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L'impatto sui laminati in materiale composito

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Academic year: 2021

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L'impatto sui laminati in materiale composito

1.1– Cenni teorici sugli impatti

Per poter affrontare con criterio lo studio di un laminato quando viene impattato è doverosa una adeguata comprensione di cosa sia un impatto e di quali siano le grandezze che lo caratterizzano. Ad oggi è disponibile una vasta bibliografia a riguardo, ad esempio in [1] è riportata un'ampia descrizione di cosa sia fisicamente un impatto, di cui in questa sede se ne riporta solo una piccola parte, ritenuta essenziale.

Nel caso di un impatto tra un laminato e un proiettile, che in genere ha una parte impattante in acciaio, si può ritenere valida la teoria dell'impatto tra corpi rigidi; il fenomeno è quindi governato dal principio di conservazione della quantità di moto, in formule:

mava+mbvb=mav 'a+mbv 'b Eq.1.1 dove i pedici "a" e "b" sono riferiti ai due corpi che impattano, con "m" si sono indicate le masse e con "v" e "v' " rispettivamente le velocità prima e dopo l'impatto i cui versi positivi sono quelli indicati in figura 1.1. Si definisce a questo punto il coefficiente di restituzione (e) come:

Figura 1.1 - Impatto tra due corpi rigidi: (a) Prima dell'impatto (b) Dopo l'impatto, [1].

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e=v 'b−v 'a

va−vb Eq.1.2

Note le masse, le velocità prima dell'impatto e il coefficiente e è possibile ricavare le velocità subito dopo l'impatto, poi dalle velocità calcolate si può risalire all'energia cinetica dopo l'impatto che non necessariamente coinciderà con l'energia cinetica prima dell'impatto; la conservazione dell'energia cinetica si avrà solo nel caso di e=1, ovvero in caso di urto perfettamente elastico. Identificando la posizione delle due masse con xb e xa,

l'indentazione sarà massima quando la velocità relativa tra le due masse sarà nulla, ovvero quando ẋa= ẋb= v. Dal momento che la forza di contatto è una funzione crescente con

l'indentazione (Figura 1.2), allora questa avrà un massimo proprio nell'istante in cui le due masse hanno uguale velocità.

Un impatto può essere diviso in due fasi. Una prima fase è quella di carico, che inizia dal momento in cui i due corpi vengono a contatto e termina nel momento in cui i due corpi hanno la stessa velocità; appena i due corpi hanno la stessa velocità inizia la seconda fase, quella di restituzione, che termina alla fine del contatto. Se si indica con t = 0 l'istante i cui i corpi vengono a contatto, con t= tmax l'istante in cui la forza di contatto raggiunge il

massimo e infine con t= Tc l'istante in cui termina il contatto, utilizzando il teorema

Figura 1.2 - Indentazione. Con z=0 è indicata la superficie del laminato impattato; la distanza h è l'indentazione.

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dell'impulso1 si può scrivere che, per la fase di carico, si ha: mava−I1=mav Eq.1.3 mbvb+I1=mbv Eq.1.4 Dove: I1=

0 tmax F dt Eq.1.5

Allo stesso modo per la fase di scarico si può scrivere:

mav−I2=mav 'a Eq.1.6 mbv+ I2=mbv 'b Eq.1.7 Dove: I2=

tmax Tc F dt Eq.1.8

Dalle Eq.1.3 e 1.4 è possibile ricavare il valore di I1, mentre dalle Eq.1.6 e 1.7 si ricava il

valore di I2: I1= mamb ma+mb (va−vb) Eq.1.9 I2= mamb ma+mb (v 'a−v 'b) Eq.1.10

Nelle equazioni 1.3, 1.4, 1,6 e 1.7 la variazione della quantità di moto è posta uguale all'impulso della forza presa con segno positivo quando diretta nella direzione delle

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velocità indicate in figura 3.1; ovviamente considerando il principio di azione-reazione, sul corpo b agiranno forze opposte a quelle considerate per il corpo a, per questo motivo il segno dell'impulso nelle 1.3 e 1.6 è diverso da quello nelle 1.4 e 1.7.

