MEDI_TANDUM
Pensieri di cucina mediterranea
ETOILEPEDIA
Si ringraziano:
Rossano Boscolo - Presidente Etoile Gabriele Bozio - Direttore Etoile Antonio De Rosa – Chef Executive
Cristiano De Riccardis – Esperto di olio extravergine d’oliva Erik, Maurizio e tutto lo Staff Boscolo Etoile Academy
Direttore editoriale: Rossano Boscolo
Direttore Etoile e Coordinamento editoriale: Gabriele Bozio
Fotografia e Direzione creativa: Roberto Sammartini - www.robertosammartini.com Grafica e impaginazione: Floydart - www.floydart.it
Editore
Edizioni Boscolo Etoile Lungomare Adriatico, 50 30015 Sottomarina (VE) www.istitutoetoile.it
Finito di stampare nel mese di novembre 2008
© Copyright 2008 Etoile
Stampato in Italia
Bona industrie grafiche - Vincenzo Bona S.p.a. - Torino
ISBN 978-88-8471-117-5
ETOILEPEDIA
MEDI_TANDUM
Pensieri di cucina mediterranea
ETOILEPEDIA
prefazione
Da molti decenni si sente parlare di cucina mediterranea, legandola spesso alla salute e alle corrette abitudini alimentari, ma credo che ci sia ancora molto da dire; senza offesa per nessuno, farei notare che molti erroneamente confondono la cucina italiana con la cucina mediterranea.
Quest’ultima è una vera e propria miscellanea di sapori, profumi, colori e forme dati dalle decine di culture culinarie che la compongono.
Se solo pensiamo alle nazioni che si affacciano sul bacino del Mediterraneo così esteso ma al contempo contenuto, tanto da permettere continui scambi, capiamo che le specialità, gli usi e gli ingredienti appartenenti alle varie culture sono molteplici e variegati ma sempre legati da un filo conduttore comune:
Italia, Francia, Spagna, Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Siria, Turchia, Grecia, Albania e paesi dell’ex Jugoslavia.
Chi, viaggiando, ha avuto modo di visitare alcuni di questi paesi avrà potuto riscontrare quanto spes- so ci si imbatte in reali similitudini tra le tradizioni culinarie: per citarne alcune, le “Tapas” spagnole e i “Cicchetti” veneziani, le centinaia di utilizzi dei ce- reali dal “Cous Cous” al “Boulgur”, fino alle tecniche
più elaborate di panificazione; per non parlare dei prodotti conservati come vegetali essiccati, pesci disidratati e salati o prodotti dolci a base di miele.
Ho conosciuto Antonio De Rosa negli anni 90’ quan-
do si partecipava alle manifestazioni culinarie con la Nazionale Italiana Cuochi;
mi è sempre piaciuto per la sua profonda conoscenza e predisposizione all’utilizzo di ingredienti legati al territorio e alla nostra cultura mediterranea.
Quando poi l’ho invitato a tenere dei corsi nella nostra Scuola ho capito veramente che aveva una marcia in più su questo tipo di cucina rispetto a tanti altri chef anche più “nominati” di lui. Mi è sembrato evidente che questa sua qualità dovesse essere espressa anche a livello editoriale, inserita in un’opera importante e prestigiosa, quindi ho gioito quando Antonio e Gabriele mi hanno espresso la volontà di realizzare tale impresa.
In questo libro potrete notare, oltre alle stupende foto dei piatti, una serie di immagini scattate al mercato di Barcellona, la “Boqueria”, il mercato per eccellenza, straordinario per la completezza di ingredienti mediterranei che vi si può trovare; il viaggio è stato molto interessante e permetterà anche ai lettori di arricchire il proprio bagaglio culturale.
Un grazie di cuore va ad Antonio, a Gabriele, a Roberto, il fotografo, a Giulia, la grafica, e a tutti i ragazzi della Boscolo Etoile Academy che hanno partecipato alla realizzazione dell’opera.
di Rossano Boscolo
MEDI_TANDUM | PREFAZIONEETOILEPEDIA
ETOILEPEDIA
ETOILEPEDIA
prefazione
La forte personalità di ogni singola cucina dei paesi del Mediterraneo, costitui- sce una gastronomia con connotazioni ben precise che ne permettono un’im- mediata identificazione, spesso classificandola come cucina “Etnica”.
L’idea alla base di questo libro, nasce proprio partendo da quella che è oggi la cucina mediterranea: un insieme di cucine etniche.
La storia dei popoli del Mediterraneo ci racconta che i punti di contatto gastro- nomico sono molto più numerosi di quelli di separazione.
E proprio prendendo in considerazione questi aspetti, che è nata la voglia di costruire una cucina capace di fondere le varie esperienze gastronomiche dei paesi del Bacino del Mediterraneo, una cucina capace di far perdere la conno- tazione di cucina “etnica” e di far nascere una cucina ‘Med’ di più ampio respi- ro, una cucina senza spazio, senza confini e senza collocazione geografica.
In un momento storico-gastronomico in cui è forte la voglia di recupero delle tradizioni, di una cucina che rispetti ogni singola identità regionale nelle sue diversità, della cucina del “terroir” e dei suoi prodotti, può apparire fuori luogo voler pensare ad una cucina di Fusione che per molti possiede unicamente tutte le caratteristiche negative della cucina “globalizzata”.
Ma se pensiamo al Bacino del Mediterraneo come ad un’unica grande area geografica regionale, diventa entusiasmante “contaminare”, “integrare” tra loro i grandi prodotti, le grandi tradizioni, le tecniche di cottura tipiche e far nascere così una cucina coerente ed attuale.
In questo libro si vogliono far incontrare le differenti anime della cucina medi- terranea: una cucina dai sapori netti, decisi, veri, talvolta giocata sui contrasti, ma mai scontata o casuale.
In Medi_tandum il protagonista è il cibo: il gusto estetico è delegato alla sem- plicità e all’armonia dei prodotti. I colori, le forme, la struttura architettonica dei piatti sono importanti, ma non determinanti per la costruzione del gusto.
Il “buono” torna ad essere più importante del “bello”.
I piatti non sono rappresentati con l’essenzialità del minimalismo orientale, ma con l’abbondanza e la generosità tipiche delle genti mediterranee.
L’auspicio è che attraverso i “pensieri di cucina mediterranea” si abbia la pos- sibilità di poter trasmettere attraverso le immagini, i colori, “l’immaginario” dei sapori, una cucina “emozionale”, che possa rimanere impressa nella memoria.
“Chiudiamo gli occhi... partiamo per questo affascinante viaggio nel mondo dei sapori… lasciamoci condurre dal calore del sole… dal profumo del mare…
dall’intensa fragranza dell’olio… lo spazio e i confini si annullano… possiamo essere contemporaneamente… in ogni dove… è la magia del Mediterraneo!”
di Antonio De Rosa
MEDI_TANDUM | PREFAZIONEETOILEPEDIA
ETOILEPEDIA
La cucina mediterranea: le origini
La storia della gastronomia della cucina
Mediterranea corre parallela a quella delle genti che vivono sulle sue sponde.
Inutile ricercarne la data di nascita: è cucina antica, antichissima, senza tempo. Inutile ricercare i luoghi da cui ha avuto origine: parte venuta dall’Asia, dall’Oriente e dal Medio-Oriente, parte dall’Africa e dai paesi della fascia costiera mediterranea, parte nata nei singoli paesi che si specchiano nel “Mare No- strum”.
È il mare l’elemento comune che unisce le sue popolazioni piuttosto che dividerle.
Ed è proprio dall’unione, dal contatto delle genti e dalle necessità alimentari delle differenti etnie, che scaturisce una cucina con caratteristiche di fondo comuni anche in zone lontane migliaia di chilometri tra loro e con tradizioni estremamente differenti.
I paesi del bacino del Mediterraneo, pur avendo questa radice gastronomica comune, oggi conservano una loro forte ed evidente individualità.
Ogni paese possiede una cucina dalla specifica identità perché è figlia della tradizione, ma anche della ibridazione feconda tra tutte le risorse che ogni paese è in grado di offrire, non solo per l’alimentazione, ma anche per la salute e il benessere.
La cucina di ogni singolo popolo è il frutto della sua storia, della sua terra,.della sua cultura, della sua religione, delle sue usanze, tramandatesi di generazione in generazione.
Proprio per questo motivo, tra caratteristiche e differenze, non è possibile indicare con certezza chi, quando e come abbia partecipato a questo processo di costituzione, di differenziazione e di identificazio- ne della cucina mediterranea: tutte le terre sono autentiche e tutti i popoli hanno contribuito, seppure in tempi e modi diversi, a costruire questo patrimonio comune di valori e di conoscenza.
La cucina mediterranea ha una straordinaria caratteristica: un modo di essere locale e insieme comune ad altri popoli, perché cambiano gli elementi, ma non cambia l’identità profonda: diversa, ma pur sempre unica.
