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(Hermit Of Saturn's Ring, 1940)

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Academic year: 2022

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(Hermit Of Saturn's Ring, 1940)

Planet Stories, autunno 1940

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I

Il vecchio Jasper Jezzan si passò le dita fra i capelli brizzolati e guardò, oltre l'oblò dell'astronave, la tremenda magnificenza degli anelli di Saturno. Ringraziò la fortuna che gli aveva per- messo di vivere in quel ventiquattresimo secolo, in cui l'umanità ampliava i confini del Sistema Solare inesplorato, con le impre- se dei pionieri spaziali. Da giovane, Jasper aveva partecipato al- la prima spedizione a Marte. Adesso, sia Marte che Venere era- no in fase di colonizzazione. Jasper aveva preso parte a molte strane vicende su entrambi i mondi, su diversi satelliti di Giove e su numerosi asteroidi. Saturno era ancora territorio vergine.

Jasper aveva passato la settantina, ma lo spirito d'avventura ardeva tuttora nel suo corpo robusto. Ringraziò ancora la sorte che gli aveva permesso di essere tra i primi a contemplare la splendida maestà dei grandi anelli, a distanza così ravvicinata. Si era unito alla spedizione di Grenard perché era un esperto, e sa- peva che la City of Fomar avrebbe cercato di aprirsi un passag- gio attraverso un'ottantina di chilometri brulicanti di piccolissimi asteroidi.

La City of Fomar cominciò a superare alcuni di quelli esterni, ancora a parecchi chilometri dalla fascia principale: molti erano più grandi dell'astronave ed avevano contorni accidentati. Era come penetrare in una foresta, in cui gli alberi appaiono meno numerosi via via che ci si addentra. Gli asteroidi dell'anello era- no arrotondati e levigati dai contatti e dagli urti. A causa della lieve attrazione gravitazionale, i più piccoli stavano intorno a quelli più grandi. L'astronave si avventurò più profondamente in quella massa. Tutti gli uomini erano ai loro posti, ma osservava- no le meraviglie all'esterno. Jasper era solo a svolgere le sue mansioni, questa volta. Era di turno nella camera di rinnovamen- to dell'aria; e se così non fosse stato questa storia forse non sa- rebbe mai stata raccontata o sarebbe capitata ad un uomo più giovane. Ignaro di ciò che stava per accadere, Jasper aveva visto

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per l'ultima volta le facce dei suoi compagni d'avventura, vivi o morti. Volse lo sguardo attento sui contatori, poi dedicò di nuo- vo la sua attenzione ai misteri dell'anello di Saturno.

L'astronave della spedizione Grenard si addentrò ancora più profondamente della massa diradantesi degli asteroidi. La luce solare era eclissata quasi di continuo, meno brillante. Le ombre, come sempre nello spazio, erano nere e nette. La luce lasciò po- sto finalmente a periodi sempre più lunghi di oscurità, e le luci della City of Fomar splendevano nel buio. Di tanto in tanto la City of Fomar urtava un asteroide, quando s'insinuava in un var- co stretto, e mandava quel frammento a sbattere contro i suoi vi- cini, in un'incessante concatenazione d'inerzia, senza nessuna in- fluenza ritardante.

Continuarono ad addentrarsi nell'anello. Senza aver ricevuto una chiamata, Jasper si sintonizzò con la sala osservazione, dove erano radunati gli ufficiali della spedizione.

«Queste lune minuscole debbono essere trilioni!» Era il co- mandante Grigsby. Fu Grenard a rispondere. «È possibile.»

«Cos'è quella nebbia bianca, laggiù?» «Quale nebbia... la pic- cola luna bianca?» «No... non è un asteroide. Guardi come cam- bia forma... ed è vaporosa.»

«Già, sì: sembra fumo, e viene da questa parte.» «Guardi co- me si protende, quasi fosse viva. Cosa può essere?»

«Polvere.»

Questo era stato un ufficiale inferiore.

«Senza un'atmosfera in cui possa fluttuare?». La voce di Grigsby era un po' irridente.

«Si sta scindendo.»

Jasper aveva viaggiato troppo a lungo nello spazio per non percepire qualcosa d'insolito. Andò all'oblò a guardar fuori, ap- poggiando la testa da una parte, per sbirciare in direzione obli- qua. Non riuscì a vedere ciò che cercava. Un po' irritato, restò in ascolto, per sentire altri particolari.

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«Cosa la fa muovere?»

«Prima mi dica cos'è.»

«Non può essere viva!»

«La nave l'attira! La nube si scinde in diverse parti!»

Jasper tornò a guardare fuori, e vide un po' di quella strana sostanza. Era come un fumo bianco, dotato di volontà autonoma.

Non sapeva immaginare quale sostanza fosse, come non poteva spiegarne il movimento. Sembrava quasi viva, eppure quell'idea pareva assurda persino a Jasper Jezzan, che aveva veduto tante cose strane. Era un elemento nuovo, o una nuova combinazione di elementi, che si comportava in modo bizzarro, in quell'anello esterno di Saturno. Gli stessi anelli erano fenomenali. La nube bianca divenne grigia, mentre si espandeva, lasciando trasparire, dietro, i contorni vaghi di alcune minuscole lune. Poi sembrò comprimersi di nuovo, come un liquido denso o un solido.

«Ecco, arrivano altre nubi!»

«E altre ancora! Là! Là! E tutto intorno!»

«Si stanno fondendo!»

«Una parte si divide! Guardate... si scinde!»

Le voci dei capi della spedizione esprimevano sbalordimento e preoccupazione. Jasper provò un brivido di eccitazione, men- tre osservava lo strano comportamento della sostanza sconosciu- ta. La vide raccogliersi intorno all'astronave. Il suo oblò divenne improvvisamente di un grigio traslucido, e non riuscì a vedere più nulla. Scrutò nelle profondità di quella massa bianca, da cui lo divideva una lastra di cristallo di venticinque centimetri di spessore. Era come guardare un fumo denso, o una nebbia fittis- sima. Sullo scafo della City of Fomar risuonavano colpi ed altri rumori inspiegabili.

«Non procediamo più alla stessa velocità!» Jasper udì la voce del comandante Grigsby, e notò una sfumatura d'inquietudine in quei toni.

«È possibile che quella maledetta roba bianca ci faccia rallen- tare?»

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«Non so... ma aspettate! Gli oblò, da questo lato, cominciano a schiarirsi!»