Si può osservare che il rapporto tra I2 e I1 è pari al coefficiente di restituzione. Durante

tutto l'impatto, la forza di contatto F è sempre positiva e pertanto lo sarà anche I2, segue

che il coefficiente di restituzione avrà un valore compreso tra 0 e 1: quando varrà 0 i due corpi avranno la stessa velocità dopo l'impatto e l'impatto è definito plastico. Il valore di e può essere stimato per via sperimentale; una volta noto il suo valore (che comunque in genere rimane costante entro un certo range di velocità di impatto) è possibile calcolare il valore finale della velocità dei corpi impattanti, mentre non è utile né per ricavare la durata del contatto, né per risalire alla storia della forza di contatto.

1.2 – Classificazione degli impatti

La breve introduzione al fenomeno degli impatti apre le porte ad una vasta gamma di studi effettuabili al variare delle varie grandezze che lo caratterizzano. Diventa quindi necessaria una classificazione di tutte le varie tipologie di impatti al fine di poter individuare quale sia la classe che più si avvicina all'obbiettivo del presente lavoro di tesi. Sempre da [1] è estratta la seguente classificazione degli impatti, effettuata al variare della risposta del campione impattato. Si ritiene che la risposta all'impatto di un materiale possa essere divisa in risposta di bassa velocità (massa elevata), velocità intermedia, alta velocità o balistica (piccola massa) e iper-velocità. Nell'impatto con massa elevata e bassa velocità rientrano gli impatti causati dalla caduta di utensili; in questo caso le velocità non superano i 10 m/s e a queste velocità tutto il laminato partecipa nell'assorbimento dell'energia dell'impatto. Nella categoria degli impatti a velocità intermedia rientrano gli impatti causati da detriti sollevati dalla pista durante il rullaggio, o da violente grandinate o ancora da oggetti che in seguito al forte vento vanno a impattare la struttura. La velocità in questa classe di impatti va dai 10 ai 50 m/s e la risposta del laminato è una via di mezzo tra la risposta ad impatti a bassa velocità e la risposta ad impatti ad alta velocità. Gli impatti dovuti ai detriti scagliati ad alta velocità (come da un'esplosione) rientrano nella categoria degli impatti ad alta velocità. La risposta a questa tipologia di impatti è pertanto dominata dalla velocità di propagazione dell'onda di compressione attraverso lo spessore del laminato, non dando tempo all'intera struttura di reagire all'impatto; quello che ne deriva è un danno fortemente localizzato. Lo studio di questa categoria di impatti è semplificato se paragonato agli impatti a bassa velocità (low velocity impact, LVI) in quanto non vi è la dipendenza della risposta del provino al variare delle condizioni al contorno, dal momento che durante

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l'impatto l'onda di compressione non ha il tempo per raggiungere i bordi del pannello. Gli impatti classificabili ad alta velocità hanno una velocità compresa tra i 50 e i 1000 m/s; oltre tali valori di velocità, gli impatti rientrano nella categoria degli impatti ad iper-velocità, il range di questi va infatti oltre i 2-5 km/s. A tali velocità il proiettile viaggia ad una velocità tale che il materiale che va ad impattare reagisce come un fluido. Questo tipo di impatti interessano chi si occupa delle protezioni dei satelliti da meteoriti orbitanti. Una ulteriore suddivisione degli impatti può essere effettuata a partire dal valore di energia a questo associato. Si distinguono quindi impatti a bassa, media ed alta energia i cui range non sono ben definiti in letteratura in quanto spesso l'aggettivo alta o bassa energia è relativo a ciò che si sta studiando. La classificazione degli impatti al variare dell'energia viene utilizzata per comprendere il comportamento di un laminato al variare delle varie grandezze caratterizzanti un impatto, lasciando però immutato il valore di energia. I risultati di questo tipo di studi saranno riportati in seguito quando sarà spiegato il comportamento del laminato al variare della massa del proiettile, della forma della parte impattante del proiettile, della velocità dello stesso e di altre caratteristiche riguardanti il laminato come la sequenza di impilamento, i materiali usati e cosi via. Per quanto invece riguarda i test di laboratorio effettuati al DIA, si può affermare con certezza che tutti gli impatti rientrano nella categoria in cui si hanno bassi o al massimo intermedi valori di velocità. Anche se dal punto di vista della risposta del materiale queste due categorie di impatti andrebbero analizzate separatamente, si può asserire che per quanto riguarda i danni provocati dall'impatto le due categorie possono essere unite in un'unica classe di impatti. Da ora in poi (salvo diversa indicazione), parlando di impatti a bassa velocità, si farà riferimento a impatti in cui le velocità vanno da zero a 50 m/s.

