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Avv. Ciro Carola

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Academic year: 2022

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Avv. Ciro Carola

Avvocato Regionale INAIL

Il ruolo del CTU nella valutazione del danno biologico in ambito INAIL

Le problematiche aperte dal danno biologico sono diventate sempre più complesse e importanti, negli interventi della Corte Costituzionale sono apparsi risolutivi nel chiarire i termini della quaestio.

Oggi, si sente sempre più spesso la necessità di fare il punto sulla situazione e riesaminare tutti quegli strumenti che sono alla base di un'equa valutazione del danno.

La consulenza medico legale costituisce da sempre il momento centrale del contenzioso civile relativo al risarcimento del danno alla persona in quanto è rivolta a quantificare e quindi a determinare la monetizzazione della lesione.

Questo strumento, più di ogni altro, è stato investito dalle tempestose problematiche causate dall'elaborazione concettuale del danno biologico.

Ma per meglio affrontare lo specifico tema occorre fare alcune considerazioni.

La schematica ripartizione fra danno patrimoniale e non patrimoniale ha subito un largo turbamento dal riconoscimento dei danni influenti la vita di relazione.

Questo “tertium” che si è trovato collocato alternativamente fra i danni di tipo patrimoniale (Cass.7.5.84 3384) come lucro cessante e fra il danno morale che produce all'esterno una sofferenza per il difettoso inserimento nella vita sociale (Trib.Padova 1982), è stato definito da Giannini come il danno costituito da tutte quelle conseguenze negative che colpiscono i rapporti interpersonali facenti capo all'infortunato per effetto delle lesioni subite.

Questo “tertium” unitamente alla necessità di risarcire quelle persone sfornite di reddito ha portato gradatamente la dottrina e la giurisprudenza a coagulare il concetto del danno biologico.

Attraverso questo concetto si è modificata radicalmente l'idea della valutazione del danno alla persona.

L'uomo viene ora giustamente considerato non solo e non tanto quale soggetto produttore di reddito, ma quale entità organica che racchiude complesse e svariate potenzialità idonee a svilupparsi nell'ambito delle attività lavorative, sociali, politiche, economiche ed artistiche.

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Una rivoluzione, quindi, non solo rispetto all'idea che presiedeva il concetto di risarcimento del danno espresso dall'art.1223 c.c. inteso come lucro cessante e danno emergente, ma anche e soprattutto nei confronti dei criteri medico legali preordinati a valutare il danno alla persona con riferimento esclusivamente alla capacità produttive del soggetto.

Infatti il danno biologico secondo la notissima sentenza della Corte di Cassazione n.2396 del 6.4.83 va identificato nel "valore uomo nel suo complesso che si esprime non solo nell'attitudine a produrre ricchezza, ma è collegato con tutte le sue funzioni naturali".

Da queste limpide affermazioni giuridiche sono discese alcune fondamentali conseguenze che interessano tutti: Magistrati, Avvocati e Medici Legali.

Così dopo che per molto tempo si era dibattuto se il danno biologico e quello patrimoniale fossero attinenti a settori diversi e dovessero essere valutati separatamente, la dottrina e la giurisprudenza hanno finito per concludere che sono come due cerchi concentrici (v. per tutti Trib. Bologna 31.1.85)

Le sentenze 356 e 485 della Corte Costituzionale hanno riaffermato tale principio per cui il danno patrimoniale, il danno alla vita di relazione, quello anatomico ed estetico sono diversi aspetti del danno biologico.

Tuttavia proprio per effetto delle citate sentenze è stata operata nuovamente una sottodivisione per gli effetti che interessano gli artt.10 e 11 del D.P.R.1124/65 e l'art. 1916 C.C.

Dalle considerazioni finora svolte appare chiaro che il problema da affrontare in sede di CTU è quello di stabilire, alla luce della giurisprudenza della Corte delle leggi e della Corte di Cassazione, quali aspetti deve affrontare, quali problemi può risolvere e quali risposte può dare al magistrato la consulenza tecnica medico legale.

E' certo che per poter compiutamente valutare il danno biologico sofferto dal leso, la CTU non può limitarsi a valutare la lesione con riferimento alla sola capacità lavorativa.

