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Sì alla ricongiunzione dei contributi per il professionista cancellato

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Sì alla ricongiunzione dei contributi per il professionista cancellato

Autore: Redazione | 07/01/2016

L’ex professionista divenuto lavoratore dipendente può ricongiungere e sommare i contributi previdenziali versati alla cassa privata.

Può recuperare i contributi versati per la cassa privata l’ex professionista che abbia deciso di abbandonare la libera professione per abbracciare invece un

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lavoro dipendente. Infatti, secondo quanto di recente chiarito dalla Cassazione [1], il lavoratore, dipendente o autonomo, iscritto a forme di previdenza per liberi professionisti, che si sia cancellato dall’albo e quindi abbia cessato l’iscrizione alla cassa privata, può chiedere la ricongiunzione dei periodi di contribuzione maturati presso altre forme previdenziali, nella gestione Inps cui risulti iscritto come lavoratore dipendente. Non rileva, in tale ipotesi, il raggiungimento, da parte del richiedente, dell’età necessaria per il conseguimento della pensione di vecchiaia [2].

La vicenda

Un ingegnere cancellava la propria iscrizione a Inarcassa, ma si vedeva rigettare la domanda di ricongiungimento dei contributi sino allora versati, per il conseguimento della pensione di anzianità presso l’Inps. E ciò perché veniva ritenuto non sussistente il presupposto dell’età richiesta per la pensione di vecchiaia.

La Corte Suprema ha affermato il principio di diritto per cui il lavoratore, dipendente o autonomo, iscritto a forme di previdenza per liberi professionisti, che abbia cessato detta iscrizione, in seguito alla propria cancellazione dall’albo, ha la facoltà di chiedere la ricongiunzione dei periodi di contribuzione maturati presso altre forme previdenziali, nella gestione cui risulti iscritto come lavoratore dipendente.

Non rileva, in tale ipotesi, il raggiungimento, da parte del richiedente, dell’età necessaria per il conseguimento della pensione di vecchiaia, ci sui all’art. 1, comma 4, della l. n. 45/1990.

Note

[1] Cass. sent. n. 15/16 del 4.01.2015. [2] Di cui all’art. 1, comma 4, della l. n.

45/1990. Autore immagine: 123rf com

Sentenza

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 16 settembre 2015 – 4 gennaio

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2016, n. 15 Presidente Venuti – Relatore Esposito Fatto e diritto

Con sentenza del 10.10.2013, la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della decisione di primo grado, confermata quanto al riconoscimento dei diritto di P.G.

alla liquidazione della pensione integrativa mediante il computo nella sua base di calcolo dell'indennità di arricchimento professionale, dichiarava che nella stessa base di calcolo, ai fini della liquidazione della stessa, non si dovesse considerare l'indennità di funzione denominata "capo ufficio". Rilevava al riguardo la Corte che

il Tribunale di Roma, con diversa sentenza n. 17337/2004, aveva ritenuto il carattere fisso e continuativo della indennità di funzione corrisposta al P. dal 1998,

stante l'accertamento dello svolgimento, da parte dell'appellato, delle funzioni di capoufficio, e la sussistenza dei diritto alla relativa corresponsione fino al pensionamento, e che il pagamento dell'importo complessivo dell'indennità de qua

in unica soluzione non escludeva che la stessa fosse progressivamente maturata e quindi il suo carattere continuativo. Osservava che, tuttavia, poichè l'indennità in

questione era stata riconosciuta per lo svolgimento di mansioni superiori (le funzioni di capo ufficio), doveva ritenersi che la stessa non era collegata alla carica

formale, quanto, piuttosto, alle mansioni effettivamente svolte, sicchè non poteva entrare a far parte della base di calcolo della pensione integrativa. Per la cassazione di tale decisione ricorre il P., affidando l'impugnazione a due motivi, cui

resiste, con controricorso, ('INPS, che ha depositato memoria ai sensi dell'art. 380 bis, 2° comma c.p.c.. Con il primo motivo, il P. deduce errata e falsa applicazione

dell'art. 5 del Regolamento per il trattamento di previdenza e quiescenza dei personale a rapporto d'impiego dell'INPS approvato con delibera del Consiglio di Amministrazione dell'INPS n. 25 del 18.3.1971, in relazione all'art. 15, comma 2, della legge 9 marzo 1989, n. 88, del CCNL 19982001 del 16.2.1998 e degli Accordi

collettivi decentrati dei 1996, 1997 e 1998. In particolare, si duole del fatto che l'indennità di funzione ex art. 15 co. 2 I. 88/89, riconosciuta nella misura massima con sentenza del Tribunale di Roma 17337/2004, non sia stata ritenuta utilizzabile ai fini dei calcolo della pensione integrativa sulla base del richiamo a Cass. 19296