1.3 – Danni dovuti ad impatti della classe LVI

Il meccanismo di danneggiamento della classe di impatti di cui ci si occupa è riassumibile in quattro fasi:

• Rottura della matrice • Nascita delle delaminazioni • Propagazione delle delaminazioni

• Danneggiamento superficiale con rottura delle fibre

In caso di impatti a bassa velocità il materiale si deforma plasticamente fino ad un certo valore limite di energia, oltre il quale si iniziano a riscontrare i primi danneggiamenti o

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meglio le prime fratture; nei successivi sotto paragrafi saranno spiegati più in dettaglio le forme di danno elencate.

1.3.1 – Rottura della matrice

La prima fase di danneggiamento è legata alle caratteristiche di laminato e impattatore, infatti le fratture della matrice possono essere normali o di taglio: le prime si localizzano sulla superficie opposta a quella impattata; la flessione del provino fa nascere uno sforzo normale che, se nella lamina2 considerata le fibre sono a 0°, genera una fessura che corre

nella direzione delle fibre. In questo primo caso, si ha dunque che lo sforzo normale generato dalla flessione del provino supera la resistenza della lamina in direzione trasversale, generando la fessura. Nel secondo caso, sono le sollecitazioni di taglio che superano la resistenza a taglio (nella direzione dello spessore) del singolo layer dando vita a rotture. Questo tipo di danneggiamento è in genere visibile nelle "pelli" del laminato con maggiore inclinazione, mentre possono essere anche assenti in pelli con fibre a 0°.

Nella figura 1.3, tratta da [2], sono riportate sia le fessure normali che quelle di taglio, oltre alle delaminazioni e alla indentazione; sul lato destro della figura sono indicate gli orientamenti dei fasci di fibre contenuti in ogni layer.

2 Con la dizione lamina o layer si intende un singolo strato formato da fibra più matrice

Figura 1.3 - Danneggiamenti da impatto Delaminazione

Indentazione Tagliante

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In laminati con insufficienti proprietà adesive tra fibre e matrice, legate ad esempio ad un non adeguato o non corretto ciclo di curing, può succedere che invece della rottura della matrice si verifichi uno scollamento tra fibre e matrice denominato debonding, che comunque ha gli stessi effetti di una delaminazione.

1.3.2 - Nascita delle delaminazioni

Al crescere dell'energia di impatto, si iniziano a manifestare le prime delaminazioni a causa della rottura della matrice. Le forze che agiscono in questa fase sono lo stress in direzione normale al piano del laminato (presente in seguito alla rottura della matrice) e il taglio interlaminare lungo l'interfaccia tra le plies (vedi figura 1.5). La formazione delle delaminazioni a seguito di impatti è quindi governata dagli stessi fenomeni alla base della formazione di delaminazioni al bordo libero di un laminato soggetto a carichi nel piano, pertanto vi sarà una certa dipendenza del fenomeno sia dalla sequenza d'impilamento che dall'inclinazione dei vari strati.

Da un punto di vista meccanico, la formazione delle delaminazioni all'interno di un laminato può essere spiegato utilizzando il modello proposto da Dorey nel 1989 in [5]: si ipotizzi di avere un laminato a due plies sottoposto ad impatto, è stato già spiegato come la tendenza alla delaminazione sia legata all'orientazione, o meglio, alla orientazione relativa tra plies adiacenti; in Fig.1.6 sono riportate le tensioni che agiscono sulle fibre di ogni ply a causa dell'inflessione delle stesse generata dall'impatto.

Figura 1.4 - Meccanismo di formazione delle delaminazioni (tratta da [3])

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Si osserva come la zona in cui avviene l'impatto sia fondamentalmente compressa a causa dell'azione diretta del proiettile, perciò le azioni che generano le delaminazioni si trovano in un intorno della zona d'impatto.

Nella zona identificata con la lettera "A", le fibre dello strato superiore hanno una componente di sforzi verso l'alto, mentre nello strato inferiore l'inflessione genera tensioni con una componente degli sforzi rivolta verso il basso. Nella zona "B" succede l'esatto opposto: le tensioni nelle fibre dello strato superiore danno una componente rivolta verso il basso, mentre le tensioni nello strato inferiore danno vita ad una componente rivolta verso l'alto. Come risultato si ha che nella zona "A" vi è una forza che tende ad allontanare le lamine e quindi vi è una certa tendenza alla delaminazione, mentre nella zona "B" si vengono a creare delle forze che comprimono i vari strati evitando così la nascita delle delaminazioni.

