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Comitato di direzione
Stefano Canestrari, Giovanni Canzio, Adolfo Ceretti, Cristina de Maglie, Luciano Eusebi, Alberto Gargani, Fausto Giunta, Vincenzo Maiello, Marco Nicola Miletti, Renzo Orlandi, Michele Papa, Carlo Piergallini, Francesca Ruggieri
Coordinatore Fausto Giunta
Comitato di redazione
Alessandro Corda, Roberto Cornelli, Gianfranco Martiello, Claudia Mazzucato, Dario Micheletti, Gherardo Minicucci, Daniele Negri, Caterina Paonessa, Antonio Vallini, Vito Velluzzi Coordinatore
Dario Micheletti
Direttore responsabile Alessandra Borghini
www.edizioniets.com/criminalia
Registrazione Tribunale di Pisa 11/07 in data 20 Marzo 2007
Criminalia
Annuario di scienze penalistiche
Edizioni ETS
2 0 1 8
Criminalia
Annuario di scienze penalistichewww.edizioniets.com
© Copyright 2019 EDIZIONI ETS
Palazzo Roncioni - Lungarno Mediceo, 16, I-56127 Pisa [email protected]
www.edizioniets.com ISBN 978-884675634-3 ISMN 1972-3857
INDICE
Primo Piano MARTA BERTOLINO
Diritto penale, infermità mentale e neuroscienze 13
GIOVANNI CANZIO
Multiculturalismo e giurisdizione penale 53
MAURIZIO CATINO
Fare luce sulla zona grigia 65
CRISTINA DE MAGLIE
La lingua del diritto penale 105
ALBERTO GARGANI
Depenalizzazione e “materia penale”. La graduazione delle garanzie tra forma e sostanza
143
MICHELE TARUFFO
Note sparse su certezza e coerenza della decisione giudiziale 161
I grandi temi La tutela della persona umana ROBERTO BARTOLI
Brevi riflessioni sul fine vita a partire dai concetti di uomo, individuo e
persona 177
GIOVANNI FLORA
La tutela della libertà sessuale ed i tormenti di Cupido nell’era postmoderna 189 FAUSTO GIUNTA
I beni della persona penalmente tutelati: vecchie e nuove sfaccettature 195
MICHELE PAPA
La fisiognomica della condotta illecita nella struttura dei reati sessuali:
appunti per una riflessione sulla crisi della tipicità 213 ANTONIO VALLINI
Il “discorso” giuridico in tema di “persona”: abbozzo di un lessico 223
I grandi temi Negazionismo GIULIANO BALBI
Il negazionismo tra falso storico e post-verità
233 FILIPPO BELLAGAMBA
Dalla criminalizzazione dei discorsi d’odio all’aggravante del negazionismo:
nient’altro che un prodotto della legislazione penale “simbolica”? 265 CORRADO DEL BÒ
Tollerare l’intollerabile. Il negazionismo tra etica e diritto 291
I grandi temi Tortura GIOVANNI CANZIO
I crimini di guerra nazisti in Italia (1943-1945) nella giurisprudenza
della Corte di cassazione 305
STEFANIA CARNEVALE
Tortura e maltrattamenti in carcere: i presidi di diritto processuale
e penitenziario a supporto degli strumenti sostanziali 325 LUCIA RISICATO
L’ambigua consistenza della tortura tra militarizzazione del diritto penale
e crimini contro l’umanità 351
5 Il punto su… La nuova disciplina dell’art. 162-ter c.p.
GIAN PAOLO DEMURO
L’estinzione del reato mediante riparazione 373
SERGIO SEMINARA
Perseguibilità a querela ed estinzione del danno per condotte
riparatorie: spunti di riflessione 383
Il punto su… La corruzione tra privati FRANCESCO MACRÌ
La corruzione tra privati (art. 2635 c.c.): i recenti ritocchi della legge
“spazzacorrotti” (l. n. 3/2019) e i problemi di fondo della disciplina italiana
alla luce dell’esperienza comparatistica 405
ANDREA FRANCESCO TRIPODI
La corruzione tra privati. Un’analisi diacronica dello spettro offensivo
della fattispecie ovvero la concorrenza come figlia di un dio minore 437
Antologia FABIO BASILE
Violenza sulle donne e legge penale: a che punto siamo? 463 FRANCESCO CALLARI
La rivisitazione in malam partem del giudicato penale: dal contrasto
del terrorismo e della criminalità organizzata ad orizzonti futuribili 475 ALBERTO CAPPELLINI
Machina delinquere non potest? Brevi appunti su intelligenza artificiale
e responsabilità penale 499
GAETANO CARLIZZI
Il principio del libero convincimento come guida per il legislatore
e per il giudice nel campo del processo penale 521
RICHARD DUBÉ – MARGARIDA GARCIA
L’opinione pubblica come fondamento del diritto di punire:
frammenti di una nuova teoria della pena?
