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la fonte impediamo il saccheggio il molise ha una vocazione agro-alimentare e turistica che deve essere tutelata 1,00

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la fonte

OTTOBRE 2020 ANNO 17 N 8

periodico dei terremotati o di resistenza umana € 1,00

impediamo il saccheggio

il molise ha una vocazione agro-alimentare e turistica

che deve essere tutelata

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Direttore responsabile Antonio Di Lalla

Tel/fax 0874732749 Redazione

Dario Carlone

Domenico D’Adamo Annamaria Mastropietro Maria Grazia Paduano Segreteria

Marialucia Carlone Web master

Pino Di Lalla www.lafonte2004.it E-mail

lafonte2004@virgilio.it Quaderno n. 87

Chiuso in tipografia il 26/08/12

Stampato da Grafiche Sales s.r.l.

via S. Marco zona cip.

71016 S. Severo (FG) Autorizzazione Tribunale di Larino n. 6/2004

Abbonamento Ordinario € 10,00 Sostenitore € 20,00 Autolesionista € 30,00 Estero € 40,00 ccp n. 4487558

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Rosalba Manes

lotta e contemplazione

benedetti per benedire

“Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo” (Ef 1,3).

La Lettera agli Efesini, con Colossesi e File- mone, appartiene alle cosiddette “lettere della prigioni-

a” per via della menzione delle catene che Paolo è costretto a subire per amore del Vangelo.

Leggendola ci si accorge che essa si discosta dalle altre lettere paoline sia a livello contenu- tistico che formale e anche per l’assenza di riferimenti espliciti a situazioni o persone con- crete. Si avverte inoltre nella Lettera un clima teologico cambiato che ci porta ad attribuirla non a Paolo, ma a qualcuno che ha preso parte attivamente a quel processo dinamico - por- tato avanti dai suoi discepoli e collaboratori nella missione - che chiamiamo “tradizione paolina”, realtà che raccoglie tutto l’insegnamento teologico, cristologico, ecclesiologico e antropologico dell’Apostolo, ma lo rilegge, interpreta ed attualizza in situazioni e contesti mutati rispetto a quelli della prima evangelizzazione paolina.

Indirizzata a una o più comunità dell’Asia Minore che, a motivo della faticosa compresenza di influssi culturali diversi, rischiavano deviazioni in ambito cristologico ed ecclesiologico, la Lettera si caratterizza per uno stile fortemente liturgico e catechetico che ne fa un trattato teologico con cornice epistolare. Pur esponendo alcuni temi presenti nelle lettere autoriali di Paolo, la Lettera manifesta tutta la sua originalità: la Chiesa, ad esempio, non è più la comunità locale, ma un corpo di cui Cristo è il capo; di Cristo si sottolinea non più la morte di croce, ma il suo essere pantocratore grazie alla sua risurrezione; l’ escatolo- gia la si considera già realizzata nella vita dei credenti.

L’autore tenta una grande sintesi teologica tutta incentrata su Cristo e sul suo ruolo salvifico universale e per spiegare la novità cristiana dell’essere “in Cristo” intona una be- nedizione, riallacciandosi alla tradizione delle berakot (preghiere di benedizione) molto diffuse nell’ebraismo. All’inizio della Lettera, il lettore è invitato ad unirsi alla comunità orante che benedice Dio e riconosce in lui la sorgente di ogni benedizione. La benedizione è la celebrazione di un evento decisivo, di un fatto che ha cambiato i connotati alla storia: la redenzione operata da Cristo. Il Padre è l’architetto e l’ingegnere che ha progettato un piano di salvezza (vv. 3-6) e lo ha dispiegato nella storia (vv. 7-10). Colui che lo ha permesso è Cristo che ha trasformato la vita dei credenti stabilendoli, per mezzo dello Spirito, in una realtà del tutto nuova di uditori di una parola che salva e di eredi dei doni divini (vv. 11 -14).

La comunità si sperimenta destinataria di innumerevoli beni che non vengono dalla terra ma dall’alto. L’inno di Ef 3,1-14, infatti, chiama in causa tutta la Trinità. Il Dio che fa conoscere la sua volontà salvifica non è solitario, ma è pienezza di relazione. E così il pri- mo riflettore si accende sul Padre: sorgente di una benedizione dopo l’altra, associandoci al Figlio, ci ha scelti da sempre e ci ha destinati alla santità che è la vita nel segno dell’amore, un vivere non più da orfani in balìa di passioni carnali o di qualsiasi vento di dottrina, ma da “concittadini dei santi e familiari di Dio” (Ef 2,19). Il secondo riflettore illumina il ruolo del Figlio in cui abita la pienezza della grazia che si è manifestata nella vita dei credenti come riscatto, perdono e adozione filiale e che vuole manifestarsi ancora come signoria cosmica. L’ultimo riflettore rende nota l’azione dello Spirito Santo che è detto “caparra della nostra eredità” (Ef 1,14) e che nel battesimo appone a quanti hanno accolto il Vangelo di Cristo il sigillo della loro appartenenza a Dio. L’autore della Lettera ci invita così ad osservare la storia non più dalla fessura stretta e buia del chronos ma dalla prospettiva am- pia e ossigenata del cielo, dalla prospettiva di Dio, della pienezza della relazione trinitaria che sa fare di più popoli (ad esempio giudei e pagani) un popolo solo (cf. Ef 2,14).

Guardare la storia dalla prospettiva di Dio è sviluppare una vista acuta capace di vedere i semi dell’amore di Dio che germogliano in tanti terreni accoglienti e un udito fine che, anche quando gli altri maledicono, fa sentire chiara e netta la benedizione che il Pa- dre rivolge alla vita di ogni suo figlio e di ogni sua figlia. Nati dalla benedizione siamo fatti tutti per benedire il Padre, i nostri fratelli in umanità, le nostre radici, le nostre terre, il

nostro pianeta, la storia, e persino chi ci maledice perché torni ad essere fratello.☺

r.manes@hotmail.it

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I piromani ci insegnano che dan- do fuoco in più punti facilmente l’incendio divampa e diventa inarrestabile. Ci sono buone premesse perché quanto accade in natura diventi realtà, metaforicamente si intende, in questo ancora troppo accidioso Molise dove gli inquilini del palazzo hanno reso la regione l’ente più inutile e dannoso per la vita dei cittadini. Sostanzialmente svolgono due attività: salvaguardarsi il culo contro quanti tentano di sfilar loro la poltro- na e guardarsi l’ombelico felici

di essere ancora seduti al loro posto. Manca solo che davanti allo specchio si interroghino su chi sia il meglio del contado!

Assistiamo di con- tro, con crescente interesse, al risveglio dei sindaci, molti dei quali aderenti al Biodistretto, che stanno facendosi carico del bene comune e cominciano a muovere i primi passi insieme, consapevoli che questo lembo di terra non lo abbiamo eredi- tato dai nostri padri ma avuto in prestito dai nostri figli. Il lavoro del sindaco in verità

non è semplice: dall’ordinaria amministra- zione alla scarsità crescente del personale, dalle lamentele dei cittadini fino ai progetti di sviluppo per far fronte ai bisogni del terri- torio, ce n’è abbastanza per non dormire sonni tranquilli.

Le nuove sfide, quali la sanità diffusa sul territorio e la salvaguardia dell’

ambiente, sono inderogabili ed esigono un supplemento di coraggio e di impegno per riuscire a guardare oltre il proprio campani- le. Queste battaglie non possono essere combattute da soli o in ordine sparso: o si vincono insieme o sarà la catastrofe per tutta la regione.

sanità

A nulla sono valse, almeno per il momento ma non demordiamo, la scelta popolare capeggiata dai sindaci e il pronun- ciamento della maggioranza dei consiglieri regionali per l’ospedale Covid a Larino.

