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RELAZIONE AL PROVVEDIMENTO SULLA MOTIVAZIONE SEMPLIFICATA

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Academic year: 2022

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RELAZIONE AL PROVVEDIMENTO SULLA MOTIVAZIONE SEMPLIFICATA

1. Il 2 dicembre 2010, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, nel ribadire che tempi eccessivi nell’amministrazione della giustizia costituiscono “un grave pericolo per il rispetto dello stato di diritto, conducendo alla negazione dei diritti consacrati dalla Convenzione”, ha invitato l’Italia ad adottare “una strategia a medio e lungo termine” per risolvere “il problema strutturale” della durata dei processi, “che esige un forte impegno politico”.

In recenti occasioni il Presidente della Repubblica ha rivolto una pressante sollecitazione ad un nuovo spirito di condivisione e ad un consapevole esercizio di responsabilità a tutte le istituzioni, invitate a sentire come dovere comune l’esigenza di ridurre la durata dei processi.

Seguendo l’appello del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa e la sollecitazione del Presidente della Repubblica, nella relazione sull’amministrazione della giustizia svolta per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2011, è stata affermata l’esigenza della “elaborazione di un vero e proprio Piano per la durata ragionevole dei processi che impegni tutti i soggetti che operano nel mondo giudiziario e che prenda in considerazione, in modo organico, tutti i fattori che incidono sui tempi del processo”, con l’obiettivo di “diminuire l’entità attuale dei procedimenti” e di “aumentare la capacità di risposta degli uffici giudiziari”.

Nella relazione sono state delineate una serie di proposte (normative, ordinamentali, organizzative, culturali) che richiedono l’intervento di una pluralità di organi e di tempi diversi, finalizzate a diminuire l’eccesso, non più sostenibile, di ricorribilità in cassazione e ad evitare lo spreco di risorse personali e materiali, che allunga i tempi della risposta giudiziaria.

2. In tale quadro, nel ribadire l’impegno a continuare a sollecitare chi ha responsabilità politiche e legislative ad assumere come centrale l’appello del Consiglio d’Europa e del Capo dello Stato, è necessario realizzare al più presto tutti gli interventi che la Corte di Cassazione può assumere di sua iniziativa per mettere i consiglieri nelle condizioni di assolvere meglio i compiti giurisdizionali, concentrandosi sulle questioni di maggiore spessore.

L’incremento della complessiva capacità di risposta della Corte dipende anche dall’adozione di tecniche di redazione delle motivazioni

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delle sentenze improntate a maggiore sinteticità, che consentano la più ampia diffusione nella prassi giudiziaria del principio opportunamente espresso dall’art. 3, comma 2, del codice del processo amministrativo (d.

lgs. luglio 2010, n. 104), secondo cui “il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica”.

Tale esigenza è divenuta impellente nella Corte di cassazione, che nel settore civile, è gravata da un arretrato di 97.653 ricorsi e da un carico di lavoro ormai ai limiti della sostenibilità.

La motivazione della sentenza, se non esaurisce il lavoro del giudice, certamente ne costituisce un aspetto essenziale, che impegna risorse intellettuali e materiali - sottraendole alle altre attività, di studio dei fascicoli e di preparazione dell’udienza, che caratterizzano l’attività professionale del consigliere della Corte di cassazione - e condiziona in misura rilevante il numero di ricorsi che ciascun consigliere può esaminare in un determinato arco di tempo e motivare nei tempi prescritti dal codice.

L’esigenza di ridurre all’essenziale (in relazione ai temi reali oggetto del ricorso) l’impiego del tempo dedicato alla stesura delle motivazioni, unitamente all’obiettivo di evitare quello che, in dottrina, si è chiamato l’“eccesso di motivazione”, sono stati da tempo avvertiti nel lavoro della Corte di legittimità. Già il 10 maggio 1989 il Primo Presidente Antonio Brancaccio sollecitò la riflessione di tutti i consiglieri, diffondendo un

“Appunto sulla motivazione in Cassazione”, con il quale, dopo aver richiamato la funzione essenziale della motivazione (diretta non necessariamente a “convincere le parti della bontà della soluzione prescelta”, quanto piuttosto a “esternare le ragioni di tale scelta, affinché questa non appaia frutto di arbitrio”), indicò alcuni criteri orientativi per la redazione delle decisioni, diretti a realizzare quella concisione che già il legislatore del 1940 aveva previsto come requisito formale delle sentenze (art. 132, n. 4, c.p.c.), aggiungendo che era opportuno che il collegio indicasse all’estensore se doveva redigere una motivazione stringata o una più diffusa.