FAUSTO GIUNTA
Culpa, culpae
537
569 GAETANO INSOLERA
Dalla difesa legittima all’offesa legittimata? Ragioni a confronto
sulle proposte di modifica all’art. 52 c.p. 601
MASSIMILIANO LANZI
Preterintenzione e reato aberrante, tra vecchi paradigmi e nuove esigenze
di tutela 611
GIORGIO MANIACI
Harm principle e offence principle secondo un’etica liberale 643 GIANFRANCO MARTIELLO
Violenza pubblica potenzialmente letale e diritto alla vita ex art. 2 CEDU:
a proposito dell’art. 53 c.p. “convenzionalmente riletto” 681 DARIO MICHELETTI
La responsabilità penale del medico tra colpa generica e colpa specifica 705 GHERARDO MINICUCCI
Brevi riflessioni sulle contaminazioni linguistiche nel diritto penale 745 PIER FRANCESCO POLI
La colpa grave quale limite all’imputazione per colpa: uno sguardo
ai codici dell’Italia unita 765
VICO VALENTINI
Dovere di soccorrere o diritto di speronare? Qualche spunto (quasi) a caldo
sul caso Sea Watch 3 785
TABLE OF CONTENTS
On the front page MARTA BERTOLINO
Criminal law, insanity, and neuroscience 13
GIOVANNI CANZIO
Multiculturalism and criminal justice decision-making 53 MAURIZIO CATINO
Shedding light on the grey area 65
CRISTINA DE MAGLIE
The language of the criminal law 105
ALBERTO GARGANI
Decriminalization and “criminal matter”. The graduation of guarantees between form and substance
143
MICHELE TARUFFO
Some remarks on the certainty and consistency of judicial decisions 161
Big themes Protecting the human person ROBERTO BARTOLI
Brief remarks on end of life starting with the notions of “human being”,
“individual” and “person”. 177
GIOVANNI FLORA
Protecting sexual freedom and Cupid’s struggles in the post-modern era 189 FAUSTO GIUNTA
The person’s interests protected by the criminal law: old and new nuances 195
MICHELE PAPA
The physiognomy of the Actus Reus in the structure of sexual offenses:
notes for a reflection on the crisis of the Tatbestand 213 ANTONIO VALLINI
The legal “discourse” about the “person”: a tentative lexicon 223
Big themes Historical denialism GIULIANO BALBI
Historical denialism between fabrications of history and post-truth
233 FILIPPO BELLAGAMBA
From the criminalization of hate speech to the aggravating factor of historical denialism: nothing more than a further outcome of
“symbolic” criminal law-making? 265
CORRADO DEL BÒ
Tolerating the intolerable. Historical denialism between ethics and law 291
Big themes Torture GIOVANNI CANZIO
Nazi war crimes in Italy (1943-1945) in the case law of the Cassation Court 305 STEFANIA CARNEVALE
Torture and mistreatments in prison: penitentiary law procedural
protections supporting substantive tools 325
LUCIA RISICATO
The ambiguous texture of the crime of torture, between the militarization
of the criminal law and crimes against humanity 351
9 Focus on… The new provision of Art. 162-ter of the Penal Code
GIAN PAOLO DEMURO
The extinction of the offense through reparation 373
SERGIO SEMINARA
Private criminal complaints and extinction of the harm caused by means of
reparative conducts: food for thought 383
Focus on… Private corruption FRANCESCO MACRÌ
Private corruption (Art. 2635 of the Civil Code): recent amendments to the “Spazzacorrotti” Law (l. n. 3/2019) and the underlying problems
of the Italian provisions in light of the comparative experience 405 ANDREA FRANCESCO TRIPODI
Private corruption. A diachronic analysis of the offense’s harm spectrum:
competition as the child of a lesser God 437
Anthology FABIO BASILE
Violence against women and the criminal law: where are we now? 463 FRANCESCO CALLARI
Reforming in malam partem a final decision: from the fight against terrorism and organized crime to futuristic horizons 475 ALBERTO CAPPELLINI
Machina delinquere non potest? Brief remarks on artificial intelligence
and criminal liability 499
GAETANO CARLIZZI
Freedom of conviction as a guiding principle for both the legislature
and the judge in the criminal trial context 521
RICHARD DUBÉ,MARGARIDA GARCIA
Public opinion as the foundation of the right to punish: fragments of a new theory of punishment?
FAUSTO GIUNTA
Culpa, culpae
537
569 GAETANO INSOLERA
From self-defense to legitimized offense? Assessing the rationales
of proposed amendments to Art. 52 of the Penal Code 601 MASSIMILIANO LANZI
Crimes beyond intention and mistake in the commission of a crime,
between old paradigms and new calls for protection 611 GIORGIO MANIACI
Harm principle and offense principle according to a liberal ethics 643 GIANFRANCO MARTIELLO
Potentially lethal state violence and right to life under Art. 2 of the ECHR:
on Art. 53 of the Penal Code re-read through the Convention’s lenses 681 DARIO MICHELETTI
Criminal liability of medical professionals between generic
and specific negligence 705
GHERARDO MINICUCCI
Brief remarks on linguistic contamination in the criminal law 745 PIER FRANCESCO POLI
Gross negligence as a limit to negligence charges: a look at the Penal Codes of unified Italy
765 VICO VALENTINI
Duty to assist or right to ram? First remarks on the Sea Watch 3 case 785
I grandi temi
La tutela della persona umana
ROBERTO BARTOLI
BREVI RIFLESSIONI SUL FINE VITA A PARTIRE DAI CONCETTI DI UOMO, INDIVIDUO E PERSONA (*)
SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive. – 2. Le visioni assolute: vita (uomo) versus autodetermi- nazione (individuo). – 3. La legge n. 219 del 2017: nulla di nuovo sotto il sole nel rapporto tra- dizionale tra vita e autodeterminazione. – 4. La questione della illegittimità costituzionale dell’aiuto al suicidio: tentativi dirompenti ricondotti a “tradizione”. – 5. Tertium datur: le nuove prospettive basate sulla persona (comunità).
1. Considerazioni introduttive
Affrontare oggi il tema della disciplina del fine vita genera un profondissimo di- sagio. Disagio non solo per la complessità delle problematiche che pone; non solo per la fortissima tensione che si crea tra interessi contrapposti così rilevanti come la vita e l’autodeterminazione e per la difficoltà di trovare un ragionevole equilibrio tra di essi; ma soprattutto disagio per l’incapacità di individuare le direttrici cultu- rali di fondo attraverso le quali leggere le problematiche. È come se oggi mancasse non soltanto una visione omogenea e condivisa del rapporto che intercorre tra l’uomo e la propria morte, ma più in generale una visione omogenea e condivisa di uomo e di relazione che deve intercorrere tra questo uomo e il ruolo regolativo del- lo Stato allorquando determinate azioni producono esclusivamente danni a sé.