È una cucina antica, che viene dal lontano passato con una diffusa e radicata tradizione familiare e so- ciale, quasi una lunga storia d’amore tra i popoli e i prodotti della loro Terra. Una cucina fatta di sapori affermati e di profumi domestici. Una cucina popolare e, allo stesso tempo, ricca, un sistema alimentare vario, gustoso e completo. Una cucina autentica, basata sull’incontro tra i prodotti di stagione e quelli a
MEDI_TANDUM | INTRODUZIONEETOILEPEDIA
10
MEDI_TANDUM | INTRODUZIONElunga conservazione, una varietà-diversità che si adegua al luogo ma che unisce e stupisce. Ne scaturi- sce una cucina di grande equilibrio che permette una profonda fedeltà con il passato, una continuità con il presente e un anticipo del futuro.
Una cucina alla quale non manca niente, dove tutto è essenziale, rinnovabile e funzionale, quasi un mi- racolo della natura.
La natura, è proprio lei l’invisibile eppur evidente filo conduttore che lega la storia della cultura gastronomica dei paesi del Mediterraneo.
Ecco la ragione profonda della sua cucina: ha le radici nella sua terra dominata dal sole e dal suo mare, e vive la spontaneità della sua natura.
Nel Mediterraneo, l’uomo ha trovato il sole come elemento vitale, che con la sua forza condiziona e de- termina il territorio e la mitezza del clima, offrendo generoso i tanti prodotti che la caratterizzano.
ETOILEPEDIA
Nasce così il “miracolo” della cucina mediterranea: unica per il clima temperato, diversa per la ricchez- za e l’abbondanza dei prodotti, comune per interscambiabilità e la validità dei suoi elementi e della loro unione, naturale perché fatta di prodotti freschi e/o conservati “secondo natura”, equilibrata perché ha tutti gli elementi nutritivi di base, essenziale perché ha tutto per far stare bene.
Il territorio ha “deciso” che l’olivo, il grano, la frutta secca, sarebbero stati per sempre l’invisibile le- game di queste terre. La cucina dei paesi del Mediterraneo è basata su prodotti “poveri” che la magia e la sapiente alchimia dei profumi delle erbe aromatiche e delle spezie riesce a trasformare in “haute cuisine”.
La cucina mediterranea resta una cucina dell’incontro, della compresenza e dell’integrazione tra le genti con suoi molteplici colori, odori e sapori. È una cucina di tutti e di ognuno. È un’eredità pesante, importante, ricevuta in dono e dobbiamo preservarla ed innovarla in tutta la sua grandezza.
11
MEDI_TANDUM | INTRODUZIONEETOILEPEDIA
ETOILEPEDIA
ETOILEPEDIA
APPRoFoNDIMENTI: l ‘olio
EXTRAVERGINE DI oLIVA
L’olivo simbolo di pace, l’olivo pianta sempre verde, l’olivo pianta che non muore mai, l’olivo che produce frutti di mille varietà diverse, ricchi al loro interno, di oli dai mille odori e mille profumi. La storia di questa pianta, sempre affascinante in ogni stagione, a volte snella, altre volte contorta ma, mai uguale a se stes- sa, si perde nei millenni. Agronomi e studiosi di tut- to il mondo, oramai da molto tempo, cercano di rin- tracciarne la sua origine. Possiamo affermare, anche se già domani potremmo essere smentiti, che l’olivo o tecnicamente come è stata classificata botanica- mente: “Olea Europea”, sia nata da un magico ibrido, quasi sicuramente casuale, forse nell’area di altopiani compresi fra l’odierno Iran ed Iraq, come pure nelle fertilissime terre che circondavano la città di Ales- sandria di Egitto od infine nell’odierno Libano nei ter- ritori a confini con la Siria.
Quello che invece è ormai certo, avvalorato e sostenuto da prove archeologiche importanti ed inconfutabili, è dove sia stato estratto per la prima volta nella storia, il pre- giato “olio da olive”, vale a dire, nei territori della Palestina intorno a Ge- rusalemme.
A conferma di quanto l’ulivo fosse già presente, conosciuto ed apprezzato in queste terre, stupisce sempre sapere che, ancora oggi, nella sola città di Gerusalemme sono sopravvissute e state clas- sificate, alcune decine di monumentali piante di ulivi selvatici plurimillenari, vivi ed ancora vigorosi, con al- meno 2.500 anni di vita e di storia.Proprio in questa zona infatti, nei villaggi che si trova- vano lungo le antiche strade carovaniere quindi, ricchi di commerci, sono stati ritrovati i resti di quello che sicuramente è stato uno dei primi, rudimentali, frantoi del mondo, composto da due semplici pietre, la prima scavata con un leggero incavo concavo, così da poter
ricevere e fare rotolare su di essa, con la sola forza delle mani, una seconda pietra rotonda, molto pesan- te. Fra queste due pietre venivano messi dei rami di olivo intrecciati fra di loro, all’interno dei quali venivano disposte alcune manciate di frutti di olive da schiaccia- re o per essere più precisi da “frangere”. Dopo molto lavoro ed ingegno, questi primi ‘frantoiani’ dell’antichi- tà vedevano sgorgare alcune gocce del prezioso liqui- do color oro. Era nato l’olio da olive. Il frantoio e l’olio da olive, arrivano e si affacciano dal balcone che dà sul bacino del Mediterraneo.
Da allora, con sconcertante semplicità, ha cambiato per sempre il panorama di usi, costumi, stili di vita e l’alimentazione, prima di milioni di persone che vive- vano sui bordi di questo splendido mare, per poi ar- rivare, fino ai nostri giorni, ad essere presente sulle tavole e nella dieta di un numero sempre crescente di appassionati buongustai, sparsi in tutti i cinque con- tinenti.
È oramai innegabile, e per cer- ti versi semplicistico, affermare che, tutte queste persone sono state po- sitivamente contagiate dai gusti, dai sapori, dalla semplicità, dalla genui- nità, come pure dai non trascurabili e preziosi pregi nutrizionali e salutistici che da sempre caratterizzano l’olio da olive, ingrediente e condimento prin- cipe della ormai universalmente rico- nosciuta “Dieta Mediterranea”.
Certamente, come è facile intuire, per molti secoli gli oli che l’uomo ha cercato di produrre in tantissimi modi diversi, dai più semplici ai più ingegnosi, erano oli certamente ricchi di sostanze grasse nutritive di fon- damentale importanza per quei tempi, in quanto for- nivano preziose ed indispensabili calorie ma, purtrop- po, nella maggioranza dei casi, avevano sicuramente dei pessimi odori, gusti e sapori, oggi come allora, del tutto inutilizzabili. È proprio per questo motivo, se per secoli, intere regioni, ed addirittura, intere nazioni (ba- sti pensare alla produzione dell’odierna Tunisia, Libia e nord del Marocco) si siano “specializzate” non nella produzione di oli per uso alimentare o commestibile ma, nella produzione di enormi quantitativi di oli da
1
MEDI_TANDUM | APPROFONDIMENTI_L’OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVAETOILEPEDIA
olive “lampante”, (ancora oggi utilizzato nel commer- cio a livello internazionale), il cui “nobile” fine non era quello di condire, ma bensì, quello di essere utilizzati come combustibile da bruciare nelle diffusissime lam- pade ad olio.
Da questo bisogno, sempre crescente, di poter disporre di questo prezioso ed insostituibile “combustibi- le vegetale”, per un suo largo utilizzo nel campo dell’illuminazione, si pensa che siano stati piantati milioni di ulivi, che man mano, hanno incominciato a ricoprire e caratterizzare il paesaggio di tutto il bacino del Mediterraneo.
Bastipensare, come ancora oggi, dopo duemila e più anni di storia, questo termine riguardi ed interessi molti oli prodotti nel mondo, nonostante oramai le lampade per l’illuminazione siano rimaste solo un lontano ricordo da conservare nei Musei. Infatti, a causa di antiche e radicate tradizioni plurisecolari, oppure per problemi legati a gravi problemi strutturali ed organizzativi di un’agricoltura arretrata delle aree più povere del Me- diterraneo, in moltissimi casi si producono “oli da oli-
ve” di così scarsa qualità, da non essere commestibili e che quindi, per legge, devono essere declassati ad
“oli lampanti”.
Ma proseguiamo da dove eravamo partiti e da dove sembra che tutto sia nato, per vedere e capire la dif- fusione dell’olivo e quindi dell’olio da olive nel bacino del Mediterraneo. Da ormai più di cinque mila anni fa, le prime piante d’olivo, che allora erano coltivate in pochissime varietà selvatiche diverse ma, sicuramen- te legate fra di loro da un “grado di parentela stretta”
(dovuta ad un’unica tipologia di olivo di partenza), la- sciano le prime coltivazioni della Palestina, del Libano, dell’odierno Israele, e della foce del Nilo, trasportate dalle navi dai primi intraprendenti commercianti, per approdare e “conquistare” le colline prima, e le tavole poi degli abitanti dell’isola di Cipro, dell’isola di Creta come pure delle decine di isole del mare Egeo.