Vi fu una pausa significativa. Jasper tese le orecchie. Il suo oblò era ancora oscurato.

«Grigsby... guardi quei lunghi tentacoli, simili a cavi! Ci ha ancorato agli asteroidi!»

«Più energia!» ordinò il comandante.

Un fievole sospiro soffocato dello scafo, sopra la sua testa, attirò di nuovo verso l'oblò lo sguardo di Jasper. Scorse una sa- goma bianca che scivolava via. Guardò fuori e vide che i lunghi fili della ragnatela di nebbia mostravano un'aderenza ed una for- za tensile straordinaria, nell'ancorare la City of Fomar alle pic- cole lune circostanti. Quando venne usata un'energia maggiore, Jasper vide gli asteroidi agganciati seguire l'avanzata dell'astro- nave, superando gli altri corpi sullo sfondo. Vide le piccole sfere che si scontravano, senti la leggera deviazione dell'astronave, udì i colpi stridenti via via che la City of Fomar urtava vari corpi al suo passaggio. Poi l'oblò venne di nuovo coperto da una neb- bia più densa e bianca di prima. Dai commenti agitati che pro- venivano dalla sala d'osservazione, comprese che anche là le condizioni erano identiche. I colpi martellanti sconcertavano tut- ti. Poi, dalla sala comando, venne una nuova nota d'allarme.

«Sta penetrando nel portello stagno! Un lungo filo sottile che entra, come un getto di vapore!»

«Deve esserci un punto debole nel portello esterno!» esclamò agitato Grenard.

«Senza la pressione dell'aria nella camera stagna, il portello esterno non è mai fissato bene! Dobbiamo riempirla!»

Jasper si sentì chiamare per nome.

«Sì, signore!»

«Immetta una buona quantità d'aria nella camera stagna!»

Il vecchio balzò ai comandi e sentì il sibilo dell'aria nei tubi, in direzione della camera stagna.

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«Quella roba maledetta continua a entrare!»

«Un po' più lentamente!»

«L'aria esce!»

«Caccia fuori la nebbia!»

«Adesso... la porta è perfettamente stagna!»

«La sostanza bianca infiltrata all'interno si sta espandendo!»

Jasper ricevette all'improvviso l'ordine d'interrompere l'af- flusso dell'aria. Non seppe mai il perché. Nessuno visse abba- stanza a lungo per spiegarglielo. Udì molte voci levarsi, allarma- te, troppo confuse perché potesse capire più del fatto che il por- tello interno era stato forzato. E poi, ancora una volta, cedette quello esterno. La sostanza bianca entrava, e l'aria sfuggiva dalla nave. Inorridito, Jasper lo constatò guardando gli indicatori.

Grida acute, urla spaventose giunsero fino a lui: urla tremanti che venivano soffocate e cessavano di colpo. Non durò a lungo.

Ben presto regnò un silenzio malaugurante. La nebbia bianca velava ancora l'oblò: ed era anche all'interno dell'astronave. Ja- sper si fece forza, corse nel corridoio per isolare quella parte del- la nave. Troppo tardi. La nebbia bianca già si attorceva in spire sul pavimento e sulle pareti del corridoio, come se li esplorasse.

Quasi avesse percepito la sua presenza, si estese nella sua dire- zione con rapidità allarmante, nello stesso istante in cui egli si fermava sgomento al centro del corridoio. Un velo di quella so- stanza spaventosa si protese come fumo lungo il soffitto, gli agi- tò uno pseudopodo davanti al volto. Una paura indicibile obnu- bilò per un istante la mente di Jasper: ma poi il vecchio esplora- tore spaziale riacquistò l'autocontrollo. Si voltò di scatto e si precipitò di nuovo nella camera dell'atmosfera. La nebbia bianca aveva abbandonato le pareti, il soffitto e il pavimento del corri- doio, raccogliendosi, e veniva verso di lui, dapprima lentamente, poi acquistando velocità.

Arrivato nella camera, Jasper girò la valvola della tubazione principale dell'aria, e la chiuse. Poi afferrò la tuta spaziale appe- sa ad una parete e balzò dentro a un serbatoio d'aria vuoto, pro-

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prio nell'attimo in cui la bianca sfera di nebbia gli piombava ad- dosso a tentoni. Sempre alla cieca, trovò la tuta; e poi, all'im- provviso, barcollò stordito, urtando con la testa la parete metal- lica del serbatoio. Si sentiva stranamente esilarato e stordito.

Aveva immesso troppa aria nel serbatoio. Era un'intossicazione da ossigeno, la sua: e pericolosa, in quelle circostanze. Cercò, a tastoni, trovò di nuovo la valvola e la chiuse. Poi crollò, in preda alle vertigini. Ma lì era in agguato la morte per assideramento, e Jasper sapeva che doveva indossare la tuta spaziale. Aveva i muscoli irrigiditi e doloranti per la temperatura che continuava ad abbassarsi. Ma riuscì a indossare la tuta, e mise in funzione l'impianto dell'aria ed il riscaldamento. Solo allora cedette alla tensione che l'opprimeva. Cadde di fianco sul fondo del serbato- io e perse i sensi.

II

Jasper Jezzan non seppe mai per quanto tempo fosse rimasto svenuto nel serbatoio d'aria, chiuso nella tuta spaziale. Gli sem- brava che fossero trascorsi solo pochi minuti: ma forse erano state ore. Nel buio, valutò la situazione, radunando i propri pen- sieri. La morte si era impadronita di quella nave, la devastante morte bianca. Si chiese se qualcun altro si era salvato. Aveva la sensazione che la nube minacciosa fosse ancora in agguato là fuori, e si domandava quali proprietà maligne poteva usare con- tro un uomo chiuso in una tuta spaziale. Non aveva intenzione di farne l'esperienza diretta, se poteva sottrarvisi. Decise di aspetta- re con pazienza, per vedere se la terribile nebbia avrebbe lascia- to l'astronave. Inspiegabilmente, la sentiva presente fuori dal serbatoio, intenta a vagare, a frugare la City of Fomar, dalla qua- le l'aria era uscita disperdendosi nello spazio tra le minuscole lune.

Jasper accese le lampade della tuta per alleviare la monotonia della tenebra e per concentrare i propri pensieri su qualcosa di

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tangibile, qualcosa che potesse vedere, sebbene l'interno del ser- batoio, con le valvole ed i comandi, gli fosse già noto. Si alzò e fece uscire l'aria. Sarebbe stato necessario ridurre almeno la pressione, prima di aprire il coperchio.