Il modello di Dorey è ritenuto valido in quanto dà una spiegazione a varie evidenze sperimentali come ad esempio il fatto che le delaminazioni si propagano prevalentemente nella direzione delle fibre della ply sottostante a quella che subisce l'impatto; spiega anche perché le delaminazioni più grandi nascano nelle interfacce tra strati aventi elevata inclinazione relativa e, infine, chiarisce il motivo per il quale le delaminazioni assumano la tipica forma a peanuts (Fig.1.7).

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Un altro modello altrettanto valido quanto quello di Dorey è quello di Liu proposto in [6], nel quale la formazione delle delaminazioni viene correlata con un fattore di "disaccoppiamento"; in sintesi: tanto maggiore è la differenza di rigidezza in una certa direzione (in genere il riferimento è la direzione delle fibre dello strato superiore a quello di cui si sta studiando la tendenza a delaminare) tra strati di fibre adiacenti, quanto più elevata sarà la tendenza alla delaminazione.

Il modello di Liu potrebbe essere considerato come il punto di vista analitico del modello proposto da Dorey: anche se in realtà i due modelli studiano il fenomeno da diversi aspetti (quello di Dorey si basa sugli sforzi e quello di Liu sulle rigidezze), si possono ritenere i due modelli quasi equivalenti. In aggiunta alle conclusioni del modello di Dorey, Liu riuscì ad evidenziare sia una dipendenza lineare tra l'energia ceduta al provino3 e l'area totale

della superficie delaminata (Fig.1.8), che la differente tendenza a delaminare in laminati realizzati con fibre in materiale diverso. Il modello di Liu parte dall'ipotesi fondamentale di poter ritenere trascurabile gli sforzi membranali derivanti dall'impatto, nella zona immediatamente vicina al punto di impatto; da ciò segue che le tensioni indotte dalla flessione sono le uniche ad avere un ruolo nella formazione delle delaminazioni: in altre parole la delaminazione può essere vista come causata dalla flessione dell'intero pannello e quindi, nella descrizione del modello, Liu semplifica la dinamica dell'impatto riducendola ad una semplice flessione del provino.

3 Per energia ceduta al provino si intende la differenza tra l'energia del proiettile un istante prima dell'impatto e l'energia del proiettile all'inizio del rimbalzo.

Figura 1.7 - Forma tipica delle delaminazioni (tratta da [2])

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Facendo riferimento alle caratteristiche del materiale, la rigidezza flessionale gioca un ruolo predominante nella formazione delle delaminazioni. Quindi, in un laminato in composito la tendenza a delaminare può essere correlata al disaccoppiamento tra le rigidezze flessionali di due lamine adiacenti. In altre parole, invece di studiare la delaminazione partendo dalla distribuzione degli sforzi, si può ipotizzare una potenziale delaminazione tra due strati andando a valutare il mismatching tra le rigidezze flessionali di due strati adiacenti.

Dalla teoria dei laminati, è noto che la rigidezza flessionale dipende dalle costanti elastiche del materiale, dalla sequenza d'impilamento e dallo spessore della singola lamina secondo l'equazione: Dij=1 3

k=1 n Qij⋅(hk3−h k−1 3 ) Eq.1.11

dove Q è la matrice di rigidezza ridotta, "h" è lo spessore e "k" è l'indice che identifica una particolare lamina del composito. La differenza tra la rigidezza flessionale tra due

Figura 1.8 - Dati sperimentali e interpolazione lineare tra energia cinetica dell'impattatore e area delaminata (tratto da [6]). I triangoli sono riferiti a laminati composti da 3 layers di fibre, mentre i cerchi a laminati realizzati usando 5 strati di fibre.

5 Energia cinetica [J] 5 10 15 20 25 30 35 40 A re a de la m in at a to ta le [ cm 2] 0 20 40 60 80 100 120 140

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lamine adiacenti può essere rappresentata da un coefficiente di disaccoppiamento "M" definito come segue:

M = Dijb)−Dijt) Dij(0 °)−Dij(90 °)

Eq.1.12 dove "ϴb"e "ϴt"rappresentano l'orientazione degli strati adiacenti di fibre che si stanno

considerando, identificando con "b" (bottom) la lamina inferiore e con "t" (top) la lamina superiore. Al fine di ottenere un coefficente adimensionale, si adimensionalizza con la differenza tra le rigidezze flessionali degli strati a 0° e a 90°.

