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Sindacato sulla motivazione e giurisdizione: le S.U. riscrivono l’articolo 111 della costituzione - Judicium

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BRUNO SASSANI

Cass., S.U., 17 febbraio 2012, n. 2312- Pres. f.f. Preden – Rel. Macioce - Trenitalia S.p.A (avv. Sandulli M.A.) c/ Pietro Mazzoni Ambiente S.p.A.

(avv. Annoni)

La sentenza con cui il Consiglio di Stato, pronunciando l’annullamento dell’esclusione di una ditta da una gara d’appalto, abbia motivato con la ritenuta “non condivisibilità” del comportamento della stazione appaltante, eccede la mera verifica della non pretestuosità della valutazione degli elementi di fatto esibiti come ragioni del rifiuto, e dunque i limiti esterni della giurisdizione di legittimità, sconfinando in valutazioni di merito rimesse alla sola PA, ed è perciò soggetta al sindacato della Corte di cassazione in punto di giurisdizione.(1)

La sentenza del Consiglio di Stato che abbia superato i limiti esterni della giurisdizione generale di legittimità impingendo nell’ambito della discrezionalità amministrativa, deve essere cassata per motivi di giurisdizione; tuttavia, avendo superato, nella cognizione del rapporto, non le regole del proprio giudizio ma le regole della stessa propria cognizione, all’effetto rescindente dovrà accompagnarsi la rimessione ad altra sezione del Consiglio di Stato affinché correttamente eserciti, nella cognizione del rapporto stesso, la giurisdizione generale di legittimità(2).

Sindacato sulla motivazione e giurisdizione: le S.U. riscrivono l’articolo 111 della costituzione (1) (2).

S

OMMARIO

: 1. Cassazione con rinvio per motivi di giurisdizione. 2. Carenza di giurisdizione del giudice munito di giurisdizione.- 3. Il controllo esercitato è giudizio di merito. - 4. I “precedenti”. - 5. Translatio judicii?

“E’ del resto quel che avviene nella giurisprudenza che, in molti casi, forte della sua autorità, si è messa a fare del diritto libero”

(Salvatore Satta)

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1. Cassazione con rinvio per motivi di giurisdizione.-

Un nuovo comma si profila per l’art. 111 della costituzione. Visto lo spazio angusto tra la garanzia piena del “ricorso in cassazione” del comma 7 e la non censurabilità per violazione di legge delle sentenze del Consiglio di Stato del comma 8, potremmo numerarlo “7-bis”.

Le Sezioni Unite cassano una sentenza del Consiglio di Stato affermando la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda proposta e, nel contempo, l’invasione, da parte del medesimo giudice, della sfera riservata all’amministrazione. La cassazione è seguita da rinvio ad altra Sezione del Consiglio per una nuova decisione sul merito.

La sentenza è sconcertante e impossibile a giustificarsi con gli strumenti del diritto processuale; non a caso la motivazione è costretta ad imbastire un opaco giro di parole per dare apparenza giuridica ad una decisione probabilmente radicata in opzioni valutative di judicial policy.

Premettono le Sezioni Unite che, nel caso sottoposto, il Consiglio di Stato non ha trasceso la giurisdizione del giudice amministrativo e non ha invaso l’ambito della sfera cognitiva propria del giudice ordinario “essendo compresa nella sua potestà giurisdizionale, nell’ottica del sindacato sull’eccesso di potere, la valutazione incidentale dei fatti emergenti dal pregresso rapporto da porre a fondamento della decisione”. Nella specie il Consiglio di Stato poteva dunque decidere (come infatti ha deciso) e tanto sarebbe dovuto bastare a rigettare un ricorso proposto ai sensi degli artt. 111 c. 8 cost. e 362 c.p.c.