Poi sedette sul fondo e aspettò, cambiando posizione di tanto in tanto. C'era una strana affinità tra quella nebbia bianca ed un sottile sesto senso, perché Jasper si rese conto, con grande sol- lievo, che la presenza si era allontanata. Tuttavia fu prudente, aprì adagio il coperchio del serbatoio e sbirciò all'esterno. Le lu- ci dell'astronave erano ancora accese, dentro e fuori. Per prima cosa, andò a guardare oltre l'oblò. La City of Fomar stava an- dando alla deriva tra le piccole lune. Una quasi toccava la nave dal lato anteriore. Jasper non vide la minima traccia della so- stanza spettrale che si era insinuata a bordo. Aveva la certezza che se ne fosse andata. Fece una prova, sebbene fosse quasi cer- to in anticipo del risultato. Prese da uno scaffale una scatola di polvere per lucidare, tolse il coperchio, ne lasciò uscire un poco.

I granelli non fluttuarono lentamente sul pavimento: caddero come sassi. Come Jasper aveva intuito, l'aria era fuoriuscita to- talmente dalla nave.

Si avviò lentamente lungo il corridoio, verso prua, attraversò la sala comando ed entrò nella sala osservatorio. Era preparato a uno spettacolo di morte: ma non ad uno tanto completo ed orri- bilmente efficiente. Sul pavimento giacevano ossa e teschi sbiancati. La nebbia bianca aveva assorbito la carne ed i capi di vestiario. Smosse con un piede un osso, e sbalordì nel vedere l'intaccatura lasciata dalla sua scarpa metallica. Si chinò, raccat- tò un femore, che gli si sbriciolò in mano. Che entità spaventosa era mai la nebbia dell'anello di Saturno? Si aggirò lentamente nella nave e scoprì altre ossa sgretolate, mentre lo colpiva una certezza agghiacciante. Era l'ultimo, l'unico uomo rimasto vivo a bordo.

Tornò in sala comando per controllare i meccanismi, chie- dendosi come avrebbe potuto, da solo, guidare l'astronave lonta-

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no dall'anello. Ma non dovette chiederselo a lungo. Tutti gli strumenti e gli apparecchi elettrici erano rovinati in modo irrepa- rabile. Li esaminò, e i suoi sospetti trovarono conferma. La vici- nanza della nebbia bianca li aveva devastati e distrutti comple- tamente, come se un fulmine avesse centrato l'astronave. Era so- lo a bordo di un relitto, sperduto nell'anello di Saturno.

Rabbioso, Jasper cercò di controllare i propri nervi. La situa- zione avrebbe potuto essere peggiore. A bordo c'erano viveri e bevande a sufficienza per tutta una vita. L'impianto dell'aria fun- zionava regolarmente. Avrebbe potuto chiudere un paio di ca- mere della nave, e sarebbe riuscito a sopravvivere. Non osava pensare al futuro, alla prospettiva di passare il resto della sua e- sistenza come un prigioniero solitario dell'anello di Saturno. Il piano di Grenard, entrare nel terzo anello mentre si dirigeva ver- so uno dei satelliti, Dione, era noto, naturalmente, su tutti e tre i mondi degli umani, ma le probabilità che qualcuno attraversasse l'anello esterno proprio in quel punto, anche alla ricerca della spedizione perduta, erano quasi inesistenti. Con una stretta al cuore, Jasper constatò che anche il sistema di comunicazione dell'astronave era andato distrutto.

Gli venne fame. Trovò i viveri e li portò nel serbatoio d'aria.

Trovò anche un riscaldatore a radium e l'installò, perché gli des- se luce e calore. Poi portò dentro il necessario per prepararsi un giaciglio ed altri oggetti essenziali. Avrebbe dovuto vivere lì dentro fino a quando avesse potuto attrezzare e isolare qualche camera della nave. La City of Fomar era suddivisa in tre sezioni, costruite in modo che potessero venire isolate in caso d'emer- genza. Il disastro era stato troppo rapido, inaspettato e devastan- te perché fosse stato possibile ricorrere a quel sistema. Jasper aveva intenzione di bloccare e di usare il settore che compren- deva la camera dell'atmosfera e la stiva.

Di tanto in tanto, guardava fuori, tra le piccole lune, nel timo- re di scorgere una traccia della nebbia bianca in procinto di ri-

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tornare: ma tutto era tranquillo, immobile. Spense le luci della City of Fomar. Voleva risparmiare l'energia, almeno fino a quando avesse valutato bene la situazione e si fosse reso conto se era necessario conservare la corrente. In quanto alla nebbia, ricordava la sua luminescenza spettrale, che l'aveva resa eviden- te in lontananza, là dove le lunine avevano schermato le luci dell'astronave.

Rendere abitabile la sezione prescelta della nave fu un lavoro più lungo di quanto Jasper avesse previsto. La nebbia bianca a- veva causato danni che in un primo momento gli erano sfuggiti.

Molte sostanze, come il cuoio, il feltro ed altri prodotti d'origine organica erano state assorbite o parzialmente danneggiate dalla strana entità bianca che viveva nello spazio, e Jasper constatò che molti pezzi di ricambio avrebbero richiesto un lungo lavoro di riparazione, prima che gli fosse possibile isolare le camere e renderle abitabili.

C'erano alcuni cronometri che non erano stati danneggiati dalla nebbia, e Jasper li serbò con cura e li mantenne in funzio- ne. Impiegò più di due settimane di tempo terrestre per riassesta- re la parte della nave in cui aveva scelto di vivere la sua esisten- za solitaria. Altre cinque settimane furono impiegate nel lungo corridoio collegato con la camera dell'atmosfera, dove costui un portello stagno. Jasper stava sempre in guardia, e aveva persino congegnato una sorta di allarme elettrico, che attivava durante le ore del sonno: ma la nebbia bianca non tornò in quelle faticose settimane. Jasper, comunque, era preparato. Era convinto che i proiettori di raggi radioattivi avrebbero avuto qualche effetto sulla nebbia. Non voleva che quella sostanza potesse penetrare al primo colpo, cogliendolo alla sprovvista. Ricordava ancora con un brivido le condizioni in cui aveva trovato lo sportello li- gneo di un armadio: ridotto in schegge da colpi violenti sferrati dalla minaccia nebulosa. Dietro i rottami dello sportello aveva trovato le ossa sgretolate di Holman, con cui aveva fatto amici-

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zia durante il volo verso Saturno. Jasper era stato fortunato, quando aveva scelto il robusto serbatoio dell'aria.