Fra tutte queste, merita sicuramente, una citazione di particolare rilievo ed importanza storica l’isola di Creta.
I primi “esperti agronomi” locali, appoggiati, sostenuti e finanziati dalla volontà del re del palazzo di Cnosso, hanno cominciato a studiare e ad investire sul vario ed eccezionale territorio della loro isola, scoprendone,
15
MEDI_TANDUM | APPROFONDIMENTI_L’OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVAl’esperto
Cristiano De Riccardis
Originario di Galatina, pro- vincia di Lecce, e Piacenti- no di adozione, Cristiano De Riccardis, diplomato Perito Informatico, si stanca presto della routine quotidiana e dal 1998 decide di fare delle sue passioni, il proprio mestiere.
Inizia quindi il suo percorso di formazione, sia affiancando i migliori produttori artigianali, che seguendo le più importanti azien- de del settore di tutta Italia.
Oggi Cristiano è “Assaggiatore professionista in- dipendente di Oli extravergini di oliva”, iscritto al relativo Albo Nazionale; qualificato Capo Panel, per la valutazione organolettica di oli extravergi- ni di oliva, certificati D.O.P e biologici. Grazie alle
grandi esperienze maturate anche nel campo dei prodotti caseari, è un esperto e affermato sele- zionatore ed assaggiatore professionista indipen- dente di formaggi italiani ed internazionali e altri prodotti gastronomici di alta qualità.
Dal 2003 è Docente di “Storia e Tecniche di De- gustazione e Conoscenza di Formaggi”, all’Uni- versità di Scienze Gastronomiche per il Master, in lingua inglese, riservato agli studenti prove- nienti da tutto il Mondo. È, inoltre, Docente di se- minari, Master, corsi di formazione e di aggior- namenti specialistici rivolti sia agli operatori del settore che a consumatori finali ed appassionati gourmet; in italiano quanto in inglese le sue le- zioni sono in grado di trasmettere le migliori co- noscenze dei prodotti gastronomici tradizionali italiani in tutto il mondo.
ETOILEPEDIA
giorno dopo giorno, la sua grande e naturale vocazione per la coltivazione e lo sviluppo della pianta dell’olivo.
Grazie a questi studi ed alla perfetta insolazione, grado di umidità e tipologia di terreni, i cretesi sono riusci- ti a differenziare ed a creare le prime varietà di ulivo non selvatico, perfetto per la produzione di olive sane e di qualità. Per questi motivi, ancora oggi, alcuni dei migliori uliveti del mondo, si trovano su questa iso- la. Ma nel bacino del Mediterraneo, una nuova civiltà stà crescendo e si impone, quella della Grecia. Col crescere del potere e dell’affermarsi dell’egemonia ellenica, i greci non possono non nutrirsi di questa magnifica pianta e dei suoi frutti opportunamente de- amarizzati (venivano lasciate immerse per molti gior- ni in una soluzione di acqua di mare e di soda, così da renderle commestibili).
Nei territori che si riconoscono nella Magna Grecia, da questo momento in poi, fino ad arrivare ai giorni no- stri, la cultura dell’olivo, delle olive e dell’olio da olive, oltre ad essere par- te integrante di uno stesso paesag- gio, continuano ad essere le profonde fondamenta sulle quali si è costruita la solida e forte identità della cultu- ra della civiltà mediterranea, che alla base ha proprio l’olio da olive per uso alimentare, con tutti i piatti tipici che, nei secoli, ne sono derivati.
Ogni “Città Sta- to” ellenica era, inoltre, molto orgogliosa delle diverse varietà di ulivo e di oliva che potevano essere raccolte, in abbondanza, nel loro territorio. Questa naturale dif- ferenziazione, ha contribuito in modo fondamentale a far si che già da allora, nel bacino del Mediterraneo si potessero trovare molte decine, anzi ormai centinaia di varietà di olivi “autoctoni”, profondamente diverse fra di loro.Con l’avvento, prima e l’espansione poi, dell’Impero Romano, la nuova civiltà riceve in dote l’ulivo, ed eredita enormi conoscenze botaniche e tecniche agronomiche di grande importanza. Partendo da questo know-how,
gli agronomi dell’Impero, spinti dal Senato, dai biso- gni sempre crescenti di una città sempre più immensa ed importante come Roma, e dalle forti richieste degli abilissimi commercianti Romani, decidono di trasfor- mare l’agricoltura e di dare un carattere fortemente commerciale alla pianta di olivo e di conseguenza al suo prodotto per eccellenza, l’olio. Vengono studiati i tipi di terreni, le migliori zone collinari, i climi di ogni paese del Mediterraneo, per decidere poi, sulla base di queste informazioni, quali varietà di olivo piantare, e soprattutto imporre che qualità di olio produrre: di qualità e quindi da usare per l’alimentazione quotidia- na, oppure, in grandi quantità e quindi “lampante”, per utilizzarlo nelle lampade ad olio. Così, grazie alle ca- ratteristiche morfologiche dei terreni ed alle eccellenti condizioni climatiche, le immense dolci colline del Sud della Spagna, come pure intere Regioni del Sud del- l’Italia e l’intero bacino del nord Africa, vengono prepo- ste dai centri decisionali e di pianificazione dell’Impero, a produrre la maggiore quantità di olio possibile, rele- gando, così, di conseguenza, la qualità a rare eccezio- ni. Allo stesso modo, mossi da forti interessi economi- ci che miravano a “spuntare” i prezzi più alti possibili, stabilirono “a tavolino” dove produrre oli di alta qualità che, ancora oggi, possono essere così riassunte:
- intere aree dell’Italia del Centro- Nord (come la Li- guria, la Lombardia, il Veneto, il Friuli, le Marche, la Toscana, l’Umbria e l’intero Lazio);
- alcune province della Sicilia (come quelle di Trapani e di Ragusa), e della Puglia (intorno a Bari ed a Foggia);
- la zona dell’attuale Catalogna in Spagna ; - la zona di Kalamata in Grecia;
- ed i migliori uliveti dell’isola di Creta;
Le verdissime distese di ulivi di tante varietà diverse, così perfettamente integrate sia con i paesaggi, che con la cucina Mediterranea delle popolazioni che li po- polano, prosperano e si diffondono sempre di più, fino ad arrivare a ricoprire tutto il Mediterraneo, ed alcuni Paesi del Medio Oriente. Dopo il crollo, traumatico e repentino, dell’Impero romano di Occidente, l’intera civiltà Mediterranea, con la sue culture, la sua econo- mia agricola strettamente legata e dipendente in modo indissolubile, a quella dell’ulivo, hanno un immediato ed inarrestabile declino, seguiti da secoli di buio ed ar- retratezza, che sembrano, senza via di uscita. In questi
MEDI_TANDUM | APPROFONDIMENTI_L’OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA
16 ETOILEPEDIA
1
MEDI_TANDUM | APPROFONDIMENTI_L’OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA anni, alla pari di un monumento di inestimabile valore
artistico, viene minata alla base, quella preziosa, plu- risecolare e radicata “Cultura alimentare di stile Medi- terraneo”, che senza ombra di dubbio ha uno dei suoi pilastri fondamentali proprio sull’olio estratto dalle olive. Infatti, proprio l’olio, più di altre materie prime, viene gradualmente ma inesorabilmente sostituito in moltissime regioni e stati dell’ormai ex impero, da un
nuovo stile di alimentazione (tipico di moltissime po- polazioni del Nord Europa che invadono questi nuovi e fertili territori), che mette al primo posto, come fonte di calorie e di energia, non più il grasso vegetale, ma bensì tutti i grassi di origine animale, primo fra tutti il burro, seguito da strutto e lardo. La cucina/dieta Me- diterranea, così, dopo molti secoli di continua crescita, incalzata dal burro, dallo spopolamento, dalle carestie, LOMBARDIA
CASALIVA GRIGNAN
TRENTINO
LECCINO FRIULI
BIANCHERA VENETO
POVESE FRANTOIO
EMILIA ROMAGNA GHIACCIOLA CORREGGIOLO
LIGURIA TAGGIASCA PIGNOLA
MARCHE MAURINO PENDOLINO
ABRUZZO
DRITTA DI LORETO TORTIGLIONE TOSCANA & UMBRIA
MORAIOLO
FRANTOIO LECCINO
LAZIO RAJA FRANTOIO
CAMPANIA ORTICE
RACIOPPELLA BASILICATA
MAJATICA MOLISE
GENTILE DI LARINO
PUGLIA CORATINA CELLINA DI NARDÒ OGLIAROLA
CALABRIA CAROLEA OTTOBRATICA SICILIA
BIANCOLILLA TONDA IBLEA NOCELLARA DEL BELICE SARDEGNA
BOSANA SEMIDANA
TIPOLOGIE REGIONALI DI OLIVE
ETOILEPEDIA
subisce profonde e radicali trasformazioni che sono proseguite ed hanno avuto influenze negative sull’oli- vo, sul relativo consumo di olio da olive, con immensi uliveti abbandonati a se stessi e che negli anni hanno smesso di fruttificare. A salvare quello che rimaneva della “cultura dell’olivo”, nascono, si insediano e pro- liferano i monasteri di tanti ordini clericali, fra i quali, quelli Benedettini e Cistercensi. Questi frati, attivissimi ed ingegnosi agricoltori-agronomi, si sono distinti per l’abilità e la specializzazione che avevano nelle tecni- che di bonifica e di agricoltura. Come si può leggere da alcuni dettagliati “contratti” che venivano stipulati tra i monasteri ed i contadini affittuari, in molti dei terreni di cui essi disponevano, i frati a volte consigliavano altre volte, invece, dopo avere esaminato le caratteristiche dei terreni, “imponevano” di reimpiantare, fra le varie colture, anche le varietà di piante di olivo più adatte e più resistenti fra quelle che erano rimaste a loro di- sposizione. Seguono secoli di lenta ripresa, milioni di piante di ulivo vengono piantate, e di pari passo, prima i frantoi, che i romani avevano evoluto, e poi l’olio da olive ricomincia a ricomparire sulle tavole dell’Italia
e delle corti spagnole.Per quanto riguarda il nostro Paese, fondamentali per questo ritorno e progressivo sviluppo dell’olio, sono da citare
le Repubbliche Marinare di Genova e Venezia, lo Stato della Chiesa e la Famiglia dei Medici.
