapporti debbano ispirarsi al principio dell’arm’s lenghtossia del prezzo di libera concorrenza. Si analizzerà, infine, il ruling di standard internazionale che consente di raggiungere un accordo tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria in tema di prezzi di trasferimento e attribuzione dell’utile alla stabile organizzazione.

N. 23

del 12.06.2012 I Focus

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Si premette come la costituzione di una stabile organizzazione rappresenti una modalità a disposizione dell’imprenditore per sviluppare la sua presenza su un mercato estero. L’impresa può, infatti, strutturare la propria presenza all’estero con diverse modalità tra cui:

 la costituzione di una filiale estera, società o altro ente dotato di una completa autonomia giuridica e tributaria; la tassazione avviene esclusivamente in capo alla società estera fatta salva la distribuzione del risultato economico anche alla controllante nazionale1;

 l’istituzione di una stabile organizzazione priva di autonomia giuridica ma con autonomia tributaria;

 l’apertura di un ufficio di rappresentanza con funzioni meramente preparatorie e ausiliarie. L’ufficio in esame rappresenta la forma più “leggera” di intervento sui mercati esteri giacché, normalmente, non qualifica la creazione di un autonomo soggetto passivo di imposta; una struttura del genere, infatti, non possiede una propria identità giuridica distinta dalla casa madre e rappresenta quindi un mero centro di costo attraverso cui non può essere esercitata alcuna attività commerciale o industriale.

La stabile organizzazione rappresenta quindi una soluzione “intermedia” che costituisce una mera promanazione dell’impresa priva di autonomia soggettiva che sviluppa una compiuta attività commerciale all’estero.

La stabile ha, diversamente, un’autonomia tributaria e costituisce un autonomo soggetto d’imposta nel paese dove risiede; la stessa è tuttavia fiscalmente trasparente nei confronti della casa madre e non è quindi possibile ottenere vantaggi fiscali mediante la stessa.

Il reddito, infatti, è tassato prima in capo alla stabile e successivamente in capo alla casa madre con la possibilità, per quest’ultima di ottenere un credito per le imposte pagate all’estero a titolo definitivo. La tassazione complessiva sconta, in ogni caso, l’aliquota più alta dei due paesi. Si determina, quindi, l’immediata attribuzione dei redditi (o delle perdite) in capo alla casa madre, e non ci sono dividendi nei rapporti reciproci.

Si evidenzia come il concetto di stabile organizzazione derivi da una presunzione operata in ambito fiscale al fine di stabilire una regola di ripartizione del potere impositivo fra gli stati contraenti per i redditi d’impresa che una persona/società residente di uno stato produce in un diverso territorio (2). Pertanto, qualora un’impresa residente di uno Stato produce reddito d’impresa in un territorio diverso da quello della propria residenza dovrà

1 Prescindendo da considerazioni tributarie, vale la pena di sottolineare che la società di diritto locale, essendo un soggetto diverso dalla società controllante, sarà l’unica chiamata a rispondere di eventuali responsabilità derivanti dalla propria condotta.

2 A. Dragonetti, V. Piacentini, A. Sfondrini “Manuale di fiscalità internazionale”, Iposa, 2004, pag. 903.

La stabile organizzazion e: una possibile soluzione per operare all’estero

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sempre interrogarsi e verificare se in tale secondo stato non si configuri una stabile organizzaione.

Anche i soggetti che costituiscono all’estero una società con personalità giuridica devono prestare la massima attenzione; infatti, nello strutturare l’attività della propria controllata, devono evitare che la società sussidiaria possa configura l’esistenza di una stabile organizzazione. Ciò si può verificare quando le società estere sono “asservite”

alla controllante italiana e l’asservimento è rappresentato da una mancanza di indipendenza giuridica e patrimoniale della società estera. La società controllante, infatti, non deve assumere le decisioni strategiche ma deve svolgere, esclusivamente, una normale attività di direzione; inoltre, la necessità di autorizzazioni dalla casa madre per lo svolgimento della maggior parte delle attività ed il continuo finanziamento del soggetto estero, indicano una mancanza di autonomia decisionale e patrimoniale della controllata estera. Si consiglia quindi, quando si decide di intraprendere un’attività all’estero, di valutare attentamente oltre alle opportunità anche tutti i possibili profili si rischio da un punto di vista fiscale.

Come noto, fino all’entrata in vigore del D.Lgs. 344/2003, nel nostro ordinamento non esisteva una definizione di “stabile organizzazione”; la prassi amministrativa e la giurisprudenza facevano quindi riferimento alla definizione contenuta nell’art. 5 del Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni. Ad introdurre nel nostro ordinamento, ed in particolare nell’art. 162 del T.U.I.R., una specifica definizione di tale nozione, è stata la legge delega 80/2003 comma 4,1 lettera a).

Il comma 1 dell’art. 162 del T.U.I.R. stabilisce che la definizione interna di stabile organizzazione ha rilevanza ai fini delle imposte dirette e dell’IRAP; si vuole quindi chiarire che la nozione in esame non si estende ad altri tributi far cui, in particolare, l’Iva. Vedremo, nei successivi paragrafi, che ai fini iva è necessario fare riferimento al concetto di “centro di attività stabile” contenuto nella direttiva 77/388/CEE.

Si ricorda, inoltre, che le norme a cui il contribuente deve fare riferimento sono sia quelle interne sia le norme convenzionali che operano tra i due stati; se le due dovessero configgere la norma convenzionale prevale sulla norma interna.

Esaminiamo quindi la definizione di stabile organizzazione.

Si precisa come le Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia siano quasi sempre in linea con la definizione del Modello OCSE. La stabile organizzazione viene definita, in termini generali, dall’art. 5 paragrafo 1 del Modello di Convenzione La definizione

di stabile organizzazione

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dell’OCSE 2010 e dall’art. 162 c.1 del T.U.I.R. come “una sede fissa di affari in cui l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività”.

Le condizioni necessarie affinché si possa individuare la stabile sono, quindi:

 l’esistenza della sede d’affari;

 la sede di affari deve essere fissa;

 l’impresa deve esercitare la propria attività in tutto o in parte per mezzo della sede fissa d’affari.

Il Commentario (3) definisce la sede di affari come qualsiasi locale, infrastruttura o installazione utilizzati per l’esercizio dell’attività d’impresa anche se non esclusivamente per tale scopo. L’esistenza di una sede d’affari non richiede, necessariamente, l’esistenza di locali di proprietà; la disponibilità infatti di un qualsiasi spazio è sufficiente.

La sede d’affari può essere situata anche presso i locali di un’altra società.

Si sottolinea, inoltre, che la sede di affari deve essere “fissa”, cioè deve possedere una connessione di carattere permanente con il territorio dove è collocata. È dunque irrilevante la durata dell’effettiva presenza nel paese estero; tale elemento è fondamentale solo per i cantieri di costruzione o di montaggio. Secondo il Commentario la permanenza nel territorio straniero può essere anche per breve periodo, ma deve concretizzare un certo grado di permanenza in ragione della specifica attività esercitata.

Si propongono i seguenti esempi:

Un venditore visita regolarmente uno dei suoi clienti principali per ricevere gli ordini e organizzare la futura vendita. Il soggetto incontra il direttore acquisti nel suo ufficio e non ha a disposizione nessun ufficio dell’impresa cliente; pertanto non si configura la stabile organizzazione.

Un imbianchino per due anni lavora tre giorni alla settimana presso i locali di un cliente; in questo caso l’imprenditore ha una stabile organizzazione poiché svolge, in quei locali, la parte principale della sua attività.

3 Si ricorda come il Commentario al Modello OCSE si ponga quale strumento interpretativo per quelle convenzioni che vengono stipulate sulla base del citato Modello. Sebbene il commentario non abbia un potere vincolante con riferimento ai trattati stipulati dai diversi Stati, è di generale accettazione il concetto che esso sia un valido strumento interpretativo e di soluzione di eventuali controversie.

Esempio n.1

Esempio n.2

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Il commentario stabilisce, inoltre, il momento in cui la stabile “incomincia e termina” la propria esistenza. In particolare, una stabile organizzaione comincia ad esistere non appena l’impresa inizia a svolgere la sua attività per mezzo della sede fissa di affari. Si presume che l’attività sia iniziata fin dal momento in cui vengono svolte le attività ausiliarie e preparatorie. La stabile cessa di esistere quando termina la disponibilità della sede o quando si interrompe ogni attività. Un caso di cessazione si verifica quando la sede fissa di affari è locata a terze parti.