Nei lunghi mesi che trascorsero, la nebbia non ricomparve, ed il vecchio Jasper Jezzan visse la sua solitaria esistenza a bordo del relitto. Talvolta lasciava la City of Fomar, chiuso nella tuta spaziale, ma non si avventurava mai troppo lontano, tra le minu- scole lune, sebbene lasciasse sempre accese le luci dell'astrona- ve, per fargli da guida. Quando le luci erano spente, fuori era tutto nero e cupo... neppure il brillio delle stelle, solo lo spazio invaso dagli asteroidi fluttuanti. Jasper sapeva che un tempo quelle innumerevoli legioni di frammenti erano state un satellite di Saturno, poi disgregatosi. Nel corso delle brevi escursioni, portava sempre con sé un proiettore di raggi radioattivi, da usare nel caso che il pericolo bianco sopraggiungesse sorprendendolo all'aperto.

In una di quelle uscite, Jasper fece una scoperta interessante.

Stava cercando di scalfire una delle piccole lune, quando il suo casco entrò in contatto con il corpo celeste. Jasper era alla ricer- ca di minerali, e si accorse che i suoi colpi producevano un suo- no innaturale. Colpì di nuovo, più volte, e all'improvviso si rese conto che la luna microscopica era cava. La segnò, e cominciò a cercarne altre. Ne trovò solo altre tre, fra le centinaia che cir- condavano l'astronave. Poteva formulare soltanto un'ipotesi: l'in- terno del satellite era ancora fuso, quando si era schiantato a causa della violenta attrazione di Saturno. Si erano formate così alcune spesse bolle, che poi si erano raffreddate.

Poiché non aveva nulla di meglio da fare, Jasper progettò immediatamente di trapanare uno degli asteroidi cavi: scelse il più grande, una sfera di sette metri e mezzo di diametro. Trovò a bordo della City of Fomar l'equipaggiamento necessario, e si mise all'opera. Si stupì della densità e della resistenza della so- stanza semimetallica, e dello spessore della bolla. Trapanò per quasi un metro, prima di incontrare la cavità. Impiegò parecchi giorni per praticare nello sferoide un varco abbastanza ampio

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per permettergli di entrare: e quando fu nell'interno trovò solo ciò che aveva previsto: un contorno concavo un po' irregolare, che rifletteva i raggi della sua lampada.

In questo e in molti altri modi, Jasper lottava contro lo spettro della solitudine. Fece esperimenti con gli strumenti della nave, effettuando collaudi e riparazioni, e finì per convincersi di aver scoperto la direzione in cui si trovava Saturno. Se fosse stato possibile rimettere in funzione la nave, pensava, sarebbe riuscito a guidarla fuori dall'anello, nello spazio aperto.

Circa un anno dopo la catastrofe che aveva colpito l'astrona- ve, accadde l'evento che Jasper aveva nervosamente atteso. Le nubi bianche ritornarono. La minaccia giungeva da tutte le dire- zioni, e puntava verso la City of Fomar. Per fortuna, Jasper era a bordo, al momento dell'attacco. Vide la luminescenza innaturale al di là degli oblò, dove avrebbe dovuto regnare l'oscurità più completa, e con il cuore che gli batteva forte guardò le spire spettrali di sostanza bianca avviluppare il relitto, coprendo anco- ra una volta tutti gli oblò.

Jasper si precipitò nella torretta che aveva attrezzato. Il pro- iettore mobile di raggi radioattivi era pronto. Il vecchio impugnò nervosamente la leva e scagliò una scarica prolungata. Non po- teva vedere il risultato, perché l'oblò era oscurato: ma si rese conto che qualcosa era accaduto, perché vi fu uno spostamento visibile nella sostanza bianca, che ingrigiva e si diradava. Quan- do l'oblò si schiarì, vide che il proiettore stava effettivamente a- prendo un varco nell'entità nebulosa. Girò l'arma e osservò, con lugubre soddisfazione, mentre apriva squarci di vuoto nella neb- bia maligna che si ritraeva istintivamente, mentre le parti separa- te si ricongiungevano e si fondevano. C'era qualcosa di ripu- gnante, in quella scena, e Jasper rabbrividì, ricordando le ossa sbriciolate delle vittime.

Il proiettore investiva solo una parte insignificante della neb- bia, e poteva agire soltanto su di un'area ridotta. Jasper udì anco- ra una volta gli strani rumori sullo scafo del relitto. Il tremendo

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visitatore cercava di entrare, premendo, contraendosi e sferrando colpi, alla ricerca di punti deboli. Jasper accorse al suo portello stagno improvvisato, e si accorse, inorridito, che la nebbia bian- ca era riuscita a penetrare. Il portello esterno era stato forzato. Il vapore mortale si era impadronito di tutta la nave, eccettuata la parte che Jasper aveva isolato. Impugnò un proiettore e si affret- tò a collegarlo con uno spioncino a lato del portello. Aveva pre- visto quella possibilità, ed era preparato. Aprì lo spioncino e ir- radiò una scarica contro la nebbia che si addensava rapida e mi- nacciava il portello interno. La vide arretrare e provò una gioia frenetica quando evaporò; le spire intatte si ritrassero dalla ca- mera stagna come se, telepaticamente, si fossero rese conto del pericolo. La minaccia era stata eliminata in quel punto, e appena in tempo, perché Jasper sapeva quale pressione poteva esercitare la nube sul portello interno. Era già accaduto, la prima volta.

L'istinto gli suggerì di controllare in fretta altre parti del suo alloggio isolato: e fu una fortuna. Trovò una nube brancolante nella camera dell'atmosfera. Una rapida occhiata ad un sottile filamento bianco che fuoriusciva da un tubo collegato ad altre parti della nave bastò a Jasper per riconoscere la via d'accesso utilizzata dalla nebbia. Si affrettò a distruggere la nube e immise una corrente d'aria del tubo, espellendo con la pressione la neb- bia che l'invadeva. Poi si affrettò a stringere la giuntura che, in circostanze normali, non aveva mai presentato perdite.