Se da un lato resta fermo l’obiettivo di tutelare la vita, dall’altro lato, anche a seguito della progressiva riduzione del protagonismo onnipervasivo dello Stato, si va sempre più consolidando l’idea di riconoscere spazi alla libertà di autodeter- minazione dell’uomo. Ma nel momento in cui si prospettano tali spazi, il tema di- venta quando e come riconoscerli: è tutto rimesso nelle mani del singolo indivi- duo, con il rischio di una esasperazione individualistica, ma anche di possibili e – per così dire – subdole strumentalizzazioni da parte di terzi? Oppure si può dare una diversa lettura dell’uomo che, senza ripiombare in prospettive collettivistiche o statalistiche, risulta comunque comunitaria, al fine di consentire un’autentica espressione di sé ma anche di evitare strumentalizzazioni?
(*) È il testo della relazione tenuta al Convegno in onore di Francesco Palazzo, dal titolo “La tutela della persona umana. Dignità, salute, scelte di libertà”, svoltosi a Pisa, il 12 ottobre 2018.
Roberto Bartoli
In estrema sintesi, si può dire che siamo passati da una fase storica in cui si contrapponevano visioni forti, ma anche rigide e per certi aspetti assolute, a una fase storica contraddistinta non solo da visioni più sfumate e difficilmente affer- rabili, ma anche caratterizzate da un certo pragmatismo, in cui si intuisce la ne- cessità di abbandonare i porti sicuri delle visioni precedenti, ma dove stenta an- cora a delinearsi una rotta chiara e una visione d’insieme.
Ed è proprio in fasi storiche come queste che, soprattutto rispetto a temi deli- cati come il fine vita, al giurista si richiede uno sforzo per andare alla ricerca delle ragioni di fondo di una disciplina dei divieti (e dei permessi) penali, secondo l’insegnamento che ci ha trasmesso Francesco Palazzo, Maestro mio, al quale queste riflessioni sono umilmente e affettuosamente dedicate1.
2. Le visioni assolute: vita (uomo) versus autodeterminazione (individuo) Partiamo dalle visioni rigide ovvero dalle due visioni che si sono contese il campo quanto meno fino ad oggi: da un lato, quella basata sulla prevalenza della vita sull’autodeterminazione; dall’altro lato, quella opposta basata sulla prevalen- za dell’autodeterminazione sulla vita.
Di solito si tende a contrapporre queste due visioni in ragione del loro diverso carattere: assoluto, la prima; relativo, la seconda. La visione basata sulla prevalenza della vita sarebbe rigida, totalizzante, addirittura espressione anche di un certo au- toritarismo nei confronti del singolo consociato; quella invece basata sulla preva- lenza dell’autodeterminazione sarebbe flessibile, relativa, per non dire relativistica, proprio perché riconosce spazio alla scelta oltretutto imponderabile del singolo.
In realtà, a ben vedere, a noi pare che si tratti di visioni nella sostanza identiche nella loro rigidità e assolutezza, ancorché del tutto speculari. La visione basata sulla prevalenza della vita sull’autodeterminazione è assoluta in quanto non c’è alcuno spazio per l’autodeterminazione. Si tratta della visione adottata dal codice Rocco dove la norma chiave è costituita non tanto dal delitto che punisce l’omicidio del consenziente, ma dalla fattispecie che incrimina l’aiuto al suicidio. Nonostante il suicidio sia un fatto non solo lecito, ma anche interamente dominato dall’aspirante suicida, si puniscono le condotte di terzi che agevolano la sua realizzazione, e non solo le condotte di istigazione che in qualche modo influiscono sulla scelta del sog- getto al suicidio, ma anche quelle di mera agevolazione materiale che riguardano quindi un soggetto che si è già totalmente autodeterminato nel senso del suicidio.
Piuttosto il codice Rocco riconosce una certa valenza all’autodeterminazione nel
1 F. PALAZZO, Tendenze e prospettive nella tutela penale della persona, in L. FIORAVANTI (a cura di), La tutela penale della persona. Nuove frontiere, difficili equilibri, Milano, 1996, p. 401 ss.
Brevi riflessioni sul fine vita 179 momento in cui si prevede la fattispecie dell’omicidio del consenziente, ma si tratta di una valenza che, inserendosi in un contesto di tutela assoluta della vita, concorre soltanto a delineare il minore disvalore del fatto commesso.
Se si volesse andare a individuare la visione di uomo sottostante a questa di- sciplina, si potrebbe parlare di una visione fortemente collettivista e statalista che, nell’appropriarsi del concetto universale e astratto di uomo, sottrae interamente la vita alla disponibilità dei singoli per finalità collettive o comunque nel nome di va- lori assoluti. Insomma, il singolo individuo in carne ed ossa non ha alcuna rilevan- za, mentre ciò che rileva è un concetto generale e astratto di vita di cui lo Stato si appropria in termini universalistici negando completamente l’autodeterminazione espressa dal singolo.
La visione basata sulla prevalenza dell’autodeterminazione rispetto alla vita, pur non trovando accoglimento nel nostro ordinamento, è tuttavia la visione at- traverso la quale si tende a guardare alla disciplina vigente. In questa prospettiva, si è mossa ad esempio l’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale che ha dato origine all’ordinanza n. 207 del 2018 della Consulta2. Tale ordinanza di ri- messione aveva infatti cercato di ridefinire l’oggetto di tutela dell’art. 580 c.p., individuandolo nella libertà di autodeterminazione e alla luce di questa ridefini- zione aveva sollevato dubbi sulla legittimità dell’incriminazione della agevolazio- ne in termini di inoffensività/irragionevolezza: in buona sostanza, secondo il giudi- ce rimettente, le due condotte dell’istigazione morale e dell’aiuto materiale non possono essere messe sullo stesso piano, essendo solo la prima offensiva della libera autodeterminazione del soggetto. La Corte costituzionale, com’è noto, e come ve- dremo più in dettaglio in seguito, ha tuttavia respinto siffatta lettura, osservando come il bene giuridico tutelato dalla fattispecie sia quello del diritto alla vita e che pertanto la condotta di agevolazione non può essere considerata inoffensiva.