Giochi di quel palazzo mefitico, abitato

Antonio Di Lalla

risveglio

purtroppo da persone messe lì da noi, com- plice il ministro della salute che ha contrad- detto se stesso, hanno bocciato la realizza- zione dell’unico progetto sensato tanto che si è completamente impreparati ad affronta- re le conseguenze negative, ora che il virus sta tornando prepotente sulla scena. Solo investimenti seri e qualificati nella medicina del territorio possono non solo impedire il terrore del ricovero ospedaliero e il blocco dei nosocomi ma soprattutto possono dare

un respiro nuovo ai malati per essere curati nel loro ambiente. Molto dipenderà dall’azione comune dei sindaci. È in loro potere pretendere un futuro migliore per le persone più deboli e fragili presenti nelle loro comunità. Se sfregheranno il loro fiam- mifero il fuoco che divamperà non potrà essere ignorato da chi si accinge a spendere in modo clientelare i fondi destinati alla sanità che arriveranno in abbondanza.

ambiente

I parassiti che ci governano a li- vello regionale vogliono avere le mani libe- re per cui non hanno alcuna intenzione di deliberare perché il Molise sia dichiarato a vocazione agro-alimentare e turistica e quin- di indisponibile al saccheggio da parte di potenti società che tra pali eolici sempre più impattanti e mostruosi (i prossimi saranno alti circa duecento metri) e consumo di ter- reni per impianti fotovoltaici (si parla di quattrocento ettari) renderanno irriconosci-

bile e inabitabile la regione. Sia ben chiaro che non siamo assolutamente contrari alla cosiddetta energia pulita o alle fonti rinnova- bili ma se queste devono distruggere l’ambiente allora è guerra aperta. È mai possibile che i pannelli solari debbano esse- re messi su terreni fertili e irrigui quando possono essere posti su tetti, discariche, capannoni, ecc.? Aspettiamo fiduciosi anche la mobilitazione dei sindaci non ancora coinvolti, prima che sia troppo tardi, e il ravvedimento di quelli che per qualche misero vantaggio hanno già consentito, a cuor leggero, alla devastazione del loro habitat.

Nell’incontro con la Soprin- tendenza, promosso a Larino dal Biodistretto, per arginare i danni irreparabili che stanno per abbattersi sulla regione, c’è stata intesa totale tra i sindaci presenti e non disponibili allo scempio e l’ente preposto alla salvaguardia dei nostri beni.

Nell’incontro successivo con l’assessore regionale preposto alla tutela e salvaguardia dell’

ambiente, nonostante la ferma volontà dei sindaci, l’assessore ci è sembrato vago e possibilista su entrambi i versanti (salva- guardia ma anche non), della serie: avete tutte le ragioni del mondo e tutta la mia comprensione ma valuteremo le proposte che arriveranno e decideremo di volta in volta. Occorre perciò che i sindaci non mol- lino questa battaglia ma anzi coinvolgano sempre di più i cittadini perché, con le buo- ne o con la forza, il fuoco della passione per la difesa delle terre divampi e ne impedisca la distruzione.

Su questi temi vitali per il nostro futuro abbiamo notato attenzione e interesse positivo anche dell’informazione regionale, indispensabile per far arrivare il messaggio chiaro e forte. Dimostreremo così ancora una volta la veridicità dell’assioma: quando il popolo sente il potere vacilla!☺

Lettera aperta a quanti temono di sfregare un fiammifero

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spiritualità

la violenza dei pacifici

Michele Tartaglia

“Dai giorni di Giovanni il Battista il regno di Dio subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono” (Mt 11,12). Questo è forse il detto più enigmatico pronunciato da Gesù, riportato in modo un po’ diverso da Luca che forse ha tentato di scioglierne l’ambiguità: “La Legge e i profeti fino a Gio- vanni; da allora in poi viene annunciato il regno di Dio e ognuno fa forza per entrar- vi” (Lc 16,16). Così come è riportato da Mat- teo, tuttavia, il detto può essere formulato in un altro modo: “Il regno dei cieli fa violenza e i violenti vogliono impadronirsene”. In que- sto modo assomiglia di più al concetto che ha voluto esprimere anche Luca. Queste parole di Gesù, insomma, costituiscono il classico caso (se ne trovano altre nel Vangelo di Gio- vanni) in cui si sommano più significati.

Nel primo modo di intendere il verbo (nella lingua originale è il verbo biàzo) ci si riferisce alla situazione di persecuzione che vive Gesù con la sua comunità, sulla scia di quello che è successo a Giovanni il Batti- sta, prima imprigionato e poi ucciso da Erode a causa delle sue denunce. Sembra quasi la costatazione amara di quello che accadrà a Gesù e in seguito alla sua comunità. È la cronaca sintetica delle persecuzioni da parte di quelli che vogliono impedire l’annuncio del vangelo, a cominciare dai capi del popolo per passare poi ai dominatori romani. Ma una riflessione di questo tipo, onestamente, non è tipica di Gesù che, anzi, ogni volta che parla di persecuzioni annuncia allo stesso tempo la speranza.

La seconda interpretazione del verbo invece si addice di più allo stile di Gesù che altrove ha detto: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta perché molti, vi dico, cerche- ranno di entrare ma non ci riusciranno” (Lc 13,24); e ancora: “Sono venuto a gettare fuo-

co sulla terra e quanto vorrei che fosse già acceso” (Lc 12,49). Si capisce perché Luca indichi nei violenti non quelli che perseguita- no i cristiani ma quelli che vogliono a forza entrare nel regno di Dio; ed è lui che descrive l’irruzione dello Spirito nel cenacolo quasi fosse un uragano di vento e fuoco. Gesù non predica un Dio inerte, tanto gentile da risulta-

re scialbo, ma un Dio quasi invadente, che usa la forza ed è determinato ad entrare nelle pieghe della storia. Gesù stesso quando si è presentato ai suoi contemporanei non ha esitato ad usare anche i modi forti per farsi ascoltare e per togliere dal sonno dell’ abitu- dine quelli che hanno confuso Dio con un ospite da intrattenere con chiacchiere vuote.

Il modo migliore per descrivere l’impeto dell’agire di Dio non è un trattato di teologia ma un poema che parla di amore ed eroti- smo: il Cantico dei Cantici che, secondo la tradizione rabbinica, è il cuore di tutta la rivelazione biblica: “Forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è la passione:

le sue vampe sono vampe di fuoco, una

fiamma divina! Le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo” (Ct 8,6-7).

Ma come mai, se Dio è così impe- tuoso (e lo ha mostrato anche attraverso Ge- sù) il mondo non ne coglie la potenza? La risposta è nello stesso detto di Gesù: solo i violenti se ne impadroniscono, solo chi arde della stessa fiamma può riconoscere l’azione di Dio nella storia. Un Salmo ha parole altret- tanto potenti: “Un abisso chiama l’abisso al fragore delle tue cascate” (Sal 41,8). Solo con la passione dentro si possono riconoscere i segni della passione di Dio, solo se si ha a cuore il suo regno fatto di giustizia si può sperimentare che lui è più forte e che, nono- stante le apparenze, ha già vinto e vale la pena di stare dalla sua parte. Gesù non parla della violenza che uccide ma di quella forza che scardina tutte le resistenze contrarie perché è fondata sulla roccia della sua Parola. Agostino diceva: “Non ti cercherei se non ti avessi già trovato!”.