Quest'ultima è solo una componente del danno biologico.

Devono essere considerate la perdita anatomica in sè e per sè e tutte quelle implicazioni negative che la lesione comporta nei rapporti interpersonali lavorativi ed extralavorativi.

Infatti la Corte Costituzionale impone che siano valutati tutti i riflessi conseguenti all'infortunio e che impediscono alla personalità umana di espandersi nella vita sociale.

E' un problema valutativo complesso che acquista connotati sempre più spinosi allorché ci si accinge ad esaminare i riflessi che la lesione comporta negli ambiti extralavorativi.

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Essi acquistano spessore diverso a seconda delle abitudini del soggetto, delle sue relazioni sociali, del suo modo di porsi nella società.

Così la perdita di un arto può comportare squilibri psichici diversi ed anche notevolmente diversi da individuo ad individuo per i motivi più svariati: per le differenti attività complementari, le abitudini sessuali, le attività sociali e sportive.

Si pensi al danno che può derivare dalla perdita di un arto ad una donna sposata e da sposare anche se di pari età.

Problemi difficili da affrontare, dunque, che implicano non solo la conoscenza del soggetto dal lato fisico e psichico, ma anche dal versante delle sue abitudini e del suo modo di essere.

Questo nuovo approccio costituisce la vera rivoluzione introdotta dal concetto del danno biologico.

Affrontiamo ora il problema della CTU e della valutazione del danno biologico in costanza dell'azione di rivalsa esercitata dagli istituti di assicurazione sociale.

Il problema acquista lo stesso rilievo se viene prospettato con riferimento al diritto di surroga ex art.1916 C.C. all'azione di regresso ex art.10 e 11 del D.P.R.1124/65.

La Corte Costituzionale lo ha affrontato e risolto allo stesso modo con le sentenze 356 e 485 del 1991.

In passato non veniva in rilievo l'oggetto dell'assicurazione bensì i principi regolanti l'azione di surrogazione ex art.1916 primo comma c.c., per cui l'intera indennità corrisposta era ripetibile dall'assicurazione nei confronti del responsabile nei limiti di quanto dal medesimo dovuto all'assicurato.

Tale principio costantemente affermato dalla Corte di Cassazione introduceva un concetto molto più ampio e cioè che lo stesso assicurato non poteva essere risarcito al di là di tutti i danni subiti.

Vale a dire che se l'assicurato, a titolo di danno morale e biologico correttamente valutati avesse riportato in sede civilistica un danno pari a 100 e tanto avesse riscosso dall'assicurazione sociale nulla più gli competeva, dovendo essere quest'ultima a farsi rifondere dal responsabile.

Tale costruzione è stata modificata dalle citate sentenze 356 e 485 della Corte Costituzionale.

La sentenza 356 ha dichiarato illegittimo l'art.1916 nella interpretazione fattane dalla Corte di Cassazione (diritto vivente) con cui si consentiva all'Istituto assicuratore di rivalersi anche

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sulle somme dovute per i danni afferenti le capacità e le potenzialità extralavorative non coperte dall'assicurazione.

A sua volta la sentenza 485 ha dichiarato illegittimi gli artt.10 e 11 del D.P.R.1124/65 per gli stessi motivi.

Tuttavia la Corte Costituzionale, pur mantenendo fermo il concetto elaborato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 2396/83 per cui il danno biologico si riferisce al valore uomo nel suo complesso, lo ha poi ripartito al suo interno nel danno relativo alle attività e potenzialità extralavorative detto anche danno biologico in senso stretto e nel danno relativo alla capacità lavorativa.

Tale distinzione ha acquistato notevole importanza al fine di una corretta elaborazione della consulenza medico legale perché il danno biologico in senso stretto, di pertinenza dell'infortunato, va quantificato con riferimento ai rapporti extralavorativi del soggetto, mentre i danni incidenti sulla capacità lavorativa, di competenza dell'Istituto Assicuratore, possono essere valutati seguendo i metodi tradizionali.

Questa diversa esigenza valutativa non è il frutto di una interpretazione estensiva o ristrettiva delle decisioni della Corte Costituzionale, ma discende dalla semplice coordinazione delle motivazioni che la Corte ha posto a base delle sue sentenze.