Icommerci di olio di qualità e “lampante”, influenzano e caratterizzano ancora una volta, l’economia e l’ali- mentazione del Mediterraneo, basti pensare alle 13 sedi consolari con sede in Gallipoli, volute da altrettanti stati del Nord Europa, con l’obbiettivo principale di su- pervisionare e garantire l’approvvigionamento di enor- mi quantità di olio da olive per i loro mercati e governi.
Con alterni alti e bassi che da sempre interessano tutti i prodotti agricoli, influenzati in modo determinante dalle politiche agricole, dai governi, da re o imperatori che si sono succeduti nello scorso millennio, l’olio di oliva extravergine, sempre di migliore qualità, arriva sulle tavole delle famiglie, nelle cucine e nelle creative mani degli chef di tutto il mondo, che da questo mo- mento in poi, ed oggi, sempre di più, non ne potranno più fare a meno, insostituibile, per preparare e condire tutte quelle ricette regionali, piatti nazionali, antiche ri- cette regionali, come pure modernissimi piatti di “cuci- na creativa”, da sempre unite da un “filo di olio”.
Specialità tipiche, così ricche e forti di storia, tradizioni e soprattutto “cultura mediterranea”, come quelle raccolte in questo libro, e che proprio grazie all’olio extra vergine di oliva, si sono, e sempre più si stanno affermando sulle tavole di tutto il mondo gastronomico.
MEDI_TANDUM | APPROFONDIMENTI_L’OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA
18 ETOILEPEDIA
FASI DI ESTRAZIONE DELL’OLIO EXTRAVERGINE D’OLIVA
ARRIVO DELLE OLIVE IN FRANTOIO E STOCCAGGIO DELLE OLIVE PER POCHE ORE, ALL’INTERNO DI
APPOSITI CASSONI DI PLASTICA FORATI
FASE DI DEFOGLIAZIONE, GRAZIE A SOFFI D’ARIA
LAVAGGIO DELLE OLIVE, PER TOGLIERE POLVERE ED IMPURITÀ METODO TRADIZIONALE TRAMITE PRESSIONE
O DISCONTINUO
MACINAZIONE, FRANGITURA TRAMITE MOLAZZE ROTANTI CON PESANTI MACINE IN GRANITO O
PIETRA COLOMBINA, PER ALMENO 30 MINUTI
SI OTTIENE UNA PASTA DI OLIVE CHE DEV’ESSERE DISTRIBUITA SU APPOSITI DISCHI FILTRANTI, REA- LIZZATI IN NYLON INTRECCIATO, CHIAMATI “FISCOLI”
SI DEVONO IMPILARE UNA CINQUANTINA DI QUESTI FISCOLI, SU APPOSITI CARRELLI DOTATI DI FORO
IL CARRELLO VIENE MESSO SOTTO DELLE POTENTI PRESSE IDRAULICHE, PER CIRCA 25’
IN UN POZZETTO POSTO SOTTO AI CARRELLI, SI RACCOGLIE L’OLIO, MISCHIATO A MOLTA ACQUA DI VEGETAZIONE CONTENUTA NELLE OLIVE
QUESTO MIX, COMPOSTO DA UNA MEDIA DI 85-90%
DI ACQUA DI VEGETAZIONE E DI 10-15% DI OLIO EX- TRAVERGINE DI OLIVA, VIENE POMPATO ALL’INTER-
NO DI UN’APPOSITA MACCHINA ESTRATTIVA, CHIAMATA CENTRIFUGA VERTICALE
IN POCHI SECONDI, GRAZIE ALLA ROTAZIONE CHE NE SFRUTTA IL DIVERSO PESO SPECIFICO, SI SEPA- RA L’OLIO EXTRA VERGINE DI OLIVA DALL’ACQUA
L’OLIO EXTRA VERGINE DI OLIVA, FILTRATO O NON FILTRATO, PUÒ ESSERE IMBOTTIGLIATO
ARRIVO DELLE OLIVE IN FRANTOIO E STOCCAGGIO DELLE OLIVE PER POCHE ORE, ALL’INTERNO DI
APPOSITI CASSONI DI PLASTICA FORATI
FASE DI DEFOGLIAZIONE, GRAZIE A SOFFI D’ARIA
LAVAGGIO DELLE OLIVE, PER TOGLIERE POLVERE ED IMPURITÀ
METODO MODERNO CONTINUO,
TRAMITE CENTRIFUGAZIONE CON “DECANTER”
FRANGITURA, IN POCHI MINUTI, TRAMITE VELOCISSIME LAME O MARTELLI, CHE RUOTANO
ALL’INTERNO DI UN INVOLUCRO DI METALLO
SI OTTIENE UNA PASTA DI OLIVE, FINEMENTE SMINUZZATA, MA MOLTO EMULSIONATA
LA PASTA VIENE POMPATA IN UNA MACCHINA CHIAMATA “GRAMOLATRICE” CHE DEVE RIMESCO- LARLA LENTAMENTE PER TOGLIERE L’EMULSIONE
DOPO CIRCA 25-30’, LA PASTA VIENE POMPATA IN UNA POTENTE E MODERNA MACCHINA ESTRATTIVA,
IL ”DECANTER“ O CENTRIFUGA ORIZZONTALE
SFRUTTANDO LA CENTRIFUGAZIONE E IL DIVERSO PESO SPECIFICO DI SANSA, ACQUA DI VEGETAZIONE E
OLIO, IN POCHI SECONDI SEPARA ED ESTRAE L’OLIO
L’OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA, FILTRATO O NON FILTRATO, PUÒ ESSERE IMBOTTIGLIATO
1
MEDI_TANDUM | APPROFONDIMENTI_L’OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA
ETOILEPEDIA
ETOILEPEDIA
ETOILEPEDIA
APPRoFoNDIMENTI: il grano e la farina
Il frumento è stato tra le prime piante ad essere col- tivate. Il centro della sua domesticazione è stato iden- tificato, dagli archeologi, in diverse località dell’ampia area che dai rilievi iraniani e dalle montagne dell’Ana- tolia raggiunge la costa della Palestina comprenden- do la valle del Tigri-Eufrate, l’area che per la forma è stata definita la “Mezzaluna fertile”. Recenti studi, condotti comparando il corredo genetico dei frumenti selvatici tuttora esistenti e di quelli coltivati, ha fissa- to la culla della coltivazione sui monti Karacadag, una catena posta tra l’alveo del Tigri e quello dell’Eufrate, praticamente nel centro geometrico della Mezzaluna Fertile. Gli archeologi e gli storici hanno evidenziato l’importanza che la coltura del frumento ha svolto per sospingere le prime società umane a forme di orga- nizzazione più complesse. Il frumento ha costretto, in questi termini, l’uomo a organizzare la società ci- vile.
Il grano, detto anche frumento, è una pianta erbacea annuale facente parte delle Graminacee; appartiene al genere Triticum, che si divide in Tri- ticum durum (grano duro) e Triticum vulgaris (grano tenero); dal primo tipo si estrae la farina di grano duro, dal secondo, la farina di grano tenero.
