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La motivazione della sentenza civile su richiesta e i recenti tentativi di introduzione dell’istituto della «motivazione breve» in Italia - Judicium

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Fabio Santangeli

“La motivazione della sentenza civile su richiesta e i recenti tentativi di introduzione dell’istituto della «motivazione breve» in Italia”1.

SOMMARIO:

1. Premessa: la fase decisoria tra innovazione e tradizione. PARTE I: L’istituto della motivazione a richiesta. 2. Obbligatorietà della motivazione: 2a) La previsione costituzionale: art. 111, comma 6, Cost. 2b) La motivazione nella sua dimensione europea:

art. 6 CEDU. 3) La motivazione su richiesta. 3a. (…) segue: la praticabilità teorica dell’istituto. 3b. (…) segue: l’esperienza degli altri ordinamenti. 3c. (…) segue: le implicazioni pratiche. Cosa si perde con la “motivazione a richiesta”. 3d. (…) segue:

cosa invece si guadagna con la “motivazione a richiesta”. 3e. (…) segue: conclusioni (provvisorie). PARTE II: 4. Premessa: I recenti tentativi del legislatore di introdurre nel nostro ordinamento “la motivazione breve”. 4a) l’emendamento 48 al ddl 2228.

4b) Il ddl Alfano e la “motivazione breve”: le disposizioni normative di riferimento. 5. La motivazione breve tra finalità, contenuti ed effetti: prime riflessioni. 6) Segue(…): Moduli decisionali a confronto. 7) Segue (…): ulteriori ripercussioni sul processo. 8. Art. 281 decies e art. 352 c.p.c. L’istituto della motivazione breve nel processo avanti la Corte di Appello. 9) L’esame oggettivo delle nuove disposizioni: difficoltà interpretative ed applicative ed eventuali proposte correttive.

1. PREMESSA: LA FASE DECISORIA TRA INNOVAZIONE E TRADIZIONE.

In questo ormai tristemente noto scenario, fatto di un sistema-giustizia definito addirittura fallimentare2, è di estrema attualità un tema assai caro agli studiosi del diritto, pratici ed accademici, ed al legislatore dell’ultimo ventennio, che è quello relativo alla fase decisoria del processo civile, alla motivazione della sentenza e ai tempi di redazione della stessa, ritenuti uno dei fattori determinanti i ritardi della giustizia, una concreta e seria minaccia al rispetto del principio della ragionevole durata del processo, principio cardine degli ordinamenti nazionale (art. 111, comma 2, Cost.)3 e sovranazionale (art. 6 della CEDU e 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea). Si tratta, in particolare, di analizzare, in termini di conciliabilità, il rapporto tra l’obbligo costituzionale di motivare le sentenze, sancito dall’art.

111, comma 6, della Cost. e il principio della ragionevole durata del processo civile, di cui al comma 2: entrambi elementi fondamentali del giudizio sui diritti soggettivi e status prefigurato dalla nostra Carta Costituzionale.

Preliminare all’avvio di alcune riflessioni sul tema, è una considerazione generale: non è dubbio che, secondo l’opinione dominante, per un ottimale risultato formale e sostanziale di giustizia, la soluzione migliore sia rappresentata da una decisione completa di dispositivo e di esaustiva motivazione.4

1 Lo scritto riproduce i contenuti della relazione tenuta all’incontro di studio sul tema: “L’organizzazione del procedimento e le tecniche di motivazione nei giudizi civili e di lavoro”, organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura, tenutosi a Roma in data 14-16 Febbraio 2011.

2 In questi termini si è espresso il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione in occasione della cerimonia di apertura dell’anno giudiziario tenutasi il 28.01.2011 e non diversamente il Presidente della Corte di Cassazione il quale ha sottolineato come gli eccessivi tempi dei processi rappresentino uno dei problemi cronici della giustizia, cui deve essere riconosciuta una priorità assoluta, soprattutto alla luce del richiamo che, lo scorso 2 Dicembre, l’Italia ha ricevuto dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, che nell’ultima risoluzione ha sottolineato che “i ritardi sono un grave pericolo per lo Stato di diritto conducendo alla negazione dei diritti consacrati dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo”.

3 Il riferimento alla ragionevole durata del processo quale garanzia attuativa del “giusto processo” è stato inserito nel nostro ordinamento con la Legge di riforma costituzionale n. 2 del 23.11.1999.

4 SANTANGELI, L’interpretazione della sentenza civile, Milano, 1996, pp. 273-274, ove si è altresì sottolineato la vantaggiosità della tecnica decisoria che prevede la risoluzione della causa tramite la contemporanea redazione di dispositivo e motivazione, come opzione finale al termine della trattazione. Ad una maggiore celerità nell’emissione del provvedimento e ad un minor costo temporale si accompagna pur sempre la possibilità che la motivazione esplichi le sue potenzialità di ausilio al giudice come meditato controllo sulla congruità di quanto ha deciso (un utilizzo che, ad esempio, viene a perdersi nell’ipotesi di frazionamento del momento decisorio da quello riservato alla motivazione, come era la regola nel caso di decisione resa con le forme del processo lavoro nel sistema pre –riforma, perché le

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Le esigenze di accelerazione della fase decisioria5, funzionali a garantire l’effettività della tutela giurisdizionale, hanno però indotto gli studiosi del diritto, seguiti poi dallo stesso legislatore, a ripensare ulteriormente le forme, i contenuti e le tecniche di redazione della motivazione della sentenza.

Da qui l’introduzione nel nostro ordinamento, negli anni: della c.d sentenza contestuale o a verbale, di cui all’art. 281 sexies del vigente codice di rito, introdotto con la novella del 19 febbraio 1998, d. lgs. n. 51; della c.d. sentenza immediata o con motivazione abbreviata6, introdotta con l’art. 16 del d. lgv 05/2003 di cui all’ormai abrogato rito commerciale; della sentenza lavoristica di cui all’art. 429 c.p.c., come riformato dall’art. 53, comma 2, del D. L.

25.06.2008 n. 1127, nonché della sentenza in forma semplificata del processo amministrativo, di cui all’art. 74 del nuovo codice del processo amministrativo, approvato con d. lgs 2.07.2010 n.

104 8. De iure condendo, si è assistito al fiorire di “suggerimenti” di riforma, volti, ad esempio a rendere lex generalis la decisione ex art. 281 sexies, ovvero trasformarla in modalità obbligatoria e vincolante di definizione delle controversie civili di fronte al tribunale in composizione monocratica9; a prospettare la possibilità di utilizzare scansioni processuali

ulteriori riflessioni sul contenuto della decisione, indotte dalla redazione della motivazione, dopo la lettura del dispositivo, restavano definitivamente precluse). Tuttavia non è mancato chi ha messo in rilievo le possibili degenerazioni di una decisione immediata e completa di dispositivo e motivazione, quali la possibilità che la funzione della motivazione scada nell’ottica del decidente, atteso che l’immediata redazione della stessa può facilmente indurre a riferire nella motivazione l’iter mentale seguito per raggiungere la decisione piuttosto che argomentazioni razionali (ZAPPALA’, La deliberazione della sentenza e gli atti successivi, in Giust. Pen. 1989. c. 661 e ss.).