del 14.7.2008, che riguardava una controversia relativa al computo nella base di computo della pensione integrativa della retribuzione superiore conseguita a

seguito dello svolgimento di fatto di mansioni superiori, laddove l'indennità riconosciuta ad esso ricorrente era stata riconosciuta per lo svolgimento di mansioni proprie della qualifica, per le quali era contrattualmente prevista la corresponsione in diverse misure a seconda degli incarichi ricoperti. Ritiene in tal

modo violato l'art. 5 del Regolamento per il trattamento di previdenza e di quiescenza del personale a rapporto d'impiego dell'INPS. Con il secondo motivo, il ricorrente denunzia l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti

controversi e decisivi per il giudizio relativamente alla disciplina giuridica posta a

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base dei riconoscimento dell'indennità in questione nella misura massima dalla sentenza n. 17337/2004 del Tribunale di Roma, per avere il giudice del gravame erroneamente assimilato la stessa, di natura contrattuale ex art. ccnl 1998 - 2001

del 16.2.1998 e contratti collettivi decentrati di ente del 1996-1998, a quella legislativa per mansioni superiori ex art. 56 del d. Igs 29/93 (ora 52 del d. Igs 165/2001), rilevando che il diritto all'indennità di funzione di cui all'art. 15, comma

2 I. 88/89 ed alle conseguenti differenze economiche non è stato riconosciuto per lo svolgimento di mansioni superiori da parte del P., ma per lo svolgimento di mansioni proprie della qualifica. Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della relazione redatta ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio. L'istituto controricorrente

ha depositato memoria ai sensi dell'art. 380 bis, 2° comma, c.p.c.. Il ricorso è fondato. I motivi, pur nella diversa articolazione, riferita alla deduzione di vizio di

violazione di legge ovvero al paradigma normativo di cui all'art. 360 n. 5 c.p.c., vanno trattati congiuntamente per l'evidente connessione delle questioni che ne costituiscono l'oggetto. L'art. 5 del regolamento per il trattamento di previdenza e di quiescenza del personale a rapporto d'impiego dell'INPS dispone che "Agli effetti

del Presente Regolamento si intende per "retribuzione" la somma delle seguenti competenze: stipendio lordo calcolato per 15 mensilità, eventuali assegni personali

ed altre competenze di carattere fisso e continuativo, con esclusione delle quote aggiunta di famiglia". Tanto premesso, deve rilevarsi come, in sede di composizione di un contrasto di giurisprudenza verificatosi con riguardo alla diversa questione della inclusione di taluni voci nell'indennità di quiescenza o di

anzianità, le S. U. di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 7154 del 25/03/2010) abbiano anche affrontato la questione dell'inclusione dell'indennità di cui all'art.

15, co. 2 I. 88/89, nella base di calcolo della pensione integrativa dei dipendenti dell'INPS. In particolare, è stato evidenziato in tale decisione come fosse sufficiente

la lettura di tale ultima disposizione ("In sede di contrattazione articolata sono individuate posizioni funzionali di particolare rilievo da attribuire ai funzionari della

categoria direttiva della ottava e nona qualifica e vengono determinate le indennità per l'effettivo espletamento delle funzioni medesime da attribuire al personale in questione in aggiunta a quelle previste dagli accordi di categoria. Le

funzioni indennizzabili e l'ammontare delle predette indennità sono definite sulla scorta di criteri che tengano conto del grado di autonomia e del livello di responsabilità e di preparazione professionale richiesti per la preposizione a strutture organizzative, a compiti di studio, di ricerca e progettazione, a funzioni di

elevata specializzazione dell'area informatica, ad attività ispettive di particolare complessità, nonché a funzioni vicarie. I dirigenti preposti alle strutture rispondono

della corretta attribuzione delle indennità di cui al presente comma") per rendersi conto che in effetti anche in tal caso si era in presenza di indennità previste dalla contrattazione integrativa, a cui la legge ha fatto rinvio, e che comunque secondo

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l'impostazione della legge la contrattazione collettiva avrebbe dovuto predeterminare mansioni, funzioni e responsabilità a cui collegare una apposita indennità in via preventiva e non sulla base di una verifica a posteriori dei risultati.