Le farine di grano duro sono di colore leggermente giallo- gnolo (colore che si ripercuote anche sui prodotti con essa ottenuti), più granulose al tatto e sono utilizzate soprattutto per preparare paste alimentari e, nel meri- dione d’Italia, alcuni tipi di pane (famoso, per esempio, quello di Altamura); si trovano spesso in vendita con la definizione di “semolato di grano duro” oppure “sfa- rinato di grano duro”. Quelle di grano tenero, invece, sono di colore bianco, hanno una consistenza quasi“polverosa” e sono sicuramente quelle più usate in pa-
sticceria e nella panificazione.
L’industria che provvede alla macinazione del frumen- to si chiama molitoria. I moderni mulini sono organiz- zati in tre sezioni distinte: nei silos vengono conserva- te le scorte di frumento, che deve stazionare ad una temperatura e ad una umidità particolare per evitare il formarsi di muffe; nella sala di macinazione ci sono le macine che trasformano, con il cosiddetto meto- do della macinazione a cilindri, il frumento in farina;
nel magazzino vengono conservati i sacchi di farina in attesa della spedizione. Il grano viene prelevato dai silos e lavato da tutte le impurità, dalle più grossola- ne (come pietre, sassi e paglia) a quelle più fini; dopo questa pulitura preliminare, viene inviato nella sala di macinazione, dove vi sono diverse macchine disposte in file parallele: questo perché ognuna riceve il “maci- nato” dalla macchina precedente. La prima operazio- ne è quella di rottura: il frumento proveniente dal silos entra nella prima macchina, dove viene “rotto” da due coppie di cilindri metallici che ruotano in senso oppo- sto l’uno all’altro; questi cilindri possiedono rigature trasversali che rompono il chicco. Il macinato cade su un setaccio oscillante che trattiene i frammenti piè grossi (crusca) e fa passare quelli più piccoli, costituiti da farina grossolana mescolata a crusca: questa ope- razione si chiama abburattamento (cioè setacciatura).
Poi il procedimento si ripete nelle altre macchine, dove i cilindri sono sempre più ravvicinati e i setacci più fitti.
Infine, il prodotto delle operazioni precedenti è avvia- to alla rimacina, cioè alle macchine con rulli perfet- tamente cilindrici e molto ravvicinati: si ottiene così la farina grossolana (tipo 2), fine (tipo 1), molto fine (tipo 0) e finissima (tipo 00).
Infatti, a seconda del grado di abburattamento, ovvero del grado di raffinazione del chicco e quindi la divisione dei diversi elementi di cui è composto, le farine di gra- no tenero si distinguono in:
TIPO 00 • TIPO 0 • TIPO 1 • TIPO 2 • INTEGRALE
La legge italiana definisce con la dicitura”00” la farina che ha subito abburattamento del 50%; farina “0” quel- la abburattata al 72%, farina “1” quella all’80% e farina
22
MEDI_TANDUM | APPROFONDIMENTI_IL GRANO E LA FARINAETOILEPEDIA
“2” quella il cui grado di abburattamento e’ de11’85%;
la farina integrale invece ha subito solo un primo pro- cesso di macinazione, senza ulteriori buratti. Le sigle 00, 0, 1, 2 ed integrale, in questo ordine rappresentano farine con un contenuto di crusca crescente; quindi la 00 è la più raffinata, mentre la 2 è quella più vicina al- l’integrale che contiene invece tutte le parti del chicco di grano. Le farine più fini e bianche con maggior tasso di abburattamento (per intenderci quelle di tipo 00 o 0) provengono dalla parte più interna del chicco, sono più ricche di amido ma più povere di fibre, proteine, vitamine, grassi ed enzimi (tutte sostanze contenute in
maggior quantità nella parte esterna del chicco, che viene asportata) rispetto a quelle più grosse (tipo 1 o 2), favoriscono però la riproduzione dei lieviti e lo sviluppo del glutine.
La proprietà più importante della farina di grano, quel- la che la rende l’ingrediente principale della cucina europea, è che a contatto con l’acqua due proteine, la gliadina e la glutenina reagiscono e formano il glutine, una proteina complessa che crea un reticolo all’inter-
no della massa di farina e acqua, rendendola compat- ta, elastica e capace di trattenere i gas che si sviluppa- no al suo interno, che così formano bolle: questo dà al pane e agli altri prodotti lievitati la caratteristica strut- tura spugnosa. A seconda di quanto glutine contiene una data farina, l’impasto con l’acqua sarà più o meno resistente ed elastico, e varierà anche il tempo neces- sario per la lievitazione. Tecnicamente, la forza di una farina si indica con il fattore di pianificabilità W, che però di norma non è indicato nelle confezioni in com- mercio in quanto decifrabile solo dai tecnici del settore (panificatori, pasticcieri ecc.). Un alto valore di W in- dica un’elevata quantità e un’alta qualità del glutine;
questo vuol dire che la farina assorbirà molta acqua e che l’impasto sarà resistente e tenace, e che lievite- rà lentamente perché le maglie del reticolo di glutine saranno fitte e resistenti. Viceversa, un W basso indica una farina che ha bisogno di poca acqua e che lievita in fretta, ma che darà un impasto (e un pane) leggero e poco consistente. Il valore di W si misura per ogni fari- na in base a prove meccaniche su impasti standard.
La farina in vendita nei normali negozi e supermerca- ti varia fra i 150W e i 200W, ma si può trovare anche la Manitoba, con circa 400W, per miscelarla alla fa- rina “normale” e ottenere la forza voluta. Il frumento rappresenta nell’alimentazione Mediterranea uno dei principali elementi, poiché trasformato in maniera differente a seconda delle culture e delle esigenze di ogni singolo popolo, diventa ingrediente essenziale per la preparazione di prodotti popolari e di largo consu- mo.
Il grano e la farina cambiano for- ma e nome:pane, pasta, bulgur, cus cus, pitta, brick, ma hanno un posto fondamentale nella tradizione Medi- terranea come componente primaria dell’alimentazione, al punto che il ter- mine “pane” può diventare sinonimo di
“cibo” o di “nutrimento”.
La storia del pane si perde nella notte dei tempi: già l’homo sapiens era ca- pace di preparare un pane a base di cereali cotto su di una pietra rovente. Ma furono gli Egizi intorno al 3.500 a.C, a scoprire la fermentazione, dopo che un impasto23
MEDI_TANDUM | APPROFONDIMENTI_IL GRANO E LA FARINAfino a 10W (DEBOLE)
Per biscotti, cialde, grissini, dolci friabili, besciamella e per addensare salse.
Assorbe circa il 50% del suo peso in acqua.
da 180W a 260W (MEDIA)
Per pane francese, panini all’olio, pizza e pasta.
Assorbe dal 55% al 65% del suo peso in acqua.
da 280W a 350W (FORTE) Per pizza, pasta all’uovo e pasticceria a lunga
lievitazione (babà e brioches).
Assorbe dal 65% al 75% del suo peso in acqua.
oltre i 350W (SPECIALE) In genere fatta con particolari tipi di grano, viene usata per “rinforzare” farine più deboli, mescolandovele, oppure per prodotti particolari.
Assorbe fino al 90% del suo peso in acqua.
FATTORE PANIFICABILITà
ETOILEPEDIA
lasciato all’aria e cotto il giorno successivo risultò es- sere più soffice e fragrante. Per gli Egizi il pane non era soltanto fonte di cibo ma anche simbolo di ricchezza.
Per le genti del Mediterraneo il pane ha rappresentato simbolo di ricchezza sino ai nostri giorni. Il pane è sim- bolo di ricchezza ma anche di fatica, ecco perché nella cultura gastronomica Mediterranea il pane trova uti- lizzo non soltanto come accompagnamento al “com- panatico”, ma viene utilizzato interamente, neanche un pezzettino di pane deve essere gettato: grattugiato, ammorbidito con il brodo, come elemento addensante di minestre, negli impasti e nei ripieni. La cucina tipica di ogni angolo del Mediterraneo è ricca di preparazioni a base di pane e questi piatti fanno parte delle tradizio- ni più antiche e radicate.
Nella storia comune delle genti del Mediterraneo c’è sem- pre stato grande rispetto per il pane e per la fatica che questo richiede per prepararlo.