La visione che attribuisce prevalenza all’autodeterminazione è una visione ri- gida quanto quella che dà prevalenza alla vita, affètta nella sostanza dagli stessi di- fetti, pur approdando a esiti opposti: generalità e astrattezza che determinano rigi- dità e assolutezza. Attribuire sempre prevalenza assoluta all’autodeterminazione significa infatti non solo rimettere tutto nelle mani del singolo, ma anche indiffe- renza verso la situazione concreta, situazione in cui però potrebbero emergere condizioni di vulnerabilità che necessitano di una qualche tutela nei confronti di possibili strumentalizzazioni da parte di terzi. Insomma, proprio nel momento in cui si vuole dare effettivo spazio all’autodeterminazione, non si può essere del tutto indifferenti alla circostanza che, soprattutto nelle dinamiche del fine vita, non solo il contesto è delicatissimo, ma intervengono anche soggetti terzi che possono in qualche modo abusare della particolare situazione.
2 Corte d’Assise di Milano, ord. 14 febbraio 2018, imp. Cappato.
Roberto Bartoli
Da un punto di vista “culturale” si potrebbe dire che alla base di questa visio- ne c’è una concezione fortemente individualistica dell’uomo, secondo cui l’autodeterminazione dell’individuo prevale su tutto. Certo, si tratta di una visio- ne che contesta il collettivismo statalista, ma nel compiere questa operazione tra- volge anche qualsiasi prospettiva comunitaria, facendo dell’uomo un singolo indi- viduo avulso dalla realtà e quindi esposto a rischi di strumentalizzazione. Insomma, l’autodeterminazione è ancora una volta assunta nella sua generalità e astrattezza, come valore indifferente rispetto al contesto e alle condizioni concrete.
Concludendo, si può affermare che sia la concezione collettivistico-statalistica che quella individualistica, sono concezioni rigidissime in quanto hanno come punto di riferimento valori indubbiamente diversi (vita e autodeterminazione) ma riferiti non tanto all’uomo in carne ed ossa, ma a un’idea di uomo avulsa dal con- testo della realtà, e quindi assunti nella loro generalità e astrattezza ovvero nella loro assolutezza.
3. La legge n. 219 del 2017: nulla di nuovo sotto il sole nel rapporto tradizionale tra vita e autodeterminazione
Con la legge n. 219 del 2017 è stata attribuita un’indubbia rilevanza all’autodeterminazione nelle vicende del fine vita e più precisamente nell’ipotesi del tutto peculiare in cui l’uomo risulta affètto da patologie che possono condur- re alla morte, non necessariamente terminali, ma senza dubbio potenzialmente mortali, tali da far dipendere la vita da cure mediche3.
Sancisce infatti l’art. 1, l. n. 219/2017: «nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interes- sata» (comma 1); «ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte […] qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso. Ha, inoltre, il dirit- to di revocare in qualsiasi momento […] il consenso prestato, anche quando la re- voca comporti l’interruzione del trattamento» (comma 5); «il medico è tenuto a ri- spettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di ri- nunciare al medesimo e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale» (comma 6).
Il punto centrale che si deve affrontare è se con questa nuova legge si sia aper- ta o meno una breccia all’interno della concezione tradizionale che vede nella vita un bene da tutelare in termini assoluti.
3 In argomento, v., per tutti, S. CANESTRARI, I fondamenti del biodiritto penale e la legge 22 dicembre 2017 n. 219, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, p. 55 ss.
Brevi riflessioni sul fine vita 181 Ebbene, non c’è dubbio che là dove questa disciplina sancisce la rilevanza del rifiuto di cure, a nostro avviso, il quadro tradizionale non è stato nemmeno scalfi- to, in quanto lo spazio riconosciuto all’autodeterminazione non si fagocita quello destinato alla tutela della vita, essendo piuttosto uno spazio proprio ed esclusivo dell’autodeterminazione. In estrema sintesi, si può dire che questa disciplina si ispira all’habeas corpus, in quanto ribadisce l’esistenza di uno spazio intangibile e invalicabile della persona che l’autodeterminazione aveva già contro possibili abusi e prevaricazioni e che può essere sintetizzato nella frase “nessuno può toc- care il mio corpo senza il mio consenso”. Se poi dalla mancata attivazione del medico deriva la morte, ciò non deve meravigliare, non solo perché è la conse- guenza di una scelta individuale e di un decorso causale già in atto – per così dire – fisiologico, ma soprattutto perché se si volesse impedire la verificazione della morte si sarebbe costretti a compiere una vera e propria violenza. Insomma, la situazione è tale per cui il terzo è completamente estraneo alla vicenda ed un suo intervento, oltre ad esprimere un inesistente “diritto di altri sulla vita altrui”, co- stituirebbe una vera e propria prevaricazione.
Più problematica è la valutazione dell’equiparazione che la legge compie tra rifiuto di cure e interruzione del trattamento terapeutico, anche perché all’interno di questa situazione rientra non solo l’ipotesi in cui venga interrotta una terapia la cui pratica conosce – per così dire – soluzioni di continuità, ma anche quella in cui la terapia consiste in un trattamento permanente perché consistente ad esempio in un sostegno vitale.
Se si valorizza la prospettiva del soggetto passivo, la rilevanza attribuita al con- senso è riconducibile all’habeas corpus, sia per l’autodeterminazione che implica, non potendosi dimenticare che consenso e revoca del consenso non sono altro che due facce della stessa medaglia, sia per il processo causale in atto, in quanto l’interruzione del sostegno vitale altro non è che l’interruzione di una interruzio- ne con conseguente ripresa del decorso che era stato interrotto.