Nel Modello OCSE al paragrafo 2 dell’art. 5 vengono elencate una serie di fattispecie che configurano la sede fissa di affari:

1. una sede di direzione;

2. una succursale;

3. un ufficio;

4. un’officina;

5. un laboratorio;

6. una miniera o un giacimento petrolifero o di gas naturale, una cava o altro luogo di estrazione di risorse naturali.

Esaminiamo, con brevi cenni, le diversi ipotesi previste.

La sede di direzione è identificata come il luogo ove si dirige parte o la totalità dell’attività di un’impresa; è il luogo dove, in presenza di una sede fissa di affari, vengono definiti gli indirizzi dell’azienda limitatamente ad una certa area geografica e dal quale, di conseguenza, vengono diramate le istruzioni. Si sottolinea come la sede di direzione non necessariamente si sostanzi in un ufficio; la stessa infatti può essere svolta in strutture con dimensioni minime non qualificabili come ufficio.

Si premette come la succursale possa far emergere delle difficoltà interpretative poiché, nel linguaggio comune, è spesso assimilata alla filiale. In realtà la succursale è una stabile organizzazione quando la stessa è una parte dell’impresa, distinta dalla casa madre ma non giuridicamente indipendente, che svolge la propria attività lavorativa mediante una struttura organizzativa autonoma.

Di facile intuizione sono i seguenti casi di stabile organizzazione.

Negli uffici verranno svolte, probabilmente, attività di carattere amministrativo o commerciale. Nelle officine e nei laboratori verranno svolte tipicamente attività produttive. Affinché si configuri la stabile non devono essere svolte le attività preparatorie o ausiliarie previste nel successivo paragrafo 4.

Le ipotesi in cui si configura la stabile organizzazione

La sede di direzione

La succursale

Uffici, officine, laboratori

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L’art. 162, comma 2, del T.U.I.R. contiene una elencazione identica a quella OCSE ma fornisce un maggior dettaglio nell’individuazione dei luoghi di estrazione di risorse naturali. Quest’ultimo è assente anche in tutte le convenzioni stipulate dall’Italia.

Esaminiamo, con brevi cenni, il caso del cantiere di costruzione o di montaggio.

Il Paragrafo 3 dell’art. 5 ed il comma 3 dell’art. 162 precisano che è considerata

“stabile organizzazione” anche un cantiere di costruzione o di montaggio nel caso in cui lo stesso oltrepassi i dodici mesi. Il nostro ordinamento interno contiene la stessa previsione, comprendendo anche le attività di supervisione ad esso connesse, ma limita a tre mesi il tempo minimo di durata del cantiere. Nessuna delle convenzioni stipulate dall’Italia prevede invece un Paragrafo apposito per i cantieri; questi ultimi sono compresi insieme con le sedi di direzione, le succursali, gli uffici nell’elencazione dei casi che configurano la stabile organizzazione.

Il cantiere di costruzione o di montaggio rappresenta, quindi, una previsione specifica ed in alcuni casi derogatoria rispetto al principio generale della sede fissa di affari poiché l’esistenza della stabile è connessa al rispetto di un requisito temporale; il requisito della durata sostituisce quindi, il presupposto della permanenza.

Il commentario precisa che la norma si applica ai “luoghi di costruzione o fabbrica o progetto di montaggio” comprendendovi anche la costruzione e ristrutturazione di stabili, ponte e strade. Inoltre, la definizione in esame, si applica anche all’attività di installazione di nuovi impianti come macchinari complessi in un fabbricato esistente o all’aperto.

Si precisa che l’attività di supervisione, contenuta nell’art. 162 del T.U.I.R., a livello OCSE non è prevista come obbligatoria ma è data facoltà, ai trattati bilaterali, di stabilire se la stessa configura la stabile organizzazione.

È importante sottolineare come il test dei dodici mesi operi per ciascun cantiere e progetto4.

Il cantiere, inoltre, deve essere considerato come una singola unità anche se il progetto è regolato da più contratti e sempre che lo stesso sia coeso commercialmente e geograficamente.

Si precisa, infine, che il cantiere esiste dalla data in cui l’impresa costruttrice inizia la sua attività, compresi tutti i lavori preparatori e ausiliari, nel paese dove verrà realizzata l’opera e permane fino a quando il lavoro è completato o definitivamente abbandonato;

inoltre, continua ad esistere anche se il lavoro viene temporaneamente interrotto.

4 Par. 18, art. 5 Commentario OCSE 2010.

I cantieri di costruzione o di monitoraggio

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Il paragrafo 5 e 6 del Modello OCSE ed i commi 6 e 7 dell’articolo 162 definiscono una particolare ipotesi di stabile organizzazione. L’ipotesi menzionata è quella della stabile organizzazione personale.

Si evidenzia come:

 una persona che non dispone nello stato di poteri che esercita abitualmente e che gli permettono di concludere contratti a nome dell’impresa non residente, non può mai essere considerata stabile organizzazione;

 se dispone di questi poteri può essere considerato stabile organizzazione se:

 non gode di uno status indipendente; o,

 non agisce nel quadro della propria ordinaria attività.

Il caso tipico di stabile organizzazione personale è quindi rappresentato dall’agente dipendente che conclude contratti a nome dell’impresa in un paese estero.

Si precisa come l’agente dipendente possa essere sia un agente vincolato contrattualmente come tale ma anche una persona che agisce per conto dell’impresa non residente. Al termine “agente” non deve perciò essere attribuita esclusivamente la definizione del codice civile ma deve essere data un’interpretazione più ampia.

Gli elementi distintivi di un agente dipendente sono l’ampiezza dei poteri attribuitigli dal soggetto estero e la natura dell’attività che esso svolge per conto di quest’ultimo.

L’agente dipendente dovrà essere investito di sufficienti poteri affinché, operando per il preponente estero, possa concludere contratti in nome dello stesso. I poteri esercitati devono essere tali da vincolare il soggetto estero in forza dei contratti conclusi dall’agente.

Secondo il Commentario non è specificamente richiesto che l’agente debba operare “in nome del preponente”; infatti, la norma si applica anche agli agenti che concludono contratti che vincolano il preponente anche se non conclusi in nome dell’impresa estera.

Tra i poteri rientrano anche il potere di negoziazione e di definizione di tutti gli elementi propri di un contratto; quindi, un agente può essere intestatario del potere effettivo di concludere contratti anche quando promuove e riceve ordini dai clienti senza finalizzarli formalmente ed è poi l’impresa estera che approva l’operazione. I poteri così attribuiti devono, inoltre, essere esercitati abitualmente e non in casi isolati.

La verifica dell’esercizio abituale dovrà essere effettuata tenendo conto della situazione commerciale e alla luce del tipo di attività svolta dalla società estera.

Ulteriore elemento rilevante è la dipendenza del soggetto dall’impresa preponente; il commentario ha individuato come elementi utili per l’individuazione della dipendenza la La stabile

organizzazione personale

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percezione di emolumenti non parametrati ai contratti stipulati (si ipotizza così un rapporto di lavoro dipendente poiché manca il rischio imprenditoriale) e la mancata emissione di fatture verso la società mandataria (che presuppone un rapporto di natura dipendente).

Il Paragrafo 4 ed il comma 4, rispettivamente dell’art. 5 Modello OCSE e dell’art. 162 del T.U.I.R., contemplano alcuni casi in cui non si configura la stabile organizzazione anche qualora i requisiti richiesti dai commi precedenti fossero rispettati. La ratio è quella di evitare che sia assoggettata ad imposizione in Italia una attività meramente preparatoria o ausiliaria rispetto alla attività tipica aziendale, o che non contribuisca comunque in modo significativo all’attività dell’impresa.

I criteri in base ai quali si identificano le attività che hanno un carattere preparatorio o ausiliario sono sostanzialmente due5:

 l’attività svolta dalla sede d’affari non deve costituire una parte essenziale e significativa dell’attività dell’impresa nel suo complesso;

 l’attività svolta dalla sede di affari deve essere rivolta esclusivamente all’impresa.