Ma l’importanza del pane è anche racchiusa nella simbologia religiosa che questo “cibo”ha per diversi culti. Per la religione Cristiana il pane è il Corpo di Cristo, spezzato durante l’ultima cena e rappresenta il simbolo di “comunione” e di “condivi- sione”; per gli Ebrei il pane azzimo è consumato nel giorno della commemorazione dell’Esodo dall’Egitto, quando il popolo d’Israele in fuga dalla schiavitù non ebbe tempo di far lievitare il pane. In tutto il bacino del Mediterraneo si confezionano svariati tipi di pane con- fezionati non solo con frumento, ma anche con altri ce- reali come l’avena, l’orzo e il mais, che possono essere arricchiti con olio, latte, erbe aromatiche e spezie. Il pane (dal latino panis) è un prodotto ottenuto dalla lie- vitazione e successiva cottura in forno di un impasto a base di farina o altri cereali e acqua, confezionato con diverse modalità, arricchito e caratterizzato sovente da ingredienti prettamente regionali. Le ricette più diffuse per la preparazione del pane prevedono pressappo- co l’impiego di due parti di farina di frumento e una di acqua, in parte freschi e in parte provenienti da un impasto precedente (lievito naturale o cosiddetta pa- sta madre); ne esistono tuttavia innumerevoli varianti in base al tipo di farine usate in aggiunta, oppure in sostituzione. Quasi sempre all’impasto di base per il pane viene aggiunto del sale durante la stessa fase di
preparazione. Ugualmente possono essere aggiunti anche olio, burro, strutto e altri grassi.
Nella tradizione Mediterranea il pane è sempre stato di primaria importanza e proprio per questo le sue genti sem- pre in movimento, dedite alla pastori- zia e alle attività marinare,mosse dal- lo spirito nomade che le accomuna, hanno “creato” dei pani adatti ai lunghi spostamenti.
Nascono così i pani “biscottati”, cioè quei pani che subivano una seconda cottura che permetteva di perdere tutta l’umidità e quindi di poter essere conservati e trasportati per poi essere bagnati e conditi con pochi ingredienti poveri e con l’immanca- bile olio. Ancora oggi il pane “caliatu” è presente tra i tanti prodotti tipici regionali. Alcuni tra i pani” biscot- tati”: Le frise, spesso preparate con aggiunta di farina d’orzo, sono pani secchi a forma di ciambella. Erano la risorsa alimentare principale per i marinai. Venivano infatti legate con una con una corda, come una collana, e appese all’aria nel punto più riparato della barca. Al momento di consumarle, si bagnavano e si condivano con olio, capperi, alici e origano: tutti ingredienti facili da conservare e trasportare.Il pane carasau, invece, è legato al mondo della pa- storizia. Questo pane infatti per le sue caratteristiche particolari permetteva ai pastori impegnati nella cura delle greggi di avere sempre a disposizione un alimen- to che non aveva problemi di conservazione. Una volta cotto veniva tagliato dalle donne, a forma di cuneo, in quanto quella era la forma della tasca a tracolla che i pastori utilizzavano per conservarlo. Il pane arabo e la Pita ci giungono dalla tradizione dei nomadi del deser- to Questo popolo non aveva bisogno di forni per cuo- cere il proprio pane. L’impasto di farina e acqua era steso in sottili sfoglie che venivano cotte direttamente sulle pietre incandescenti o su di una placca di ferro arroventata sulle braci a carbone. Le gallette che se ne ottenevano erano sottili e croccanti. Dalla farina di gra- no duro si ottiene la pasta, altro prodotto fondamenta- le nell’alimentazione Mediterranea. La parola “pasta”
deriva probabilmente da un termine greco che significa
“farina mista a liquido” ed è difficile attribuire a qual-
2
MEDI_TANDUM | APPROFONDIMENTI_IL GRANO E LA FARINAETOILEPEDIA
cuno la paternità di avere per primo mescolato grano polverizzato ad acqua così da ottenerne un impasto per uso alimentare. Già Cicerone e Orazio, 100 anni prima di Cristo, sono ghiotti di làgana (termine che deriva dal greco laganoz da cui il latino làganum che designava una schiacciata di farina, senza lievito, cotta in acqua, la cui forma plurale làgana indica strisce di pasta sot- tile fatte di farina e acqua, da cui derivano le nostre lasagne). Ma fu Apicio a lasciarci la prima vera docu- mentazione sull’esistenza di un composto assai simile alla nostra pasta; nel suo “De re coquinaria libri” infatti egli descrive un timballo racchiuso entro làgana. Dal 200 d.C. fino almeno all’anno mille non ci sono più no- tizie documentate.
Si pensa che la Pasta, intesa non già come composto generico, ma proprio come maccheroni, sia originaria della Sicilia: nella località di Trabìa, presso Palermo, si fabbricava un particolare cibo di farina in forma di fili, chiamato con il vocabolo arabo “itriyah”.Ancora oggi la pasta tagliata a striscioline e seccata viene chiamata itrija e lo stesso vocabolo “tria” sopravvive ancora in molti paesi della Sicilia e della Puglia.
Il fatto che in arabo esistesse il termine per de- signare questo cibo in forma di fili ci lascia supporre che siano stati gli ara- bi a “creare” gli spaghetti, ma nessun documento lo conferma.
Il termine macche- roni non ha un’etimologia precisa. Era spesso usato inizialmente per designare paste variamente ripiene, sul modello dei ravioli, successivamente il vocabolo macaoni era impiegato per indicare piccoli gnocchetti di semola , del tipo dei “malloreddus” sardi. Le pro- babili origini della parola riconducono a due possi- bili etimologie: al basso greco macaria, che indicava un impasto di orzo e brodo, oppure al greco classico macar cioè felice, beato e quindi cibo dei beati. Fino al Settecento esiste comunque una gran confusione; i tipi diversi di pasta vengono etichettati normalmente come maccheroni finché, i napoletani, divenuti mangia mac- cheroni, si appropriano del termine e lo usano quasi esclusivamente per identificare paste lunghe trafilate:ormai i maccheroni rientrano nell’alimentazione pres- soché quotidiana del popolo, intesi come cibo sempli- ce, povero, ma soprattutto nutriente e veloce. Agli inizi
dell’Ottocento le prime fotografie mostrano i macche- ronari agli angoli delle strade intenti a cuocere in enor- mi pentoloni la vivanda e a servirla, appena cosparsa di formaggio grattugiato ed insaporita di pepe, ai viandanti che mangiano davanti al banco senz’altro ausilio che le mani.
Nella tradizione gastronomica re- gionale Italiana, la pasta intesa come cibo povero e di largo consumo, trova molteplici espressioni nella pasta fat- ta a mano di produzione casalinga.
Non c’è regione Italiana che non abbia il suo formato tipico, la cui preparazione era delegata alle sapienti mani del- le donne. Nelle regioni più povere la pasta è preparata unicamente con semola di grano duro e acqua, in altre l’impasto si arricchisce di fior di farina e uova. L’impa- sto è steso sulla spianatoia, una larga tavola di legno senza nodi, avvallamenti o rigature, che è il miglior ri- piano per confezionare le paste fresche in quanto il le- gno toglie umidità agli impasti per non dover eccedere con la farina di spolvero, e trasmette la sua rugosità alle paste, conferendole un particolare ruvidità e pia- cevolezza al tatto. Per dare alla pasta le forme più di- sparate, vengono utilizzati pettini, ferri da calza o ferri a sezione quadrata. La pasta, introdotta dagli arabi in Sicilia e in Spagna, è anche presente nella cultura ali- mentare islamica ed ormai in tutta quella dei paesi del Mediterraneo. Oltre le già citate itryya diverse sono le preparazioni, più o meno simili alle paste italiane:Rishtâ o itryya (da cui alatria in catalano) simili a spa- ghetti
Reshteh simili ai cappellini
Shaïriyya, (da sha’r, «capello») pasta corta cotta in bro- do
Fidäwish (da cui lo spagnolo fideos) simili a fidelini, uti- lizzati nei paesi del Maghreb per minestre di verdure e carne secca.
La pasta fresca, in realtà è stata essiccata inizialmente dalle popolazioni Beduine del deserto, che in questo modo potevano disporre di scorte alimentari anche in condizioni ambientali sfavorevoli. Dall’iniziale essicca- mento delle paste alimentari per esposizione al sole, si è nel corso dei secoli passati ad una produzione indu- striale della pasta che permetteva una conservazione più lunga del prodotto ed una commercializzazione più
25
MEDI_TANDUM | APPROFONDIMENTI_IL GRANO E LA FARINAETOILEPEDIA
agevole. Per poter produrre la pasta industriale. Il gra- no viene dapprima selezionato in base alle sue caratte- ristiche chimico-fisiche. Successivamente viene prima setacciato per essere ripulito dalle impurità del rac- colto e poi molito per ottenere le semole delle qualità migliori. Per la produzione della pasta viene esclusi- vamente utilizzata semola di grano duro. La semola di grano duro viene impastata con acqua pura. In questo modo l’amido e le proteine si legano all’acqua ed inizia a formarsi il glutine, una rete proteica che lega i gra- nuli d’amido idratati. L’impasto i questo modo assume il suo caratteristico aspetto.
La pasta quindi è un alimento ottenuto esclusivamente dalla lavorazione della semola con ac- qua, senza aggiunta di sale, coloranti o conservanti.