Senonché dalla motivazione della sentenza del Consiglio di Stato si ricaverebbe uno sconfinamento nella discrezionalità riservata alla P.A. Nella specie si sarebbe avuta “sostituzione da parte del giudice amministrativo della propria valutazione a quella riservata alla discrezionalità dell’amministrazione”, e che ciò costituisce “ipotesi di sconfinamento vietato della giurisdizione di legittimità nella sfera riservata alla P.A., quand’anche l’eccesso in questione sia compiuto da una pronunzia il cui contenuto dispositivo si mantenga nell’area dell’annullamento dell’atto”. In altre (meno circonvolute) parole, il giudice poteva certo decidere

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dell’oggetto specifico della causa, poteva certo annullare l’atto impugnato, ma, decidendone ed annullandolo, esso ha travalicato i limiti del controllo esercitabile sconfinando nel potere riservato all’amministrazione.1

I conti non tornano. E non tornano a fortiori se si considera che al riscontro di un tale vizio dovrebbe corrispondere il mero esercizio del potere rescindente mentre, qui, allo sconfinamento sanzionato dalla cassazione della sentenza viene fatto seguire un rinvio “restitutorio” allo stesso giudice per una nuova edizione (riveduta e corretta) del giudizio già formulato. Un addetto ai lavori sospetterà, a questo punto, il grimaldello della translatio judicii, e in effetti così è stato. Solo che qui, più che un istituto giuridico è stata evocata una formula passepartout dotata di virtù quasi magiche. Lo vedremo tra breve (§ 5).

2. Carenza di giurisdizione del giudice munito di giurisdizione. -

Vale la pena di leggere bene quel che scrivono le Sezioni Unite: “Il sindacato sulla motivazione del rifiuto deve… essere rigorosamente mantenuto sul piano della verifica della non pretestuosità della valutazione degli elementi di fatto esibiti dall’appaltante come ragioni del rifiuto e non può avvalersi, onde ritenere avverato il vizio di eccesso di potere, di criteri che portano ad evidenziare la mera non condivisibilità della valutazione stessa (ove si recepiscano, come ha fatto il g.a., le considerazioni esposte dal consulente).

L’adozione di siffatti criteri di non condivisione, infatti, nella parte in cui comporta una sostituzione nel momento valutativo riservato all’appaltante, determina non già un mero errore di giudizio (insindacabile in questa sede) ma uno sconfinamento nell’area ex lege riservata all’appaltante stesso e quindi vizia, per ciò solo, la decisione, tale sconfinamento essendo ravvisabile secondo la più qualificata dottrina e la giurisprudenza delle S.U., anche assai lontana nel tempo, anche quando il

1 Era stato impugnato un atto di esclusione da una gara d’appalto pubblico a motivo di un allegato abuso (eccesso di potere) da parte della stazione appaltante e il Consiglio di Stato (in accoglimento dell’appello) aveva ritenuto “esistere indici sintomatici di un eccesso di potere e quindi di un indebito fine di esclusione”, concludendo che l’esclusione sarebbe stata determinata da ragioni diverse dalla caduta della fiducia nei confronti della

concorrente.

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giudice formuli direttamente e con efficacia immediata e vincolante gli apprezzamenti e gli accertamenti demandati all’amministrazione (S.U. n.

2525 del 1964)”.

Punto fermo delle S. U. è che la sentenza cassata è stata emessa dal giudice amministrativo che – “esso solo e non altri” – era “dotato di piena giurisdizione sulla controversia sottoposta”. La domanda dunque cadeva, con perfetto aplomb, nella sua giurisdizione, nel senso che il relativo oggetto era legittimamente conoscibile e decidibile dal giudice amministrativo.

Pur possedendo la giurisdizione necessaria per conoscere e decidere la domanda postagli, tuttavia il Consiglio di Stato viene castigato per aver esercitato la propria giurisdizione ... fuori dalla propria giurisdizione. Un paradosso per un lettore privo di spirito, ma non per le S.U. che giustificano il proprio sindacato asserendo che “quel giudice” avrebbe superato “(come nella specie ha superato), nella cognizione del rapporto in esame, non le regole del proprio giudizio ma le regole della stessa propria cognizione”.