Il paragrafo 4 riporta, quindi, una elencazione di attività che, qualora svolte singolarmente o in combinazione, sono considerate ausiliarie e preparatorie rispetto all’attività principale dell’impresa. Pertanto, non si considera che vi sia una “stabile organizzazione” se:

a) una sede fissa di affari viene utilizzata ai soli fini di deposito, di esposizione o di consegna di beni o merci appartenenti all’impresa;

b) i beni o le merci appartenenti all’impresa sono immagazzinati ai soli fini di deposito, di esposizione o di consegna;

c) i beni o le merci appartenenti all’impresa sono immagazzinati ai soli fini della trasformazione da parte di un’altra impresa;

d) una sede fissa di affari è utilizzata ai soli fini di acquistare beni o merci o di raccogliere informazioni per l’impresa;

e) viene utilizzata ai soli fini di svolgere, per l’impresa, qualsiasi altra attività che abbia carattere preparatorio o ausiliario (versione solo T.U.I.R.);

f) una sede fissa di affari è utilizzata per l’impresa ai soli fini di pubblicità, di fornire informazioni, di ricerche scientifiche o di attività analoghe che abbiano carattere preparatorio o ausiliare per l’impresa (versione solo Modello OCSE);

g) viene utilizzata ai soli fini dell’esercizio combinato delle attività menzionate nelle lettere da a) ad e), purché l’attività della sede fissa nel suo insieme, quale risulta da tale combinazione, abbia carattere preparatorio o ausiliario.

5 M. Piazza “Guida alla fiscalità internazionale” il Sole 24 ore, Milano, 2004, pag. 220.

Ipotesi negative di stabile organizzazione

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Si noti come la lettera f) costituisca una ipotesi negativa assente nella maggior parte delle convenzioni stipulate dall’Italia.

Si precisa che i depositi, i magazzini o i luoghi fisici dove vengono depositati i beni o le merci di proprietà dell’impresa svolgono una funzione ausiliaria quando l’attività è svolta esclusivamente a favore dell’impresa stessa. Qualora fosse svolta per finalità diverse (per esempio viene svolto un servizio di deposito a terzi) si configurerebbe la presenza della stabile.

Inoltre, la sede di affari deve essere mantenuta solamente ai fini di deposito o consegna; diversamente, nel caso in cui sia utilizzata anche per la vendita di beni o per la riparazione degli stessi siamo in presenza di una stabile organizzazione. Per esempio, se oltre alla consegna dei pezzi di ricambio la sede fornisce servizi di manutenzione e riparazione, si configura un’attività di post-vendita non inquadrabile come attività ausiliaria e preparatoria.

Si premette come il possesso di un immobile in Italia da parte di una società estera non comporta che la stessa abbia una stabile organizzazione nel nostro paese. Affinché ci sia una stabile organizzazione occorre che vi sia un ufficio o una sede secondaria del soggetto estero che, stabilmente, proceda alla gestione dell’immobile.

Si ricorda che, in un primo momento sia l’Amministrazione finanziaria sia una parte della giurisprudenza, riteneva che il possesso di un semplice immobile configurasse comunque la stabile organizzazione. In realtà, quando il possesso si esaurisce alla mera gestione dello stesso (se l’acquisto realizza un mero investimento di capitale), come detto, l’immobile non configura la stabile organizzazione; diverso è il caso in cui l’immobile sia strumentale all’esercizio di un’attività d’impresa ovvero costituisca, esso stesso, oggetto di un’attività d’impresa (per esempio l’acquisto di un suolo per la lottizzazione e la rivendita). In tali ultime ipotesi, ovviamente, siamo in presenza di una sede fissa di affari. In sostanza, l’elemento fondamentale per individuare la stabile organizzazione non è tanto il possesso del bene ma l’utilizzo che ne viene fatto ossia l’attività che viene svolta avendo la disponibilità dello stesso.

Anche la mera detenzione di una partecipazione, pur maggioritaria, da parte di una società non configura l’ipotesi della stabile organizzazione.

Diverse sentenze della Cassazione (n. 3367 del 2001, n.3368 del 2001, n. 7682 del 2001) hanno confermato che l’esistenza di un rapporto di partecipazione, e quindi l’appartenenza di una società ad un gruppo, non può determinare, di per sé, che la stessa sia considerata una stabile organizzazione di una o più società.

Casi particolari

La detenzione di una partecipazione Il possesso di immobili in Italia

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In sostanza, la mera esistenza di un rapporto societario non è sufficiente per configurare la stabile organizzazione. Per il Paragrafo 7 del Modello OCSE ed il co. 9 dell’art. 162, conforme al Paragrafo 7, una società consociata non costituisce di per sé stabile organizzazione della casa madre anche se l’attività della società figlia è diretta dalla casa madre.

Dalle considerazioni proposte emerge tuttavia che esistono delle ipotesi in cui anche una società controllata possa configurare una stabile organizzazione. In particolare, la società estera potrà essere considerata una stabile organizzazione della casa madre quando si verifica un “asservimento” della stessa nei confronti della controllante residente. Come detto, l’asservimento è rappresentato da una mancanza di indipendenza giuridica e patrimoniale della società estera.

Secondo il commentario può sussistere una stabile organizzazione nei casi in cui la società consociata possa essere considerata un “agente dipendente” ed eserciti abitualmente poteri di concludere contratti in nome della casa madre.

Una ipotesi interessante è il noleggio o l’affitto di beni materiali (attrezzature, immobili siti all’estero) o immateriali (brevetti) ad un soggetto non residente.

Il Commentario OCSE precisa che tale attività non costituisce stabile organizzazione se non è svolta per mezzo di una sede fissa di affari. Quindi, se un’impresa di uno stato affitta attrezzature industriali, commerciali, immobili o proprietà immateriali ad un’impresa dell’altro stato senza possedere, in tale stato, una sede fissa di affari, l’attrezzatura o gli immobili non costituiscono una stabile organizzazione del concedente purchè il contratto sia limitato al puro affitto del bene. Infatti, se sono previste prestazioni accessorie e addizionali potrebbe insorgere la stabile anche in assenza della sede fissa.

Prima di esaminare la determinazione del reddito della stabile definiamo, con brevi cenni, la nozione di stabile organizzazione ai fini dell’Iva.

Si premette come il concetto di stabile organizzazione ai fini Iva sia più ristretto di quello delineato per le imposte dirette. Secondo la giurisprudenza comunitaria, infatti, ai fini dell’Iva la nozione di stabile organizzazione deve tener conto del concetto di “centro di attività stabile” di cui all’articolo 9, paragrafo 1, della sesta direttiva CEE ed il concetto definito ai fini delle imposte sui redditi può assumere rilevanza, nel sistema dell’Iva, nella misura in cui lo stesso non incida sulla corretta applicazione delle Direttive o non si ponga in conflitto con le predette sentenze interpretative. Da qui discende l’autonomia della nozione di stabile organizzazione (rectius centro di attività stabile) rilevante ai fini La stabile

organizzazione ai fini Iva La locazione di beni materiali e immateriali

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IVA rispetto a quella prevista, agli effetti delle imposte sui redditi, dall’art. 5 del Modello OCSE.

Come detto, l’art. 9, n. 1), della sesta direttiva comunitaria fa riferimento non al concetto di stabile organizzazione, ma a quello di “centro di attività stabile”, il quale, secondo l’interpretazione della Corte di Giustizia (sentenza 17 luglio 1997, in causa C - 190/1995), presuppone l’impiego di risorse umane e materiali, non essendo sufficiente la mera presenza di impianti nel territorio in cui l’operazione è compiuta.

Si ribadisce, quindi, la non coincidenza del concetto di stabile organizzazione, elaborato in sede di convenzione contro le doppie imposizioni rispetto a quello di “centro di attività stabile”.

Esaminiamo ora i requisiti individuati dalla giurisprudenza comunitaria ai fini della configurabilità di un “centro di attività stabile”.

Detti requisiti sono (6):

 l’esistenza di un luogo fisso a disposizione del soggetto non residente;

 la presenza contemporanea di mezzi umani e tecnici;

 l’effettuazione di prestazioni di servizi rilevanti ai fini dell’imposta.