Una volta ottenuto l’impasto, que- sto è trafilato attraverso appositi stampi che conferi- scono alla pasta le innumerevoli forme. La pasta viene quindi immessa negli essiccatoi per eliminare l’acqua in eccesso che l’impasto ancora contiene. La durata del processo di essiccamento varia a seconda della di- mensione del formato di pasta. Questo è il processo tradizionale di preparare la pasta in Italia, che ne con- traddistingue l’eccellente qualità. Le paste prodotte in altri Paesi, completamente o con parte di sfarinati di grano tenero, devono riportare una delle denominazio- ni di vendita seguenti:Pasta di farina di grano tenero: se ottenuta totalmente da sfarinati di grano tenero.
Pasta di semola di grano duro e di farina di grano te- nero: se ottenuta dalla miscelazione dei due prodotti con prevalenza della semola.
Pasta di farina di grano tenero e di semola di grano duro: se ottenuta dalla miscelazione dei due prodotti con prevalenza della farina di grano tenero.
Oltre alla farina di grano tenero e alla semola di gra- no duro che sono le più usate, se ne possono lavorare numerose altri come quelli di farro, di riso, di orzo, di castagne, di grano saraceno, ecc. Ognuna di queste fa- rine conferirà il proprio carattere incidendo sia nel gu- sto, sia nella consistenza. Nella scelta degli sfarinati, è di fondamentale importanza tenere presente il loro contenuto in glutine perché influisce nella tenuta del- l’impasto e nella resistenza alla cottura che aumen-
tano proporzionalmente ad esso. Durante la cottura, infatti, le due proteine gliadina e glutenina contenute negli sfarinati si legano all’acqua formando una specie di rete. Le proteine della semola formano una rete a maglie strette imprigionando l’amido che renderebbe collosa la pasta; quelle della farina di grano tenero for- mano una rete a maglie larghe che più difficilmente trattiene l’amido della pasta che tenderà a scuocere.
La pasta è ormai identificata nel mon- do come l’emblema della cucina Me- diterranea e di quel sistema alimen- tare noto come “Dieta Mediterranea”, i cui effetti benefici sono riconosciuti non solo per lo spirito ma anche per la salute.
Tra i prodotti della semola del Triticum Du- rum, gioca un ruolo importante nella cultura alimen- tare mediterranea il cus cus, anche se oggi con questo nome si intendono anche alimenti preparati con altri cereali come orzo, miglio,riso mais, kamut. La storia del cus cus comincia tra gli imazighen, i berberi, il po- polo autoctono delle valli e delle montagne del Nord Africa le cui origini sono molto antiche. Con i cereali che coltivavano, come il frumento, ma soprattutto orzo e miglio erano soliti preparare delle pappe con acqua o latte. Il cus cus con la sua sofisticata cottura a va- pore ne è un ulteriore sviluppo ed è diventato un cibo fortemente legato alle tradizioni conviviali e religiose del Maghreb, approdando anche sulle tavole sicilia- ne e rinnovando ancora oggi il legame con la cultura araba. Il termine cus cus indica sia la “semola” che il piatto completo.L’usanza vuole che il cus cus sia servito in un enorme piatto ro- tondo, dal quale attingono tutti i com- mensali, dopo il rituale Bismallah (”in nome di Dio”), e sottolinea la natura conviviale di questo piatto.
La tradizione vuole che lo si mangi con le mani, prendendo un pezzo di carne o di verdure e formando una pallina con la semola. Il cus cus rappresenta il piatto unico per an- tonomasia e in alcune regioni viene chiamato ta’am o anche ‘aish, letteralmente “cibo” e “vita. Per preparare i chicchi di cus cus si utilizza la semola (grano duro26
MEDI_TANDUM | APPROFONDIMENTI_IL GRANO E LA FARINAETOILEPEDIA
macinato grossolanamente) o, in alcune regioni, orzo o miglio macinati grossolanamente. La semola viene aspersa d’acqua e lavorata con le mani per farne pal- lottoline, che vengono spolverate di semola asciutta per tenerle separate, e poi passate al setaccio. Le pal- lottoline che sono troppo piccole per costituire i chicchi di cus cus passano attraverso il setaccio e vengono di nuovo cosparse di semola asciutta e lavorate a mano.
Questo processo continua fino a che tutta la semola è stata trasformata nei minuscoli chicchi del cus cus.
Questo procedimento richiede una lavorazione molto prolungata. Nella società tradizionale le donne sole- vano radunarsi a gruppi per vari giorni per preparare insieme una grande quantità di cus cus in grani. Questi ultimi, seccati al sole, potevano poi durare per parec- chi mesi. Al giorno d’oggi, la produzione del cus cus è in gran parte meccanizzata, e questo prodotto vie- ne venduto sui mercati di tutto il mondo. Allo stesso modo si possono preparare le pallottoline di berkukes, o cus cus israeliano che si differenziano per essere più grosse dei chicchi del cus cus normale. Il cus cus dove essere cotto al vapore due o anche tre volte. Quando è cotto è morbido e leggero, non dove essere gommoso né formare grumi. Il cus cus che si trova in commer- cio è solitamente passato al vapore una prima volta e poi essiccato, e le istruzioni sulle confezioni consi- gliano di aggiungervi un po’ di acqua bollente o bro- do per renderlo pronto al consumo. Questo metodo è rapido e facile da preparare: basta mettere il cus cus in una ciotola e versarvi sopra l’acqua o il brodo bol- lente, coprendo poi la ciotola con un foglio di plastica.
Il cus cus si gonfia e nel giro di pochi minuti è pronto da servire, dopo averlo rimescolato con una forchet- ta. Il metodo tradizionale Nordafricano per la cottura del cus cus prevede l’uso di un recipiente per la cot- tura a vapore chiamato taseksut in berbero, kiskas in arabo o cuscussiera (couscoussier o couscoussière in francese). La base è una pentola di metallo allunga- ta a forma bombata in cui si cuociono le verdure e la carne in umido. Sopra questa base viene collocato il recipiente dal fondo forato in cui il cus cus si cuoce a vapore assorbendo i sapori del brodo sottostante. Se l’incastro tra il bordo della pentola inferiore e il reci- piente superiore non è ermetico, spesso viene posto uno strofinaccio umido per non far fuoriuscire il vapore
dai lati.
Ormai il cus cus è entrato nel- la cultura gastronomica di tutti i paesi Mediterranei e non solo. Il cus cus, è riuscito a sintetizzare in sé il globale e il locale. Ovunque sia approdato, in giro per il mondo, il piatto ha sposa- to le caratteristiche del territorio, le- gandosi profondamente alle tradizio- ni, religiose e conviviali dei popoli che l’hanno accolto.
Dal grano si ottiene ancora un altro prodotto, estremamente diffuso nei paesi Medio Orientali che si affacciano sul Mediterraneo: Il Bulgur.Il Bulgur è costituito da frumento integrale e che su- bisce un particolare processo di lavorazione; i chicchi di frumento vengono cotti al vapore e fatti seccare, poi vengono macinati e ridotti in piccoli pezzetti. Esistono diverse forme di Bulgur, a seconda della grandezza dei pezzetti: le pezzature più grandi sono utilizzate per preparare minestre, quelle più fini per piatti freddi ed insalate. Il Bulgur confezionato può essere acquistato nelle erboristerie, nei negozi di cibo biologico e nei ne- gozi di cibi etnici. Il Bulgur non necessita di una vera e propria cottura, è sufficiente metterlo in un contenito- re, versare acqua bollente e lasciarlo riposare per 10 -30 minuti (a seconda della pezzatura), per farlo rei- dratare; utilizzate una quantità di acqua pari al doppio del volume di Bulgur (per esempio, una tazza di Bulgur e due tazze di acqua bollente).
2
MEDI_TANDUM | APPROFONDIMENTI_IL GRANO E LA FARINA
ETOILEPEDIA
ETOILEPEDIA
APPRoFoNDIMENTI:
la frutta secca
Nella cucina mediterranea è ampiamente diffusa l’abitu- dine medio-orientale di utilizzare la frutta secca. Quest’ul- tima dava infatti forza ai nomadi del deserto durante le grandi attraversate, ovviando in qualche modo alle caren- ze alimentari dovute alle condizioni disagevoli del deserto.
Dobbiamo proprio a loro, alle popolazioni arabe infatti, la diffusione della cultura e dell’utilizzo gastronomico della frutta secca in tutti i paesi del bacino del Mediterraneo.
Col termine “frutta secca” si intendono tutti quei frutti oleosi caratterizzati da un guscio legnoso, più o meno duro, all’in- terno del quale è presente il seme com- mestibile: i più comuni sono, mandorle, noci, nocciole, pinoli e pistacchi.