Esso, cioè, si sarebbe spinto a conoscere quel che non avrebbe dovuto considerare: luce verde per il richiesto giudizio sul comportamento della stazione appaltante, ma... fino ad un certo punto. Oltre il quale punto (hic sunt leones) l’attività della convenuta non è più oggetto lecito di cognizione.

La possibilità di giudicare, riconosciuta al giudice amministrativo in linea di principio, diventa meramente teorica, e ultra vires ne diventa l’esercizio.

Secondo le S.U. questa situazione consentirebbe di cassare con rinvio, cioè di imporre al Consiglio di Stato di ri-giudicare il caso sottoposto, facendo attenzione – a pena evidentemente di nuova cassazione – a non fuoruscire dall’area di cognizione concessagli. Aver superato “le regole della stessa propria cognizione” comporterebbe che “l’effetto rescindente di tale seconda ipotesi di superamento (la sola che la Costituzione consente di porre in rilievo) non potrà espropriare il giudice del potere giurisdizionale di riesaminare il rapporto stesso”.

In parole povere: la Corte regolatrice ritiene di dover esercitare il potere rescindente perché il giudice amministrativo ha travalicato quella stessa giurisdizione che gli viene contestualmente riconosciuta, ma da cui avrebbe

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decampato, attribuendosi poteri che non gli spettavano. Fuoruscita dalla giurisdizione che però non lo espropria della possibilità (anzi dell’obbligo) di un nuovo giudizio in rescissorio, con una riserva di giurisdizione ancora esercitabile. Così, nel caso considerato, esso giudice potrà/dovrà ancora esaminare il “rapporto” (legittimo oggetto della sua cognizione) ma dovrà farlo evitando una inspectio troppo invasiva. Attraverso il tipo di azione esercitata, il comportamento della parte pubblica potrà ancora essere legittimamente censurato, ma solo per determinati motivi: la domanda svolta in concreto (“accertarsi la pretestuosità del comportamento della stazione appaltante”) è legittimamente posta al suo giudice e ne radica la giurisdizione, ma sub condicione: una giurisdizione che sussiste se ed in quanto la domanda venga accolta per il motivo X (nella specie “il comportamento è pretestuoso”); non sussiste invece perché la domanda è stata accolta per il motivo Y (nella specie “il comportamento non è condivisibile”). In altri termini: la giurisdizione sarebbe stata correttamente esercitata se la domanda fosse stata accolta con la con la formula della

“pretestuosità del comportamento” dell’amministrazione; poiché invece l’azione è stata ritenuta fondata sul presupposto della mera censurabilità dell’attività posta in essere (“non condivisibilità del comportamento”2), il giudice ha sconfinato dalla sua giurisdizione.3

3. Il controllo esercitato è giudizio di merito. -

Così ragionando, le Sezioni Unite hanno esercitato il più schietto controllo di merito su una decisione del Consiglio di Stato.

Lo schermo del controllo della giurisdizione ha mascherato una cassazione della sentenza per “violazione di legge”; un’operazione che –

2 Questo si ricaverebbe dal fatto che il Consiglio di Stato avrebbe recepito “le considerazioni esposte dal consulente”.

3 “Sconfinamento” dicono le Sezioni Unite, “nell’area ex lege riservata all’appaltante stesso e quindi vizia, per ciò solo, la decisione, tale sconfinamento essendo ravvisabile secondo la più qualificata dottrina e la giurisprudenza delle Sezioni Unite, anche assai lontane nel tempo, anche quando il giudice formuli direttamente e con efficacia

immediati e vincolante gli apprezzamenti e gli accertamenti demandati all’amministrazione (S.U. n. 2525 del 1964)”

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duole dirlo – ha infranto, ad un tempo, l’art. 111 c. 8 cost., l’art. 362 c.p.c. e l’art. 110 c.p.a.