L’impegno per la giustizia, per la difesa di chi non ha voce è quella violenza indicata da Gesù che permette di intercettare la Forza misteriosa che agisce nella storia in modo carsico ma che riemerge ogni volta che qualcuno decide di non ripiegare le braccia ma continua a lottare.☺

mike.tartaglia@virgilio.it

mi abbono a

la fonte

perché

non si può

camminare sulle braci

senza scottarsi i piedi

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glossario

Dario Carlone Il termine ‘recupero’ - per chi,

come me, viene dal mondo della scuola - rimanda immediatamente ad una pratica didattica ormai consolidata. Per quegli alunni che presentano carenze nella preparazione o che non hanno sviluppato determinate com- petenze sono previsti, in vari periodi dell’anno scolastico, interventi finalizzati a colmare il cosiddetto debito formativo, per riappropriarsi di contenuti e/o strategie e consentire loro di continuare adeguatamente il proprio processo di apprendimento. E di recupero, declinato in corsi o interventi spe- cifici, nella scuola si parla di continuo. Ma attualmente ‘recupero’ - vocabolo che veico- la quasi sempre una mancanza, un difetto - viene applicato ad ambiti più complessi.

Non stupisca che recupero sia la traduzione letterale del termine inglese recovery [pronuncia: ricovri] che negli ultimi mesi spadroneggia nella nostra cronaca politico- economica, in particolare nelle locuzioni recovery fund [pronuncia: ricovri fand] e recovery plan [pronuncia: ricovri plan] di cui tanto si discute.

Letteralmente recovery fund tradu- ce “fondo di recupero” e sta ad indicare la proposta, avanzata dalla Francia, ma succes- sivamente accolta da quasi tutti gli stati membri dell’Unione Europea, per istituire un fondo, vale a dire una quantità di denaro, per aiutare l’Italia e tutti gli altri Paesi ad uscire dalla crisi economica causata dall’ emergen- za Covid-19. La consistenza piuttosto eleva- ta di tale fondo ha fatto molto discutere e le perplessità di chi si oppone ancora non sono state risolte, in quanto si tratterebbe di som- me ingenti che dovranno contribuire al risa- namento delle situazioni critiche provocate

dalla pandemia.

Collegato al recovery fund per il nostro Paese si pone ora il problema di come utilizzare i fondi che l’U. E. ha promesso di destinarci: ecco allora il recovery plan, il piano che definisca in che modo spendere i soldi dell’Unione Europea. L’Italia è chiama- ta a fronteggiare i problemi che l’emergenza Covid ha causato in campo economico: in che modo? La domanda, per nulla banale, pone due argomenti: il primo riguarda la reale emergenza interna, vale a dire i settori da sostenere in maniera prioritaria (sanità, ad esempio) per riabilitare non soltanto la nostra economia ma la vita stessa degli italiani. In secondo luogo non va trascurata l’immagine - si spera positiva - che il nostro Paese fornirà di sé agli altri Stati europei che attraverso questi fondi hanno dato il loro aiuto.

Qualcuno ha definito il recovery fund un esempio di “solidarietà comunitaria”, parole che in ambito europeo non si sentivano da tempo, e al contempo sono emersi differenti punti di vista sulla que- stione, che rivelano le diverse visioni politiche che animano l’U. E. È innega- bile che questa istituzione sovranaziona- le (l’Unione Europea, appunto) è tutt’

altro che una unione ‘reale’ di nazioni:

ne fanno parte paesi ricchi e paesi pove- ri, nazioni che hanno un consolidato sistema economico ed altri che vengono da crisi pregresse, con un sistema politi- co incerto, elevato debito pubblico e notevoli sacche di povertà. Le vicende storiche diverse, gli antichi conflitti mai sopiti, gli egoismi nazionali - il famigera- to ‘sovranismo’ - contribuiscono ad allontanare sempre più gli Stati, ad ali- mentare rivendicazioni patriottiche, ad accrescere i timori che l’economia in crisi possa travolgere i sistemi nazionali

verso il baratro. Sembra mancare a questa Unione una volontà politica tendente alla solidarietà, al sostegno economico, all’aiuto reciproco, nel nome dei popoli che abitano questo continente, i veri destinatari di tutte le scelte politiche da compiere.

Mentre scrivo è settembre, è tempo di recuperare in vista del nuovo anno scolasti- co - ne sanno qualcosa gli studenti che hanno riportato debiti formativi e che hanno seguito i corsi di ‘recupero’ prima di rientrare in clas- se. Ma non sembrano essere i soli ad averne bisogno. Recuperare vuol dire colmare un vuoto, porre rimedio, (ri)tornare ad una con- dizione preesistente; indica rimettersi in mar- cia, ricominciare. E per fare ciò necessitiamo tutti di impegno, entusiasmo, coraggio e voglia di futuro. Li vedremo?

“È più difficile ricominciare che iniziare” (Papa Francesco 16/6/2019).☺

dario.carlone@tiscali.it

solidarietà comunitaria

Antonio Scardocchia: 6 ottobre 1976 Il massacro dell'università di Thammasat fu il risultato della dura repressione da parte della polizia e di gruppi paramilitari contro la protesta studentesca contro il ritorno del dittatore Kittika- chorn. Gli aggressori percossero, spararono e mu- tilarono i manifestanti.

mi abbono a

la fonte

perché se correggi un ignorante

ti disprezzerà

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la fonte ottobre 2020

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xx regione

Lungi da noi il presentare a voi lettori aspetti della nostra vita politica e socia- le privi di fondamento. Abbiamo preso a cuore la sanità e, come è noto, il nostro impe- gno propositivo si è scontrato contro un pote- re regionale miope e distante anni luce dai bisogni dei molisani. La partita non è conclu- sa e saremo vigili e protagonisti al fine di realizzare una sanità territoriale adeguata ad un territorio dai molteplici campanili. Contro l’arroganza del potere, attualizzate, restano valide metaforicamente le parole di San Tommaso d'Aquino: “chi uccide il tiranno è lodato e merita un premio”.

Nel numero 170 della rivista (marzo 2020), abbiamo proposto, con alcuni articoli, riflessioni su un altro tema a noi caro:

l'ambiente, la sua tutela, la sua valorizzazio- ne, parlando di fotovoltaico, territorio, turi- smo. Abbiamo evidenziato un uso del territo- rio in profondo contrasto con dichiarazioni di principio in difesa dell’ambiente, un uso del suolo in contrapposizione con la tanto invo- cata vocazione agricola e turistica della regio- ne Molise.

Ci torniamo in questo numero perché la situazione è davvero preoccupante.

Con riferimento al solo basso Molise sono in atto 18 procedure di autorizzazione per la realizzazione di 5 nuovi parchi eolici, 9 im- pianti fotovoltaici, 2 elettrodotti, 1 metano- dotto e il raddoppio della linea ferroviaria Termoli-Lesina. Tutti questi interventi an- dranno a ridurre la superficie di terreno agri- colo, modificheranno il paesaggio, produr- ranno utili (ricchezza) a società di Milano, Roma, Napoli e Bucarest. Creeranno circa 200 km di servitù, occuperanno 400 ettari di terreno per l'installazione di pannelli fotovol- taici nei comuni di Larino (80 Ha), Rotello

(80 Ha), San Martino in Pensilis (139 ettari per la posa in opera di 208.376 pannelli), Santa Croce di Magliano (20 Ha), Termoli (2,5 Ha), Campomarino (17 Ha), Ururi e Rotello (34,5 Ha) e la posa in opera di 49 pali eolici con le relative strade di servizio e cavi- dotti.