Alla stessa categoria appartengono anche tutti quei frutti essiccati come l’uva, i fichi, i datteri, le castagne e le prugne. La frutta secca quindi si può suddividere in due categorie:quella glucidica (ricca di zuccheri e povera di grassi) e quella lipidica o oleosa (ricca di grassi e, viceversa, povera di zuccheri)
LA FRUTTA SECCA OLEOSA
La frutta secca lipidica, è ricchissima di grassi, poiché ne contiene una quantità dal 50% al 65%, e quindi di calorie (più di 500 kcal per 100 grammi). Il potere nutritivo così elevato le rende un alimento con indice di sazietà piuttosto basso, sebbene più elevato rispetto ad altre fonti di grassi come gli oli, la maionese e il burro. Occorre quindi valutare sempre con attenzione le quantità assunte, per non com- promettere il bilancio calorico giornaliero. Tuttavia può essere importante assumere una certa quantità di frutta secca lipidica ogni giorno (soprattutto le noci), in quanto i grassi in essa contenuti sono in prevalenza mono e po- linsaturi benefici per la salute delle arterie. Le noci, per esempio, sono una delle rare fonti di acido linolenico, un acido grasso essenziale che dobbiamo necessariamente assumere con l’alimentazione. Alcuni tipi di frutta secca lipidica sono buone fonti di vitamina E, che funge da pro- tettrice contro l’irrancidimento dei grassi insaturi presenti
all’interno di questi alimenti.
Qualità organolettiche: la freschezza è di certo il requisito fondamentale conservare le caratteristiche organolettiche del prodotto. I grassi polinsaturi presenti nella frutta sec- ca lipidica vanno facilmente in contro ad irrancidimento provocando lo scadimento del sapore, inoltre un prodot- to mal conservato o troppo vecchio perde la croccantezza dovuta alla tostatura.
La mandorla
La mandorla si presenta come una drupa verde, a forma ovoidale con endocarpo legnoso contenente uno o due semi oleosi commestibili, di sapore dolce o amaro secon- do la varietà. Le mandorle vengono consumate fresche o abbrustolite. Sono utilizzate per la produzione di dolciumi (confetti, torrone, pasta di mandorle), bibite (orzata, latte di mandorle) o per l’estrazione dell’olio, usato in cosmesi per le proprietà emollienti. Le mandorle amare sono usate in medicina e in profumeria. Originaria della Mesopota- mia, oggi viene prodotta in tutto il bacino del Mediterra- neo ed in California e Sud America. Maggiori varietà o tipi commerciali: Avola, Tuono, Fellamasa, Prima Bari, P.G., Caterina (Italia); Nonpareil, California, Carmel, Mission, Monterey, Sonora (California); Valencia, Marconas, Molla- res, Larguetas (Spagna); Nonpareil, California type (Cile e Australia); Faro (Portogallo). Le mandorle hanno un alto contenuto di acidi grassi insaturi, che costituiscono il 93%
del loro contenuto totale di grassi. Il più importante di que- sti è l’acido oleico.
Un consumo frequente aiu- ta a ridurre il livello di colesterolo in ge- nerale e del colesterolo “cattivo” o LDL, mentre costruisce il colesterolo “buono”
o HDL
. Grazie al loro alto contenuto di vitamina E, le mandorle forniscono una extra dose di antiossidanti, che giocano un ruolo importante nella prevenzione delle ma- lattie coronarie e del cancro. Una porzione di 30 grammi di mandorle fornisce il 50% del fabbisogno quotidiano di vitamina E. In quantità inferiore contengono anche vita- mina B6. Le mandorle possiedono il più alto contenuto di fibre tra tutta la frutta secca, le fibre facilitano e regolano il transito intestinale, evitando stipsi e prevenendo malat- tie cardiovascolari. Le mandorle sono un’importante fonte di minerali, come il calcio, necessario per la formazione ed il mantenimento di ossa e denti, magnesio, potassio,2
MEDI_TANDUM | APPROFONDIMENTI_LA FRUTTA SECCA
ETOILEPEDIA
fosforo e zinco. La notorietà della pianta, dal punto di vista alimentare e farmacologico, risale sin dall’anti- ca Roma, dove il frutto era menzionato nelle opere di Plinio nel I secolo d.C. Il frutto di questa pianta, il cui legno è anche richiesto per lavori di tornio ed intarsio, è utilizzato nella preparazione di confetti, torroni, ama- retti, croccanti, marzapane, panforte, oltre che per il classico “latte di mandorle”. L’olio viene usato diretta- mente o per la preparazione di unguenti, emulsioni e saponi medicinali.
La nocciola
La nocciola è originaria dell’Asia Minore (anche se in Svizzera sono state trovate nocciole fra reperti risalenti all’età del rame); era già conosciuta nell’antica Roma dove si regalavano piante di nocciolo per augurare fe- licità; in Francia durante l’Ancien Régime si regalava agli sposi come simbolo di fecondità. In Italia il noc- ciolo (Corylus avellana) è coltivato in diverse regioni centrali e meridionali (nelle province di Viterbo, Napoli, Avellino, Messina), ma si trovano coltivazioni di noccioli anche in Piemonte (Alba, Cuneo). Le varietà coltivate, a frutto tondo o a frutto allungato sono varie: tra le più pregiate la tonda gentile, la nocella bianca e nocella rossa. Le nocciole vengono utilizzate per la produzione di dolciumi (torrone, cioccolato) e da esse si ricava un olio usato come commestibile, lubrificante e per sapo- ni. Maggiori varietà o tipi commerciali: Tonda Gentile delle Langhe, Tonda Gentile Romana, Tonda di Giffo- ni, Mortarella, Lunga S.Giovanni , Tonda Napoli, Tonda Siciliana (Italia); Karafindik, Mincane, Tombul, Palaz, Fosa (Turchia); Barcelona, Ennis (Oregon (U.S.A.); Ne- greta, Tarragona (Spagna); Fertil de Coutard (Francia).
Le varietà “Tonda Gentile delle Langhe” e “Tonda di Giffoni” hanno ricevuto la denominazione d’Indicazione Geografica Protetta (IGP) dall’Unione Europea come Nocciola del Piemonte e Tonda di Giffoni.
Le noc- ciole sono, dopo le mandorle, il tipo di frutta secca che contiene la quantità maggiore di vitamina E.
Sono un’ottima fon- te di fitosteroli, sostanze ritenute importanti nella pre- venzione delle malattie cardiovascolari. A conferma di ciò, uno studio recente ha dimostrato che un consumo regolare di nocciole è in grado di abbassare i livelli dicolesterolo LDL e trigliceridi. Contengono anche vi- tamina B1, vitamina B2 e provitamina A. La pianta di questo frutto è presente in molte leggende e antiche storie, a cominciare dall’epoca romana in cui le foglie ed i frutti erano usati come viatico per l’oltretomba.
Secondo una leggenda cristiana, l’albero non può es- sere colpito dal fulmine per grazia della Madonna, che trovò ospitalità sotto di esso durante un temporale. In Germania era ritenuto simbolo di fertilità e offerto alle giovani spose. Dal legno della pianta si ottiene un car- bone utilizzato per il disegno e la sua polvere, mesco- lato con lo zolfo, formava la nota polvere pirica. I suoi giovani rami in succhio sono utilizzati dai rabdomanti per la ricerca dell’acqua.
La noce
Il noce è un’angiosperma (Juglans regia) che cresce spontaneamente in Asia e nei Balcani. Il tronco può raggiungere i 20 m di altezza e le foglie sono pennato- composte. Il frutto, la noce, è una drupa costituita da un seme (gheriglio), stretto tra due gusci legnosi (en- docarpo) avvolti dal mallo. La noce tradizionalmente è simbolo di fortuna. I romani facevano piovere noci sugli sposi, usanza ancor viva a Modica (Sicilia) fino agli inizi del XX sec. In Belgio le ragazze erano solite mescola- re noci piene a noci vuote: chi pescava una noce piena si sarebbe ben presto sposata. Esistono anche varie- tà tropicali. Originaria della Mesopotamia, oggi diffu- sa nei 5 continenti con curate e avanzate coltivazioni nonché piante da bosco e piante sparse da giardino. Le noci contengono colesterolo buono, utile a combattere i radicali liberi. Essendo ricche di sali minerali, sono consigliate durante la terapia da malattie nervose o dell’apparato scheletrico. Gli acidi grassi che le com- pongono sono efficaci per la riduzione del colesterolo nel sangue.
Le noci sono considerate un importante antiossidante grazie al loro contenuto di vitamina E. Questo aiuta a prevenire l’invecchiamento, alcuni tipi di cancro e disordini cardiovascolari.
Le noci forniscono un numero considerevole di vitami- ne B1 e B6 che aiutano muscoli e cervello a lavorare meglio. Forniscono anche minerali come rame, zinco, potassio, magnesio e fosforo. Le noci sono ricche di