Quindi, gli elementi differenziali delle due nozioni sono:

 nel sistema dell’IVA, l’elemento umano e quello tecnico devono essere entrambi presenti ai fini della sussistenza di una stabile organizzazione, mentre nell’imposizione diretta tali elementi possono anche ricorrere disgiuntamente;

 nel sistema dell’IVA, la configurabilità di un centro di attività stabile è subordinata, inoltre, all’effettuazione, da parte del soggetto non residente, di operazioni rientranti nel campo di applicazione dell’imposta; nella specie, deve trattarsi di prestazioni di servizi, dal momento che il centro di attività stabile rappresenta, per tali operazioni, il criterio di determinazione della territorialità dell’imposta.

Definito il concetto di stabile organizzazione ai fini dell’imposta sul valore aggiunto esaminiamo due questioni interessanti connesse con il tema oggetto di analisi.

Infatti, un aspetto interessante da valutare attiene al rapporto, ai fini iva, di una eventuale prestazione erogata dalla società estera ad una società terza, senza il tramite della stabile organizzazione.

La R.M. 9 gennaio 2002, n. 4/E ha precisato espressamente che “il principio della c.d. forza di attrazione della stabile organizzazione, per effetto del quale il soggetto non residente con stabile organizzazione nel territorio dello Stato deve procedere alla 6 M. Peirolo “La Stabile organizzazione ai fini Iva”, in Azienda e Fisco n. 16 del 2002.

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fatturazione, registrazione e dichiarazione, vale esclusivamente per quelle operazioni materialmente effettuate dalla stabile organizzazione e non anche per quelle realizzate direttamente dalla casa madre estera”. In sostanza, l’Amministrazione finanziaria disconosce la tesi della forza attrattiva della stabile organizzazione ed ammette la possibilità di un rapporto diretto ai fini IVA tra il soggetto straniero e la controparte residente in Italia. La società estera, pertanto, pur in presenza di una stabile organizzazione in Italia, poteva nominare un rappresentante fiscale o identificarsi direttamente ai fini IVA.

La Corte di Giustizia europea, con sentenza del 16 luglio 2009, ha statuito tuttavia che, in uno Stato membro non può essere ammessa l’esistenza di una pluralità di posizioni IVA, riconducibili alla medesima entità giuridica. Pertanto, i soggetti passivi non residenti, che operano in Italia tramite una stabile organizzazione, devono essere considerati stabiliti nel nostro Paese. Conseguentemente, non essendo la stabile organizzazione un soggetto passivo autonomo rispetto alla propria casa madre, allo stesso deve essere attribuito un solo numero di partita IVA.

Il legislatore ha cercato quindi di eliminare i profili di incompatibilità insiti nell’ordinamento nazionale, con l’art. 11 del d.l. n. 135/2009, convertito dalla l.

20 novembre 2009, n. 166. Attualmente, quindi, la nomina del rappresentante fiscale per l’assolvimento degli obblighi e dei diritti in materia IVA, è consentita solo per i soggetti non residenti che non hanno in Italia una stabile organizzazione, e la procedura di rimborso dell’imposta (per i soggetti non residenti) può essere applicata unicamente nei confronti dei soggetti domiciliati e residenti nell’Unione europea che non hanno in Italia una stabile organizzazione (7).

Da ultimo è bene accennare anche al tema dei rapporti tra la stabile organizzazione e la propria casa madre.

Sul tema è intervenuta la sentenza della Corte di Giustizia europea del 23 marzo 2006 in causa C-210/04.

La Suprema Corte ha statuito che, relativamente all’iva, con esclusivo riferimento all'imposta sul valore aggiunto “un centro di attività stabile, che non sia un ente giuridico distinto dalla società di cui fa parte, stabilito in un altro Stato membro e al quale la società fornisce prestazioni di servizi, non deve essere considerato un soggetto

7 Sotto il profilo pratico dovrà essere presumibilmente mantenuta solamente la partita IVA della stabile organizzazione per cui, il soggetto non residente, dovrebbe poter esercitare tramite la posizione IVA della stabile organizzazione il diritto di detrazione dell’imposta assolta sugli acquisti di beni e servizi effettuati direttamente in Italia, ancorché non strettamente riferibili alla stabile organizzazione. La c.m.

58/2009 ha confermato che, se il soggetto non residente possiede in Italia una stabile organizzazione per il cui tramite effettua o riceve operazioni in Italia, gli obblighi ed i diritti sono esercitati da tale stabile.

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passivo in ragione dei costi che gli vengono imputati a fronte di tali prestazioni”. In sostanza, viene esclusa la soggettività iva della stabile ma solo nei rapporti con la propria casa madre. Preso atto di ciò la R.M. n. 81/E del 16 giugno 2006 ha dichiarato superate le posizioni sostenute dall’Amministrazione finanziaria in precedenti interventi (nota n. 330470 del 20 marzo 1981).

Si ribadisce come la stabile organizzazione non sia un soggetto giuridico autonomo ma una articolazione della casa madre presente sul territorio straniero; come detto, tale circostanza determina l’immediata attribuzione dei redditi (o delle perdite) della stessa in capo alla casa madre. Di conseguenza, operare attraverso una stabile organizzazione non presenta opportunità di risparmio fiscale nel Paese dove è collocata la stabile. I vantaggi possono tuttavia presentarsi nel Paese della casa madre in quanto quest’ultima, dovendo incorporare la contabilità della sua base fissa estera, avrà modo di acquisire immediatamente la perdita di quest’ultima.

Si premette come l’art. 151 del T.U.I.R. prevede che “il reddito complessivo delle società e degli enti commerciali non residenti è formato soltanto dai redditi prodotti nel territorio dello Stato, ad esclusione di quelli esenti dall’imposta e di quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva.”

La norma in esame stabilisce, quindi, due importanti principi:

 il principio soggettivo, secondo cui le disposizioni ivi contenute trovano applicazione esclusivamente per le società e gli enti commerciali non residenti8;

 il principio della territorialità, in base al quale per i soggetti sopra richiamati il reddito complessivo da assoggettare a tassazione è costituito esclusivamente dai redditi prodotti nel territorio dello Stato.

In sintesi, i soggetti non residenti sono tassati in Italia esclusivamente per i redditi prodotti nel nostro paese. In particolare, i redditi di impresa di soggetti non residenti sono tassabili in Italia solo se derivano da attività esercitate nel territorio dello Stato mediante stabile organizzaione. Quindi, solo i redditi prodotti dalla stabile organizzazione possono essere assoggettati a tassazione (9); si ricorda che l’imputazione dei redditi in

8 Il rinvio alla lettera d) dell’art. 73 del Tuir implica un’applicazione ristretta delle disposizioni contenute nell’articolo in commento; infatti, l’art. 151 del Tuir trova applicazione esclusivamente per le società, gli enti di ogni tipo e i trust, con o senza personalità giuridica, comunque non residenti nel territorio dello Stato. Le società di persone estere, pertanto, sono equiparate ai fini fiscali ai soggetti Ires, e come tali soggette al medesimo trattamento impositivo.

9 Viene richiamato l’art. 23 del Tuir a cui debbono essere aggiunti, nell’alveo del reddito di impresa, i seguenti redditi:

 le plusvalenze e le minusvalenze di beni destinati o comunque relativi, alle attività commerciali esercitate nel territorio dello Stato italiano ancorché non attribuibili alla stabile organizzazione in Italia del soggetto estero;

determinazioneLa del reddito della stabile organizzazione

Il reddito della stabile organizzazione in Italia di una società estera

(14)

capo alla stabile deve sempre essere verificata alla luce dei trattati stipulati dall’Italia con i diversi paesi esteri.

Definito quando un soggetto estero può essere tassato in Italia esaminiamo ora come sono tassati i redditi prodotti dalla stabile organizzazione.

L’art. 152, comma 1, del Tuir prevede che, per le società e gli enti commerciali non residenti con stabile organizzazione nel territorio dello Stato ad eccezione delle società semplici, il calcolo del reddito complessivo sia effettuato applicando la normativa Ires di cui alla sezione I del capo II del titolo II del Tuir. Quindi, il reddito complessivo è dato dal reddito d’impresa determinato secondo le regole proprie delle società commerciali, ovvero apportando all’utile o alla perdita risultante dal conto economico, le variazioni in diminuzione o in aumento secondo quanto stabilito dagli articoli 81 e seguenti. In sostanza, la stabile organizzazione viene tassata come un soggetto Ires.