Abbiamo fonti per affermare che a breve ci saranno ulteriori richieste. Un vero e

proprio scempio. Una logica predatoria che vedrebbe ancora una volta il nostro territorio aggredito e modificato in modo permanente per soddisfare interessi esterni alla regione.

E i molisani cosa fanno? La sensi- bilità di chi vive il territorio, pur non senza contraddizione, vorrebbe un futuro definito da regole certe e non contraddittorie. Il sogno di un Molise verde, un Molise nel quale i paesi, il paesaggio, il territorio costituiscono un unicum con ciò che produce, trasforma (cibo) e propone al resto del mondo, ha biso- gno di una legge che promuova l’ installazio- ne dei pannelli fotovoltaici sui tetti, in aree impervie, inutilizzate e non favorisca, come accade ora, con impianti a terra o parchi eoli- ci, il furto dei migliori terreni agricoli. Un modello di sviluppo eco-sostenibile, una scelta che fa del biologico il proprio cavallo di Troia per promuo- vere il turismo che si nutre di storia, genui- nità, salute, sostenibili- tà, ha bisogno di inter- venti che sostengano questo modello, non in modo episodico e/o clientelare, bensì in modo organico e fun- zionale. Una visione

difendiamo il nostro futuro

nella quale i pali eolici e le distese di pannelli fotovoltaici su terreni per i quali sono già stati spesi milioni di euro per qualificarne la produzione sono un controsenso, sono una ulteriore colonizzazione, una negazione della nostra storia della nostra identità.

Nel Molise, oggi, le procedure autorizzative previste dalla legge confluisco- no nella conferenza di servizio dove, se i territori non vogliono questo furto legalizza- to, è opportuno arrivare con molteplici pareri negativi, pur restando prerogativa della Re- gione il Nulla Osta alla realizzazione degli interventi. Ancor di più è necessario che i comuni interessati, con la politica esprimano in modo chiaro, univoco, senza tentenna- menti, attraverso atti amministrativi, il pro- prio dissenso allo scempio che sta per abbat- tersi sul basso Molise.

È quanto emerso anche nei due incontri tenutisi a Larino, organizzati dall’associazione Bio-Molise, associazione costituita da 14 Comuni fondatori e produt- tori biologici, che pone al centro della sua azione la difesa del territorio e la salvaguar- dia delle biodiversità esistenti.

Nel primo incontro, un confronto con la Soprintendenza su come “difendersi”

da questa devastazione che si intravvede all’orizzonte, gli intervenuti hanno eviden- ziato la necessità di fare fronte comune e che delegare ad altri la responsabilità delle deci- sioni è un atteggiamento perdente.

Nel secondo incontro, tenutosi il 23 settembre, l’interlocutore è stato l’ asses- sore regionale Quintino Pallante, il quale ha condiviso le preoccupazioni sollevate dai sindaci e si è reso disponibile, di concerto con loro, a mettere in atto strategie adeguate ad evitare lo scempio.

Parole? Seguiremo con attenzio- ne. Ad oggi, nei comportamenti di una certa politica, oggi al governo della Regione, si coglie una distanza che calpesta l'idea di democrazia.

Sull’ambiente avranno gli stessi comportamenti avuti con la sanità? Se la partecipazione al dibattito politico viene umiliata da scelte contrapposte agli interessi manifestati da un'intera ragione è giusto e necessario praticare forme di ribellione che mandino via chi testardamente persevera nel fare danni..☺

giuseppelaserra53@gmail.com

Giuseppe La Serra

(7)

politica

Si sono versati fiumi di parole sulle elezioni regionali, e si è udito qualche mor- morio sul referendum grillino, il risultato è una torre di Babele dove districare il grano dal loglio è impresa di grande difficoltà. Due considerazioni, una sulla politica-politica e l’altra su quel substrato, spesso ignorato, che dovrebbe nutrire e dare ossigeno alla Politica.

Da queste elezioni la maggioranza di governo esce più forte, la vittoria in Vene- to, in Liguria e nelle Marche del centro- destra, dove peraltro il candidato di Fratelli d’Italia è ben sotto il 50%, non possono certo mettere in discussione la stabilità del governo Conte. Ma non tutto è rose e fiori, perché un grande problema per il governo si è aperto.

Mi riferisco alla crisi profonda e alla possibile implosione del Movimento Cinque Stelle: il movimento grillino esce devastato da queste elezioni. La crisi dei consensi dei Cinque Stelle è drammatica e oggi questo scontro si è trasformato in uno scontro interno durissimo;

si è rotto il vaso di Pandora dei Cinque Stelle e da lì può venir fuori qualsiasi cosa sino a travolgere la stessa maggioranza che al Sena- to con fatica sostiene il governo. Se così do- vesse andare, l’unico scenario possibile a quel punto sarebbero le elezioni anticipate.

Quando impazzisce la maionese è molto complicato, forse impossibile, tornare indie- tro. Vi è però un forte deterrente all’ apparen- za poco nobile, ma in realtà molto efficace che lavora a favore del governo e contro le elezioni. La riduzione del numero dei parla- mentari rende assolutamente certa la non rielezione di decine e decine di loro. Questa ragione non di alta politica, ma molto concre- ta, può indurre diversi parlamentari e non solo grillini a scegliere la filosofia del “tirare a campare”, piuttosto che la morte certa.

Lasciamo la schiuma della Politica e veniamo a due questioni che dovrebbero costituire l’anima della politica: l’ orienta- mento sentimentale del popolo e il Recovery fund.

Si sono celebrati nel commentario post elettorale i funerali del populismo e del sovranismo. È questo un grave errore di ana- lisi, grave perché rischia di occultare le tera- pie che la Politica dovrebbe utilizzare per

curare se stessa. Zaia 44,6%, Toti 22,6%, De Luca 13,3%, Emiliano 9,2%, questi i risultati delle liste personali dei presidenti di regione di ieri e di oggi. I risultati elettorali delle liste personali, la demagogia che distingue “i go- vernatori” al di là della loro appartenenza politica, lo stesso referendum sul taglio dei parlamentari targato Cinque Stelle testimo- niano quanto forte sia ancora il vento del populismo e del qualunquismo di massa. Il populismo ha perso il suo Grillo e i suoi can- tori grillini, ma per alcuni versi è penetrato più in profondità e ha plasmato l’insieme dei

comportamenti della politica. Né potrebbe essere diversamente; l’implosione dei partiti e della stessa democrazia è stata una cosa seria ed ha ragioni profonde. Vi sono state respon- sabilità soggettive, vi è stato il malcostume di tanti protagonisti della politica, vi è stata la tempesta di tangentopoli che ha cancellato quasi tutti i partiti della prima Repubblica.

Non solo, altre e non meno radicali sono le ragioni della crisi che sta scuotendo le demo- crazie occidentali. Il crollo del muro di Berli- no non ha rappresentato solo la distruzione dei regimi dei paesi dell’Est, ma anche l’inizio della crisi dei sistemi politici dell’Occidente. La glo-

balizzazione economico -finanziaria è sì l’inizio di una nuova epoca del pianeta, ma al pari tem- po è l’oceano nel quale le democrazie del ‘900 galleggiano a fatica e lentamente stanno per- dendosi. Il risultato delle

l’ultimo treno

Famiano Crucianelli

ultime elezioni regionali è poco più di un placebo, un blando anestetico che non risolve alcuno dei problemi che sono alla radice della perdita di legittimità del nostro sistema politi- co e democratico. La terapia vera richiedereb- be una visione del futuro in grado di affronta- re la malattia della diseguaglianza e la deca- denza suicida dell’equilibrio ecologico del pianeta. Il vaccino per fermare e prevenire il qualunquismo di massa dovrebbe passare attraverso la capacità e la volontà di rigenera- re la politica nei territori, fra la gente e nei luoghi di lavoro. Torna con una intensità drammatica una parola d’ordine dei primi anni di questo nuovo millennio: “pensare globalmente, agire localmente”.