Di recente, riprendendo le linee guida di tale orientamento, i magistrati della Corte ai quali è affidata la formazione professionale hanno avvertito l’esigenza di avviare una profonda riflessione sulla forma delle motivazioni delle sentenze, organizzando un “laboratorio”, nel quale hanno avuto modo di esprimersi numerosi consiglieri, all’esito del quale sono state redatte linee guida condivise, basate, tra l’altro, sull’individuazione di una tipologia di decisioni nelle quali, per la natura

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delle questioni prospettate con il ricorso, non è richiesta alla Corte l’esercizio della nomofilachia. Si è osservato, a tale riguardo, che la Corte di cassazione è chiamata ad operare in un contesto di cambiamento dei tratti fondamentali della giurisdizione, caratterizzato dall’esplosione della domanda di giustizia, dalla “internazionalizzazione della giurisdizione” e dall’accentuazione degli aspetti relativi alla funzione di servizio pubblico reso ai cittadini. Di conseguenza, accanto ad una domanda di giustizia che sollecita la Corte a svolgere la sua funzione di garanzia della prevedibilità della decisione e quindi di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, si pone una domanda, quantitativamente prevalente, che ne sollecita la mera funzione decisoria che ponga fine al contenzioso (da qui la previsione della decisione nel merito quando non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, prevista dall’art. 384, comma 2, c.p.c., che ha trovato notevole e crescente applicazione nella giurisprudenza di legittimità, come dimostrato dai dati statistici richiamati nella relazione inaugurale dell’anno giudiziario 2011).

3. L’entità dell’arretrato e il mutamento dei tratti caratteristici di una rilevante parte della domanda di giustizia che si riversa sulla Cassazione civile impongono un radicale cambiamento non solo dell’organizzazione e dei metodi di lavoro, ma anche culturale, dovendo attribuirsi la necessaria rilevanza al fattore tempo nella definizione del processo.

In tale prospettiva si pone lo schema di provvedimento, sottoposto alla valutazione del Consiglio direttivo della Corte, avente ad oggetto la previsione della redazione di “motivazioni semplificate”, (secondo una denominazione tratta dall’art. 74 del d. lgs. n. 104 del 2010, codice del processo amministrativo), previa deliberazione del collegio, documentata negli atti interni del giudizio ed esternata con apposita aggiunta all’oggetto del giudizio indicato nell’intestazione della sentenza, nei casi in cui il ricorso non richiede l’esercizio della funzione di nomofilachia della Corte, in quanto prospetta solo vizi della motivazione e l’impugnazione risponde esclusivamente all’interesse del litigante, ovvero solleva questioni giuridiche che siano state in precedenza decise sulla base di orientamenti conformi e consolidati e rispetto ai quali non siano fatte valere condivisibili esigenze di mutamento.

Lo schema di provvedimento sottoposto al parere del Consiglio direttivo si fonda anche su di una prassi giudiziaria già diffusa in alcune sezioni civili, dove sono stati positivamente sperimentati modelli di

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motivazione in forma semplificata, e la sua predisposizione mira non solo a far fronte a evidenti esigenze di efficienza e di recupero di risorse nel lavoro dei consiglieri della Corte, ma anche a dare seguito a precise indicazioni normative, quali l’abolizione della indicazione dello svolgimento del processo e la previsione secondo la quale la motivazione della sentenza civile deve consistere nella “succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi” (artt. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e 118, comma 1, disp. att. c.p.c., come modificati dalla legge n. 69 del 2009). E’ indubbio che la regolamentazione generale, secondo criteri omogenei, di una prassi fino ad oggi realizzatasi in misura limitata, favorirebbe la diffusione della tecnica di motivazione in forma semplificata, così avviando un “percorso virtuoso” in grado di incidere su prassi consolidate di segno contrario, e consentirebbe un più efficace perseguimento della finalità di abbreviazione dei tempi di redazione dei provvedimenti decisori. Nello stesso tempo la documentazione, all’interno della sentenza, dell’opzione del collegio in favore della motivazione in forma semplificata agevolerebbe l’attività dell’Ufficio del massimario nella selezione delle pronunce da non avviare alla massimazione, in quanto non costituenti espressione della funzione nomofilattica della Corte.

Si potrebbe così consentire ai consiglieri estensori di avere più tempo nella redazione delle sentenze e all’Ufficio del massimario di concentrare le proprie risorse nella massimazione delle pronunce più rilevanti sotto il profilo della nomofilachia.

Roma,

f.to Il Primo Presidente Ernesto Lupo

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