Dalla teoria della laminazione sono 6 i termini nella matrice della rigidezza flessionale che compongono la matrice "D", ma nella pratica i termini D11 e D22 hanno un valore molto più

elevato degli altri quattro termini. Detto questo, l'Eq.1.12 può essere ridotta a: M = D11(θb)−D11(θt)

D11(0 °)−D11(90 °) Eq.1.13

Esplicitando i vari termini che compaiono nella Eq.1.13 e considerando un laminato composto da solo due pelli con angoli relativi di 90°4, il coefficiente di disaccoppiamento

diventa, [6]:

M =cos(2 θ) Eq.1.14

ovvero ha una distribuzione a doppia superficie tipo peanut. Si osservi che nella Eq.1.14 non compaiono le costanti del materiale, perciò la distribuzione del coefficiente di disaccoppiamento è indipendente dal materiale che si sta considerando. In Fig.1.9 la linea continua è relativa ad un "M" positivo, mentre quella tratteggiata ad un "M" negativo. Tuttavia solo i valori positivi del coefficiente di disaccoppiamento danno origine alle delaminazioni. Il motivo di ciò può essere spiegato osservando il campo di spostamento in un laminato unidirezionale soggetto ad un carico concentrato applicato al centro del pannello. Come si può vedere in Fig.1.10, gli spostamenti dipenderanno dalla rigidezza delle lamine, che a loro volta sono legate all'orientazione delle stesse. Studi analitici e prove sperimentali hanno dimostrato che nella direzione delle fibre il laminato tende a curvarsi creando una concavità, mentre nelle altre direzioni si curva sempre, ma creando

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una convessità.

Il campo di spostamento è rappresentato nella seconda illustrazione di Fig.1.10. Alla luce di quanto detto sopra, se si considera un laminato [90/0], lungo la direzione 0° ci sarà una tendenza a curvarsi in modo concavo, risulterà perciò una propensione alla separazione a partire proprio dalla lamina a 0° (vedi terza illustrazione in Fig.1.10); al contrario, lungo la lamina a 90° nasceranno sforzi che tenderanno a mantenere unite le lamine.

Un'altra considerazione legata al modello di Liu, riguarda l'area della delaminazione: in accordo con l'Eq.1.13, e come già ripetuto in precedenza, il coefficiente di disaccoppiamento dipende dalla rigidezza flessionale, che a sua volta dipenderà dallo spessore della lamina, dalla sequenza di impilamento e dalle proprietà del materiale. In Fig.1.11 sono riportate le aree calcolate col modello di Liu per differenti sequenze d'impilamento in pannelli quadrati; tali risultati hanno trovato poi riscontro nelle prove di laboratorio.

Figura 1.9 - Disaccoppiamento della rigidezza flessionale normalizzata in un laminato a due lamine [7]

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La dipendenza dal materiale è evidenziabile considerando laminati identici in termini di spessore, sequenza d'impilamento e dimensioni: in laminati in cui vi è una grande differenza tra il modulo elastico della matrice e il modulo elastico delle fibre, sarà maggiore l'area delaminata; da questo si potrebbe dedurre che nei CFPR usati in aeronautica e su cui saranno effettuati i test descritti nei capitolo successivi, vi sarà in teoria una tendenza a delaminare maggiore rispetto ad altri laminati di uso comune come quelli in Kevlar/Epox o in fibra di vetro/Epox; tuttavia, come riportato in [7], nei laminati in Kevlar/Epox non vi è una qualità dell'incollaggio tra matrice e fibre buona quanto quella dei laminati in CFRP e in fibra di vetro/Epox, perciò la resistenza a taglio interlaminare molto bassa faciliterà anche in questi la tendenza al debonding.

Figura 1.10 - Campo di spostamenti e delaminazione in un laminato [90/0],(tratta da [6])

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Laminati uguali che differiscono solo per lo spessore si comportano diversamente: il più spesso sarà più soggetto a delaminare rispetto a quello più sottile. Infatti, sempre dall'Eq.1.11, si nota una dipendenza dallo spessore di tipo cubico; questo vuol dire che se si vanno a testare due laminati, per esempio uno [0/90] e l'altro [02/902] usando la stessa

energia per unità di spessore, si riscontra che l'area delaminata del provino più spesso sarà 8 volte maggiore dell'area delaminata del provino meno spesso. Ovviamente, il motivo lo si può ricercare nel coefficiente di disaccoppiamento, che nel laminato [0/90] sarà 8 volte minore di quello relativo al laminato [02/902].