In questo contesto le grandi risorse finanziarie del Recovery fund possono essere una grande opportunità. Vi sono due scelte obbligate, perché ciò possa accadere. In pri- mo luogo il rispetto delle condizioni che l’Unione Europea ci chiede: modernizzazio- ne del paese ed economia verde. Questa volta la Commissione Europea, dismessi i suoi abiti austeri, è tre passi avanti a gran parte della classe dirigente italiana e le solite grida manzoniane di Salvini, Meloni e soci sono l’ennesima testimonianza della penosa realtà della politica di casa nostra.

In secondo luogo, per evitare che le ingenti risorse europee prendano le solite vie del clientelismo è decisivo che vi sia un gran- de protagonismo dei territori e che dalle co- munità territoriali, dalle zone interne e dalle città venga una domanda, una progettualità organizzata e partecipata. In Molise, la fonte nel corso degli anni ha fatto la sua parte, la speranza è che rapidamente si scongeli quel mondo democratico e della sinistra che da anni è latitante e del quale vi è un bisogno essenziale. Un treno sta passando, attenzione a prenderlo perché per una lunga fase potreb- be essere l’ultimo.☺

famiano.crucianelli@tiscali.it

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xx regione

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Autunno. Quella che ci lasciamo alle spalle è un’estate frugale, che verrà ricor- data per la sua diversità rispetto alle nostre abitudini. La riduzione del raggio di movi- mento in una società obtorto collo globalizza- ta, ha dato modo di ripensare e talvolta torna- re ad un concetto di vacanza che fu. In giorni in cui inevitabilmente le ore di luce si vanno sempre più riducendo, il ricordo delle lumi- nose giornate estive e di ciò che la nostra regione è riuscita a costruire nonostante la pandemia in atto, è un cameo probabilmen- te irripetibile da consegnare alle generazioni future. “Regalati il Molise, perché il Molise è un regalo speciale”. Apparentemente potrebbe sembrare una réclame consumata, ma approfondendo ed entrando nel merito dell’iniziativa, ci si accorge come non lo sia affatto. Senza nulla in cambio, la nostra piccola regione ha regalato, in uno dei tanti borghi tipici come San Giovanni in Galdo, le vacanze a chi ha voluto scoprire una regione che il New York Times ha inserito tra le 52 mete del mondo da visitare. Picco- lo, lento e ricco di tanto, il Molise si è confer- mato l’abbraccio dell’ospitalità. Da luglio a settembre sono stati offerti circa 40 soggiorni di una settimana ciascuno, nelle case del suggestivo borgo antico del paese e tutto rigorosamente gratis, per ridare vita ai piccoli e sconosciuti centri e farli scoprire nell’anno zero del turismo, nel quale, come dicevamo, tutti gli schemi tradizionali sono saltati.

Regalati il Molise ha poi creato i presupposti per dare vita ad un’iniziativa nell’iniziativa. Nel corso delle lunghe serate estive galdine si è inserita la festa del Morrut- to, giunta ormai alla decima edizione, che ha visto ospiti a San Giovanni nel corso delle quattro serate evento, nell’ordine: Domenico Iannacone, Franco Arminio, Valentina Fari- naccio ed Erica Mou.

Ci siamo imbattuti consapevol- mente nella serata che ha visto la presenza di Franco Arminio, il quale ha passato giornate molto intense nella nostra regione, spostando- si dal borgo nel quale ha soggiornato verso località limitrofe e trovando nella gente moli- sana quell’ospitalità, quel quid che gli ha fatto affermare nel corso dell’incontro, di aver trovato in Molise la vitamina M, mutuata

dall’accoglienza e l’ospitalità della nostra gente. Arminio è per certi versi anche il per- sonaggio più vicino al vivere molisano. Pae- sologo per definizione, essendo irpino di Bisaccia e quindi con notevoli assonanze alla nostra realtà provinciale a stretto contatto con la montagna, durante il suo monologo si è a lungo soffermato sulle “mancanze” della politica italiana verso i paesi e le montagne ed in generale verso il Sud. “Nessuno immagi- nava - ha detto - che il Molise fosse bello, che Matera e la Calabria lo fossero: la categoria con cui veniva rappresentato il Sud era quella dell’arretratezza, pertanto foriero esclusiva- mente di emigrazione, senza nulla da offrire”.

Durante la serata-colloquio con Arminio, tenuta presso la cavea naturale del campo sportivo locale, il pubblico intervenu- to, numerosissimo per la verità, è stato molto variegato, con spettatori provenienti da tutta Italia, soprattutto grazie al progetto ‘Regalati il Molise’. Gallarate, Siena, Modena, Taranto, Matera, Roma, Paola, Lucera, Bologna, solo per citare alcune delle provenienze del pub- blico presente. Arminio ha voluto, come fa sempre, giocare con il pubblico, leggendo

poesie nell’idioma di qualche volontario chiamato dalla platea e discutendo poi sulla musicalità, sulle assonanze e sulle dissonanze del dialetto di ognuno. Particolarissimo è stato notare come a distanza di pochi chilo- metri di provenienza, gli idiomi avessero intonazioni completamente diverse, come ad esempio tra San Giovanni in Galdo e i cugini di Toro.

Tra poesie sui luoghi, sull’amore, sulla vita in generale ed aneddoti, la serata è trascorsa senza che ci si accorgesse del tem- po. Al termine, Arminio si è come al solito intrattenuto nel consueto baratto di copie del suo libro in cambio di altri testi. Il libro più scambiato è stato chiaramente La cura dello sguardo, la sua opera ultima, conce- pita nel girovagare per l’Italia e composta all’interno dell’ex osteria del suo papà, oggi riadattata ad abitazione dove Franco vive stabilmente. Tra i brividi di un’ inci- piente notte molisana, frizzante anche se in piena estate, attorno ad una comunità finalmente raccolta e valorizzata da parole di sincera stima, tra le varie poesie, una mi ha colpito particolarmente. Una poesia che è anche riflessione finale sullo stato delle cose, un monito sul presente ed un messaggio su ciò a cui bisognerebbe ritor- nare: “Abbiamo bisogno di contadini, di poeti, di gente che sa fare il pane, che ama gli alberi e riconosce il vento. Più che l’anno della crescita, ci vorrebbe l’anno dell’ atten- zione. Attenzione a chi cade, al sole che nasce e che muore, ai ragazzi che crescono, atten- zione anche a un semplice lampione, a un muro scrostato. Oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere, rallenta- re più che accelerare, significa dare valore al silenzio, alla luce, alla fragilità, alla dolcez- za”.☺

mark_edo@hotmail.com

Marco Branca

cedi la strada agli alberi

il viaggio

La nostra vita è un viaggio, un continuo movimento fatto di attimi condivisi, di nuovi incontri e vecchi ricordi.

Tutto si mischia e a volte si confonde.

Si sale, si scende, si riparte.

Brevi e lunghi istanti diventano paralleli.

Chissà quante cose racchiudono ingombranti valige.