Jasper si augurò che quella sostanza insidiosa non trovasse il modo di penetrare in massa, perché sapeva che non sarebbe riu- scito a combatterla efficacemente con i proiettori. Sarebbe stato sopraffatto. Rabbrividì a quel pensiero. Jasper era coraggioso, e aveva vissuto parecchie avventure, nella sua esistenza movimen- tata, ma c'erano molti modi di morire preferibili all'idea di veni- re assimilato dalla tremenda nube bianca. Tornò correndo al por- tello e, come aveva temuto, scoprì che si stava riempiendo nuo- vamente di vapore. Lo spazzò via, poi si precipitò di nuovo nella camera dell'atmosfera. Lì era tutto a posto. Esaminò in fretta i

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magazzini e respirò di sollievo. Lì non c'erano state irruzioni.

Tornò al portello per combattere la nebbia che si andava accu- mulando.

Fu un lungo, orrendo incubo. Questa volta la nebbia restò più a lungo, forse perché il suo appetito era aguzzato e non trovava soddisfazione. Eppure Jasper si rendeva conto che la nube era autosufficiente. Ancora una volta riuscì a penetrare nella camera dell'atmosfera, e Jasper dovette combatterla. I cronometri indi- cavano che erano trascorse sessantadue ore, prima che la strana abitante dell'anello di Saturno se ne andasse, misteriosamente com'era giunta. Per tutto quel tempo, Jasper non aveva dormito.

Poi si abbandonò al sonno, poiché sapeva istintivamente che la nube non sarebbe ritornata per un pezzo.

III

Ristorato dalla lunga dormita, Jasper esaminò il portello dan- neggiato, e prese una rapida decisione. Avrebbe lasciato la City of Fomar, che offriva troppe possibilità d'accesso all'insistente nebbia bianca, e si sarebbe stabilito nella robusta luna cava in cui era penetrato con tanta difficoltà. Nei giorni che seguirono, giorni registrati soltanto dai suoi cronometri nell'immutabile te- nebra dell'anello di Saturno, Jasper lavorò industriosamente, come aveva lavorato un tempo per isolare una sezione dell'a- stronave. Era certo che, se l'avesse munita di un robusto portello, la sfera avrebbe resistito in eterno alla minaccia bianca.

Per prima cosa, allargò la via d'accesso, fino a raggiungere le dimensioni di una delle uscite di sicurezza della City of Fomar.

Rimosse dalla nave due grossi portelli. Uno lo installò all'ester- no del passaggio aperto nella spessa parete del globo, l'altro all'interno. In questo modo, ebbe una camera stagna per entrare ed uscire dal suo eremo. Poi installò pareti divisorie ed un pavi- mento, ed equipaggiò quest'ultimo con la sostanza gravitaziona- le tolta dalla pavimentazione dell'astronave. Realizzò quattro

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stanze: due erano il suo alloggio. Delle altre, una era un magaz- zino, l'altra era destinata ad ospitare l'impianto atmosferico ed il sistema di riscaldamento che intendeva trasportare lì dalla City of Fomar. Non appena riuscì a concludere i lavori, il vecchio Ja- sper Jezzan divenne un Robinson Crusoe cosmico.

Oltre alle scorte di viveri, il magazzino conteneva materiale necessario di ogni genere, portato dalla nave. Jasper non abban- donò la City of Fomar; per impedire che andasse alla deriva e si allontanasse, l'ancorò all'asteroide con un lungo cavo. Aveva os- servato che le piccole lune si spostavano, a seconda delle dimen- sioni e delle loro vicine. Le lievi forze gravitazionali avevano effetti strani, ed il vecchio aveva notato un lento cambiamento di posizioni nelle lune circostanti, dopo la catastrofe.

Jasper finì di completare il suo rifugio, e lasciò senza ramma- rico la City of Fomar, con i suoi tremendi ricordi e la continua paura di un'altra visita della sostanza bianca. Durante i lavori, erano trascorsi altri otto mesi di solitudine. Jasper si era rasse- gnato a quel tipo di esistenza, nelle profondità dell'anello esterno di Saturno. Il pensiero di vivere lì non gli pesava quanto l'idea di morirvi senza la compagnia di esseri umani... solo e abbandona- to. Si chiedeva, talvolta, se il suo eremo ed il relitto ad esso an- corato sarebbero stati trovati, un giorno, quando le lune di Sa- turno fossero state esplorate e colonizzate. Forse la scoperta sa- rebbe avvenuta dopo secoli, o millenni. Jasper era vecchio, ed aveva già conosciuto la solitudine nel cosmo: tuttavia non n'era mai stato, prima d'ora, il prigioniero involontario. Si chiedeva se la nube spettrale avrebbe finito per trovare il modo di arrivare sino a lui, o se sarebbe morto di vecchiaia. Con i viveri di cui di- sponeva, avrebbe potuto durare ancora vent'anni, e aveva fiducia negli impianti dell'atmosfera e del riscaldamento, e nella propria capacità di farli funzionare alla perfezione. Le macchine non e- rano troppo complesse, e Jasper disponeva dei pezzi di ricambio.

Comunque, conservò un locale per sé, a bordo dell'astronave:

l'officina. Vi lavorava indossando la tuta spaziale.

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Quando il rifugio all'interno dell'asteroide fu completo, Jasper provò un senso di sollievo, ed insieme di delusione. Sollievo, perché adesso si sentiva meglio protetto contro il nemico bianco;

delusione, perché ancora una volta il tempo gli sembrava non trascorrere mai. Per fortuna c'erano i libri, i nastri audiovisivi e gli altri mezzi d'istruzione e di svago, a bordo della City of Fo- mar: ma anche quelli, prima o poi, avrebbero perduto l'interesse della novità.

Jasper viveva da più di sei mesi nella nuova dimora quando, durante uno dei periodi di sonno, fu destato da un brusco tonfo che mise in movimento l'asteroide. Quella bizzarra interruzione della monotonia del silenzio e della relativa stabilità nell'anello di Saturno lo svegliò come un colpo di cannone. Accese per mezzo del telecomando i poderosi riflettori della City of Fomar e guardò oltre il cristallo trasparente del portello esterno. Vide uno strano spettacolo. Tutte le piccole lune cambiavano posizio- ne. Le vide carambolare in una concatenazione di movimento, causato da qualcosa d'invisibile. Urtavano contro le compagne, poi si fermavano, mentre la trasmissione dell'inerzia proseguiva.