5 Un significativo intervento in tale direzione è stato compiuto, altresì, con l’introduzione nel nostro ordinamento dell’ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. che, al di là degli intenti deflativi o meno che il legislatore con essa abbia voluto conseguire, concretamente costituisce un provvedimento che può, per scelta di parte, trasformarsi in una sentenza appellabile e, per tale via, può certamente qualificarsi come “sentenza abbreviata”. In tal senso v. se vuoi SANTANGELI, L’ordinanza successiva alla chiusura dell’istruzione, Milano, 2001, p. 41, CONSOLO, La girandola delle riforme del codice di procedura civile, in Corr. Giur. 1995, p. 871.

6 L’ormai abrogato art. 16 del d. lgv. 05/2003 prevedeva, al comma 5, nelle cause soggette al rito societario, che: “La decisione è emessa a norma dell'articolo 281 sexies del codice di procedura civile. In caso di particolare complessità della controversia, il Tribunale dispone con ordinanza, di cui dà lettura in udienza, che la sentenza sia depositata nei trenta giorni successivi alla chiusura della discussione orale. La sentenza può essere sempre motivata in forma abbreviata, mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e la concisa esposizione delle ragioni di diritto, anche in riferimento a precedenti conformi”.

7 Il nuovo art. 429 c.p.c. dispone: “Nell'udienza il giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, pronuncia sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. In caso di particolare complessità della controversia, il giudice fissa nel dispositivo un termine, non superiore a sessanta giorni, per il deposito della sentenza”. Tale disposizione si sostituisce alla precedente formulazione dell’art. 429 c.p.c. che invece recitava: “ Nell’udienza il giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, pronuncia sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo. Se il giudice lo ritiene necessario, su richiesta delle parti, concede alle stesse un termine non superiore a dieci giorni per il deposito di note difensive, rinviando la causa all’udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine suddetto, per la discussione e la pronuncia della sentenza”.

8 L’art. 74 del codice del processo amministrativo prevede infatti che: “Nel caso in cui si ravvisi la manifesta infondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso, il giudice decide con sentenza in forma semplificata. La motivazione della sentenza può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente conforme”. Tale forma di motivazione semplificata (alternativa a quella “ordinaria”, di cui all’art. 88 del nuovo Codice di Giustizia amministrativa, che prevede che “la sentenza deve contenere la concisa esposizione dei motivi in fatto ed in diritto, della decisione, anche con rinvio a precedenti cui intende conformarsi”) era già stata introdotta dal legislatore con l’art. 26 della Legge Tar che testualmente: “nel caso in cui ravvisino la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso, il tribunale amministrativo regionale ed il Consiglio di Stato decidono con sentenza succintamente motivata. La motivazione della sentenza può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo, ovvero, se del caso, ad un precedente conforme”.

9 Questo il suggerimento di FRADEANI, Scritti di diritto processuale civile comparato, Macerata, 2009 pag. 93 e ss.

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intermedie per la costruzione progressiva della motivazione della sentenza10, o ancora, come i più arditi hanno suggerito, ad introdurre la c.d. motivazione su richiesta.

Sul piano del diritto positivo, l'ultimo sforzo del legislatore è di appena un biennio fa, allorquando con la Legge n. 69/09 ha tentato, attraverso una rimodulazione degli art. 132 c.p.c.

e 118 disp. att. c.p.c., di indicare ai giudici la strada per una motivazione più snella e, quindi, almeno nelle intenzioni, per una decisione più rapida. Intervento, quest'ultimo che, come ho già avuto modo di osservare in altra occasione11 è, per vero, apparso piuttosto timido, ancorché si sia presentata, nel faticoso iter di approvazione della legge, più di un’occasione per garantire una maggiore incisività in materia. Tuttavia, malgrado l'avvertito interesse per la tematica in esame da parte del legislatore (il quale, peraltro, ha finora dimostrato una tendenza preferenziale verso un modello di motivazione contestuale), oggettivamente l’obiettivo non è stato ancora centrato, atteso che i tempi della decisione, ad oggi, non sembra abbiano subito una sensibile riduzione, di talchè il problema torna costantemente a riproporsi.

Occorre allora partire da un dato di fatto, costituito dalla circostanza che, almeno in questo preciso momento storico, alla giustizia è assegnato il compito di risolvere un numero sempre crescente di controversie; il problema, reale e concreto, va allora affrontato laicamente, nel tentativo di individuare “il male minore”.

Se l'ostacolo sono i tempi per ottenere la decisione, allora, occorre valutare in che modo sia possibile razionalizzare la variabile fondamentale “tempo”, con il minor sacrificio possibile delle garanzie processuali. Da qui il vaglio di alcune possibili soluzioni: eliminare un grado di giudizio12; introdurre forme di conciliazione para obbligatoria13, o istituti affini come per esempio l’introduzione14 per alcune materie, ed l’aumento per altre15, dei costi per l’iscrizione della causa a ruolo; oppure affidare le decisioni ad un numero maggiore di giudici (di cui, però, sarà più difficile garantire un elevato livello qualitativo), da cui continuare a pretendere decisioni motivate, con un evidente aggravio, però, di costi per il sistema giudiziario; o, al contrario, sulla scia della spinta all'ottimizzazione delle risorse, affidare la decisione a giudici di ottimo livello chiamati a decidere con motivazioni più asciutte o addirittura senza motivazione, se non espressamente richiesta. Probabilmente, però, si potrebbe tentare di ottimizzare i tempi della decisione anche attraverso l'adozione di soluzioni meno dirompenti e più garantiste, quale possa essere una più razionale distribuzione delle piante organiche, o l'adozione di un preciso

10 Questa prospettiva è stata suggerita dall’Osservatorio sulla giustizia civile di Salerno che, nell’ottica della accelerazione della fase decisoria, ha prospettato la possibilità di costruire progressivamente la motivazione della sentenza attraverso le motivazioni dei provvedimenti istruttori ed interinali che, ancorché in estrema sintesi, indichino la più plausibile soluzione di questioni preliminari, sia di rito che di merito, e che possano essere richiamate in sede di decisione finale. A tale progetto fa riferimento CRUGNOLA, La motivazione della sentenza civile tra garanzie ed efficienza, la quale riferisce in ordine alla prospettiva proposta dagli Osservatori sulla Giustizia civile a seguito dell’Assemblea nazionale tenutasi a Salerno l’1 e il 2 Giugno 2008.

11 V., se vuoi, SANTANGELI, Art. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., commento a tali disposizioni normative alla luce della L. 69/2009, edito su Le Nuove Leggi Civili Commentate, Anno XXXIII, 4-5 Luglio –Ottobre 2010, p. 822 – 847.

12 Soluzione apparentemente legittima, atteso che nel nostro ordinamento il doppio grado di giudizio non è costituzionalizzato.

13 Vedi il D. lgv. 28/10 recante “Attuazione dell’art. 60 della L. 69/2009 in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali” pubblicata in G.U. 5.03.2010 n. 53.