Se invece si valorizza la prospettiva del soggetto attivo, dalle due situazioni emergono significative dissomiglianze e quindi si tende a parlare di una prevalen- za dell’autodeterminazione rispetto alla vita. Come accennato, nell’ipotesi di tota- le rifiuto di cure salva vita, il decorso causale che porta alla morte finisce per es- sere – per così dire – nel totale dominio della natura e quindi del soggetto, in quanto la morte è il prodotto di un decorso causale già in atto non riconducibile ad alcun comportamento umano, né di un terzo, né del soggetto titolare della vi- ta, ma interamente riconducibile al decorso “fisiologico” della patologia. Conse- guentemente, l’omessa attivazione da parte del soggetto non può essere conside- rata tipica, nemmeno quando sia realizzata dal medico, visto che il consenso de- limita la sfera di operatività della posizione di garanzia. In questa prospettiva, quindi, il rifiuto di cure può essere considerato vera e propria espressione della li-
Roberto Bartoli
bertà personale di cui all’art. 13 Cost., da intendersi come il diritto del soggetto di tenere fuori dalla propria sfera personale tutto ciò che è per l’appunto esterno ed estraneo. Insomma, la morte che consegue dall’interruzione di cure potrebbe essere considerata una vera e propria morte naturale, determinata da un decorso causale già in atto che il soggetto non ha voluto nemmeno tentare di interrompere.
Diversamente, nell’ipotesi dell’interruzione di cure salva vita (es. “staccare la spina” del macchinario che consente la respirazione artificiale), il decorso causale che porta alla morte finisce per essere nel dominio di chi agisce, in quanto la morte è il prodotto di un decorso causale già in atto, sì, ma nella sostanza interrotto attra- verso una precedente azione e che torna a decorrere soltanto se qualcuno si attiva di nuovo. Conseguentemente l’interruzione di cure non può che essere considerata tipica rispetto alla fattispecie di omicidio del consenziente. In questa prospettiva, il consenso all’interruzione da parte del soggetto può essere considerato espressione di quanto disposto dall’art. 32, comma 2, Cost., vale a dire del diritto del soggetto di non essere obbligato a un determinato trattamento sanitario là dove le conse- guenze dell’omesso trattamento ricadono sul soggetto stesso: in sostanza, il com- portamento che ottempera alla volontà del paziente è senza dubbio un comporta- mento attivo che ne cagiona la morte, tuttavia scriminato sulla base di quanto di- sposto dall’art. 32 Cost.
E che le due ipotesi del rifiuto e della interruzione di cure siano diverse, oltre che dai differenti riferimenti costituzionali e dalle differenti categorie dogmatiche, si ricava anche da altri due aspetti: da un lato, destinatario del rifiuto di cure finisce per essere chiunque, mentre destinatario dell’interruzione di cure può essere sol- tanto il medico; dall’altro lato, è proprio in presenza dell’interruzione di cure che si pone poi il problema dell’eventuale obiezione di coscienza da parte del medico.
Tuttavia, a nostro parere, preferibile è la prima lettura che equipara rifiuto e interruzione di cure. A sostegno di questa conclusione sta soprattutto il fatto che se noi accedessimo all’idea che la nuova legge del 2017 attribuisce prevalenza all’autodeterminazione sulla vita nelle ipotesi di malattia irreversibile, si finirebbe per creare un piano inclinato davvero problematico. A ben vedere, infatti, questa impostazione si presenterebbe rischiosa nel momento in cui ci si muovesse nella prospettiva dell’eguaglianza ragionevolezza. Ed infatti, una volta riconosciuta ri- levanza all’autodeterminazione nelle situazioni di vulnerabilità come quelle in cui si è malati irreversibili, come non riconoscerla anche nelle ipotesi in cui il sogget- to non è vulnerabile? È chiaro che così non solo si aprirebbe la strada all’eutanasia, ma soprattutto si aprirebbe la strada all’individualismo, a una con- cezione astratta dell’autonomia individuale che ignora le condizioni concrete di disagio e abbandono e i rischi di strumentalizzazione sempre incombenti.
Brevi riflessioni sul fine vita 183 4. La questione della illegittimità costituzionale dell’aiuto al suicidio:
tentativi dirompenti ricondotti a “tradizione”
Come abbiamo accennato, un tentativo di vero e proprio mutamento di pro- spettiva si è avuto con l’ordinanza che ha sollevato questione di legittimità costi- tuzionale rispetto all’art. 580 c.p. nella parte in cui punisce l’aiuto al suicidio: «i principi costituzionali che hanno ispirato, solo alcuni mesi fa, la formulazione e l’approvazione della legge n. 219/2017 devono presidiare […] anche l’esegesi della norma in esame […] il riconoscimento del diritto di ciascun individuo di autodeterminarsi anche su quando e come porre fine della [alla] propria esisten- za, rende ingiustificata la sanzione penale nel caso in cui le condotte di partecipa- zione al suicidio siano state di mera attuazione di quanto richiesto da chi aveva fatto la sua scelta liberamente e consapevolmente»4.
Che si trattasse di una lettura dirompente si ricavava non solo dall’interpretazione dell’art. 580 c.p. come fattispecie a tutela dell’autodeterminazione, ma anche, e direi soprattutto, proprio dalla lettura della nuova legge n. 219/2017 come disciplina tut- ta incentrata sulla prevalenza dell’autodeterminazione rispetto alla vita, cercando poi di estenderne la portata all’aiuto al suicidio.