E la sua sfera era in moto. Dopo un po', urtò dolcemente un altro corpo. Il relitto era stato spinto più vicino, ed il cavo era incur- vato, aveva assunto una forma fantastica. Un altro asteroide col- pì l'eremitaggio, e l'improvviso contatto fece perdere l'equilibrio a Jasper. I piccoli globi che non si scontravano direttamente con- tinuavano a muoversi, dividendo il moto con i corpi che urtava- no. Non c'era perdita di moto, non c'erano rallentamenti dovuti alla gravità: il movimento si comunicava. Jasper si rese conto che quei contatti sarebbero continuati nella stessa direzione, con tangenti diverse, attraverso tutto l'anello. Si chiese cosa poteva avere messo in moto le lune. Forse uno sciame di meteore aveva investito l'anello. Restò a guardare fino a quando la zona del movimento lo ebbe superato completamente, e tutto ritornò im-

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mobile e tranquillo come prima. Allora riprese il sonno interrot- to.

Quando si svegliò e guardò fuori, fu scosso da un brivido.

Una nebbia vaporosa oscurava il portello esterno dell'eremo.

Con i piccoli proiettori di raggi radioattivi installati sulla roccia e azionati dall'interno eliminò l'ostacolo e guardò. Il relitto era coperto da un manto niveo e vivo, che ondeggiava e si agitava.

Comprese che si trattava della parte più esterna della sostanza spintasi all'interno della City of Fomar e intenta ad esplorare a- vidamente ogni angolo, assimilando tutto ciò che aveva origine organica. Persino il cavo che ancorava la nave all'eremitaggio era coperto da uno spesso strato di quella sostanza.

Jasper provò un piacevole senso di sicurezza. Non temeva più la nebbia bianca. Era curioso. Si chiese se c'era un rapporto tra il ritorno dell'entità bianca e il recente movimento delle piccole lune. Erano state le nubi maligne a provocare la perturbazione, oppure era stata quest'ultima ad attirare la nebbia? Jaser avrebbe desiderato sapere dove andava la nebbia, e cosa faceva, quando non si raccoglieva intorno al relitto ed al suo asteroide. E decise di tentare un esperimento.

Nelle profondità dell'anello, creò egli stesso deliberatamente una perturbazione. A bordo della City of Fomar c'erano esplosi- vi: ne piazzò sei cariche su altrettante minuscole lune situate a distanza di sicurezza dal suo rifugio. Tornò alla base e le fece esplodere per mezzo di un impulso radio. Le sfere balzarono via, all'improvviso, allontanandosi dal centro comune, e trasmisero il movimento alle vicine, e così via, all'infinito.

Jasper attese, pazientemente. Aveva preparato una trappola per catturare un po' di quella nebbia. Aveva intenzione di stu- diarla, se e quando fosse ritornata. Attese diverse ore, e non vide traccia del terrore bianco proveniente dallo spazio ignoto dell'a- nello. Si era quasi convinto di avere sbagliato pista, quando il cuore gli diede un tuffo, all'improvviso, alla vista dei diafani tentacoli che si attorcevano come fumo luminoso tra le lune più

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vicine. La diabolica sostanza era stata effettivamente attirata, come Jasper aveva previsto. Sembrava che una qualsiasi pertur- bazione l'attirasse infallibilmente verso gli oggetti estranei.

La nebbia si raccolse di nuovo sul relitto, ne invase l'interno, infittendosi anche intorno all'eremitaggio come se, grazie ad un senso particolare o all'intuizione, ne conoscesse lo strano conte- nuto. Come era avvenuto durante le visite precedenti, Jasper ne sentì gli strani effetti. Lo rendeva irrequieto; pareva esercitare un influsso irritante sul suo corpo, simile (anche se meno inten- so) a quello che aveva avuto sugli apparecchi elettrici della City of Fomar nel corso dell'assalto iniziale. La nebbia si trattenne per la durata abituale, e poi si allontanò.

Quando Jasper ne fu certo, indossò la tuta spaziale e si recò in fretta sull'astronave, incuriosito. Provò un senso di trionfo quan- do vide che la sua trappola era scattata, imprigionando automa- ticamente un piccolo quantitativo di nebbia bianca. Vide il den- so vapore attraverso il coperchio trasparente della scatola erme- ticamente chiusa. La prese, e tornò al suo eremo.

I giorni seguenti furono i più interessanti che gli fosse acca- duto di vivere da quando aveva fatto naufragio, quasi tre anni prima. Studiò la strana sostanza e compì vari esperimenti. Era viva. La scienza terrestre non aveva mai conosciuto nulla di si- mile: di questo era certo. La teneva sempre in un recipiente er- metico, travasandola all'occorrenza da un contenitore all'altro.

Per essere un vapore, era straordinariamente pesante. Non la toccava mai, benché sapesse che il metallo era immune agli ef- fetti della nebbia tremenda. Talvolta sembrava diventare quasi un solido, spesso pareva un liquido in stato di quiete, raccolto negli angoli della cassetta metallica. Jasper scoprì che soltanto di rado assumeva forma gassosa, la condizione in cui l'aveva sempre vista prima. Lo poteva constatare ogni volta che scuote- va la scatola o agitava la sostanza, e la vedeva diventare gasso- sa: passava allo stadio di vapore quando era molto attiva. Come

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liquido, era torpida; come solido, quiescente. E constatò che era notevolmente radioattiva.

C'erano molte altre proprietà, ma gli mancavano i mezzi e le conoscenze specializzate per accertarle. Gettava pezzetti di cuo- io, di lana e di cibo, che venivano assorbiti dalla nebbia bianca.

Dopo questi pasti, la piccola nube aumentava di volume. Jasper rabbrividiva al pensiero di ciò che sarebbe accaduto se quella sostanza radioattiva si fosse scatenata sulla Terra o su un altro mondo abitato. Eppure c'erano mezzi per distruggerla. Il raggio al radio era molto efficace. L'habitat naturale della nebbia bian- ca era il freddo estremo, tuttavia occorreva un calore fortissimo, vicino al punto di ebollizione dell'acqua, per distruggerla. Come era logico, il calore moderato la faceva espandere.

I pensieri di Jasper si aggiravano fra le teorie scientifiche.

Cos'era quella strana forma di vita? Era nata nell'anello di Satur- no, o proveniva da qualche lontano angolo dell'universo? Proba- bilmente era antichissima e immortale come le piccole lune dell'anello, o come lo stesso Saturno. Il satellite che si era disin- tegrato aveva ospitato anticamente la vita? Quella nube lattigi- nosa che poteva suddividersi e fondersi a volontà rappresentava il supremo culmine della vita del satellite esistito nel passato?