14 Ciò che, per vero, è quanto è stato realizzato con la manovra finanziaria del 2011. Il D.L. 98 del 06.07.2011, recante

“Misure Urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, convertito in Legge n. 111 del 16.07.2011, ha infatti introdotto il pagamento del contributo unificato in materie prima esenti, quali le controversie concernenti rapporti di pubblico impiego, i ricorsi principali ed incidentali proposti avanti le Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali, i procedimenti esecutivi per consegna o rilascio, i procedimenti di separazione personale dei coniugi e divorzio congiunto.

15 Il D.L. 98 del 06.07.2011 di cui alla nota precedente, oltre ad introdurre l’obbligo del pagamento del contributo unificato per alcune delle materie prima esenti, ha operato un aumento dei costi del contributo unificato per le altre materie.

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modello di stesura degli atti di parte che possa rendere più agevole il lavoro del giudicante16, coniugando per tale via la garanzia della motivazione all'efficienza della giurisdizione senza porre necessariamente i due elementi in irresolubile contraddizione. Oppure ancora si potrebbe ipotizzare una diversa struttura del processo che consenta al giudice di lavorare su un numero limitato di controversie così da poterle istruire e decidere rapidamente, evitando, come invece oggi è costretto a fare, di dover troppe volte riprendere in mano lo stesso fascicolo a distanza sempre di troppo tempo e di dovere così, almeno in parte, ristudiare ogni volta la controversia.

In questo ampio contesto valutativo, dunque, è logico riflettere anche sulla possibilità di una ulteriore revisione delle modalità di stesura della motivazione delle decisioni, fino ad arrivare ad interrogarsi sulla decisione priva di motivazione o con motivazione su richiesta delle parti.

Riflessione, quest’ultima, oggi meno peregrina e non più soltanto teorica, atteso che già qualche mese fa il legislatore, in sede di conversione del d.l. n. 78/2010, recante “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, ha introdotto l’emendamento n. 48.0.1000 (proposta di modifica al ddl 2228), ancorché prontamente ritirato, con cui ha tentato di risolvere il problema dell’arretrato introducendo l’istituto della motivazione (estesa) su richiesta e dietro pagamento delle parti. Tentativo nel quale è tornato ad insistere ad inizio anno17, nella speranza di ottenere maggiore fortuna. Certo è che occorre valutare primariamente la legittimità, anche sul piano di compatibilità con l’assetto costituzionale, ma non solo, di simili progetti di riforma che, ove concretizzati, potrebbero avere un impatto certamente non inessenziale sull’attuale sistema giustizia, offrendo non solo una seria occasione per una proficua gestione dell’attuale fase di emergenza, ma anche un valido banco di prova con possibili ricadute sulla gestione del contenzioso anche nella prospettiva di nuovi modelli processuali.

Nel prosieguo del lavoro, i paragrafi 2 e 3 saranno dedicati alle riflessioni in ordine alla fattibilità e opportunità nel nostro ordinamento di più radicali proposte di modifica delle disposizioni sulle modalità di stesura delle decisioni, eventualmente prive di motivazione o con motivazione “a richiesta”, da cui potrebbero invero derivare conseguenze dirompenti sui tempi e sulla qualità delle decisioni; mentre ai paragrafi 4a e 4b saranno analizzate le recenti proposte legislative in tema di “motivazione breve”, di cui agli art. 281 decies, 282 e 324 bis del codice di rito, il cui carattere originale e meno “estremo” necessita una riflessione a parte. Riflessioni più approfondite sul nuovo modello decisorio, oggi all’esame del Senato, saranno compiute nei paragrafi a seguire, dal 5 al 9.

PARTE I: L’ISTITUTO DELLA “MOTIVAZIONE A RICHIESTA”

2. L’OBBLIGATORITA’ DELLA MOTIVAZIONE.

2a. LA PREVISIONE COSTITUZIONALE: ART. 111, COMMA 6, COST. Nel nostro ordinamento nazionale, il referente normativo in tema di motivazione è primariamente l'art. 111, comma 6, Cost., che, laddove esprime il principio secondo cui “Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”, viene pacificamente ritenuto il fondamento normativo del principio di obbligatorietà della motivazione. Tale previsione, di carattere precettivo, viene storicamente letta in funzione di una concezione liberale dello Stato di diritto, ove la motivazione rappresenta la garanzia della razionalità delle decisioni giurisdizionali, del rispetto del principio di legalità (art. 101 Cost.) e della tutela del diritto di difesa (art. 24 Cost.).

16 Vedi supra, nota 10.

17 Ddl Alfano n. 125 approvato dal Consiglio dei Ministri all’unanimità il 9.02.2011, recante “Interventi in materia di efficienza del sistema giudiziario”, ha introdotto nel libro II, titolo I, del codice di procedura civile, un nuovo capo (III quater) dedicato alla c.d. “motivazione breve”.

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Ed è in funzione di tali ragioni che essa, nel nostro Paese, è diffusamente avvertita come una garanzia fondamentale del cittadino, in un contesto democratico18, dinanzi all'esercizio del potere giurisdizionale19.

Tale principio è stato poi, negli anni, declinato dal legislatore ordinario20, il quale ha dettato concretamente, attraverso il confezionamento delle norme processuali, il quomodo, la misura ed i contenuti della motivazione, sia in ambito civile che penale21, ponendosi, a più riprese, il problema di individuare un “minimum” contenutistico22 idoneo a rispettare il precetto costituzionale e soddisfare, contemporaneamente, le sempre più pressanti esigenze di celerità ed effettività della tutela giurisdizionale, nel rigoroso rispetto del perimetro dettato dalla carta costituzionale, anche se non senza pragmatiche eccezioni; mi riferisco ai provvedimenti monitori che, come noto, pur rappresentando un essenziale strumento dell'esercizio della giurisdizione, risultano emessi in assenza di contraddittorio, solo eventuale e differito, e in assenza di motivazione (salvo volerla ravvisare nella mera declaratoria della sussistenza dei presupposti di legge per l’emanazione del decreto), ancorché le ragioni che fondano il provvedimento siano comunque facilmente individuabili per il tramite della disamina del ricorso della parte e della relativa documentazione allegata.

2b. LA MOTIVAZIONE NELLA SUA DIMENSIONE EUROPEA: ART. 6 CEDU.

18 L'obbligo della motivazione del provvedimento giurisdizionale è previsto dall'art. 149 della costituzione belga, dall'art.

16, comma 2, della costituzione finlandese, dall'art. 93, comma 3, della costituzione greca, dall'art. 89 della costituzione lussemburghese, nonché dall'art. 205, comma 1, della costituzione portoghese; non è così invece, per l’ordinamento tedesco, ad esempio, ove l’obbligatorietà della motivazione è prevista solo a livello normativo ordinario. Tuttavia, è appena il caso di accennare che negli ordinamenti in cui l’obbligo di motivazione è sancito a livello costituzionale, non è previsto l’istituto della motivazione a richiesta. Significativo è però il caso italiano: nel nostro ordinamento, infatti, ove la motivazione è costituzionalmente garantita, non è prevista la motivazione a richiesta, ma è pacificamente ritenuto legittimo il decreto ingiuntivo ex art. 633 c.p.c. che, a ben osservare, offre un ventaglio di garanzie nettamente inferiori a quelle che la motivazione a richiesta potrebbe realizzare.