La determinazione del reddito avviene sulla base di un apposito rendiconto “profitti e perdite” relativo alla gestione della stabile organizzazione e alle altre attività produttive di redditi imponibili in Italia; si applicano, anche in questo caso, le regole stabilite per la determinazione del reddito delle società ed enti commerciali residenti.

Per completezza segnaliamo che in base all’art. 152, comma 2, del Tuir, in mancanza di una stabile organizzazione, il reddito complessivo del soggetto estero viene determinato secondo le regole stabilite per le persone fisiche (di cui al titolo I del Tuir) in base alla categoria reddituale di appartenenza. Ciò comporta che il regime impositivo varia a seconda della categoria entro cui tali redditi possono essere classificati sulla base della disciplina Irpef; i redditi rilevanti per i soggetti commerciali non residenti e privi di stabile organizzazione risultano essere i seguenti:

 reddito fondiario (redditi dominicali e agrari dei terreni e reddito dei fabbricati);

 reddito di capitale (dividendi, interessi attivi e rendite perpetue);

 redditi diversi (plusvalenze da affitto di terreni non agricoli).

La questione maggiormente dibattuta in merito alla determinazione del reddito delle stabili organizzazioni all’estero riguarda se esso confluisca in quello della casa madre in modo aggregato (ossia come utile della stabile organizzazione) ovvero in modo disaggregato.

 gli utili distribuiti da S.p.a., S.a.p.a., S.r.l., società cooperative, mutue assicurazioni ed enti commerciali residenti;

 le plusvalenze per le cessioni a titolo oneroso di partecipazioni qualificate in società di capitali o di persone residenti. Rimangono così escluse dalla formazione del reddito complessivo, le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni non qualificate in società residenti negoziate in mercati regolamentati.

La determinazione del reddito delle stabili organizzazioni all’estero di soggetti residenti

(15)

Occorre evidenziare, in primo luogo, che l’art. 14 del D.P.R. n. 600 del 1973 impedisce di ipotizzare che la disaggregazione del risultato della stabile organizzazione possa essere totale, ossia che i componenti positivi e negativi di reddito riferibili alla stabile organizzazione possano essere del tutto indistinti rispetto agli altri componenti. Tale norma prevede infatti l’obbligo, per coloro che esercitano attività commerciali all’estero mediante stabili organizzazioni, di “rilevare distintamente nella contabilità i fatti di gestione relativi alle stabili organizzazioni, determinando separatamente i risultati dell’esercizio relativi a ciascuna di esse”.

La rilevazione distinta implica l’obbligo di creare appositi “conti” dedicati ai fatti di gestione propri delle stabili organizzazioni, sia pure all’interno dell’unica contabilità.

Secondo la Corte di Cassazione, l’articolo 14 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 stabilisce il principio in base al quale i redditi di una stabile organizzazione devono essere calcolati, ancorché con qualche eccezione, applicando il cosiddetto “metodo diretto”(10). Si tratta, in pratica, di considerare la stabile organizzazione quale entità economica distinta e separata e di applicare quindi ai trasferimenti “interni” tra le diverse unità della medesima impresa lo stesso trattamento previsto per i trasferimenti con soggetti terzi.

Inoltre, in base alle disposizioni dell’articolo 109 del T.U.I.R., i ricavi e le spese e gli altri componenti positivi e negativi concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza. A tal fine, i corrispettivi delle cessioni si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei beni si considerano sostenute alla data di consegna o spedizione per i beni mobili e della stipulazione dell’atto per gli immobili ovvero, se diversa e successiva, alla data in cui si verifica l’effetto traslativo o costitutivo della proprietà o di altro diritto reale.

In sostanza, l’ipotesi di realizzo di un provento o ricavo, ovvero la deducibilità di una spesa, ricorrono solo quando si verifica il passaggio di proprietà del bene oggetto della transazione.

La normativa nazionale in tema di stabile organizzazione deve essere poi analizzata alla luce del disposto convenzionale. Ricordiamo, infatti, che le convenzioni contro le doppie imposizioni prevalgono sulla normativa interna in quanto, anche se recepite con semplice legge dello Stato, derivano da un accordo con altri Paesi che l’Italia è tenuta ad onorare.

Come detto, la definizione di stabile organizzazione viene fornita dall’art. 5 del Modello di Convenzione Ocse.

10 E. Cacciapuoti “I rapporti tra casa madre e stabile organizzazione: tra valore di mercato e costo storico” in Rassegna tributaria n. 1 del 2010.

La determinazione del reddito: le norme convenzionali

(16)

L’art. 5 si limita ad individuare le situazioni in cui la stabile organizzazione si configura, senza tuttavia chiarire come la stessa debba essere tassata e a quale stato competa la potestà impositiva.

L'art. 7 del Modello di Convenzione, invece, ripartisce la potestà impositiva tra lo Stato in cui si trova la stabile organizzazione (paese della fonte) e lo stato della casa madre, stabilendo che il paese della fonte può tassare un’impresa estera solamente in presenza di una stabile organizzazione nel suo territorio e limitatamente ai redditi da questa prodotti.

Se vi è stabile organizzazione il paese della fonte può tassare ma non viene meno la potestà impositiva dello Stato della casa madre in quanto, per escludere la potestà impositiva di uno stato si deve utilizzare l’espressione “saranno tassati soltanto”

nell’altro Stato. In caso di duplice tassazione lo Stato di residenza della casa madre dovrà applicare il metodo dell’esenzione o del credito d'imposta per contrastare la doppia imposizione come previsto dagli art. 23A e 23B del Modello.

Quanto detto trova conferma nell’articolo 7 in base al quale “Gli utili di una impresa di uno stato contraente saranno tassati solamente in tale stato a meno che l’impresa svolga una attività di impresa nell’altro stato contraente attraverso una stabile organizzazione. Se l’impresa svolge l’attività come appena descritto, gli utili che sono attribuibili alla stabile organizzazione in base alle disposizioni del paragrafo 2, possono essere tassati in detto altro stato.”

Il paragrafo 2 prevede che “gli utili che sono attribuibili in ciascun stato contraente alla stabile organizzazione, come descritta nel paragrafo 1, sono gli utili che ci si aspetterebbe fossero prodotti, in particolare in relazione ai rapporti con le altre parti dell’impresa, se fosse una impresa separata e indipendente impegnata nella stessa o in attività similari, alle condizioni medesime o similari, avendo riguardo alle funzioni svolte, gli assets utilizzati e i rischi assunti dall’impresa attraverso la stabile organizzazione e attraverso le altri parti dell’impresa.”

Il Modello OCSE stabilisce, quindi, che la stabile organizzazione e la casa madre siano considerate come due entità separate che devono regolare i rapporti reciproci come se fossero entità non appartenenti allo stesso gruppo.

La nuova (11) versione del paragrafo 2, richiamando i principi base del transfer pricing, precisa che si deve tener conto delle funzioni svolte, degli assets utilizzati e dei rischi assunti.

11 Si ricorda che il Modello OCSE è stato recentemente modificato e l’ultima versione risale al 22 luglio 2010.

(17)

L’applicazione del c.d. “Functionally separate entity approach” nell’interpretazione del paragrafo 2 dell’art. 7 richiede un’analisi che prevede due fasi distinte (12):

 nella prima fase si tratta la stabile organizzazione come una entità separata ed indipendente;

 nella seconda si determina il reddito dell’“ipotizzata” entità separata ed indipendente sulla base di un’analisi di comparabilità.

Il risultato derivante dalle precedente fasi consente di effettuare un calcolo dei profitti (o delle perdite) della stabile organizzazione.

Esaminiamo ora, con brevi cenni, le due fasi.

La prima fase implica una “functional and factual analysis” diretta a13:

 attribuire alla stabile organizzazione diritti ed obblighi derivanti dalle transazioni che coinvolgono l’impresa di cui la medesima è parte;

 individuare gli assets “economicamente posseduti” e/o utilizzati dalla stabile organizzazione;

 attribuire alla stabile organizzazione i rischi inerenti alle funzioni svolte tenendo altresì in considerazione l’eventuale trasferimento dei medesimi rischi o della loro gestione ad altre parti dell’impresa o ad altre imprese;

 attribuire alla stabile organizzazione i c.d. “free capital” al fine di assicurare un’imputazione di reddito alla stabile organizzazione nel rispetto del principio dell’arm’s length;

 riconoscere eventuali accordi/transazioni (“dealings”) tra la stabile organizzazione e l’impresa di cui è parte.