Jasper s'interrogava, ma riusciva solo a formulare teorie, non più fantastiche della sostanza vivente che le ispirava.

Il vecchio tenne accuratamente chiusa la nebbia bianca, e po- co a poco se ne disinteressò. Aveva scoperto sul suo conto tutto ciò che poteva.

IV

Il tempo trascorreva più lento. Jasper stava esaurendo rapi- damente tutti i suoi interessi. A poco a poco, prese a curarsi me- no del proprio futuro. Si esponeva a rischi maggiori, allontanan- dosi tra gli asteroidi più di quanto avesse osato fare in preceden- za. Lo stupì constatare che aveva acquisito un'istintiva capacità

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di orientamento nell'anello di Saturno, e per due volte mise alla prova quella facoltà addentrandosi nelle tenebre, fra le minusco- le lune, spingendosi dove non potevano giungere i fiochi raggi della nave: come unica illuminazione, aveva solo le lampade della tuta spaziale. Entrambe le volte trovò la via del ritorno, senza esitazioni. Era arrivato al punto di non attribuire molta importanza alla propria vita. Persino il pericolo di incontrare la mortale nebbia bianca tra gli asteroidi lo spaventava assai meno.

Desiderava udire una voce umana, sognava più che mai la vici- nanza dei suoi simili. La solitudine dell'anello era tremenda. Se si fosse trovato nello spazio aperto, sarebbe stato meglio. A- vrebbe potuto vedere le stelle, le vecchie costellazioni ben poco diverse, scorte dall'orbita di Saturno, da quanto apparissero nella prospettiva dei pianeti interni. Jasper aveva conosciuto la solitu- dine degli spazi cosmici, ma aveva sempre avuto la compagnia delle stelle lucenti. Nell'anello di Saturno, era come essere se- polto sotto innumerevoli lapidi nella tenebra di una tomba im- mensa, in cui era autorizzato a vagare.

Finì per trovare compagnia nei resti muti delle ossa sgretolate dei compagni morti da tanto tempo, a bordo della City of Fomar:

e provava il desiderio di raggiungerli. L'inquietante suggestione si affacciò alla sua mente, e Jasper si affrettò a scacciarla, prima che si affermasse. Scrollò le spalle, si fece forza e tirò avanti.

Avrebbe continuato così finché avesse conservato la ragione e l'equilibrio mentale.

E tuttavia incupiva. La tristezza invase persino la quiete del sonno. Una notte, poi, non riuscì ad addormentarsi. Per lui, la notte era semplicemente il periodo del sonno, calcolato secondo i tempi terrestri. Era notte ogni volta che lui spegneva le luci.

Ma questa volta restò sveglio. L'inquietudine l'invadeva: era una sensazione nota, così familiare che l'indusse a guardare fuori nella tenebra, in cerca della minaccia bianca. Ma non c'era, a meno che si nascondesse dietro le lune circostanti, e Jasper sa-

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peva che questo non avveniva mai. I nervi e l'immaginazione gli stavano giocando un brutto scherzo.

Una scoperta sconcertante che egli fece durante il normale periodo di veglia, tuttavia, rivelò la causa della sua inquietudine.

Non era stato uno scherzo dei nervi e dell'immaginazione. La nebbia bianca era vicina, ma non all'esterno del rifugio, dove l'aveva cercata. Quando andò in magazzino per prendere i viveri, venne accolto da una grande nube grigia che protese uno pseu- dopodo verso di lui. I nervi tesi di Jasper scattarono, a quella tremenda scoperta: lanciò un urlo, trovandosi inchiodato, mentre con gli occhi dilatati valutava fulmineamente la situazione. Fug- gì dal magazzino e bloccò la porta d'acciaio, portando con sé la visione terribile della nebbia bianca insediata nella sicurezza del suo eremitaggio. Il recipiente spezzato in cui aveva conservato la sostanza vivente ed i contenitori schiacciati e dispersi dei vi- veri raccontavano una storia muta e minacciosa. Quel frammen- to di vita s'era liberato, aveva assimilato le sue scorte di viveri, acquisendo proporzioni pericolose. Non osava affrontarla con un proiettore a raggi di radium. L'avrebbe fatto solo come estrema risorsa.

Jasper si calmò. Doveva sbarazzarsi della nube bianca. Deci- se di cercare di attirarla fuori dall'asteroide, nello spazio, tenen- do pronto uno dei proiettori più potenti se il piano non avesse avuto effetto. Non voleva usare il proiettore nell'eremo, se non era assolutamente necessario, perché quando l'aveva adoperato contro il portello stagno dell'astronave era stato devastante quan- to la stessa nebbia.

Infilò la tuta spaziale, spense il riscaldamento e l'impianto dell'aria nella luna cava, e si accinse ad aprire i due portelli della camera stagna. Poi spalancò l'uscio del magazzino e attese, in un angolo lontano, tenendo pronto il proiettore. Lo sgradito inquili- no non uscì. Jasper sbirciò, cautamente, vide la nube aleggiare sopra le scatole devastate dei viveri. I barattoli erano schiacciati, e c'erano tracce del contenuto che era fuoriuscito. Sparò una de-

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bole scarica contro la massa grigia che turbinò, si espanse, si sollevò dal pasto e lanciò pseudopodi serpeggianti in cerca dell'origine di quel tormento. Un globulo della maligna entità si avventò in direzione della soglia, e Jasper arretrò in fretta, im- pugnando il proiettore. Da lontano, vide il frammento di nuvola soffermarsi sulla soglia ed esaminarla, indipendentemente dalla massa principale, che non emergeva. Dopo un po' vide apparire dal magazzino altri sbuffi di nebbia, fino a quando comprese che si era ricongiunta, ricostituendosi nella sua interezza. La nube avanzò lentamente nel suo alloggio, esplorandolo. Jasper attese, affascinato, appoggiato alla parete, sperando che si dirigesse verso il portello spalancato, verso la libertà dello spazio cui era abituata. Ma era preparato anche all'eventualità che si spostasse verso di lui.