Il modello di Liu è stato verificato effettuando un certo numero di test su provini a due pelli e spesso i risultati ottenuti si avvicinavano molto alle predizioni del suddetto modello. Tuttavia, non è stato ancora dimostrato che tale modello sia applicabile (con le dovute correzioni) a laminati multistrato o, ancor peggio, a laminati i cui strati di fibre siano costituiti da tessuti. In generale, però, anche se non si riesce a fare una previsione della delaminazione che seguirà ad un impatto su un laminato qualsiasi, i risultati di questo modello sono utili per avere delle linee guida sul disegno damage tolerance di laminati. Ulteriori aumenti dell'energia di impatto causano la propagazione della delaminazione e a livelli ancora maggiori si iniziano a verificare le rotture delle fibre a cui è associata una diminuzione delle caratteristiche di resistenza del materiale.

Figura 1.11 - Area delaminata normalizzata calcolata con il modello di Liu (tratta da [6])

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1.3.3 - Propagazione delle delaminazioni

Le due tipologie di danneggiamento descritto, in genere, si trovano ad interagire tra loro: è stato dimostrato in [1] che le delaminazioni si formano soltanto in presenza di fratture della matrice e quindi solo dopo un certo valore di soglia dell'energia di impatto. E' stato dimostrato anche che le delaminazioni non corrono precisamente lungo il piano di separazione tra plies adiacenti, ma piuttosto lungo una zona adiacente a tale interfaccia. Da studi successivi si è giunti alla conclusione che, quando le fessure della matrice dovute al taglio interlaminare si propagano nello spessore fino alla ply successiva, si arrestano a causa della differente orientazione delle fibre e quindi, invece di continuare a propagarsi attraverso lo spessore, iniziano ad espandersi tra le plies sotto forma, appunto, di delaminazione. La delaminazione inizia quindi come una fessura sollecitata in "modo I" e le forze che agiscono sono gli stress fuori dal piano causati dalla presenza di fessure nella matrice e dagli sforzi di taglio lungo le interfacce. Sia le fessure normali che quelle di taglio possono dare origine a delaminazioni, tuttavia è stato provato che le delaminazioni che seguono a fessure normali crescono in modo stabile e proporzionalmente al carico applicato; delaminazioni causate da fessure di taglio crescono in modo instabile.

La crescita delle delaminazioni è governata dalle tensioni σ13 e σ22 dello strato inferiore

dell'interfaccia delaminata, e dalla σ23 dello strato superiore (vedi Fig.1.14).

Sulla propagazione delle delaminazioni da impatto, si sono di recente sviluppate diverse teorie di cui per ora soltanto due hanno trovato buoni riscontri pratici. Entrambe, riportate in [8], partono dalle osservazioni sperimentali fatte su una grande varietà di campioni, ovvero:

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• si può assumere che lo sforzo di taglio generato dal proiettile sul laminato possa ritenersi uniformemente distribuito su un area cilindrica di altezza pari allo spessore del laminato, sotto l'impattatore;

• la forza necessaria a generare un danneggiamento aumenta con lo spessore del laminato secondo una legge

t3 (vedi figura 1.13);

• la delaminazione dipende dall'area sottesa alla curva forza-spostamento, di cui un esempio è riportato in Fig.1.19.

Tutte queste considerazioni portarono Davies, [4], a proporre un modello semplice, basato sulla toughness relativa al modo II d'apertura sotto l'azione delle forze di taglio interlaminari GIIc:

Pcr2=8 π

2

E t3GIIc

9(1−ν2) Eq.1.15

dove si è indicato con "Pcr"il carico al quale si forma la delaminazione, con "E" il modulo

di Young equivalente nel piano5, con "t" lo spessore del laminato e con "ν" il rapporto di

Poisson. Nella Eq.1.15 è possibile notare anche l'indipendenza del carico dalle dimensioni nel piano del laminato.