Una volta infatti considerata ammissibile l’azione di annullamento concretamente esercitata di fronte al Tribunale amministrativo, il suo accoglimento in (ipotetica) assenza dei presupposti di legge configura un tipico error in judicando, appartenente alla classe della violazione di legge rigorosamente esclusa dall’ambito di controllo esercitabile dalla Corte di cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato in virtù dell’art. 111 c. 8 cost.

Quando le Sezioni Unite ritengono – come è avvenuto nella specie – che il giudizio negativo sul comportamento della stazione appaltante, formulato dal Consiglio di Stato, è insufficiente ai fini dell’accoglimento perché non attinge la soglia della pretestuosità dell’esercizio del potere, esse controllano la formulazione del giudizio di merito: è il caso di ricordare che appartengono al merito i giudizi sulla fondatezza o infondatezza delle domande ammissibili e perciò decidibili dal giudice a cui sono state proposte?

Assegnare il relativo giudizio all’ambito del controllo della giurisdizione è un errore perché la giurisdizione si misura sulla domanda (art. 386 c.p.c.:

“La decisione sulla giurisdizione è determinata dall’oggetto della domanda”), sicché incorre in un lapsus cognitivo chi la valuti sulla giustificazione della decisione. E’ sprovvisto di giurisdizione il giudice che pronuncia sul merito di una domanda che esso non poteva decidere perché riservata a giudice straniero, ad altro ordine di giudici nazionali, ovvero perché obiettivamente non decidibile per la via giurisdizionale per riserva della materia alla pubblica amministrazione.4 Se esso giudice invece poteva (e quindi doveva) decidere della domanda, la sua pronuncia proviene – per definizione – da un soggetto provvisto di giurisdizione.

Altra cosa – e quindi eccezione solo apparente – è la fuoruscita dalla giurisdizione che si verifica quando la sentenza si risolve in un tipo di

4 O, come si ritiene talora, non decidibile per la via giurisdizionale per la c.d.

“improponibilità dell’azione (inesistenza di un diritto azionabile, come si esprime la giurisprudenza” (S. Satta, Commentario al codice di procedura civile, II, 2, sub art.

386, p. 287 e I, sub art. 37, p. 164)

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provvedimento inibito all’ordine giudiziario investito della controversia (es.:

annullamento di atto amministrativo da parte di un Tribunale civile), ovvero è destinata a produrre un effetto palesemente ultra vires rispetto ai suoi poteri (es.: accertamento in via principale della falsità di un documento da parte di un T.A.R. o di una Commissione tributaria). Ma, affinché la valutazione possa focalizzarsi sulla decisione (astraendosi dalla domanda), occorre che si tratti di aberratio sententiae,5 ché se invece l’effetto giuridico impossibile o vietato fosse stato oggetto di domanda, i termini del problema ritornerebbero al punto di partenza: la giurisdizione “è determinata dall’oggetto della domanda” e la carenza di giurisdizione rilevata risiederebbe nella conformità della decisione alla domanda proposta al giudice privo di giurisdizione.6 Il controllo della giurisdizione esercitato sul decisum (in contrapposizione ad un controllo esercitato sulla domanda) non è neppure pensabile in termini di “sindacato della motivazione”. Esso si presenta come (e si esaurisce nel) controllo di conformità all’ordinamento dell’effetto giuridico finale prodotto dal provvedimento sotto il profilo della legittimazione dell’organo che ne è autore. Ma nel nostro caso l’effetto giuridico della sentenza cassata è perfettamente legittimo, tanto è vero che il Consiglio di Stato è espressamente autorizzato a riprodurlo in sede di rinvio, alla sola condizione di accoppiarlo alla giusta motivazione. Ed è appunto il rinvio che sta ad indicare che al Consiglio viene imposto di esercitare la sua legittima e sicura giurisdizione per “meglio” giudicare del merito della controversia. Nel rinvio sta la prova del nove della presenza della giurisdizione, e dell’assurdità (se logica non è opinione) di una cassazione operata invocandone l’assenza.