19 Ancorché, si avverte sin d’ora, le più recenti pronunce della Cassazione sono nel senso di considerare la motivazione più come forma organizzatoria della giurisdizione interna dello Stato (v., tra le altre, Cass. civ., Sez. Un., 15.04.2005 n.

7799).

20 Fondamentale, in questo senso, è stata anche la feconda interpretazione giurisprudenziale integrativa dell'art. 111, comma 6, Cost., che ha contribuito a trasformare il precetto costituzionale da criterio di generale orientamento dell'attività giurisdizionale in concreta regola di generale osservanza nell'adozione di ogni provvedimento giurisdizionale.

21 Occorre prendere atto della circostanza che ultimamente si tende ad affermare la costituzionalizzazione dell’obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi, ancorché espressamente previsto solo dall’art. 3 della L. 241/90, sul rilievo che esso è diretto a realizzare la conoscibilità, e quindi la trasparenza, dell’azione amministrativa. Ed infatti con la recentissima sentenza n. 310 del 5.11.2010, su Giust. Civ. 2010, 12, pag. 2715, la Corte Costituzionale ha affermato che

“l’obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo è radicato negli artt. 97 e 113 Costituzione, in quanto, da un lato, costituisce corollario dei principi di buon andamento e d’imparzialità dell’amministrazione e, dall’altro, consente al destinatario del provvedimento, che ritenga lesa una propria situazione giuridica, di far valere la relativa tutela giurisdizionale”. Come si vede, siamo in presenza di una importante indicazione di principio, che rafforza in misura assai significativa il rilievo dell’obbligo di motivazione, facendolo diventare una indicazione di valenza generale. D’altra parte, l’obbligo di motivazione dell’atto amministrativo costituisce principio dell’ordinamento comunitario, ora dell’Unione Europea -la cui applicazione è richiamata nell’art. 1 della L. 241/90, introdotto dall’art. 1 della L. 15/2005 - testualmente sanzionato dall’art. 296, comma 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. Tale principio è stato ribadito dalla Carta sui diritti fondamentali dell’Unione Europea come diritto ad una buona amministrazione con l’art. 41 comma 2 lett. c), in cui è previsto l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni.

22 A tal proposito, v. se vuoi, SANTANGELI, Art. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., op. cit., ove è avallata la tesi secondo cui l'onere motivazionale del giudice non possa rifarsi ad un modello contenutistico standardizzato, ma varia a seconda della materia e dei diritti oggetto del contendere, caso per caso, rilevando a tali fini anche l'impatto sociale e persino economico che la decisione potrà avere. Da qui il mostrato favore, in relazione alle cause più semplici e di interesse spiccatamente individuale, verso i modelli motivazionali d'oltralpe, quali quello francese, che alla tecnica discorsiva sostituisce la tecnica del c.d. attendu que.

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La motivazione della sentenza, altresì, è, almeno in linea di principio, avvertita come necessaria anche dall'ordinamento sovranazionale, nel quale l'obbligatorietà della decisione motivata viene ricondotta all'art. 6 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali del 1950. Per la verità, l'art. 6 CEDU non fa alcun espresso riferimento alla motivazione della sentenza, ma è la Corte di Strasburgo, organo competente a pronunciarsi su “tutte le questioni concernenti l'interpretazione e l'applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli” (art. 32, par. 1 CEDU)23, alla cui giurisdizione l’Unione si assoggetta24, ad includerla tra le garanzie dell'equo processo, che, nell’esigere che la decisione sia pubblica, implica che essa debba essere motivata. Essa, nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo, lungi dall'essere concepita esclusivamente in funzione della possibilità di impugnare la decisione, risponde ad ulteriori finalità, che attengono al rapporto con le parti processuali e con i cittadini in generale nonché alla fiducia che deve poter essere riposta nell'amministrazione della giustizia che deve essere trasparente, al fine di evitare sospetti di arbitrarietà25.

Secondo la Corte Europea, tuttavia, sul piano pratico, i modi per adempiere a tale obbligo possono variare, non solo sul piano formale ma anche sostanziale, dovendosi anche tenere conto delle differenze esistenti tra gli Stati contraenti, quanto a disposizioni di legge, consuetudini, concezioni dottrinali, presentazione e redazione delle decisioni giudiziarie26. Ciò che comporta, sul piano pratico, che la questione del se il giudice abbia adempiuto o meno all'obbligo della motivazione che deriva dall'art. 6 CEDU può essere risolta solo alla luce delle circostanze del caso concreto (ed in relazione al singolo Paese)27.

Pur tuttavia, in occasione delle sue numerose pronunce, la Corte ha avuto modo di dare una serie di indicazioni in tema di motivazione. Così, in alcuni casi ha ritenuto che l'obbligo di motivazione riguarda le sole questioni controverse che presentino carattere di essenzialità, senza che possa ritenersi violato l'art. 6 CEDU laddove siano trascurati nella motivazione punti secondari28; in altri casi che è necessario che dalla motivazione si evinca che gli argomenti decisivi sottoposti dalla parte siano stati presi in esame, senza tuttavia pretendere una risposta dettagliata ad ogni argomentazione29, in altri ancora che la motivazione per relationem può essere sufficiente purché si possa comprendere che tutti i motivi sono stati esaminati30; in altre occasioni, che l'ampiezza e l'analiticità e gli specifici contenuti delle motivazioni sono comunque condizionati dalla natura e dalle circostanze di ciascun caso, nonché dal tipo di

23 L’art. 32, par. 1 CEDU, rubricato “Competenza della Corte”, prevede che: “La competenza della Corte si estende a tutte le questioni concernenti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli che siano sottoposte ad essa nelle condizioni previste dagli art. 33, 34 e 47”. La Corte costituzionale italiana, con la sentenza n.

349/2007, ha poi precisato che: “La Corte di Strasburgo garantisce l'esatta ed uniforme applicazione delle norme della Convenzione, essendone ad essa attribuita l'interpretazione centralizzata, ed avendo una competenza che si estende a tutte le questioni concernenti l'interpretazione e l'applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli, ciò che solo garantisce l'applicazione del livello uniforme di tutela all'interno dell'insieme dei Paesi membri”.

24 COLAVITTI- PAGOTTO, Il Consiglio di Stato applica direttamente le norme CEDU grazie al Trattato di Lisbona:

l’inizio di un nuovo percorso?, nota a sentenza del Consiglio di Stato n. 1220/2010 su Rivista dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, del 2.07.2010, in www.rivistaaic.it.

25 CEDU sentenza Karakasis c. Grecia del 17.10.2000, CEDU sentenza Hirvisaari c. Finlandia del 27.09.2001 ma anche CEDU sentenza Tatishvili c. Russia del 9.07.2007.