Tuttavia, la Corte costituzionale, su suggerimento di una parte della dottrina5, ha ricondotto la problematica nell’alveo tradizionale6. In un primo passaggio la Corte ha riconosciuto la legittimità della fattispecie e cioè che «l’incriminazione dell’istigazione e dell’aiuto al suicidio […] è […] funzionale alla tutela del diritto alla vita, soprattutto delle persone più deboli e vulnerabili». In un passaggio suc- cessivo la Corte ha delimitato il campo in cui diviene problematico l’aiuto al sui- cidio, precisando che occorre considerare «le ipotesi in cui il soggetto agevolato si identifichi in una persona a) affetta da una patologia irreversibile e b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale
4 Corte d’Assise di Milano, ord. 14 febbraio 2018, cit.
5 D. PULITANÒ, Il diritto penale di fronte al suicidio, in Dir. pen. contemp., 7/2018, p. 57 ss.;
nonché, volendo, R. BARTOLI, Ragionevolezza e offensività nel sindacato di costituzionalità dell’aiuto al suicidio, ivi, 10/2018, 97 ss.
6 Corte cost., ord. 24 ottobre 2018, n. 206. Tra i molti commenti all’ordinanza, v. i contri- buti di R. Bartoli, M. Bignami, S. Canestrari, U. Corea, C. Cupelli, D. De Lungo, M. Donini, L.
Eusebi, G. Fontana, C. Giunta, F. Lazzeri, F.S. Marini, A. Massaro, D, Morana, A. Natalini, L.
Pirozzi, D. Pulitanò, L. Risicato, S. Seminara e A. Sessa, pubblicati nel volume F.S. MARINI-C.
CUPELLI (a cura di), Il caso Cappato. Riflessioni a margine dell’ordinanza della Corte costituzionale n. 207 del 2018, Napoli, 2019, con la prefazione di F. Viganò; A. VALLINI, Morire è non essere visto: la Corte costituzionale volge lo sguardo sulla realtà del suicidio assistito, in Dir. pen., proc., 2019, in corso di pubblicazione, p. 1 ss. del dattiloscritto; F. CONSULICH, Intervento penale e de- cisioni di fine vita. Alla ricerca di un diritto contemporaneo, in www.giurisprudenzapenale.com, p.
1 ss.; G. GENTILE, La Corte costituzionale e il suicidio assistito, tra giurisdizione e politica, in Foro it., 2019, in corso di pubblicazione, p. 1 ss. del dattiloscritto.
Roberto Bartoli
sia c) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli»: in tali ipotesi – afferma la Corte –
«l’assistenza di terzi nel porre fine alla sua vita può presentarsi al malato come l’unica possibilità d’uscita per sottrarsi, nel rispetto del proprio concetto di digni- tà della persona, a un mantenimento artificiale in vita non più voluto e che egli ha il diritto di rifiutare in base all’art. 32, secondo comma, Cost.».
Il punto che interessa mettere in evidenza è come la Corte costituzionale non solo abbia dato rilevanza alla situazione peculiare della patologia irreversibile che è quella che sta alla base della legge n. 219 del 2017 (punto a), ma abbia anche circoscritto ulteriormente tale ipotesi richiedendo che il soggetto sia tenuto in vi- ta a mezzo di trattamenti di sostegno vitale (punto c).
Si tratta di una precisazione di enorme rilievo, perché mentre l’ipotesi a cui si riferisce la legge n. 219 del 2017 richiede soltanto e implicitamente la patologia irreversibile, equiparando l’interruzione al rifiuto proprio in virtù di questa pato- logia, nell’ipotesi del suicidio si richiede invece necessariamente sempre il soste- gno vitale, equiparando quindi l’aiuto al suicidio solo ed esclusivamente all’interruzione di cure.
A nostro avviso, la soluzione adottata dalla Corte si spiega in ragione delle di- namiche causali sottostanti alle problematiche del fine vita. Mentre infatti nell’ipotesi dell’interruzione di cure il decorso causale è in definitiva naturale e il comportamento richiesto mutuato dalla cura in essere e consiste nella sua inter- ruzione, nell’ipotesi dell’aiuto al suicidio occorre un facere ben più significativo, in quanto occorre mettere a disposizione del malato trattamenti diretti a determi- nare la morte e che innescano un decorso causale del tutto diverso e autonomo rispetto a quello che contraddistingue il decorso della patologia. Detto in altri termini, mentre la condotta dell’interruzione di cure si inserisce in un contesto causalistico nella sostanza già innescato (tanto è vero che l’evento morte si verifi- ca proprio in virtù del decorso causale già in atto connesso alla patologia e riav- viato attraverso l’interruzione delle cure), la condotta di agevolazione al suicidio concorre a determinate un decorso causalistico diverso e autonomo di cui tuttavia dominus è lo stesso soggetto poi destinato a morire.
Ecco allora che, scartata la strada della liceità dell’aiuto al suicidio essendo il decorso causale dominato interamente dall’aspirante suicida, il problema della causalità si ripresenta e viene in qualche modo temperato e bilanciato dalla Corte circoscrivendo ulteriormente l’ipotesi di liceità. Insomma, la Corte ha ricondotto l’ipotesi dell’aiuto al suicidio all’interno della disciplina della legge n. 219/2017, prevedendo il paletto del trattamento di sostegno vitale che esclude che un sog- getto “meramente” affètto da patologia irreversibile possa ricorrere all’aiuto. Se la Corte non avesse fatto questo passaggio, si avrebbe avuto una vera e propria prevalenza dell’autodeterminazione sulla vita, che invece non c’è stata.
Brevi riflessioni sul fine vita 185 Ecco allora che la disciplina delineata dalla Corte implica che chi è affètto da patologia e ha un sostegno vitale si trova nella sostanza davanti a due opzioni:
quella del rifiuto/interruzione di cure e quella dell’aiuto al suicidio, creando una situazione che legittima la scelta della morte che si ritiene migliore (la più digni- tosa per sé) tra le due opzioni possibili.