La seconda fase prevede la determinazione del prezzo at arm’s lengthin conformità con le Linee Guida dell’OCSE in materia di transfer pricing.

Le Linee Guida, in buona sostanza, stabiliscono la necessità di rispettare il principio del valore normale nella determinazione del prezzo di una transazione; di conseguenza, il corrispettivo non deve discostarsi da quanto sarebbe stato pattuito o comunque accettato, nella stessa situazione e alle medesime condizioni, tra imprese indipendenti.

Infine, un aspetto degno di menzione è la conferma del principio di non attrazione della stabile organizzazione. In sostanza, è escluso che la stabile organizzazione attragga, in seno, anche gli altri redditi prodotti dal soggetto non residente nel territorio dello stato e la Convenzione supera il principio di attrazione previsto invece dalla norma interna.

12 P. Valente “Attribuzione del reddito alla stabile organizzazione: Il Rapporto OCSE 2010” in il Fisco n.43 del 2010.

13 P. Valente “Attribuzione del reddito alla stabile organizzazione: Il Rapporto OCSE 2010” in il Fisco n.43 del 2010.

(18)

Infatti, l’art. 151 co. 2 stabilisce che le plusvalenze e le minusvalenze di beni destinati o comunque relativi alle attività commerciali esercitate nel territorio dello Stato italiano, ancorché non attribuibili alla stabile organizzazione in Italia del soggetto estero, sono attratti nel reddito di impresa della stabile.

E’ bene premettere che la concessione di un credito, a fronte delle imposte pagate all’estero, è finalizzato a ridurre fenomeni di doppia imposizione internazionale dei redditi, derivanti dal fatto che la maggior parte degli Stati tassano i soggetti residenti sui redditi ovunque prodotti mentre i soggetti non residenti sono tassati solamente sui redditi prodotti nel proprio territorio. Da un simile criterio discende che i redditi prodotti all’estero saranno tassati sia nello stato in cui sono prodotti sia nello stato di residenza del percettore.

In caso di duplice tassazione lo Stato di residenza della casa madre dovrà applicare il metodo dell’esenzione o del credito d'imposta per contrastare la doppia imposizione.

Generalmente viene utilizzato il metodo del credito d’imposta.

Il credito di imposta è previsto sia dall’art. 165 del T.U.I.R. sia dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia.

Esaminiamo, in sintesi, i principi fondamentali sanciti dall’art. 165 del T.U.I.R.14:

a) la localizzazione del reddito estero segue i criteri reciproci a quelli previsti per individuare i redditi prodotti in Italia da soggetti non residenti. Il secondo comma dell’articolo 165 stabilisce che i redditi si considerano prodotti all’estero sulla base dei criteri reciproci a quelli previsti per individuare i redditi prodotti in Italia da soggetti non residenti e sanciti nell’articolo 23 del T.U.I.R.;

b) l’imposizione del reddito sia in Italia che nel paese della fonte;

c) il pagamento in via definitiva del tributo estero. Come chiarito dall’Amministrazione finanziaria, ai fini dello scomputo in Italia, le imposte versate all’estero devono essere “irripetibili”, pertanto “non possono considerarsi definitive le imposte estere pagate in acconto, in via provvisoria, e quelle, in genere, per le quali è previsto il conguaglio con la possibilità di rimborso totale o parziale”15;

d) limitazione dell’ammontare del credito concesso in base al minore tra l’ammontare di imposte effettivamente pagate all’estero e la quota d’imposta italiana corrispondente al reddito estero. Con tale meccanismo lo Stato italiano è disposto a rinunciare all’imposizione sul reddito prodotto in un altro Stato, ma non a farsi carico della eventuale maggiore imposizione sopportata all’estero. L’art. 165, co. 1, del T.U.I.R.

stabilisce infatti che la detrazione dalle imposte nette dovute in Italia delle imposte

14 E. Cacciapuoti “I rapporti tra casa madre e stabile organizzazione: tra valore di mercato e costo storico” in Rassegna tributaria n. 1 del 2010.

15 C.M. 50/2002.

Credito di imposta per le imposte pagate all’estero

(19)

pagate all’estero a titolo definitivo, sui redditi ivi prodotti, è riconosciuta fino alla concorrenza della quota d’imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero ed il reddito complessivo, al netto delle perdite di precedenti periodi d’imposta ammesse in diminuzione. In sostanza, il credito d’imposta non può eccedere né l’ammontare dell'imposta pagata all’estero, né la quota di imposta italiana relativa al reddito di fonte estera. La conseguenza è che il contribuente è tassato con l’aliquota più elevata tra i due Stati.

Sulla base delle considerazioni precedentemente proposte e considerando la stabile organizzazione quale entità distinta e separata, le transazioni tra casa madre e stabile organizzazione devono avvenire a valore di mercato.

Tale principio, espresso dall’art. 7 del Modello OCSE a livello internazionale, è stabilito anche a livello nazionale dall’art. 110 del T.U.I.R. Infatti, il citato articolo stabilisce che “i componenti di reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti e dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, determinato a norma del comma 2, se ne deriva un aumento del reddito”.

Non vi sono dubbi circa l’applicazione della norma sui prezzi di trasferimento alle transazioni che intercorrono tra la stabile organizzazione e la casa madre italiana o estera. Infatti, il concetto d’impresa, di più ampia portata rispetto al termine “società”, sembra voler estendere l’ambito di applicazione della norma alle società di persone, alle imprese individuali e alle stabili organizzazioni. Sul punto anche l’Amministrazione finanziaria ha chiarito che il concetto di “impresa italiana” deve essere interpretato in modo estensivo, includendo pertanto anche le stabili organizzazioni di società estere.

In conformità alla normativa sui prezzi di trasferimento, le transazioni tra una stabile organizzazione italiana e le altre unità della medesima impresa estera dovranno essere valutate in base al “valore normale” del bene ceduto o dei servizi prestati. Ovviamente il rispetto dei prezzi di trasferimento deve avvenire anche tra la casa madre italiana e la syìua stabile organizzazione all’estero.

Si ribadisce che per determinare il valore normale si deve far riferimento ai principi stabiliti dall’OCSE a livello internazionale. Inoltre, nella determinazione del valore normale è necessario tener conto del ruolo svolto dalla stabile organizzazione. Ad esempio, se una stabile è finalizzata alla vendita di prodotti della casa madre in un determinato paese la stessa svolge un ruolo determinante nella fase di commercializzazione e si assume tutti i rischi (magazzino, pubblicità, post-vendita) connessi con la vendita dei beni.

Trasferimenti di beni e prestazioni di servizi tra casa madre e stabile organizzazione

(20)

Quindi, il prezzo di trasferimento dovrà garantirle un margine più alto rispetto all’ipotesi in cui la sua funzione fosse quella di mero intermediario.

Si ribadisce come sia la normativa italiana che quella convenzionale concordano nel considerare la stabile organizzazione come un soggetto economico distinto e separato.

Ne consegue che, in linea di principio, la determinazione del reddito della stabile organizzazione deve essere effettuata seguendo un criterio analitico che consideri tutti gli elementi reddituali specificamente imputabili alla medesima entità.

Il paragrafo 3 dell’art. 7 del Modello OCSE stabilisce che “nella determinazione degli utili di una stabile organizzazione sono ammesse in deduzione le spese sostenute per gli scopi perseguiti dalla stessa stabile comprese le spese di direzione e le spese generali di amministrazione sia nello stato in cui è situata la stabile sia altrove”. Quindi, nel calcolare gli utili della stabile bisogna tenere conto delle spese sostenute per gli scopi della stessa. In alcuni casi può essere tuttavia difficile stimare l’importo delle spese in questione; si pensi, per esempio, ai costi generali di amministrazione e di direzione sopportati integralmente dalla casa madre e pro-quota riaddebitati alla stabile. Tali spese rispondono all’esigenza, da parte di una struttura internazionale, di accentrare alcuni servizi generali afferenti l’attività svolta dalle singole unità del medesimo gruppo.