Lucia Berrino

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xx regione

avevano partecipato erano già stati assunti altrove.

Lo stesso copione potrebbe ripe- tersi per il concorso fotocopia, bandito ad aprile, per il solito motivo: l’inerzia della Regione. Eppure, nonostante ci sia stata un’impennata della domanda di medici per

fronteggiare l’epidemia, c’è ancora chi scommette sul nostro martoriato Molise. A loro dovremmo dire grazie e tenerceli stretti, ma così non è. I precari della sanità, oltre 100 tra infermieri e oss ingaggiati a partita iva in pieno lockdown, erano stati scaricati dai vertici regionali, che non avevano mosso un dito per la loro auspicabile stabilizzazio- ne. È stata, ancora una volta, l’opposizione 5stelle in consiglio regionale a chiedere un punteggio di merito per gli “angeli” precari della sanità nel prossimo bando pubblico.

Nessun altro ci aveva pensato, lo stesso Toma ha votato contro la proposta, salvo poi essere bocciato dai suoi.

Ma l’ indif- ferenza di questa giun- ta regionale rispetto al diritto alla salute dei cittadini è sempre più L’estate è finita e si porta con sé

quella spensieratezza che ci consegna ad un autunno di lacrime e sangue. Era ampia- mente prevedibile e previsto, ma nessuno sembrava curarsene, eppure il nemico invi- sibile è ancora tra noi e ci sta lentamente presentando il conto dell’imprudente ritorno alla “normalità”. Ma niente paura: i nostri governanti ci hanno rassicurato sul fatto che, mentre tutti eravamo in- tenti a cercare un posto al sole, loro erano lì a lavorare. Peccato che il Covid non creda alle favole. Il bilancio dei contagi sale, così come il numero dei morti ma, dopo mesi di inerzia, il Moli- se non ha ancora una rete ospedaliera pronta a fronteggiare la pandemia. Ba- stano pochi interventi mirati al Carda- relli, ci diceva con toni apparentemente sereni il nostro presidente. Ma l’unico vero ospedale della regione, il cosiddet- to hub, oggi rischia addirittura la parali- si del fondamentale reparto di chirurgia.

Dei lavori per l’ala dedicata al Covid neanche l’ombra, ma al danno si ag- giunge la beffa. Mentre andiamo in stampa, la chirurgia di Campobasso potrebbe già essere in tilt, riuscendo a garan- tire le sole urgenze col personale ridotto all’osso. Eppure, nel piano dei fabbisogni del 2019 era già scritto, nero su bianco, che avremmo avuto bisogno di almeno sei ane- stesisti per scongiurare la paralisi della sani- tà regionale. Grazie allo sblocco del turnover, era finalmente possibile bandire nuovi concorsi per l’assunzione di personale medico e, almeno sulla carta, è stato fatto. A maggio dell’anno scorso sono stati messi a bando i sei posti vacanti e, stranamente, aveva partecipato un numero sufficiente di specializzati e specializzandi, tale da tampo- nare l’emorragia creata in anni di blocco delle assunzioni. Purtroppo, però, il presi- dente Toma era troppo impegnato con i problemi interni alla maggioranza ed ha impiegato ben sette mesi per la sola nomina di un membro della commissione valutatri- ce, quello di competenza regionale. Il con- corso è terminato solo a marzo di quest’anno e, nel frattempo, i medici che

evidente e trova riscontro in diversi casi.

Penso alle persone non autosufficienti, a chi ha subìto un trapianto, a chi combatte contro malattie rare. Anche per loro, nessuna pietà.

L’assise regionale ha approvato, in più occa- sioni, un aumento dei fondi per i più indife- si, ma in Regione si erano “dimenticati” di appostare anche le risorse, insufficienti, che ogni anno destinano a queste categorie. Nel mentre, dal governo Conte venivano au- mentati i contributi statali alla non autosuffi- cienza. E, con la battaglia sulla ‘surroga’ - che aumentava di fatto il numero dei consi-

glieri regionali e i costi delle poltrone - sempre dall’opposizione si era ottenuto un risparmio di spesa di 1,5 milioni di euro e l’impegno a destinarli a chi, troppo spesso, non ha voce. Potremmo continuare ancora a lungo nell’elenco delle aberrazioni di una politica sempre pronta a trovare i soldi per i propri ap- petiti, ma sempre più insensibile ai temi dell’uguaglianza sociale, dei diritti, del lavoro, della salute, degli “ultimi”. Il grado di civiltà di un popolo si vede da come si preoccupa di chi non può prov- vedere a se stesso. Se tanto mi dà tanto, il livello in Molise è vergognosamente basso. Non me ne vogliano il presiden- te e il resto del centrodestra molisano, ma poco m’importa dell’ennesimo litigio consumatosi a Bojano, delle continue minacce di Iorio e compagni di banco, che minacciano di staccare la spi- na a questa indegna maggioranza, ma poi tornano a sedere sui propri scranni. Ciò che importa, o almeno dovrebbe, è fare il possi- bile per salvare vite. In questa fase storica, così drammatica, dovremmo fare quadrato e lavorare senza sosta per il bene comune.

Quando l’ego dei politici molisani capirà questa lezione sarà, probabilmente, troppo tardi.☺

antoniocelio@live.it

si salvi chi può

Antonio Celio

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vincitori e vinti

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plesso territorio tra città, campagne, aree interne, montagne ha visto più recentemente destrutturarsi la sua stessa forma caratteriz- zante e crescere i quartieri di cemento e un modello del vivere associato e dell’abitare non endogeno, ma copiato, scimmiottando dalle aree già di per sé periferiche e fallimen- tari delle città, lasciando le comunità sole a gestire la difficile gestione delle convivenze e i molti fronti dello scontro sociale, culturale ed economico.

È cambiata la composizione demo- grafica anche dei borghi, la terziarizzazione del lavoro, l’abbandono progressivo delle campagne e delle montagne come luogo produttivo, una sempre maggiore mercifica- zione dei luoghi, una modernizzazione fretto- losa, una progressiva privatizzazione degli spazi e delle attività, una incrinatura profonda nel sistema della partecipazione sociale e della solidarietà. Nel vuoto aperto da questa incrinatura il culto dei corpi perfetti, della forza incontrollata, del divertimento illimitato diviene più centrale di ogni rispetto, di ogni relazione come atto estremo di preservazione dei privilegi, esclusivo e marginalizzante.

È questa crescente difesa dei privi- legi di alcuni che oggi viene elevata a princi- pio di appartenenza alla ‘parte giusta del mondo’, abilmente usata e retoriz- zata dalle destre estreme, che ha reso familiare, “digeribile” anche la violen- za senza freni e senza ragioni - se mai ve ne sono - dei brutali assassinii di queste ultime settimane.

Ciò rende opaca e illeggibile ogni gentilezza, impedisce di compren- dere il senso del dono e lo slancio ge- neroso. Lo ridicolizza e lo declassa a marginale attardarsi nella tenerezza, esaltando a categoria ispiratrice dei rapporti e delle relazioni la forza e lo sprezzo come unico modo di affermar- si a danno degli altri.

Ciò che emerge dalla disgre- gazione di solidarietà e mutualismo è la frattura radicale nell’idea stessa di reciprocità. La lettura di questi tragici episodi non può esaurirsi nella retorica dell’edonismo impazzito con cui, in fondo facilmente, si è voluto leggere il

willy, don roberto, e la fabbrica dell’odio

tragico caso di Willy. Analogamente non è possibile e non sarebbe giusto limitare a una lettura individualistica, minimizzante l’uccisione disperata e irrelata di don Roberto da parte di uno dei suoi assistiti affetto da un severo disagio psichico. È saltato, in entram- bi i casi, un contesto capace di funzionare da accoglienza e da cornice per le persone coin- volte in questi contesti; quel senso di comuni- tà che avrebbe dato sostegno e protezione al gesto gentile di Willy e senso al generoso protendersi di don Roberto.