5. Tertium datur: le nuove prospettive basate sulla persona (comunità) Vero tutto questo, a questo punto resta da chiedersi se non si possano aprire nuovi scenari vòlti ad attribuire vera e propria rilevanza (prevalenza?) all’autodeterminazione sulla vita.
In questa prospettiva alcuni passaggi compiuti dalla Corte costituzionale nell’ordinanza n. 207 del 2018 si rivelano di grande interesse perché, a nostro av- viso, aprono alla possibilità di concepire le problematiche del fine vita in modo diverso, uscendo dalla netta contrapposizione tra vita (uomo-Stato) e autodeter- minazione (individuo-indifferenza della Stato), e ciò attraverso una significativa valorizzazione del concetto di persona e quindi di comunità.
Si consideri in particolare quanto affermato dalla Corte costituzionale con ri- ferimento al bene giuridico tutelato dal delitto di aiuto al suicidio. Si perdoni la lunga citazione, ma è opportuno riportarla interamente: «l’incriminazione dell’istigazione e dell’aiuto al suicidio […] è, in effetti, funzionale alla tutela del diritto alla vita, soprattutto delle persone più deboli e vulnerabili, che l’ordinamento penale intende proteggere da una scelta estrema e irreparabile, come quella del suicidio. Essa assolve allo scopo, di perdurante attualità, di tute- lare le persone che attraverso difficoltà e sofferenze, anche per scongiurare il pe- ricolo che coloro che decidono di porre in atto il gesto estremo e irreversibile del suicidio subiscano interferenze di ogni genere. La circostanza, del tutto compren- sibile e rispondente ad una opzione da tempo universalmente radicata, che l’ordinamento non sanzioni chi abbia tentato di porre fine alla propria vita non rende affatto incoerente la scelta di punire chi cooperi materialmente alla disso- luzione della vita altrui, coadiuvando il suicida nell’attuazione del suo proposito.
Condotta, questa, che – diversamente dalla prima – fuoriesce dalla sfera persona- le di chi la compie, innescando una relatio ad alteros di fronte alla quale viene in rilievo, nella sua pienezza, l’esigenza di rispetto del bene della vita. Il divieto in parola conserva una propria evidente ragion d’essere anche, se non soprattutto, nei confronti delle persone malate, depresse, psicologicamente fragili, ovvero an- ziane e in solitudine, le quali potrebbero essere facilmente indotte a congedarsi prematuramente dalla vita, qualora l’ordinamento consentisse a chiunque di coo- perare anche soltanto all’esecuzione di una loro scelta suicida, magari per ragioni
Roberto Bartoli
di personale tornaconto. Al legislatore penale non può ritenersi inibito, dunque, vietare condotte che spianino la strada a scelte suicide, in nome di una concezio- ne astratta dell’autonomia individuale che ignora le condizioni concrete di disa- gio e abbandono nelle quali, spesso, simili decisioni vengono concepite. Anzi, è compito della Repubblica porre in essere politiche pubbliche volte a sostenere chi versa in simili situazioni di fragilità, rimuovendo, in tal modo, gli ostacoli che impediscano il pieno sviluppo della persona umana».
Ebbene, come accennato, alla base di queste affermazioni c’è una visione che non esito a definire personalista (e comunitaria), riferibile anche all’omicidio del consenziente. Da un lato, infatti, la vita non è concepita come un bene assoluto, ma viene concretizzato prendendo in considerazione soprattutto i rischi derivanti da eventuali vulnerabilità: ciò che si vuole tutelare è la vita di chi in ragione della pro- pria vulnerabilità risulta strumentalizzabile. Non solo, ma proprio la concretizza- zione della vita con rilevanza attribuita alle possibili situazioni di vulnerabilità giu- stifica un precetto orientato alla tutela della vita ovvero si oppone alla possibilità di attribuire rilevanza a un autodeterminismo individualistico che proprio in ragione della sua generalità e astrattezza potrebbe compromettere la vita dei vulnerabili.
Dall’altro lato, si respinge l’idea di un’autodeterminazione per l’appunto generale ed astratta, risultando plausibile prendere in considerazione un’autodeterminazione che in concreto sia davvero tale. Insomma, se deve essere tutelata la vita del vulne- rabile contro possibili strumentalizzazioni, è anche vero che tale esigenza di tutela viene meno nel momento in cui siamo in grado di stabilire che l’autodeterminazione alla propria morte risulta essere autentica e non strumentalizzabile.
Ecco allora che il tutelare la vita contro il pericolo di strumentalizzazioni, da un lato, l’attribuire rilevanza all’autodeterminazione per la morte nel momento in cui è autentica, reale ed effettiva, dall’altro, divengono alla fin fine due facce della stessa medaglia: si tutela la vita da strumentalizzazioni e quindi si può attribuire la prevalenza all’autodeterminazione sulla vita quando in concreto non vi sono rischi di strumentalizzazione.
Si potrebbe parlare di aiuto a morire, dove il presupposto di fondo è costituito dalla autentica ed effettiva libertà di autodeterminazione. Ciò che conta è l’autenticità della libertà di autodeterminazione e fuori da questa autenticità non può che esserci una tutela della vita contro i rischi di strumentalizzazione. In- somma, chi vuole morire di mano propria o attraverso l’aiuto di altri, per ragioni connesse alla propria malattia o per altre ragioni diverse dalla malattia, può mori- re allorquando si sia – per così dire – preventivamente in grado di appurare che la volontà è autenticamente orientata alla morte.
Certo, in questa prospettiva lo scenario cambia e cambia davvero, perché alla fine ciò che si tutela è la vita contro il rischio di strumentalizzazioni, così come
Brevi riflessioni sul fine vita 187 ciò a cui si attribuisce rilevanza non è l’autodeterminazione ma l’autenticità della volontà della propria morte.