26 Così la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nella sentenza Ruiz Torija c. Spagna del 21 gennaio 1994.

27 La giurisprudenza della Corte di Strasburgo è caratterizzata da un approccio casistico, ove le affermazioni di principio non possono essere lette in modo avulso e scollegato dal concreto caso in relazione al quale sono state pronunciate. In tal senso LAMARQUE, Gli effetti delle sentenze della Corte di Strasburgo secondo la Corte costituzionale italiana, in Corriere Giuridico n. 7/2010, p. 960.

28 CEDU sentenza Helle c. Finlandia, del 19.12.1997.

29 CEDU sentenza Torija c. Spagna, del 9.12.1994, CEDU sentenza Van de Hurk c. Olanda del 19.04.1994 e di recente CEDU sentenza Gomez Cespon c. Svizzera, del 5.10.2010.

30 CEDU sentenza Lindner c. Romania del 3.12.2002.

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provvedimento31, in altri casi ancora, invece, ha riconosciuto, che esistono circostanze nelle quali la motivazione è implicita nella stessa decisione32. Proprio l’approccio casistico della Corte, tuttavia, induce a ritenere che le sue decisioni, lungi dall’enunciare principi generali ed astratti, valevoli in tutte le situazioni e per tutti gli Stati aderenti al suo sistema, vadano invero contestualizzate, di talchè analoghe situazioni di fatto possano avere conseguenze diverse sul piano giuridico, a seconda dello specifico contesto in cui si inseriscono.

Occorre in particolar modo prendere atto della circostanza che nel sistema CEDU, il principio della necessarietà della motivazione va letto in stretta funzione delle fondamentali garanzie processuali di cui essa è presidio, la cui effettività, in un ottica di attuazione dell’equo processo, deve essere garantita. E, a ben guardare, è questo il fine ultimo delle disposizioni della Convenzione, come si può ricavare in via interpretativa dalla lettura delle numerose sentenze della Corte Edu, da cui parrebbe emerge che ciò che realmente appare ineludibile, non è tanto la presenza di una parte motivatoria nella testo della sentenza, quanto l’effettività, nel caso concreto, della tutela delle garanzie fondamentali di cui essa è presidio33. Ed è sulla scia di tale principio che la Corte ha, ad esempio, riconosciuto che la mancanza di motivazione non costituisce di per sé una violazione del diritto ad un equo processo, purché le parti siano poste concretamente nelle condizioni di comprendere la decisione34.

*** *** ***

La previsione a livello sovranazionale dell’obbligo di motivazione (nei termini appena espressi) potrebbe acquisire maggiore rilevanza alla luce del Trattato di Lisbona35, che pone oggi un problema di coordinamento tra il diritto interno e il diritto sovranazionale che riguarda anche gli altri Stati appartenenti alla dimensione europea.

Il rapporto tra gli Stati membri e le norme CEDU è stato finora disciplinato da ciascun ordinamento nazionale, nel rispetto del principio di sussidiarietà, nel senso che in concreto l’applicazione della CEDU è stata rimessa alle valutazioni delle giurisdizioni nazionali, cui è stato riconosciuto un margine di apprezzamento nella applicazione della Convenzione36 (purché, chiaramente, la sussidiarietà ed il margine di apprezzamento non sconfinino in una limitazione della protezione dei cittadini37) 38, anche in coerenza con la diversa forza cogente che, nei

31 CEDU sentenza Ruiz Torija c. Spagna del 21.01.1994, CEDU sentenza Higgins c. Francia del 19.02.1998, CEDU sentenza Helle c. Finlandia del 19.12.1997.

32 CEDU sentenza Vedi X v. Federal Republic of Germany del 13.07.1982.

33 Gli Stati contraenti, infatti, godono di una notevole libertà nelle scelte delle misure atte a garantire che i loro sistemi giuridici soddisfino i requisiti di cui all’art. 6 CEDU.

34 Estremamente significativa al riguardo è, da ultimo, la sentenza della Corte EDU Taxquet c. Belgio del 16.11.2010 secondo cui “Nei processi che prevedono una giuria popolare, un verdetto privo di motivazione non determina di per sé la violazione dell’art. 6 CEDU, a condizione però che siano previste adeguate garanzie che consentano all’imputato ed al pubblico ministero di comprendere le ragioni della decisione”. Ma non solo. Nella giurisprudenza CEDU muovono in tale direzione anche altre pronunce, ancorché non espressamente riferite al difetto di motivazione, dalle quali è tuttavia possibile ricavare principi generali valevoli, quali parametro interpretativo di riferimento, all’interno del sistema CEDU. Per un approfondimento, vedi infra nota 83.

35 Entrato in vigore il 1 dicembre 2009.

36 Secondo l’impostazione di Strasburgo è la previsione convenzionale stessa ad essere formulata in modo tale da lasciare agli Stati un margine di manovra, mentre secondo l’impostazione della Corte costituzionale italiana, il margine di manovra si conquista a posteriori, a seguito del bilanciamento dell’obbligo convenzionale con altri elementi tratti dalla Costituzione italiana. Così LAMARQUE, Gli effetti delle sentenze della Corte di Strasburgo, op. cit., p. 961.

37 Peraltro ci sono materie in cui il margine di apprezzamento non trova posto, come per esempio l’art. 3 che proibisce la tortura.

38 Margine che, quindi, ha portato la corte a rifuggire l'idea di elaborare un modello astratto di motivazione obbligatoria e completa; ciò che ha consentito, ad esempio, di ritenere non illegittimo il sistema anglosassone della giuria. In tal senso ZAGREBELSKY, nella relazione dell’intervento al convegno di studi organizzato dalla Corte di cassazione, Ufficio dei Referenti per la Formazione decentrata tenutosi a Roma il 20.01.2010 in tema di “La motivazione della sentenza civile di Cassazione”, a cura di Lamorgese.

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diversi ordinamenti, viene riconosciuto agli obblighi internazionali39. Con specifico riferimento alla realtà nostrana, a seguito della riforma dell'art. 117 Cost.40, e delle sentenze chiarificatrici della Corte Costituzionale n. 348 e 349 del 2007, cui hanno fatto seguito le sentenze nn. 239, 311 e 317 del 200941, la CEDU, e l’interpretazione giurisprudenziale datane della Corte di Strasburgo, hanno acquisito nel nostro ordinamento valore vincolante42, ancorché le

39 Osserva MIRATE, La CEDU nell’ordinamento nazionale: quale efficacia dopo Lisbona? in Riv. it. dir. pubbl. com.

5/2010, pag. 1363, che anche se la Convenzione delinea un sistema di tutela dei diritti umani che presenta indubbiamente un sostrato uniforme comune al patrimonio costituzionale di ciascuno Stato contraente, l’attuazione delle garanzie previste nella Convenzione stessa, anche in conseguenza dell’attività interpretativa della Corte Europea, varia inevitabilmente da Stato a Stato. Ogni diritto nazionale mantiene sue specifiche peculiarità in rapporto alla necessità di rispetto dei canoni convenzionali. Si tratta di peculiarità che a volte portano anche a situazioni di scontro del diritto nazionale con le garanzie imposte dalla Convenzione e dalla sua Corte. In ragione di tale peculiarità, osserva l’a., e quindi della necessaria caratteristica di autonomia che deve connotare la relazione tra ordinamento statale e sistema convenzionale, il rapporto tra Stati membri dell’Unione Europea e Convenzione non pare poter essere assorbito e totalmente neutralizzato, neanche dopo l’adesione dell’Unione Europea prevista dal Trattato di Lisbona, attraverso una completa omogeneizzazione del sistema di tutela dei diritti fondamentali all’interno dell’Unione Europea.