5 La riprova che si tratta di una questione di giurisdizione sui generis sta nel fatto che la cosa vale solo nel caso di accoglimento della domanda, mentre non avrebbe alcun rilievo in caso di rigetto. Ma il giudizio sulla presenza o sull’assenza della giurisdizione in senso proprio in capo al giudice adito prescinde (come quello sulla competenza) dall’accoglimento o dal rigetto.

6 La cassazione (o comunque la rimozione da parte del giudice d’appello) ha

ovviamente ad oggetto la sentenza ma questo è semplicemente l’effetto rescindente che non ha nulla a che fare con il giudizio sulla giurisdizione.

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4. I “precedenti”. -

Le Sezioni Unite dichiarano di appoggiare la scelta su propri precedenti. Non sono in grado di escludere che ve ne siano; tali però non sono le sentenze invocate a modello, sentenze7 che, o si risolvono in pronunce di rigetto del ricorso,8 ovvero si esauriscono nel momento rescindente, sostanziandosi in una cassazione secca, senza rinvio.9

7 Non è peraltro reperibile nelle Banche dati correnti la sentenza che viene citata come n. 28263/2005.

8 S.U. n.137/1999; n. 19604/2003; n. 9443/2011. La massima di Cass. civ., Sez.

Unite, 15/03/1999, n. 137 è la seguente: “Il controllo della Corte di cassazione sulle pronunce giurisdizionali del Consiglio di Stato (art. 362, comma 1, c.p.c.; art. 111, comma 3, cost.) è limitato all'accertamento dell'eventuale sconfinamento dai limiti esterni della propria giurisdizione da parte del massimo organo di giustizia

amministrativa, cui non è consentito invadere arbitrariamente il campo dell'attività riservata alla p.a. attraverso l'esercizio di poteri di cognizione e di decisione non previsti dalla legge (compiendo, cioè, atti di valutazione della mera opportunità dell'atto impugnato; sostituendo propri criteri di valutazione a quelli discrezionali della p.a.; adottando decisioni finali cd. "autoesecutive", interamente sostitutive, cioè, delle determinazioni dell'amministrazione), con conseguente trapasso da una giurisdizione di legittimità a quella di merito. Non integra, pertanto, alcuna ipotesi di sconfinamento dai limiti esterni della propria giurisdizione da parte del Consiglio di Stato la pronuncia di condanna dell'amministrazione intesa a restaurare, in sede di giurisdizione esclusiva, un diritto violato, al di fuori da ogni valutazione di

opportunità del comportamento della p.a. (Nella specie, alcuni insegnanti, pur avendo ritualmente presentato istanza di collocamento a riposo entro il termine del 14 ottobre 1993 - previsto dalla l. n. 537 del 1993 come ultimativo onde evitare l'applicazione di nuove disposizioni limitative del trattamento di pensione - avevano visto accogliere le loro domande in data successiva, e, postulando il loro diritto ad un decreto di accettazione anteriore, avevano invocato, in sede giurisdizionale, l'annullamento del provvedimento di accoglimento tardivo. Dichiarata dal giudice di prima istanza la sopravvenuta carenza di interesse al ricorso, per aver il Ministero della Min. p.i. emanato una circolare secondo cui le domande di collocamento a riposo dovevano intendersi accettate "al momento della ricezione da parte della p.a.

- e, cioè, in tempo utile per non perdere il miglior trattamento di quiescenza - il Consiglio di Stato, su ricorso degli interessati - che lamentavano, comunque, l'assenza di un esplicito provvedimento amministrativo loro favorevole, e la dubbia possibilità di un giudizio d'ottemperanza riferito ad una pronuncia d'improcedibilità - accoglieva l'impugnazione e, premesso che, nella specie, gli atti di dimissioni andavano accettati, con esplicito provvedimento amministrativo, entro il termine di sessanta giorni dalla presentazione, annullava l'atto di accettazione delle dimissioni stesse, mandando all'amministrazione di indicare, per la loro efficacia, una data da collocare entro lo spirare del termine legale. La S.C., nel sancire il principio di diritto di cui in massima, ha, ancora, affermato che il travalicamento dai limiti esterni della giurisdizione del Consiglio di Stato è del tutto escluso qualora tale organo censuri l'atto impugnato sulla base di un'interpretazione di norme disponenti termini di decadenza in senso difforme da quello inteso dall'amministrazione).”