Le stesse, generalmente, sono imputate alla stabile in proporzione al fatturato della stessa rispetto a quello dell’impresa nel suo complesso. Infatti, negli ultimi anni, le imprese multinazionali fanno spesso ricorso ai c.d. “cost - sharing arrangements”

ovvero ad accordi, stipulati da varie unità dei gruppo localizzate in Paesi diversi, in base ai quali i costi relativi alla ricerca ma anche ad altri servizi disponibili all’interno del gruppo sono distribuiti tra le varie consociate in relazione ai benefici che ciascuna unità può trarre dalla loro utilizzazione.

La C.M. 32/1980 precisa che “in merito, poi, alla ripartizione degli oneri, effettuata secondo i criteri di ciascuna impresa, l’Amministrazione dovrà limitarsi a verificarne l’adeguatezza. In proposito va rilevato che, solitamente, il corrispettivo, o meglio, la quota di partecipazione di ciascuna consociata è predeterminata in base a formule fisse basate sul rapporto tra il fatturato dell'entità beneficiaria e il fatturato globale del gruppo al quale appartiene o su altri parametri.” Si evidenzia, quindi, come la prassi amministrativa italiana sia in linea con le norme internazionali.

Un ulteriore tema di particolare interesse è la possibilità, per la casa madre, di dedurre tali spese. L’amministrazione finanziaria (16) ha ammesso la deducibilità delle spese in esame purchè si rispettino i requisiti di certezza, inerenza e congruità. Anche la Corte di Cassazione è più volte intervenuta sull’argomento, fornendo alcune indicazioni in merito

16 R.M. 9/2555 del 31 gennaio 1981.

L’allocazione delle spese generali e di amministrazione

(21)

alle condizioni che devono essere soddisfatte ai fini della deducibilità dei costi in esame in capo alla stabile organizzazione italiana, confermando la deducibilità delle stesse.

Una sentenza non in linea con quanto illustrato è la n. 14016 del 14 dicembre 1999.

Secondo il parere della Corte, se le unità alle quali vengono addebitate “spese generali”

sono produttrici di redditi nel Paese in cui hanno la sede, le spese della sede centrale possono qualificarsi “inerenti” ai ricavi delle singole unità, purché si siano tradotte in servizi resi a quest’ultime e a patto che, pur essendo funzionali al coordinamento tra le varie unità e la sede centrale, non rispondano ad esigenze di governo e gestione dell’impresa multinazionale, dovendo in tal caso detrarsi dalla contabilità centrale. Nel caso in esame la Corte ha ammesso la deducibilità dei costi sostenuti all’estero ma ha posto dei limiti qualora le spese siano state sostenute in via generica e non corrispondano ai servizi resi alla stabile organizzazione.

La dottrina si è espressa criticamente rispetto a questa posizione anche in considerazione delle posizioni dell’Agenzia in quanto si ritiene particolarmente difficile individuare la resa di un servizio specifico a favore della stabile quando si tratti di un riaddebito di un coacervo di spese generali sostenute (17).

La stabile organizzazione rappresenta una delle modalità con le quali l’imprenditore può operare all’estero. In particolare, quando un’impresa residente di uno Stato produce reddito d’impresa in un territorio diverso da quello della propria residenza deve sempre interrogarsi e verificare se, in tale secondo stato, non si configuri una stabile organizzazione. Infatti, oltre alle classiche ipotesi in cui sussiste la stabile (un ufficio, una sede di direzione, una succursale, un’officina) anche un agente monomandatario che opera in un paese estero realizza, in tale stato, la stabile organizzazione.

Sussiste, quindi, il rischio che l’Amministrazione finanziaria accerti l’esistenza della stabile organizzazione e contesti il mancato versamento delle imposte nel nostro paese.

Il significativo incrementarsi dell’attenzione delle autorità fiscali nei vari Paesi sul tema della stabile organizzazione ha indotto l’Ocse ha chiarire e integrare il contenuto di alcune fattispecie d’interesse; sono state quindi proposte delle modifiche al Commentario OCSE in relazione all’articolo 5 del modello di convenzione. In particolare, nel recente paper pubblicato dall’OCSE (12 ottobre 2011) si afferma che “questa bozza di discussione pubblica comprende proposte di integrazioni e modifiche al Commentario al Modello di convenzione dell’OCSE. Le modifiche proposte sono relative ai paragrafi del Commentario sull’articolo 5.”

17 A. Dragonetti, V. Piacentini, A. Sfondrini “Manuale di fiscalità internazionale”, Iposa, 2004, pag. 977.

Le proposte di modifica al Commentario OCSE in tema di stabile organizzazione.

Introduzione

(22)

Nel presente lavoro esaminiamo le principali modifiche proposte dall’OCSE proponendo, inoltre, alcuni esempi.

Come detto, la costituzione di una stabile organizzazione rappresenta una delle modalità a disposizione dell’imprenditore per sviluppare la sua presenza su un mercato estero. In particolare, la stabile organizzazione rappresenta una soluzione “intermedia” tra l’ufficio di rappresentanza (che possiamo definire come la forma più “leggera” di presenza di un soggetto all’estero) e la società di diritto locale.

Le caratteristiche essenziali della stabile organizzazione sono le seguenti:

 la stabile organizzazione ha un’autonomia tributaria e costituisce un autonomo soggetto d’imposta nel paese dove risiede;

 la stabile è fiscalmente trasparente nei confronti della casa madre e non è quindi possibile ottenere vantaggi fiscali mediante la stessa;

 il reddito è tassato prima in capo alla stabile e successivamente in capo alla casa madre con la possibilità, per quest’ultima, di ottenere un credito per le imposte pagate all’estero a titolo definitivo. La tassazione complessiva sconta, in ogni caso, l’aliquota più alta dei due paesi;

 si determina l’immediata attribuzione dei redditi (o delle perdite) in capo alla casa madre, e non ci sono dividendi nei rapporti reciproci.

La stabile non consente quindi un risparmio d’imposta tranne nell’ipotesi in cui la stessa non produca delle perdite fiscali; le stesse, infatti, possono essere compensate con gli utili della casa madre.

Si evidenzia, infine, come il concetto di stabile organizzazione derivi da una presunzione operata in ambito fiscale al fine di stabilire una regola di ripartizione del potere impositivo fra gli stati contraenti per i redditi d’impresa che una persona/società residente di uno stato produce in un diverso territorio.

La stabile organizzazione viene definita, in termini generali, dall’art. 5 paragrafo 1 del Modello di Convenzione dell’OCSE 2010 e dall’art. 162 c.1 del T.U.I.R. come “una sede fissa di affari in cui l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività”.

Le condizioni necessarie affinché si possa individuare la stabile sono quindi:

 l’esistenza della sede d’affari;

 la sede di affari deve essere fissa;

 l’impresa deve esercitare la propria attività in tutto o in parte per mezzo della sede fissa d’affari.

La stabile organizzazione:

premessa

La definizione di stabile organizzazione a livello internazionale e nazionale:

cenni

(23)

Il Commentario (18) definisce la sede di affari come qualsiasi locale, infrastruttura o installazione utilizzati per l’esercizio dell’attività d’impresa anche se non esclusivamente per tale scopo. L’esistenza di una sede d’affari non richiede, necessariamente, l’esistenza di locali di proprietà; la disponibilità infatti di un qualsiasi spazio è sufficiente.

La sede d’affari può essere situata anche presso i locali di un’altra società.

Si sottolinea, inoltre, che la sede di affari deve essere “fissa”, cioè deve possedere una connessione di carattere permanente con il territorio dove è collocata. È dunque irrilevante la durata dell’effettiva presenza nel paese estero; tale elemento è fondamentale solo per i cantieri di costruzione o di montaggio.

Secondo il Commentario la permanenza nel territorio straniero può essere anche per breve periodo, ma deve concretizzare un certo grado di permanenza in ragione della specifica attività esercitata.

Vedremo come il tema del “tempo necessario” affinché si configuri la stabile sia stato analizzato dal recente documento emanato dall’OCSE.