Per comprendere questi tragici eventi si deve percorrere la strada impervia ed estrema che mette radicalmente in discus- sione l’idea di un consumo del mondo indi- scriminato, senza limiti né autocontrollo. Ciò si traduce per ciò stesso in un altrettanto vio- lento e irrelato consumo di vite.

I corpi sono materia irrilevante, oggetti. Fuori dal circuito di reciprocità e di senso connesso alla relazione, le persone divengono merce, immagini, forme spolpate e disanimate che abitano apparentemente solo lo spazio di un display. Possono essere plasmate, destrutturate, negate come cose da consumare e da gettare. Così, ascoltare e prevenire il disagio e ricostruire rispetto e reciprocità si fa scelta emotiva e morale, ma diviene al tempo stesso una scelta politica e una radicale forma di pacificazione socia- le.☺

letizia.bindi@unimol.it Nelle scorse settimane ci siamo

misurati con l’inaudita violenza dell’ aggres- sione mortale a Colleferro al giovane Willy Monteiro e poco dopo, proprio negli ultimi giorni, con quella altrettanto efferata nei con- fronti di don Roberto Malgesini.

In entrambi i casi questi omicidi hanno dato occasione per colorite reazioni sui social network e al proliferare di commenti giornalistici circa le possibili ragioni di una manifestazione così smodata di violenza e di odio. Alcuni sostengono dalle colonne dei giornali e dei nuovi media che questa violen- za provenga da aree a diverso titolo marginali e/o periferiche ai grandi poli urbani o ancora da un malinteso senso della fama e della visibilità personale ingenerata dalla digitaliz- zazione crescente della comunicazione e da un edonismo sconsiderato basato sul nesso inscindibile tra perfezione (a patto che di perfezione si possa parlare) del corpo - mac- chine potenti - prevaricazione sugli altri - successo sui social come assicurazione della propria esistenza in vita.

Al di là del dolore e dello sconcerto insanabili che ci lascia la scomparsa di due persone a diverso titolo miti, gentili e genero- se, vorrei spendere qui solo qualche parola per commentare alcune delle riflessioni cre- sciute intorno a questi tragici accadimenti di recente. Si è andata infatti accentuando l’idea e il conseguente racconto mediatico di una supposta, quanto pregiudiziale opposizione tra metropoli e provincia che attribuisce, in genere, al contesto periferico e provinciale un’antica quanto retorica paura di romantici- smo e “nostalgia strutturale”, quanto in altri casi una definizione della stessa come “terra dispersa” (waste land) o “di nessuno” (no man’s land) o ancora “terra di briganti” senza legge né regole.

Al contrario io credo, basandomi proprio sulle etnografie, che sono proprio le letture intermedie e interstiziali che ci permet- tono di interpretare e agire in quel fluido tra- scorrere tra città, provincia, aree peri-urbane, rurali, periferie fragili, interne uscendo da logiche dicotomiche miopi e in ultima istanza non feconde per una azione innovativa e consapevole.

La realtà è che lo sfumato e com-

Letizia Bindi

Acidselzart:HUMANS G.M.1

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convivialità delle differenze

Ci si aspettava che il periodo di riflessione di due mesi preso dal nuovo asses- sore alle Politiche Sociali per riflettere sulle criticità inerenti il bando FNA 2019 (destinato agli aiuti per le persone con disabi- lità gravissime ed alle loro famiglie) gli a- vrebbe consentito di maturare delle decisioni importanti per i beneficiari molisani; invece, vuoi perché l’estate - si sa - non è fatta per ragionare, vuoi perché il nuovo assessore leghista difficilmente avrebbe sconfes- sato le gesta del suo predecessore in pari quota, tutte le problematiche evi- denziate dalle associazioni di categoria sono state ignorate.

Il nuovo bando è infatti usci- to il primo settembre e contiene tutti i difetti dei precedenti, oltre ad ulteriori sbarramenti legati all’ISEE, che per la prima volta diventa un criterio di sele- zione dei beneficiari. Eppure anche all’interno di questa forbice, che già taglia fuori oltre 200 persone - tutte portatrici di disabilità ex 3 comma 3 legge 104/92 e titolari di indennità di accompagnamento - per carenze dei requisiti di ammissione, i fondi sono assoluta- mente insufficienti a soddisfare il fabbisogno dei molisani: nel 2018, ad esempio, sono stati 424 i cittadini risultati idonei non beneficiari per carenza di fondi.

Alla luce di queste criticità, la re- gione Molise, con una determina, aveva pre- visto un’integrazione regionale di € 400.000 ai fondi FNA previsti dal riparto statale, im- porto mai di fatto stanziato e chissà come diversamente impiegato nel bilancio. A fronte delle vive proteste delle opposizioni e della società civile, Toma ha tirato fuori dal cilin- dro la stessa cifra, attingendo ai fondi statali stanziati per l’emergenza Covid, promuoven-

Tina De Michele

do questo suo impegno come un gesto di grande solidarietà e di impegno civile nei confronti dei cittadini più fragili.

Non può sfuggire però ad un osser- vatore attento che i fondi sono stati prelevati dal riparto nazionale previsto per l’emergenza legata al Covid, per la precisione il "Fondo per il finanziamento di misure straordinarie per il sostegno economico per lavoratori, imprese e famiglie, connesse all’emergenza

epidemiologica da Covid 19. Tale stanzia- mento “straordinario” viene così indirizzato a risolvere una esigenza che invece è già strut- turata nel tessuto sociale della popolazione molisana e che non dovrebbe essere trattata come un’emergenza, bensì come una situa- zione ordinaria ed esistente a prescindere.

Si è tolto all’emergenza sociale per dare al sociale, come nella migliore tradizione della politica molisana, che toglie ai più biso- gnosi per dare ad altri bisognosi, senza alcun mutamento di prospettiva e di visione politi- ca, ma continuando a tirare la coperta corta da un lato all’altro, per creare nuove categorie di bisognosi o – paradossalmente - per metterli

l’uno contro l’altro in un tritacarne dove le aspettative scendono sempre più al ribasso.

È sconfortante tra l’altro assistere alle rivendicazioni sull’attribuzione del meri- to del posizionamento di questa “toppa” al bilancio da parte di alcuni piccati consiglieri molisani di maggioranza: se questa è una risposta ad istanze legittime, è una brutta risposta perché sacrifica altri cittadini e so- prattutto dimostra come la Regione non si sia minimamente sforzata di impegnare delle risorse del proprio bilancio.

L’Europa chiede più coesione sociale, con relativa programmazione di inter- venti attraverso il recovery fund; questa ini- ziativa regionale si muove in una dire- zione diametralmente opposta. È legitti- mo chiedersi se chi ci governa si stia già sfregando le mani al pensiero di come impiegare le risorse che arriveranno; si ha la sensazione che non ci sia alcuna chiarezza sull’idea stessa di cosa signifi- chi “coesione sociale”, che implica coin- volgimento di tutte le categorie di diver- sità e fragilità per realizzare una piena e completa inclusione di tutti i soggetti svantaggiati. Ci si domanda quale contri- buto alla missione possa essere dato da chi ha sempre adottato la visione politica della coperta corta per gestire le politiche sociali o da chi - come la Lega - ha sem- pre cavalcato le divisioni sociali per fini di propaganda elettorale.☺

tina.demichele@hotmail.it

la coperta corta

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la fonte ottobre 2020

vincitori e vinti

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A volte, immersi nel proprio silenzio, ci si rende conto di come sia bella la vita e di come sia meraviglioso l’uomo con il suo modo di essere e di fare. Sono dell’opinione che nell’esercizio della propria professione tutti dovrebbero lavorare con passione. Sì, una pas- sione che dovrebbe travolgere quelli che ti os- servano o coloro i quali hanno a che fare con te.