40 Il nuovo art. 117 Cost. prevede che “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. La Consulta, con le sentenze prima citate, ha a più riprese chiarito che l'art. 117, comma 1, cost. ed in particolare l'espressione

“obblighi internazionali” in essa contenuta “si riferisce alle norme internazionali convenzionali, anche diverse da quelle comprese nella previsione degli artt. 10 e 11 Cost. Così interpretato, l'art. 117 Cost., primo comma, Cost. ha colmato la lacuna prima esistente quanto alle norme che a livello costituzionale garantiscono l'osservanza degli obblighi internazionali pattizi. La conseguenza è che il contrasto di una norma nazionale con una norma convenzionale, in particolare della CEDU, si traduce in una violazione dell'art. 117, primo comma, Cost. Questa Corte ha inoltre precisato che al giudice nazionale, in quanto giudice comune della Convenzione, spetta il compito di applicare le relative norme, nell'interpretazione offertane dalla Corte di Strasburgo, alla quale questa competenza è stata espressamente attribuita dagli Stati contraenti. Nel caso in cui si profili un contrasto tra una norma interna ed una norma della Convenzione europea, il giudice naturale comune deve, pertanto, procedere ad una interpretazione della prima conforme a quella convenzionale, fino a dove ciò sia consentito dal testo delle disposizioni a confronto e avvalendosi di tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica. Solo quando ritiene che non sia possibile comporre il contrasto in via interpretativa, il giudice comune, il quale non può procedere all'applicazione della norma della CEDU (allo stato, a differenza di quella comunitaria provvista di effetto diretto) in luogo di quella interna contrastante, tanto meno fare applicazione di una norma interna che egli stesso abbia ritenuto in contrasto con la CEDU, e pertanto con la Costituzione, deve sollevare la questione di costituzionalità con riferimento al parametro dell'art. 117, comma 1, cost ovvero anche dell'art. 10, primo comma, cost., ove si tratti di una norma convenzionale ricognitiva di una norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta.”

41 Con tali sentenze la Consulta ha altresì avuto modo di precisare che alla stessa Corte Costituzionale “è precluso di sindacare l’interpretazione della Convenzione europea fornita dalla Corte di Strasburgo, cui tale funzione è stata attribuita dal nostro Paese senza apporre riserve”. Tuttavia, “compete alla Consulta di verificare se la norma della CEDU, nell’interpretazione datane dalla Corte Europea, non si ponga in conflitto con altre norme conferenti della nostra costituzione. Il verificarsi di tale ipotesi, pure eccezionale, esclude l’operatività del rinvio alla norma internazionale e, dunque, la sua idoneità ad integrare il parametro dell’art. 117, primo comma, Cost.; e non potendosi evidentemente incidere sulla sua legittimità, comporta, allo stato, l’illegittimità, per quanto di ragione, della legge di adattamento” . Così sentenza Corte cost. del 26.11.2009 n. 311 in Giur. Cost. 2009, 6, pag. 4657.

42 Sul punto si impone qualche precisazione. Il vincolo interpretativo della Corte Edu non è assoluto, ma soggetto, per espressa previsione della Corte Europea, all’operatività di strumenti di graduazione, quali sono il c.d. “margine di apprezzamento” ed il “ragionevole bilanciamento degli interessi” che, introducendo un elemento di relatività all’interno dell’uniforme applicazione della CEDU, riconoscono ai legislatori ed alle giurisdizioni nazionali il potere di limitare il vincolo interpretativo derivante dalla giurisprudenza della Corte Edu per la determinazione dell’esatto contenuto dell’obbligo internazionale ogni qualvolta l’interpretazione centralizzata della Corte rischi di porsi in contrasto con i profili costituzionali, politici, economici, amministrativi e sociali di ciascuno Stato contraente. Ciò che consente agli Stati, in situazioni di critiche antinomie, di abbandonare gli automatismi e procedere all’interpretazione della portata degli obblighi convenzionali in modo meno dipendente dalla giurisprudenza del giudice europeo e più adeguato invece alla realtà dell’ordinamento nazionale; ciò non solo a tutela di interessi nazionali sanciti e riconosciuti a livello costituzionale ma anche di interessi protetti da statuizioni legislative e giudicati, in sede di bilanciamento, più meritevoli di tutela (DOMENICALI, Il seguito della giurisprudenza costituzionale sul ruolo della CEDU nell’ordinamento italiano, relazione presentata al convegno di studi sul tema “Lo strumento costituzionale dell’ordine pubblico europeo”

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disposizioni della Convenzione non abbiano (ancora) efficacia diretta, posto che, a differenza di quanto avviene per le norme di diritto comunitario, il giudice interno che ravvisi il contrasto di una norma nazionale con le disposizioni della CEDU, non può direttamente disapplicarle, ma solo interpretarle, per quanto possibile, in senso conforme alla CEDU, nell’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo o, in ultima istanza, sollevare la questione di legittimità costituzionale della disciplina interna in raffronto al parametro costituzionale dell'art. 117 Cost.43 (la norma internazionale, in questo modo, diventa parametro interposto nel giudizio di costituzionalità delle leggi interne, purché sia a sua volta conforme a Costituzione44).

Tale realtà, tuttavia, pare essere destinata a cambiare alla luce del Trattato di Lisbona, che ha modificato l'art. 6 del TUE prevedendo che “L'unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali”.

L'adesione dell'Unione Europea alla CEDU, secondo la procedura indicata nel protocollo n. 8 annesso al trattato di Lisbona, ha ufficialmente avuto inizio a Strasburgo il 7 luglio 2010 e si concluderà, solo a seguito della definizione di un accordo tra UE ed il Consiglio d’Europa, con la successiva ratifica degli altri 47 Stati contraenti. Molti sono i dubbi legati alle conseguenze che tale adesione potrebbe avere sul piano dei rapporti tra Unione Europea, Convenzione e gli ordinamenti degli Stati membri. In particolare ci si interroga sulla possibilità di un ampliamento delle fonti del diritto dell’Unione Europea45, di una comunitarizzazione delle norme CEDU46 e

tenutosi a Bologna in data 05.03.2010, disponibile sul sito www.forumcostituzionale.it, che rileva come l’integrazione tra ordinamento internazionale ed ordinamento interno non sembra essere fissata una volta per tutte, ma aperta ad una pluralità di esiti in relazione agli interessi in campo ed ai modi con cui essi si riportano ai valori, avendo sempre come punto di riferimento fondamentale la più intensa tutela dei diritti.). La stessa Corte europea ricostruisce il margine di apprezzamento in questi termini, ovvero come strumento di differenziazione in nome del pluralismo, valorizzando sia esigenze funzionali, poiché riconosce che sono le autorità nazionali ad avere una conoscenza migliore delle circostanze e delle condizioni locali di applicazione della CEDU, sia l’esigenza ideologica di salvaguardare la diversità giuridica dei vari ordinamenti. La corte Costituzionale italiana, tuttavia, ha invece inteso in maniera assolutamente restrittiva la portata del margine di apprezzamento, affermando, per contro, il carattere vincolante della interpretazione della Corte Edu nei confronti degli organi giurisdizionali interni quando devono stabilire la portata di quell’obbligo, di talché, nell’ottica della Consulta, la giurisprudenza di Strasburgo vincola sia i giudici comuni, quando procedono all’interpretazione della legge interna in senso conforme alla Convenzione e alla valutazione della non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalità, sia la Corte costituzionale stessa nella risoluzione dei dubbi di costituzionalità che le vengono rivolti.