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Le sentenze di rigetto del ricorso non fanno testo, perché qualunque considerazione contengano (sull’eventuale sconfinamento del giudice amministrativo dalla propria giurisdizione) vale obiter e non può giustificare una scelta di accoglimento del ricorso. Anche le cassazioni senza rinvio, anche esse non possono assurgere a precedente: si tratta di annullamenti che evidentemente scontano in apicibus l’impossibilità di una pronuncia da parte del giudice amministrativo. Il che non è nel nostro caso, dove le Sezioni Unite stabiliscono che la pronuncia impugnata va emendata dall’imperfezione imputatale attraverso un rinvio allo stesso Consiglio di Stato chiamato ad esercitare piena giurisdizione su una domanda legittimamente postagli.

E veniamo al “pur remoto” precedente delle stesse S.U. dal quale le attuali S.U. dichiarano di trovare espresso conforto (Cass. 6 ottobre 1964, n.

2525)10. Faticosamente reperita, la sentenza non giova affatto alla tesi adottata, giustificando (imponendo, direi) la scelta contraria. La mia impressione è che una sentenza che “Conferma Cons. Stato 9 febbraio 1963”

non possa in alcun modo assurgere a fondamento di una sentenza che

“Cassa con rinvio Cons. Stato n. 5029/2010”11. Certo la massima esordisce con “tra i motivi attinenti alla giurisdizione, per i quali possono essere impugnate con il ricorso per cassazione le decisioni del Consiglio di Stato,

9 Cass. S. U. n. 23302/2011 (“La sentenza con cui il Consiglio di Stato, pronunciando su un ricorso per l'ottemperanza ad un giudicato avente ad oggetto l'annullamento del conferimento di pubbliche funzioni a seguito di una procedura concorsuale non più ormai ripetibile, ordina alla competente amministrazione di provvedere

ugualmente a rinnovare il procedimento ("ora per allora"), al solo fine di determinare le condizioni per l'eventuale accertamento di diritti azionabili dal ricorrente in altra sede e nei confronti di altra amministrazione, eccede i limiti entro i quali è consentito al giudice amministrativo l'esercizio della speciale giurisdizione di ottemperanza ed è soggetto, pertanto, al sindacato della Corte di Cassazione in punto di giurisdizione”). Cassazione secca senza rinvio è anche l’altro precedente invocato (sentenza delle Sez. Unite 9 novembre 2011, n. 23302 che ha stabilito che la giurisdizione di ottemperanza è soggetta al sindacato della Cassazione in punto di giurisdizione). Resta misterioso in che senso tale sentenza possa considerarsi un precedente della scelta operata.

10 Vedila in Foro amm. 1964, 644 ss.

11 Sic. Manca il riferimento alla sezione

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v’è anche l’invasione della sfera della giurisdizione di merito quando il Consiglio di Stato ha soltanto la giurisdizione di legittimità”, ma per vedere in questa ovvietà (tante volte ripetuta nei decenni) l’ausilio a una cassazione con rinvio occorre che una robusta fantasia ricostruttiva sia accoppiata ad un letto di Procuste davvero sproporzionato alle dimensioni del problema. A quest’esordio quelle remote S.U. avevano infatti aggiunto che: “…perché si abbia tale invasione occorre che il giudice amministrativo decida in base a diretta valutazione dell’interesse pubblico concreto relativo all’atto impugnato e dell’opportunità di questo, ovvero provveda nelle veci dell’amministrazione, sostituendo o riformando l’atto impugnato, ovvero compia direttamente e con efficacia immediata e vincolante gli apprezzamenti e gli accertamenti demandati all’amministrazione”. Ora, nel caso deciso dalle nostre recenti S. U. non è accaduto nulla di simile: al giudizio del giudice amministrativo si può imputare di non aver raggiunto un livello di censura dell’operato dell’amministrazione sufficiente per accogliere la domanda. Questo significa aver riscontrato un eccesso di potere non sufficientemente giustificato dalla motivazione e quindi non condiviso dalle S.U., il che mostra a latere che le S.U. dissentono sul merito trasportando di peso nell’ambito del controllo della violazione di legge il cuore del giudizio amministrativo: l’eccesso di potere.