Il secondo modello fu sviluppato da Sutherland, [9], secondo cui la formazione delle delaminazioni è strettamente legata alla resistenza del pannello a taglio interlaminare (interlaminar shear strength o ILSS), attraverso la relazione:

Pcr2 =(6 ILSS 3

π3t3

E )R Eq.1.16

dove con "R" si indica il raggio del proiettile.

Comparando i due modelli, si nota che nell'ultimo si tiene conto anche della dimensione del proiettile che, come sarà spiegato nel paragrafo 1.3, ha molta influenza sull'entità del danno, a parità di altri parametri d'impatto.

Yang, in [8], riporta i risultati di una serie di prove mirate a stabilire la capacità di previsione del danno che offrono i due modelli presentati, oltre che la dipendenza dell'entità del danno al variare della temperatura, che verrà affrontata nel prossimo

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paragrafo. Egli condusse uno studio su provini in fibra di vetro e resina epossidica i quali, grazie alle loro trasparenza, offrono la possibilità di osservare il danno provocato da un impatto, semplicemente illuminando adeguatamente la zona impattata. Per prima cosa è stato quindi necessario caratterizzare il materiale, ovvero, in particolare, stabilire il valore della ILSS e della GIIc. Fatto questo, fissati tutti gli altri parametri, si è registrato il valore

di forza al quale iniziava a vedersi una delaminazione nel provino su provini di diverso spessore, trovando (come si nota dalla Fig.1.14) una dipendenza lineare tra forza e √ t

3

. Dai dati di Fig.1.13 sono state ricalcolate le ILSS e le GIIc e, mentre per quest'ultima è stata

trovata una buona somiglianza al valore già calcolato in precedenza, altrettanto non si è potuto dire per la ILSS. Infatti essendo la ILSS associata prevalentemente alle proprietà della matrice, ed essendo questa sensibile alla velocità di deformazione, non si è trovata una buona corrispondenza tra il valore relativo alla prova di impatto e il test quasi-statico condotto a monte. Quindi, anche se il modello riportato in Eq.1.15 è meno accurato, si riesce ad avere una stima del valore minimo della forza che causa delaminazioni, con i dati di un test quasi statico; dalla Eq.1.16 non si riesce a fare altrettanto, ma si possono usare i dati sperimentali di Fig.1.13 per calcolare la ILSS e prevedere quale sarà il valore di forza che causerà un danno in provini dello stesso tipo, ma con spessore diverso o con diversi diametri del proiettile.

Figura 1.13 - Variazione del valore di soglia della forza necessaria ad iniziare la delaminazione in funzione dello spessore (tratta da [8])

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1.3.4 - Danneggiamento superficiale con rottura delle fibre

L'ultima tipologia di danno è la rottura delle fibre che si verifica dopo la frattura della matrice e la formazione delle delaminazioni. La rottura delle fibre può essere causata sia dalle forze di taglio, dando origine all'indentazione, sia dalle tensioni flessionali, e in questo caso la zona interessata dal danneggiamento è la faccia non impattata del provino. Questa tipologia di danno è poco studiata in quanto a livello strutturale, alla rotture delle fibre seguono conseguenze catastrofiche, perciò si preferisce non raggiungere mai questa condizione.

Come linea guida, in [11] è riportato il valore di energia elastica immagazzinata nel provino al quale si ha in genere la rottura delle fibre (Eq.1.17):

E=σ 2 wtL 18 Ef Eq.1.17 dove: • σ è la resistenza flessionale • Ef è il modulo flessionale • w è la larghezza

• L è la lunghezza non vincolata • t è lo spessore

Figura 1.14 - Versi positivi delle tensioni in un laminato (tratta da [10]).

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1.4 – Variabili che condizionano il danneggiamento da impatto

Da quanto riportato finora si può capire come il fenomeno dell'impatto sui laminati sia influenzato da numerose variabili. In breve si può affermare che l'area delle delaminazioni può essere ridotta utilizzando fibre con piccoli allungamenti a rottura; infatti, così facendo, durante l'impatto gran parte dell'energia viene assorbita dalla rottura delle fibre, e non va ad intervenire nella formazione e nella crescita delle delaminazioni. E' stato anche più volte ripetuto come sia meglio utilizzare sequenze d'impilamento tali da ridurre l'angolo relativo tra strati adiacenti, in modo da minimizzare il coefficiente di disaccoppiamento e ridurre la tendenza alla delaminazione6. Anche il tipo di resina assume un ruolo importante, matrici