Una passione che soprattutto gratifica chi la esercita per poter dire, a fine giornata, “sono stanco ma felice per quello che ho donato oggi”.

Deve emergere sempre l’umanità della persona in tutto ciò che faccia-

mo ed in ciò che dicia- mo. Vivere la propria epoca con superficialità non ti fa cogliere il bello e sopravviviamo tra lamentele e maledi- zioni.

Mai avrei immaginato che a 58 anni potessi prendermi cura di mio padre

90enne anche attraverso la pulizia intima e se qualcuno l’avesse ipotizzato avrei, sicuramente, storto il muso. Si accetta di prendersi cura di un neonato, figlio o nipote che sia, ma prendersi cura di un adulto, e nello specifico di tuo padre, non è né scontato né facile. Lo facciamo come famiglia e diventa un altro anello “difficile” del quotidiano. Difficile ma non impossibile e ti accorgi che nella difficoltà la famiglia si fortifi- ca. Tante famiglie purtroppo sono realmente impossibilitate a gestire situazioni similari e, volgendo lo sguardo oltre, ti accorgi che ci sono delle professioni apposite e degli operatori sani- tari che, quotidianamente, si prendono cura degli anziani in modo amorevole e professiona- le, in strutture confortevoli quasi come la pro- pria dimora.

Nessun compenso è sufficiente per dare gratificazione a chi la gratificazione la coglie nello “sguardo” mortificato di chi è im- possibilitato a gestire il proprio quotidiano. Tra il paziente e l’operatore nasce quell’intima intesa che rende l’uomo l’essere straordinario che è. Se è vero che siamo ad immagine di Dio e Dio è Amore, allora negli operatori sanitari questo Amore fuoriesce tutto. Purtroppo, come molte professioni dei nostri tempi, si tende a minimizzare l’aspetto emozionale di ogni lavo- ro perché stiamo sempre più dando spazio

all’aspetto economico. Cento euro possono terminare in pochi secondi ma un sorriso e una lacrima di gratitudine li porti con te per tutta la vita. La razionalità del tempo che viviamo ci porta spesso ad essere cinici calcolatori, tutto ruota intorno ai business plan dove ad un obiet- tivo dato devi inventarti le strategie di interven- to, fare previsioni, impostare un piano di marke- ting per essere più accattivanti; addirittura si studiano i competitor per contrastarli efficace- mente… e il cuore che ruolo ha in tutto questo?

Non voglio sembrare il puritano della situazione perché an- che io sono inserito nel sistema che ci siamo costruiti e lo devo ca- valcare consapevol- mente tutti i giorni per non essere disarcionato malamente. Nel vivere il quotidiano, però, buttiamo lo sguardo anche al bello che siamo e al bello che la natura, ancora, ci offre. Non permettiamo di diventare vittime di un business, riprendiamoci la nostra dignità, facciamo emergere il nostro amore per i nostri simili e per la nostra amata terra. In una situazione di pandemia più che conclamata, non ci possiamo permettere di curare i nostri bimbi lontano dagli affetti più prossimi. Nella gestione di una politica sociale non consentiamo di diventare merce di scam- bio, o peggio ancora, non facciamoci mettere l’anello al naso con ricatti mirati. L’uomo è sempre stato incline al sacrificio, a guadagnarsi il pane quotidiano con dignità e senza l’uso di scorciatoie. Non inneschiamo quella malsana competizione che indurisce, miseramente, il cuore.

Oggi mi sento di dire grazie a mio padre per avermi, con la sua disabilità, dato l’opportunità di rafforzare le mie emozioni e sento di dire grazie, a nome di tutti gli adulti che vivono nel “bisogno”, a tutti gli operatori/

famigliari che, a vario titolo, si prendono cura del proprio congiunto o dell’ospite della struttu- ra dove operano perché essi rappresentano l’amore con la A maiuscola e ne sono testimoni per le prossime generazioni. Finché ci saranno uomini e donne che sanno offrire incondiziona- tamente il proprio servizio il mondo sarà bello da vivere e varrà la pena faticare.☺

corbomaurizio@gmail.com

“Il conte Lev Tolstoj si sveglia di soprassalto, alle tre di notte, nella sua vecchia tenuta di Jasnaja Poljana, immersa nel silenzio e nel freddo. All’improvviso sente dei passi, un rumore di porte che si aprono. Intravede una luce provenire dal suo studio: è la moglie Sofja che cerca qualcosa, che fruga di nascosto tra le sue carte. Quella donna con cui divide la vita da mezzo secolo, ormai, non smette di tiran- neggiarlo, di controllarlo, di spiare ogni suo passo. Da quando, l’anno prima, il marito ha stilato un testamento in cui dichiara di rinun- ciare a tutti i suoi diritti d’autore, Sofja non fa che minacciare il suicidio, scoppiare in lacri- me, accusarlo di crudeltà, esibirsi in plateali scenate di gelosia, tentare di blandirlo e trama- re alle sue spalle, insieme ai figli maschi, per farlo interdire. Esasperato dalla guerra che si consuma tra le pareti di casa, lo scrittore russo, pochi giorni prima, ha avuto un colpo apoplet- tico, dal quale però si è ripreso subito. Per distrarsi, ha cominciato a leggere I fratelli Ka- ramazov, del suo eterno rivale Dostoevskij.

Ma adesso niente più può trattenerlo: la misura è colma” (Soli eravamo - Fabrizio Coscia).

Il grande scrittore si alza, prepara un bagaglio, scrive due righe alla moglie da cui sta fuggendo e a ottantadue anni, malato, insie- me alla figlia Alexandra lascia definitivamente casa sua. “Dove si potrebbe andare per essere lontani?” chiede. Questo desiderio fortissimo di fuga getta per sempre un’ombra sulla pove- ra moglie Sofja. Lei prova a raggiungerlo ma lui non la ammetterà al proprio capezzale, nella stazioncina di Astàpovo, dove morirà sette giorni dopo, il 27 ottobre1910. Sofja sarà per sempre la Santippe moglie del conte Tolstoj.

Quando il conte Tolstoj, trentaquat- tro anni, il 23 settembre 1862, chiese alla di- ciottenne Sofja di diventare sua moglie, voleva che non ci fossero segreti tra loro. Lev conse- gnò a Sofja i suoi diari in cui descriveva le sue passate relazioni intime con altre donne, tra cui una serva di umili origini contadine, dalla quale aveva avuto un figlio fuori dal matrimo- nio.

Sofja rimase scioccata dopo aver letto tutte le esplorazioni in campo sessuale del suo futuro marito, ma andò comunque avanti verso il matrimonio. “Tutto il suo passato è così orribile per me, che penso che non sarò mai in pace con lui”, scrisse Sofja.

Maurizio Corbo

agire con passione

Le preziose: con questo titolo apro articoli che parlano di donne di ieri, l’altro ieri, oggi che, come le preziose del settecento hanno agito o vissuto per lasciare il testimone alle altre.

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