Il “remoto procedente” aveva deciso che il ricorso per cassazione proposto

“non può trovare ingresso” perché, sotto le mentite spoglie della questione di giurisdizione non è possibile denunciare “l’erronea valutazione degli elementi utili per il giudizio”, vale a dire l’essere il giudice amministrativo

“eventualmente caduto in errores in iudicando”. Lì il Consiglio di Stato era stato accusato essere entrato nel merito della scelta amministrativa, invadendo la sfera riservata all’amministrazione, perché, nel giudicare di un accertamento sanitario (cioè, nel controllare un giudizio espresso dall’amministrazione, come nel caso che ci occupa), esso aveva affermato che l’amministrazione era fuoruscita dai limiti dell’accertamento demandatole. Ma, dicono le remote S. U., questa non è materia di giurisdizione: così facendo il giudice amministrativo non si è sostituito

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all’amministrazione nel giudizio, ma ha interpretato e valutato l’insieme di informazioni poste a base della qualifica impugnata, e se questa valutazione non fosse approvabile ovvero anche fosse palesemente errata, insufficiente o eccedente, si tratterebbe sempre di judicium e il relativo errore non sarebbe denunciabile.

5. Translatio judicii?

Uti deus ex machina, volteggia sulla decisione l’idea della translatio judicii.

Gli artt. 59 legge n. 69/2009 e 11 c.p.a. si presterebbero ad essere interpretati, secondo le recenti Sezioni Unite, “nel senso che la cassazione senza rinvio deve essere disposta soltanto qualora non solo il giudice adito ma qualsiasi altro giudice sia privo di giurisdizione sulla domanda, in tutti gli altri casi essendo statuito che il processo, ad impulso di parte e con atto di disposizione dell’interessato (art. 59 c. 2 ed 11 c. 4 appena citati), possa continuare”.

Obiezione: con l’etichetta translatio applicata alla vicenda contemplata dall’art. 59 l. n. 69/09 e dell’art. 11 c.p.a., non si indica (e non si legittima) un qualunque episodio di “continuazione” (cioè di recupero comunque di un rapporto processuale viziato); si indica piuttosto il ben preciso fenomeno del passaggio della causa dalla via giurisdizionale “A” aperta dalla domanda (e riconosciuta scorretta) alla differente via giurisdizionale “B”, con prosecuzione davanti a quest’ultima del processo, cioè con conservazione davanti a “B” della originaria pendenza della causa davanti ad “A”. Nella vicenda concretamente decisa dalla Sezioni Unite la translatio riguarda invece una dinamica interna ad un’unica via giurisdizionale, quella – riconosciuta sussistente – del giudice amministrativo: è evidente che qui la vicenda (la fattispecie concreta) non corrisponde alla fattispecie astratta.

Una translatio ai sensi della normativa richiamata sarebbe stata pertanto concepibile – per assurdo – in un “rinvio” al giudice ordinario,12 ma non ha senso per caratterizzare il ritorno allo stesso giudice.

12 Rinvio tra virgolette perché in realtà si sarebbe trattato di una rimessione alla via giurisdizionale ordinaria con necessità di aprire il primo grado di giudizio.

