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Ratzinger and science (communication)

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Academic year: 2021

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SISSA – International School for Advanced Studies Journal of Science Communication

ISSN 1824 – 2049 http://jcom.sissa.it/

JCOM 4 (2), June 2005 2005 SISSA

Editorial

Ratzinger e la (comunicazione della) scienza

La morte, a Roma, di Giovanni Paolo II, il “papa polacco”, e la successiva elezione di Benedetto XVI, il

“papa tedesco”, sono stati due grandi eventi. Anche mediatici. Hanno coinvolto e tuttora coinvolgono il mondo intero, sia per la capacità di Karol Woytila di parlare al cuore delle persone (non a caso è stato definito il “grande comunicatore”), sia per l’influenza spirituale, culturale e anche politica che il Vaticano esercita in vaste aree del pianeta.

La morte di Giovanni Paolo II e l’elezione di Benedetto XVI riguardano anche la scienza e la sua comunicazione. Temi ai quali il “papa polacco” ha dedicato molte riflessioni nel corso dei 27 anni del suo pontificato: da ricordare sono la cosiddetta “riabilitazione di Galileo”, così come la profonda diffidenza espressa verso le biotecnologie applicate all’uomo.

Alla comunicazione diretta a opera degli scienziati Giovanni Paolo II, soprattutto nella prima parte del suo pontificato, attribuiva un grande rilievo sia nell’ambito dei rapporti tra scienza e società, sia nell’ambito dei rapporti tra scienza e religione. Wojtyla infatti pensava – e scriveva – che la scienza non è in contrasto strutturale con la religione e che, anzi, può contribuire, con la sua ricerca dell’intima unità della natura, a recuperare, insieme alla filosofia e alla teologia, quella “frammentazione dei saperi” che è causa non ultima della “desacralizzazione del mondo”. Alla tecnica, invece, il papa polacco guardava con maggiore sospetto. Come alla causa della rottura di un equilibrio millenario. Una rottura divenuta ben più profonda da quando la tecnica biologica ha acquisito la capacità di manipolare il genoma e, in particolare, il genoma umano.

In questo ambito la comunicazione pubblica della scienza a opera degli scienziati assumeva, ai suoi occhi, un ruolo decisivo. Agli scienziati, infatti, Giovanni Paolo II non attribuiva particolari responsabilità rispetto al governo della tecnica, che è un governo essenzialmente politico ed economico.

Agli uomini di scienza, cattolici e non, Giovanni Paolo II assegnava un ruolo in apparenza minore, ma preciso: poiché prima e meglio degli altri possono capire, per dirla con Einstein, “dove la scarpa fa male”

e, quindi, dove portano le nuove conoscenze e l’innovazione tecnologica che ne deriva, essi devono informare costantemente e compiutamente il resto della società. Insomma, essi “devono” comunicare. Da questo punto di vista papa Wojtyla aveva intuito, prima di molti altri, il ruolo nuovo che la comunicazione pubblica ha assunto nell’era post-accademica della scienza.

Negli ultimi anni del pontificato, tuttavia, la strategia di comunicazione della scienza di Giovanni Paolo II è cambiata in modo piuttosto radicale. La diffidenza e persino l’opposizione aperta alle biotecnologie applicate all’uomo – dalla fecondazione medicalmente assistita, alla clonazione e alla ricerca sulle cellule staminali embrionali (senza dimenticare il più antico tema del controllo delle nascite e dell’uso del preservativo per prevenire la diffusione dell’Aids) – sono diventate parte centrale della sua pastorale.

E il capo della Chiesa di Roma, con un atteggiamento in parte inedito, ha scelto di intervenire nei rapporti tra scienza, tecnica e società con una strategia forte e, soprattutto, diretta. Assumendo su di sé sia l’onere della comunicazione che dell’azione politica. Non più delega agli scienziati, dunque, ma presa in carico diretta dell’azione comunicativa e politica.

Sia detto per inciso: anche in questo papa Wojtyla ha intuito l’essenza della nuova era post-accademica della scienza, era nella quale le decisioni rilevanti per lo sviluppo della scienza sono prese in compartecipazione – in una compartecipazione che può essere sia cooperativa che competitiva – da una serie di gruppi sociali portatori di interessi legittimi diversi.

Fatto è che dalla diplomazia vaticana alle parrocchie, in anni recenti tutta la complessa struttura della

Chiesa di Roma è stata mobilitata per comunicare, convincere, modificare i quadri legislativi sulle grandi

questioni aperte dall’innovazione biotecnologica. Questa azione incessante di comunicazione e di azione

politica diretta si è fatta senitire in tutte le grandi assisi delle Nazioni Unite, così come nelle vicende

politiche di singoli paesi: Stati Uniti, Spagna, Italia, Polonia.

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P. Greco 2

Nella definizione di questa strategia diretta, che ha coniugato la comunicazione bioetica e l’azione politica, ha avuto un ruolo decisivo il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Joseph Ratzinger. Il nuovo papa.

Prima di diventare Benedetto XVI, il cardinale Ratzinger si è occupato molto e con molta preoccupazione di biologia. Andando oltre la diffidenza di Giovanni Paolo II. Tanto da inserire tra “le patologie distruttive della ragione” anche la genetica umana, persino nella sua ricerca di base: la conoscenza molecolare del codice genetico (si veda Libertà e religione nell'identità dell'Europa).

Sembra esserci, in questo pensiero di Joseph Ratzinger non solo l’idea che la conoscenza genetica dell’uomo sia foriera di molti mali, ma anche che sia un male in sé. E che la conoscenza dell’uomo nei suoi aspetti più intimi appartenga solo alla religione e sia – debba essere – preclusa alla ragione e alla scienza.

Allora non è del tutto ingiustificato porsi alcune domande, pur senza anticipare alcuna risposta. Il nuovo papa finirà per accentuare la strategia diretta di comunicazione e di intervento politico in materia di bioetica? E se questo dovesse verificarsi, quali conseguenze avrà nel mondo della scienza?

Determinerà divisioni tra scienziati cattolici e scienziati non cattolici? E quali conseguenze avrà nel rapporto tra scienza e società? Andremo incontro, anche nei paesi cattolici, alla costituzione di

“maggioranze morali” che, come sembra stia succedendo negli Usa, cercheranno di costruire una società (mono)etica? E per raggiungere questi scopi verranno “mobilitate le parrocchie” e – come sta già succedendo in Italia e in Spagna – saranno utilizzate strategie di comunicazione personalizzate, strategie di microcomunicazione del tutto inusuali per chi, da laico, frequenta i laboratori?

Pietro Greco

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