Le sentenze 356 e 485 vanno, quindi, applicate alla realtà giuridica e medico legale quotidiana precisandosi che la Corte per la valutazione della capacità lavorativa ha sempre fatto riferimento all'incapacità lavorativa generica (v. punto 5 delle motivazioni e punto 2 del dispositivo della sentenza 485).

Occorre ora rilevare come per il passato i quesiti posti al CTU facevano riferimento al danno biologico nel suo complesso, mentre per i fini che interessano l'azione di surroga e di regresso dovrà essere distinta quella parte di danno afferente la vita extralavorativa da quella incidente sull'attitudine al lavoro.

Nell'impossibilità di procedere a questa ripartizione, una volta, accertato dal CTU il danno biologico nel suo complesso, il giudice può avvalersi della valutazione in via equitativa ex art.1226 come sempre più spesso è accaduto in questi ultimi tempi.

Così correttamente il Tribunale di Torino Sez.Fall. quale giudice di rinvio destinatario della sent.485 della Corte Costituzionale, nel rimettere la causa in istruttoria per la valutazione delle due componenti del danno biologico, di fronte alle affermazioni dei consulenti medici che l'inabilità, nella specie la perdita di un arto, influiva allo stesso modo sulla capacità lavorativa e sulla vita extralavorativa decideva in caso in via equitativa

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assegnando il 50% dell'intero danno all'infortunato e il 50% all'INAIL sent.8956 del Tribunale di Torino.

Ma ai fini di una corretta formulazione del quesito ed una esaustiva risposta da parte del CTU occorre fare alcune precisazioni.

Nella costruzione concettuale delineata non trovano asilo altre elaborazioni che nulla hanno a che vedere con il danno biologico.

Così la circostanza che le invalidità derivanti dagli infortuni sul lavoro non determinino una diminuzione del reddito per l'infortunato non intacca minimamente l'ammontare del risarcimento perché per effetto della legislazione sociale è vietato ridurre il salario ovvero licenziare il lavoratore infortunato.

Allo stesso modo non rientra nello schema operato dalla Corte Costituzionale condizionare il risarcimento alla incapacità lavorativa specifica in quanto il punto di riferimento della Corte Costituzionale nelle due sentenze è stato l'incapacità lavorativa generica.

Alcuni medici legali si sono posti il problema se la valutazione dell'incidenza della lesione sulla vita extralavorativa sia di competenza del consulente tecnico ovvero del magistrato.

E' un problema da non sottovalutare. E' comunque certo che per una corretta valutazione di tale tipo di danno è necessario procedere all'acquisizione di informative nuove e diverse che riguardano la vita privata e le abitudini dell'infortunato che spetta al giudice raccogliere e sottoporre al vaglio del consulente tecnico.

Una breve considerazione sulla valutazione economica della lesione.

Questo è un problema di grandi dimensioni che coinvolge grandi interessi che vanno dalla necessità di un equo ristoro dei danni sofferti dall'infortunato, alle preoccupazioni delle assicurazioni sociali che temono le duplicazioni di risarcimento, al timore delle assicurazioni sociali che temono il vedere compromesso il diritto di rivalsa, alle esigenze dei magistrati di ancorare le liquidazioni a parametri prestabiliti.

Sono note le teorie espresse dai magistrati genovesi e pisani.

Entrambi i metodi secondo gli stessi autori dovevano costituire solo la base per la liquidazione del danno, dovendo sempre intervenire il magistrato con criteri correttivi per adeguarli al caso concreto.

Sul Sole 24 ore sono state recentemente pubblicate le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano che riguardano il danno biologico, il morale e l'indennità di temporanea.

Sono tabelle certamente utili, ma il rischio che si corre è quello di una laconica e indifferenziata applicazione di parametri prestabiliti in violazione dei principi affermati più

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volte dalla Corte di Cassazione (v.sent.102 e 1130 dell'85) secondo cui per la esatta determinazione dell'equivalente economico pecuniario di un valore intrinseco non può esistere un criterio obiettivo, tabelle e parametri ben possono rilevarsi adeguati se la loro applicazione sia il risultato del saggio e prudente apprezzamento del giudice.

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