Ma ciò che muta maggiormente è la visione di fondo, non più concentrata sull’uomo in generale ed astratto, di cui di volta in volta si sceglie di privilegiare la vita o l’autodeterminazione che in realtà non sono la vita e l’autodeterminazione che gli appartengono, appartenendo piuttosto a un’idea di uomo, ma la persona concreta, in carne ed ossa, inserita nel suo contesto di vita comprensivo delle sue condizioni, nonché delle sue relazioni umane.
Ecco allora che in questa prospettiva, se l’autodeterminazione del soggetto è autentica, la morte di una persona può essere espressione di sentimenti di solida- rietà e compassione. E sembra essere proprio questo ciò che sta alla base dell’omicidio pietatis causa, in definitiva definibile tale nel momento in cui si ha la consapevolezza che si è in presenza di un’autodeterminazione così piena e auto- noma da essere la morte la conseguenza di un gesto di compassione: la compas- sione sussiste proprio nel momento in cui il rischio di strumentalizzazione è completamente assente in virtù di un’autentica autodeterminazione.
È in questa prospettiva che si apre il tema delle scriminanti procedurali, sia sul piano tecnico-dogmatico che su quello pratico7. Sotto il primo profilo, si può os- servare come il bilanciamento tra gli interessi si traduca proprio nella disciplina di dettaglio, per cui l’interesse che prevale è quello che risulta preminente all’esito della procedura, per cui solo in presenza di un’autodeterminazione autentica è questa che prevale. Con la conseguenza che al di fuori del procedimento non può che prevalere la vita.
Sotto il profilo pratico, si tratta di immaginare non soltanto la procedura per ca- gionare la morte, la quale non potrebbe che essere nelle mani di personale medico, ma soprattutto il percorso finalizzato ad esprimere autenticamente la volontà. Ecco allora emergere il problema del ruolo regolativo e di gestione dello Stato. Nel mo- mento in cui l’assolutezza si infrange senza tuttavia cadere nell’individualismo, la finalità di questa procedura non è quella di compiere un sindacato sulla volontà del singolo, ma di farla emergere nella sua autenticità, assumendo la comunità un ruolo fondamentale, dovendo essere davvero capace di prendersi cura della situazione attraverso altissime competenze. Il tutto è molto simile a quanto avviene per la me- diazione in ambito penale, nel momento in cui all’interno dell’assolutismo punitivo si è creato uno spazio per un incontro effettivo tra le parti.
Insomma, dissolto l’assolutismo statale che tendeva a schiacciare la complessi- tà della persona, soltanto una comunità seria e competente può consentire alla persona di esprimersi nella sua complessità.
7 Sull’argomento, cfr. ampiamente A. SESSA, Le giustificazioni procedurali nella teoria del rea- to. Profili dommatici e di politica criminale, Napoli, 2018.
HANNO COLLABORATO AL VOLUME
Giuliano BalBi – Professore ordinario nell’Università della Campania
“Luigi Vanvitelli”
RoBeRto BaRtoli – Professore ordinario nell’Università di Firenze FaBio Basile – Professore ordinario nell’Università di Milano
MaRta BeRtolino – Professore ordinario nell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
Filippo BellaGaMBa – Professore associato nell’Università di Siena FRancesco callaRi – Dottore di ricerca nell’Università di Palermo
Giovanni canzio – Primo Presidente emerito della Suprema Corte di cassazione
alBeRto cappellini – Dottorando di ricerca nell’Università di Firenze Gaetano caRlizzi – Giudice del Tribunale Militare di Roma
steFania caRnevale – Professore associato nell’Università di Ferrara MauRizio catino – Professore ordinario nell’Università di Milano-Bicocca cRistinade MaGlie – Professore ordinario nell’Università di Pavia – Institute
for Legal Research University of California, Berkeley School of Law coRRado del Bò – Professore associato nell’Università di Milano Gian paolo deMuRo – Professore ordinario nell’Università di Sassari RichaRd duBé – Professeur agrégé nell’Università di Ottawa (Canada) Giovanni FloRa – Professore ordinario nell’Università di Firenze
MaRGaRida GaRcia – Professeure agrégée nell’Università di Ottawa (Canada) alBeRto GaRGani – Professore ordinario nell’Università di Pisa
Fausto Giunta – Professore ordinario nell’Università di Firenze Gaetano insoleRa – Professore ordinario nell’Università di Bologna MassiMiliano lanzi – Dottore di ricerca nell’Università di Parma
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FRancesco MacRì – Dottore di ricerca nell’Università di Firenze GioRGio Maniaci – Professore associato nell’Università di Palermo GianFRanco MaRtiello – Ricercatore nell’Università di Firenze daRio Micheletti – Professore associato nell’Università di Siena GheRaRdo Minicucci – Assegnista di ricerca nell’Università di Firenze cateRina paonessa – Ricercatore nell’Università di Firenze
Michele papa – Professore ordinario nell’Università di Firenze pieR FRancesco poli – Assegnista di ricerca nell’Università di Milano lucia Risicato – Professore ordinario nell’Università di Messina seRGio seMinaRa – Professore ordinario nell’Università di Pavia Michele taRuFFo – Professore emerito nell’Università di Pavia andRea FRancesco tRipodi – Ricercatore nell’Università di Macerata vico valentini – Professore associato nell’Università di Perugia antonio vallini – Professore ordinario nell’Università di Pisa
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1. Al fine di assicurare la qualità scientifica degli studi pubblicati, il Comitato direttivo di Criminalia si avvale del giudizio di Revisori esterni, i cui no- minativi sono raccolti nella lista riportata di seguito. I Revisori ricevono, in forma anonima, gli scritti destinati alla pubblicazione. Saranno pubbli- cati unicamente gli scritti valutati favorevolmente da due Revisori che li hanno giudicati l’uno all’insaputa dell’altro.
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