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E’ evidente che la translatio è concepibile solo nei rapporti tra vari ordini giurisdizionali ma non per l’ipotesi di carenza assoluta di giurisdizione configurata nel nostro caso dalle S.U. Naturalmente, una volta annacquato il concetto di translatio come generica “prosecuzione”, è facile comprendere come la Corte di cassazione si sia auto investita di un potere supplementare.

I conti sembrano così tornare ma con sacrificio … dell’aritmetica. Qualcosa che ha fatto parlare di riconduzione della disciplina della giurisdizione a quella della competenza.13

Secondo la motivazione delle odierne S.U., nel senso dell’applicazione delle norme sulla translatio si sarebbero però già orientate le stesse Sezioni Unite con la sentenza n. 25395/2010 che, cassata una pronuncia del Consiglio di Stato, ha operato rinvio allo stesso organo per un nuovo giudizio.

Il rinvio al Consiglio di Stato operato da Cass. n. 25395/2010 ha però un senso completamente diverso, dal momento che (a differenza che nel caso di specie) lì la cassazione era intervenuta “per indebito ‘rifiuto’ dell’esercizio della propria giurisdizione in una vicenda di mancata concessione della tutela risarcitoria conclusa nel quadro normativo preesistente all’art. 30 del d. lgs. 104 del 2010”. In altri termini, il Consiglio di Stato, lungi dall’aver esercitato una giurisdizione che non gli spettava, aveva erroneamente declinato il proprio potere decisorio, sicché il rimedio stava appunto nel ritorno ad esso della causa di cui non poteva spogliarsi. Ergo cassazione della sentenza seguita da rinvio al Consiglio di Stato per la prosecuzione del giudizio: ordinaria vicenda “prosecutoria”, connessa alla dinamica

“declinatoria/riconoscimento”. Il successivo (e definitivo) riconoscimento della giurisdizione erroneamente negata ha infatti una portata necessariamente “restitutoria”: il processo torna al giudice che aveva erroneamente declinato la propria giurisdizione e non avrebbe senso giuridico una diversa soluzione. Lo rileva bene chi,14 a proposito di Cass. S. U.

13 G. VERDE, Il processo sotto l’incubo della ragionevole durata, ora in Il giudice e la legge, Napoli, 2012, passim.

14 Cfr. R. VACCARELLA, Rilevabilità del difetto di giurisdizione e translatio iudicii, in

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21.11.2008, n. 27618 che aveva cassato la decisone del Consiglio di Stato dichiarando la giurisdizione del giudice amministrativo, scrive: “La causa, a questo punto, doveva tornare davanti al Consiglio di Stato per essere decisa nel merito: in altri termini, doveva “continuare” dal punto in cui si era arrestata per l’erronea declinatoria della giurisdizione, e certamente non doveva cominciare ex novo … davanti al TAR.” E aggiunge: “A chi mai sarebbe venuto in mente che, ribadita la giurisdizione del giudice a quo e restituitagli la causa che erroneamente egli aveva ritenuto estranea alla sua potestas iudicandi, la causa sarebbe dovuta ripartire da zero con un nuovo atto introduttivo, “a vergine”, del giudizio?”

Una volta riconosciuta la giurisdizione negata dal giudice a quo sarebbe invero una beffa farvi seguire un annullamento secco, cioè senza prosecuzione del processo correttamente instaurato, perché la parte potrebbe venirsi a trovare senza il mezzo di tutela riconosciutogli.

Questo valeva però ancor prima della promulgazione dell’art. 59 legge n.

69/2009, essendo un corollario dell’art. 382 c. 1 c.p.c. (“La Corte, quando decide una questione di giurisdizione, statuisce su questa, determinando, quando occorre, il giudice competente”), norma rispetto alla quale poco aggiunge l’istituto della c.d. translatio.15

Di translatio sarebbe quindi inopportuno parlare. Ma non facciamoci troppe illusioni per il futuro.

www.judicium.it, § 5.1.

15 R.VACCARELLA, Rilevabilità del difetto di giurisdizione, cit. § 5.1

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