43 Ciò significa che, allo stato, risulta preclusa la strada di un meccanismo di risoluzione diffusa degli eventuali contrasti tra disciplina nazionale e CEDU, atteso che ogni antinomia deve essere affrontata in sede di controllo accentrato di costituzionalità da parte della consulta, che ha inteso riservarsi tale controllo nel caso in cui si profili la necessità di effettuare un bilanciamento tra il vincolo derivante dalla CEDU e ulteriori interessi costituzionalmente tutelati (è questa la c.d. Teoria dei controlimiti). In questo modo viene escluso il valore incondizionatamente vincolante della giurisprudenza CEDU, ma non perchè la consulta intenda sindacare l'operato della corte EDU, piuttosto perchè in un caso concreto potrebbe ritenere eventualmente prevalenti sull'obbligo internazionale interessi costituzionalmente garantiti.

44 Si tratta del c.d. “principio della supremazia costituzionale”, come è stato definito dalla dottrina. Vedi per tutti SAVINO, Il cammino internazionale della Corte costituzionale dopo le sentenze n. 348 e 349 del 2007, in Riv. it. dir.

pubbl. com, 2008, in particolare p. 772 e ss.

45 Osserva MIRATE, op. cit. p. 1369, che nei primi documenti emanati sia in seno al Consiglio d’Europa che al Parlamento Europeo, sin dai primi mesi successivi all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la Convenzione viene definita solo come fonte esterna rispetto all’ordinamento dell’Unione Europea che vi aderisce.

46 COLAVITTI- PAGOTTO, op. cit., osservano che il Trattato di Lisbona ha conferito al sistema giuridico CEDU (ossia alla Convenzione ed a tutta la giurisprudenza della corte di Strasburgo che l'ha interpretata e sviluppata in questi decenni) un nuovo status nel sistema delle fonti, poiché tutto porta a ritenere che anche questo insieme normativo acquisisca il beneficio della primautè rispetto al diritto nazionale, finora appannaggio esclusivo delle norme comunitarie.

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di un riconoscimento alle stesse di efficacia diretta negli ordinamenti nazionali; ciò che aprirebbe la strada ad un controllo diffuso e ad un potere di disapplicazione in capo ai giudici comuni della norma interna in contrasto con la norma CEDU 47. Dubbi che, con sorprendente rapidità, i nostri giudici nazionali sembrano aver superato, riconoscendo sin da subito, e in una totale non curanza della circostanza che il processo di adesione dell'Unione alla CEDU non abbia ancora avuto compimento, le norme CEDU come direttamente applicabili nel nostro ordinamento per effetto dell'art. 11 Cost.48.

Fermo restando che sarà opportuno attendere di conoscere i contenuti dell’accordo tra UE e Consiglio d’Europa, che definiscano la posizione dell’Unione Europea e delle sue istituzioni rispetto alla Convenzione, in ogni caso occorre prender sin d’ora atto della circostanza che l’eventuale riconoscimento alle norme CEDU, nella dimensione interpretativa della Corte Edu di cui essi vivono, di diretta forza cogente e immediata vincolatività per tutti gli Stati aderenti all’Unione49, potrebbe risolversi in una compressione del margine di manovra di cui sinora gli Stati membri hanno usufruito, con tutto ciò che questo comporterebbe in termini di rispetto della diversità giuridica dei diversi ordinamenti50 e, soprattutto, di compatibilità degli stessi e delle normative nazionali con l’ordinamento sopranazionale.

Ciò potrebbe significare, tornando specificatamente al tema che qui interessa, che il legislatore italiano, laddove intendesse incidere sull’obbligo di motivazione della sentenza, potrebbe dover non soltanto tenere a parametro di riferimento l’art. 111, comma 6, Cost. ma altresì confrontarsi, più di quanto non sia già costretto a fare oggi, con i vincoli derivanti dal nuovo diritto comunitario (rectius: europeo) che, tuttavia, sul punto in questione, appaiono meno intensi di

47 A favore della tesi secondo cui l’adesione dell’Unione alla CEDU comporterebbe che tutte le norme della Convenzione diverrebbero direttamente operanti negli ordinamenti nazionali degli Stati membri, con il grado e la forza delle norme comunitarie, e cioè ai sensi dell’art. 11 Cost., e non più come norme sub-costituzionali ai sensi dell’art. 117, primo comma, della Costituzione anche UBERTIS, La Corte di Strasburgo quale garante del giusto processo, in Dir.

pen e proc. 2010, p. 373. Conformemente CARTABIA, I diritti fondamentali in Europa dopo Lisbona: verso nuovi equilibri?, in Giornale amministrativo 3/10, p. 224. Occorre tuttavia rilevare che sul punto si sono profilate anche opinioni dissenzienti. Ed invero è stato rilevato (CELOTTO, Il trattato di Lisbona ha reso la CEDU direttamente applicabile nell'ordinamento italiano?, nota a margine della sentenza n. 1220/2010 del Consiglio di Stato, su www.neldiritto.it) che l'adesione dell'Unione alla CEDU non comporterà l'equiparazione della Convenzione al diritto comunitario, e dunque l'efficacia diretta delle sue disposizioni nel nostro ordinamento, bensì semplicemente una loro utilizzabilità quali “principi generali” del diritto dell'Unione al pari delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, non differendo pertanto da quanto già previsto dalla formula originaria del Trattato sull'Unione Europea secondo cui “L'Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata il 4 novembre 1950 a Roma, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario”. Nelle stesso senso D’ANGELO, “Comunitarizzazione” dei vincoli internazionali CEDU in virtù del Trattato di Lisbona? No senza una expressio causae in www.forumcostituzionale.it, e MIRATE, op. cit., pag. 1370.

48 Vedi Tar Lazio Roma 18.05.2010 n. 11984 e Consiglio di Stato 02.03.2010 n. 1220, in Riv. It. Dir. pubbl. com., 2010, 5, pag. 1346-1349, con nota contraria di MIRATE, op. cit., pag. 1354-1372.

49 In ogni caso, nel cammino giurisprudenziale intrapreso, andrà chiarito in particolare per chi e come sono divenuti direttamente applicabili i predicati normativi della CEDU. Come già, in alcuni casi, rilevato (v. COLAVITTI- PAGOTTO, op. cit., p. 3) altro è che i precetti della CEDU siano divenuti direttamente applicabili nelle materie in qualche modo connesse con il diritto comunitario, altro è che essi si considerino come paramento vincolante tout court per il giudice comune, e che dunque sia possibile darne applicazione in relazione a qualunque fattispecie.