Il principio affermato è quello secondo cui: «In tema di base di calcolo della pensione integrativa dei dipendenti dell'INPS, ai sensi dell'art. 5 del Regolamento per il trattamento di previdenza e quiescenza dell'ente, adottato con delibera del

12 giugno 1970 e successivamente modificato con deliberazione del 30 aprile 1982, ai fini della computabilità nella pensione integrativa già erogata dal fondo

istituito dall'ente (e ancora transitoriamente prevista a favore dei soggetti già iscritti al fondo, nei limiti dettati dall'art. 64 della legge 17 maggio 1999 n. 144) è sufficiente che le voci retributive siano fisse e continuative, dovendosi escludere la necessità di una apposita deliberazione che ne disponga l'espressa inclusione. Non

osta che l'elemento retributivo sia attribuito in relazione allo svolgimento di determinate funzioni o mansioni, anche se queste, e la relativa indennità, possano

in futuro venire meno, mentre non può ritenersi fisso e continuativo un compenso la cui erogazione sia collegata ad eventi specifici di durata predeterminata oppure sia condizionata al raggiungimento di taluni risultati e quindi sia intrinsecamente

incerto." Alla luce di tale principio e delle motivazioni espresse nella richiamata pronunzia devono pertanto esaminarsi le censure avanzate avverso la sentenza impugnata, che erroneamente, per quanto di seguito detto, ha richiamato quanto

sancito in Cass. n. 19296 del 14/07/2008, sempre con riguardo al calcolo della pensione integrativa dei dipendenti degli enti pubblici, secondo cui: « In tema di

previdenza integrativa aziendale, benché il regolamento per il trattamento di previdenza e quiescenza del personale impiegatizio dell'INPS - che costituisce atto

di normazione secondaria ed è pertanto interpretabile direttamente dalla Cassazione - prevede che le pensioni a carico del Fondo in corso di godimento

siano riliquidate assumendo come base la nuova retribuzione prevista per la qualifica e la posizione in cui l'impiegato si trovava all'atto della cessazione dal servizio, le maggiori competenze spettanti in seguito allo svolgimento di fatto di mansioni superiori (in quanto emolumenti non fissi né continuativi) non possono

essere considerate utili e, di conseguenza, non vanno assoggettati a contribuzione». Deve, invero, ritenersi che le differenze a titolo di indennità di funzione accertate dal Tribunale di Roma con sentenza passata in cosa giudicata, conformemente a quanto sostenuto dal controricorrente, sono relative alle funzioni di "Capoufficio" proprie della qualifica ricoperta, previste dalla legge 88/89, art. 15,

comma 2, che rimette alla contrattazione articolata l'individuazione di posizioni funzionali di particolare rilievo da attribuire ai funzionari della categoria direttiva che dirigano, come il P., uffici non riservati a dirigente, ossia strutture complesse

non comprese nell'organigramma della Direzione Generale. In tali termini era stata, invero, proposta la domanda relativa al giudizio conclusosi con sentenza

17337/2004 (cfr. ali 4 E- 12 e allegato 12 del fascicolo dei ricorrente), sicché

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erroneamente è stato ritenuto che si vertesse nella diversa ipotesi dello svolgimento di mansioni superiori, ed è stata applicato un principio riferibile a tale situazione, sul presupposto che le differenze reclamate fossero state riconosciute a tale titolo, con la conseguenza che era da escludere la relativa computabilità ai fini

del calcolo della pensione integrativa. Siccome le differenze riconosciute erano relative, invece, ad una indennità relativa allo svolgimento di funzioni proprie della qualifica e non attenevano a richiesta fondata sull'avvenuto accertato svolgimento

di mansioni superiori, ed è stato giudizialmente accertato, con la pronuncia del Tribunale di Roma n. 17337/2004 sopra richiamata, che il dipendente avesse titolo a percepire tale indennità sino al momento dell'estinzione del rapporto di impiego, non può, allora, dubitarsi dei relativo carattere fisso e continuativo, non rilevando

la possibilità meramente astratta di modifiche nel quantum, o addirittura di soppressione dei compenso con la cessazione della preposizione agli incarichi cui

la legge si riferisce. Rispetto ai rilievi svolti in memoria dall'INPS va richiamato quanto affermato da questa Corte quanto alla non rilevanza dell'eventuale mancato assoggettamento delle competenze retributive alla contribuzione al fondo

di previdenza, non potendo assumere rilevanza ostativa inadempimenti dei datore di lavoro che è lo stesso soggetto onerato della prestazioni pensionistica integrativa (cfr. Cass., s. u., 25.3.2010 n. 7154, cit., utilmente richiamabile in parte

qua, anche se riferiti il principio alla indennità di quiescenza). Dalle esposte considerazione discende l'accoglimento dei ricorso, con la conseguenza che la

decisione impugnata va cassata e la causa va rimessa al giudice dei merito designato in dispositivo per la determinazione della concreta incidenza dell'indennità di funzione di cui sopra nella base di computo dei trattamento

pensionistico integrativo dei P..

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

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