Il commentario stabilisce, inoltre, il momento in cui la stabile “incomincia e termina” la propria esistenza. In particolare, una stabile organizzazione comincia ad esistere non appena l’impresa inizia a svolgere la sua attività per mezzo della sede fissa di affari. Si presume che l’attività sia iniziata fin dal momento in cui vengono svolte le attività ausiliarie e preparatorie. La stabile cessa di esistere quando termina la disponibilità della sede o quando si interrompe ogni attività.

Analizziamo ora le principali proposte di modifica ai paragrafi del Commentario OCSE sull’art. 5 che disciplina la stabile organizzazione.

1) Può una fattoria (allevamento) essere una stabile organizzazione?

La prima questione affrontata dalla bozza di modifica al Commentario OCSE è la possibilità che una fattoria, o un allevamento, possa configurare la stabile organizzazione. Il dubbio nasce poiché il reddito delle attività agricole è disciplinato dall’articolo 6 del Modello OCSE. In particolare, l’art. 6 paragrafo 1 stabilisce che “I redditi derivanti da beni immobili, compresi i redditi delle attività agricole o forestali, sono imponibili nello Stato contraente in cui i detti beni sono situati.”

I redditi dell’attività agricola sono quindi tassati nel paese in cui si svolge tale attività;

se, tuttavia, l’imprenditore è fiscalmente residente in un altro stato contraente, i redditi

18 Si ricorda come il Commentario al Modello OCSE si ponga quale strumento interpretativo per quelle convenzioni che vengono stipulate sulla base del citato Modello.Sebbene il commentario non abbia un potere vincolante con riferimento ai trattati stipulati dai diversi Stati, è di generale accettazione il concetto che esso sia un valido strumento interpretativo e di soluzione di eventuali controversie.

Le proposte di modifica al Commentario OCSE Può una fattoria

(allevamento) essere una stabile organizzazione?

(24)

saranno tassati anche in tale stato. Nel disposto convenzionale manca, infatti, l’avverbio

“soltanto” che determina la potestà impositiva esclusiva di uno stato (sono imponibili

“soltanto” nello Stato contraente). Lo stato di residenza del soggetto concederà quindi un credito d’imposta per le imposte pagate all’estero.

La bozza di modifica al Commentario si interroga sulla possibilità che le attività agricole, svolte nell’altro stato contraente, configurino una stabile organizzazione in tale stato e propone di aggiungere il seguente paragrafo (paragrafo n.3.1 ) al Commentario OCSE:

“l’individuazione o meno di una stabile organizzazione nell’altro Stato contraente deve essere fatta indipendentemente dagli articoli della Convenzione che si applicano agli utili generati dall’impresa. Per esempio, una fattoria situata in uno Stato contraente e gestita da un residente dell’altro Stato contraente può costituire una stabile organizzazione, indipendentemente dal fatto che gli utili attribuibili alla stabile organizzazione costituiscono redditi di beni immobili di cui all’articolo 6”. In sostanza, “whilst Article 6 applies to income from a farm, nothing seems to prevent a farm from being a permanent establishment under the definition of Article 5.”

Di conseguenza, indipendentemente dalle modalità di determinazione del reddito, una fattoria può sicuramente configurare una stabile organizzazione.

2) Il significato di “a disposal of”

Nel recente lavoro dell’OCSE si ricorda come i paragrafi dal 4 al 4.2 del Commentario all’articolo 5 affermano che una sede di attività può costituire una stabile organizzazione di un'impresa, qualora quest’ultima sia a disposizione dell’impresa stessa. Si evidenzia, tuttavia, come nel Commentario non sia spiegato in modo chiaro e preciso il concetto di

“a disposizione dell’impresa”.

Si suggerisce, quindi, di integrare il Commentario OCSE per chiarire il concetto in esame. In particolare, si propone che “a disposizione di” implichi che l’impresa possa usufruire di un luogo nella misura e per la durata che sceglie di perseguire il proprio piano di business e le proprie attività.

Quindi, una sede può essere considerata a disposizione di un’impresa in relazione all’entità della presenza dell’impresa in quella posizione e delle attività che essa svolge in tale sede.

Inoltre, si precisa che:

1. quando l’impresa ha un diritto (legale) esclusivo di utilizzare una sede che viene adoperata esclusivamente per l’esercizio delle attività di business, tale sede è chiaramente a disposizione dell’impresa;

Il significato di

“a disposal of”

(25)

2. nel caso in cui un’impresa svolga un’attività di business in modo continuo e regolare, nel corso di un lungo periodo di tempo, in un luogo che appartiene a un’altra impresa o che viene utilizzato da più imprese, tale sede è a disposizione dell’impresa;

3. diversamente, nell’ipotesi in cui la presenza dell’impresa in un luogo sia intermittente o incidentale, tale sede non può essere considerata un luogo di attività dell’impresa;

4. quando l’impresa non ha il diritto di essere presente in un luogo e, di fatto, non usa tale sede, il luogo in esame chiaramente non è a disposizione dell'impresa.

Così, per esempio, non si può ritenere che un impianto che appartiene ed è utilizzato esclusivamente da un fornitore o un contract-manufacturer sia a disposizione di un’impresa che riceve la merce prodotta in quello stabilimento, per il solo fatto che i beni saranno utilizzati nell’attività di detta impresa.

È importante ricordare che se una sede è un luogo di affari in cui le attività dell’impresa svolte sono le attività di business individuate al paragrafo 4 dell’art. 5 del Modello OCSE (attività preparatorie o ausiliarie), in tale ipotesi non si configura la stabile organizzazione.

Si propongono i seguenti esempi (19).

Un venditore visita regolarmente un importante cliente e incontra il direttore degli acquisti nell’ufficio del direttore.

In tal caso, lo stabilimento dove è sita l’impresa del cliente non è a disposizione dell’impresa per la quale il venditore sta lavorando e quindi non costituisce una sede fissa di affari di tale impresa.

Pietro, un residente dello Stato R, è un consulente indipendente che fornisce servizi di formazione informatica per l’utilizzo di un software specializzato.

19 Gli esempi sono ripresi dalla bozza di modifica al Commentario.

Esempio n.1

Esempio n.2

OSSERVA

(26)

Clientco, una società residente dello Stato S, ha concluso un contratto con Pietro in base al quale egli svolge i corsi di formazione al personale della Clientco, nello Stato S, per circa 20 mesi. Durante questo periodo, il lavoro è effettuato presso la sede della società estera (Clientco).

Pietro incontra i dipendenti nei loro uffici ed è consentito l’uso di 10 stanze, dislocate in tutto il complesso, in cui le lezioni di gruppo possono essere svolte.

Quando le stanze non sono in uso, Pietro le può utilizzare per preparare i suoi corsi.

Il consulente indipendente ha una stabile organizzazione nel paese S?

Nella bozza in esame si conclude che il consulente ha una stabile organizzazione nel paese S. Si ritiene sia presente la stabile poiché:

1. la formazione è la parte centrale dell’attività del consulente ed il luogo nel quale la formazione è svolta è il luogo nel quale l’attività è esercitata; di conseguenza sicuramente, in parte, l’attività del soggetto è svolta all’estero;

2. la stanza è a disposizione del consulente per la preparazione delle sue attività di formazione; tale elemento è fondamentale ed è indice della disponibilità della sede d’affari per l’esercizio dell’attività del consulente.

Carco, una società residente nello Stato R, produce e vende automobili in tutto il mondo.

La società in esame decide di costituire una controllata, Subcar, nello Stato S, un paese in via di sviluppo.

L’attività svolta dalla controllata è così strutturata:

 la società assembla i prodotti finiti (le auto) con i pezzi forniti dalla casa madre;

 i ricambi sono temporaneamente importati nello Stato S e le vetture terminate rispedite allo Stato R;

 le parti necessarie per l’assemblaggio rimangono di proprietà della casa madre;

 la controllata paga un canone per l’utilizzo dei processi di produzione sviluppati dalla controllante;

 Subcar fattura a Carco i servizi per l’attività svolta.

Nella bozza di modifica al Commentario si ritiene che, in tale ipotesi, non si configuri la stabile organizzazione della casa madre nel paese in cui è sita la controllata.

Infatti, i locali della controllata non sono utilizzati dalla casa madre e non sono a disposizione della stessa.

Esempio n.3

Riferimenti

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