50 Osserva MIRATE, op.cit., pag. 1371, che la comunitarizzazione della CEDU avrebbe come inevitabile effetto quello di ridurre, se non azzerare, il rapporto autonomo tra gli Stati Membri dell’UE e la Convenzione. La protezione dei diritti e delle libertà fondamentali sancite dalla Convenzione europea ed interpretate e salvaguardate dalla corte di Strasburgo, trova una sua più compiuta ricchezza di attuazione nell’esplicarsi di quel rapporto necessariamente bilaterale esistente fra la Convenzione stessa e l’ordinamento nazionale che è chiamato a rispettarla. Una ricchezza che si misura nell’affrontare, talvolta anche attraverso scontri tra Strasburgo e le corti nazionali, le specificità che ogni ordinamento presenta nella sua relazione con il sistema di protezione dei diritti umani voluto dalla CEDU, che non possono essere assorbite e neutralizzate da una applicazione, seppure uniforme, del diritto UE.

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quelli previsti dall’ordinamento italiano; ma ciò vale, naturalmente, anche per gli altri Stati membri, in relazione ai quali si potrebbe porre anche un problema di compatibilità tra i sistemi attualmente vigenti (il riferimento è a quegli ordinamenti che contemplano ipotesi di provvedimenti solo facoltativamente motivati -se non interviene la rinuncia della parte, e sempre che il giudice non ravvisi comunque la necessità di una motivazione- in relazione ai quali si pone, oggi più che mai, l’esigenza di verificare in concreto la sufficienza delle garanzie offerte) ed il nuovo quadro normativo sovranazionale in relazione alla motivazione dei provvedimenti.

3. LA MOTIVAZIONE SU RICHIESTA.

Nel tentativo di rispondere in maniera concreta ed efficace all’esigenza di accelerazione dei tempi della decisione, già da anni alcuni studiosi51, traendo ispirazione dalle tradizioni di altri

51 A favore della motivazione a richiesta, tra gli altri, CHIARLONI, Accesso alla giustizia e uscita dalla giustizia in Doc. giust. 1995, n. 1-2, pag. 40, ID. Valori e tecniche dell’ordinanza di condanna ad istruzione esaurita ex art. 186 quater c.p.c., in Riv. Trim. dir. proc. civ. 1996. p. 519 e ss., ID., Rinunciabilità al contraddittorio e rinunciabilità alla motivazione dei provvedimenti, doc. n. 110/2008 su www.ilcaso.it., e ID., Giusto processo, garanzie processuali, giustizia della decisione, in Riv. Dir. proc. civ. 2008, p. 129 e ss. L’a., in sintesi, prendendo atto della circostanza che il nostro ordinamento riconosce efficacia ai provvedimenti monitori, ancorché a contraddittorio solo eventuale e comunque differito, come tali, in linea di principio, in contrasto con l’art. 111 della Costituzione, ritiene, dovrebbe parimenti riconoscersi la legittimità della sentenza di primo grado ancorché priva di motivazione, purché l’ordinamento garantisca alla parte di conoscere la motivazione della decisione, su richiesta, in una fase successiva all’emanazione del provvedimento decisorio. In altri termini, secondo l’a., l’art. 111 Cost., comma 6, deve essere interpretato nel senso di ritenere sufficiente, ai fini della compatibilità con l’ordinamento costituzionale, la richiedibilità della motivazione, al pari di quanto già accade in materia di decreto ingiuntivo, ove a garantire la salvezza dalla censura di illegittimità costituzionale vale la garanzia di un contraddittorio anche solo eventuale e differito. Sulla medesima lunghezza d’onda, in termini di legittimità dell’istituto della motivazione a richiesta VERDE, Giustizia e garanzie nella giurisdizione civile, in Riv. Dir. proc. 2000, p. 310, il quale ritiene che una attenuazione dell’obbligo costituzionale di motivazione, tale da consentire, nei processi civili relativi a diritti disponibili, che il giudice è tenuto a motivare solo quando una delle parti gliene faccia richiesta ai fini dell’impugnazione, non dovrebbe apparire una soluzione eversiva, e forse, potrebbe favorire un incremento della produttività dei singoli magistrati giudicanti. A favore di tale istituto anche TOFFOLI, Considerazioni sulla compatibilità del procedimento per ingiunzione (e delle ipotesi della motivazione della sentenza a richiesta di parte) con l’art. 111 Cost., in Il nuovo articolo 111 della Costituzione e il giusto processo civile, a cura di Maria Giuliana Civinnini e Carlo Maria Verardi, Milano, 2007, p. 296-297, il quale, pur non negando rilievo alla funzione extraprocessuale della motivazione, ritiene in ogni caso plausibile un’interpretazione dell’art. 111 Cost. che legittimi il giudice di primo grado a subordinare alla richiesta della parte, sul presupposto di una eventuale impugnazione, la motivazione della decisione (il cui dispositivo, però, dovrebbe essere adeguatamente analitico) purché abbia “un campo di azione predeterminato, che andrebbe precisato mediante l’individuazione di materie nelle quali sia normalmente molto scarsa l’incidenza extraprocessuale della motivazione e relativamente basso il tasso di impugnazione”. Fermo restando, in ogni caso, la necessarietà della motivazione in presenza di questioni non di routine.

L’apertura verso una simile soluzione deriva dall’avvertita necessità di tenere conto dei nuovi contenuti dell’art. 111 Cost., con particolare riferimento alla garanzia della ragionevole durata del processo; principio che, secondo l’autore, è destinato ad interagire, nel complessivo ordinamento giuridico, con altri valori e principi, anche costituzionali, ivi compresi quelli enunciati nello stesso art. 111 Cost., limitandone la valenza. Ciò che è accaduto in relazione ai procedimenti monitori e che, ammette l’autore, potrebbe accadere con l’introduzione della motivazione a richiesta delle parti interessate, che si basano su un bilanciamento tra i principi alla base della regola del contraddittorio e della motivazione delle sentenze, e il principio della celerità processuale. Non diversamente SANTANGELI, L’ordinanza successiva alla chiusura dell’istruzione, op. cit., pag. 133-134 secondo cui la nuova versione dell’art. 111 Cost. con l’espressa estrinsecazione del principio della ragionevole durata dei processi diventa parametro cui commisurare la costituzionalità delle disposizioni processuali. Tale principio, infatti, diventa criterio che il legislatore e la Consulta dovranno utilizzare anche per valutare se determinate marginali letture restrittive di alcune garanzie processuali non possano essere anzi giustificate da esigenze di sveltimento e funzionalità giudiziali. Manifestamente a favore della motivazione su richiesta BRIGUGLIO, Le novità sul processo ordinario di cognizione nell’ultima ennesima riforma in materia di giustizia civile, su www.judicium.it, PORRECA, La cosiddetta motivazione a richiesta nei giudizi civili, relazione all'incontro di studi organizzato dal CSM sul tema “L'organizzazione del procedimento e le tecniche di

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