Restò immobile, seguendo cupamente i vagabondaggi della nube. Attese che raggiungesse il passaggio aperto e sgusciasse fuori. La vide muoversi lungo la parete più vicina al portello. Si volse a guardare la soglia del magazzino, dove indugiava esitan- te un piccolo frammento: lo scrutò, con attenzione. Quando tor- nò a guardare in direzione del portello, il cuore gli balzò, colmo d'improvvisa speranza. Un tentacolo bianco si era proteso nell'a- pertura. Esplorando, la nube aveva trovato un varco. Spesso Ja- sper si era chiesto se quel rarefatto materiale possedeva impulsi telepatici. Era convinto che il resto della nube grigia sarebbe sta- to informato di quella via d'uscita nello spazio e avrebbe rag- giunto l'avanguardia. Il frammento che era rimasto sulla soglia del magazzino, intanto, si era ricongiunto al corpo principale.

Una differenza sconcertante attirò all'improvviso la sua atten- zione. La nebbia che stava nella camera stagna aveva la solita consistenza bianca. La nube che si muoveva lungo la parete, partendo dalla porta del magazzino, era grigia. L'orrore della ri- velazione lo agghiacciò, e la lenta crescita del volume della mi- naccia bianca nella camera stagna giustificò le sue peggiori pau- re. Quella non era una parte della nube grigia uscita dal magaz-

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zino: stava entrando nell'eremitaggio dallo spazio, anziché di- sperdersi nel vuoto! Il pericolo bianco era tornato! La nube gri- gia nel magazzino, mediante chissà quale misterioso mezzo di comunicazione, aveva chiamato altra nebbia, dispersa tra le lu- ne... e la legione mortale aveva risposto all'appello.

Jasper si scosse, si precipitò barcollando verso la camera sta- gna e cercò di chiudere il portello per bloccare le forze tremende che lo minacciavano. Ai suoi movimenti rapidi rispose una cor- rispondente alacrità da parte della nebbia che entrava: si gonfiò di colpo e sgusciò all'interno così rapidamente che il proiettore di raggi, subito usato da Jasper, non bastò a eliminarla con la ve- locità necessaria per consentirgli di raggiungere il portello e di sbarrarlo. Una muraglia bianca si espanse, gli sferrò un colpo che lo scagliò attraverso la stanza. La nebbia calò su di lui più lentamente, mentre egli si rialzava e azionava il proiettore, ap- poggiandosi con le spalle alla parete.

Lingue di morte bianca saettarono e lo sfiorarono, suscitando una frenesia di orrore formicolante dovunque il gas sfiorasse la tuta spaziale. Il raggio al radium disintegrava e distruggeva gli pseudopodi bianchi, mentre la massa principale avanzava per schiacciarlo. Madido di sudore, sfinito, Jasper combatteva frene- ticamente la sua battaglia perduta. Il delirio gli ottenebrava la ragione, ma non intralciava la sua efficienza. Azionava il proiet- tore come un dèmone impazzito negli abissi dell'inferno. Il rag- gio apriva squarci e fori nella compattezza della nube, ma erano subito colmati. I contatti formicolanti divennero meno frequenti.

Jasper si sentiva le braccia pesanti come piombo. I sensi minac- ciavano di abbandonarlo, ma egli resisteva, con disperazione. Vi erano momenti fuggevoli in cui la vista si oscurava e la nebbia bianca sembrava diventare rossa. All'improvviso, le ginocchia gli si piegarono: scivolò sul pavimento, contro la parete, seduto, muovendo più lentamente il proiettore. La nube bianca si preci-

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pitò nel punto in cui poco prima stava la sua testa. Il respiro an- simante sibilava come vapore entro il casco della tuta spaziale.

Jasper si chiese, vagamente, perché la nebbia bianca non lo sopraffaceva. I suoi sforzi diventavano meno frenetici, i movi- menti meccanici. Era ormai troppo debole per continuare a di- fendersi. Sapeva ciò che questo significava, ma persino la sua forza di volontà invocava una tregua, un lungo, infinito riposo.

La nebbia bianca parve svanire. Si ritirava. Jasper riuscì a di- stinguere gli oggetti nel suo alloggio. Notò il vapore che si ri- versava rapidamente fuori dal portello, e se ne stupì. L'oblio vin- se il suo corpo esausto. Il proiettore cadde dalle dita inerti, disat- tivandosi con il cessare della pressione sul grilletto.

Jasper non seppe per quanto tempo era rimasto lì, nella tuta spaziale, facile vittima per il ritorno della nebbia bianca. L'ere- mo era pervaso dal freddo dello spazio. Le luci erano ancora ac- cese. I due portelli della camera stagna erano spalancati. Quando riprese i sensi, si volse intorno. Si alzò, si avviò barcollando fino alla soglia del magazzino e guardò dentro. La minaccia bianca era sparita, ma delle sue scorte di viveri era rimasto ben poco.

La morte per fame era inevitabile. E tuttavia, Jasper si rallegrò.

Preferiva morire in un altro modo. Lentamente, si aggirò, chiuso nella tuta, effettuando riparazioni temporanee.

Si chiese perché la nebbia bianca aveva abbandonato così all'improvviso l'asteroide ed i suoi dintorni; eppure quella strana sostanza presentava tanti misteri inesplicabili.

All'improvviso interruppe il suo lavoro di saldatura. Fuori dal suo rifugio brillavano delle luci. Non aveva acceso i riflettori del relitto, e si chiese che cosa li avesse attivati. Guardò attraverso i due portelli della camera stagna. Un'altra astronave incrociava lungo la City of Fomar. Un'emozione indescrivibile s'impadronì di Jasper, quando egli entrò tremando nella camera stagna e chiuse il portello interno. Nella sua mente balenò la spiegazione dello strano comportamento della nebbia bianca. Quando l'a- stronave era penetrata nell'anello, aveva causato una forte per-

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turbazione. Il vapore se n'era accorto, ed era piombato sul relitto e sull'eremitaggio... e li aveva abbandonati all'appressarsi dell'a- stronave, per attaccarla. Jasper vide, tuttavia, che la nave scono- sciuta non era avviluppata dalla nebbia.

Spalancò il portello esterno. Scalciando, si lanciò attraverso il vuoto, verso la fiancata dell'astronave. Trovò il portello della camera stagna aperto, invitante. Quando entrò, nel comparti- mento si riversò il sibilo dell'aria che veniva immessa. Volti di esseri umani lo guardavano con amichevole stupore. Il portello interno si aprì, e un uomo lo aiutò a sganciarsi il casco della tuta.

Jasper Jezzan si guardò intorno, stralunato, fissò quei visi, trop- po sconvolto per parlare subito. Poi finalmente ritrovò la voce, mentre le lagrime gli scorrevano sul viso.

«Gente!» gridò, tremando. «Gente! Gente vera, finalmente!»

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