con maggiore toughness (come le termoplastiche) conferiscono al laminato migliore resistenza alle delaminazioni, [1]. Proprio a causa della presenza della matrice i laminati hanno comportamenti che variano in base alla temperatura a cui vengono eseguiti i test. Anche se la relazione tra la temperatura e gli altri parametri che caratterizzano l'impatto non sono stati studiati a sufficienza, si può affermare che per laminati di piccolo spessore il valore di soglia della forza di impatto al quale inizia la delaminazione, dipende dalla temperatura ed è stato dimostrato che il suddetto valore raddoppia passando da 20°C a 90°C. Lo stesso andamento, anche se meno marcato, lo si ha in provini di spessore più elevato. Il motivo di questo differente comportamento non è stato ancora trovato, ma è plausibile pensare che la causa potrebbe essere la differente temperatura, dovuta ad un riscaldamento non uniforme, nei layers interni del laminato di spessore maggiore. In generale quindi un aumento di temperatura, rendendo la matrice meno fragile, migliora il comportamento del laminato.

Una particolare attenzione va prestata a tutti i test mirati a valutare quelle proprietà del laminato che saranno usate per effettuare stime di parametri utili a verificare la sicurezza di una struttura in composito che sarà sottoposta a situazioni diverse da quelle a cui è stato effettuato il test. Un esempio di questo è dato dalla ILSS di cui si è discusso nei precedenti paragrafi: la matrice è rate sensitive, i dati ottenuti nel test quasi-statico della ILSS sono conservativi, i valori infatti sono più bassi di quelli riscontrati a test effettuati a elevate velocità, ma potrebbe non essere sempre così.

Come già accennato, laminati con spessore diverso hanno comportamenti differenti: laminati sottili sono soggetti a rotture tipo "Abete" rovesciato, mentre in laminati con spessore più elevato le rotture sono ad "Abete". Nei primi gli sforzi derivanti dalla

6 Agendo sull'angolo relativo tra le plies si va a modificare il GIc, tuttavia nella classe di impatti LVI sono le

sollecitazioni del modo II quelle più importanti, perciò la diminuzione della tendenza a delaminare

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flessione (più rilevanti rispetto a quelli derivanti dal taglio) causano microrotture della matrice e debonding di entità sempre maggiore man mano che ci si allontana dalla zona di impatto; nel secondo caso, avendo il laminato una rigidezza maggiore, la deformazione derivante dall'impatto è minore, perciò si viene a creare un'alta pressione di contatto e delle alte sollecitazioni dovute al taglio trasverso. Le modalità di rottura sono raffigurate in Fig.1.15.

Non sono solo le proprietà intrinseche del provino a determinare la dinamica dell'impatto, infatti un importante ruolo è assunto anche dal proiettile. La forma, le dimensioni, la massa, il materiale e l'angolo di incidenza dell'impattatore hanno una forte influenza sulla risposta del provino. Un proiettile appuntito tende a creare più rotture di fibre di uno meno “appuntito” a cui invece sono associati maggiori danni interni, come le delaminazioni. Quest'ultimo tipo di proiettile è quello più studiato nel campo degli impatti a bassa velocità, perchè simula in modo molto realistico i detriti che un aereo può sollevare dalla pista; in particolare i proiettili con testa emisferica sono quelli che danno vita alle forze di impatto più elevate e alle durate del contatto più brevi, perciò il loro uso in test di laboratorio ha anche lo scopo di ottenere risultati conservativi. La massa del proiettile, a parità di forma e dimensioni, influenza il valore di energia assorbita dal provino durante l'impatto: se il proiettile è pesante il pannello si flette in modo rilevante assorbendo un gran quantitativo di energia; se invece il proiettile è leggero l'energia viene concentrata solo nell'intorno della zona d'impatto, e viene perciò assorbita in misura minore.

Il materiale di cui è composto il proiettile è in genere più duro di quello del provino. La maggior parte dei test è effettuata con proiettili in acciaio, ma se è necessario possono essere usati materiali diversi. In sostanza, variando il materiale si va a modificare la pressione di contatto, che, come sarà spiegato nel paragrafo 1.5.1, dipende anche dalla rigidezza del proiettile.

Usando proiettili di forma emisferica, entra in gioco una variabile che ne rappresenta le dimensioni: il diametro. In [8] è possibile osservare i risultati di prove in cui l'unico parametro a variare era il diametro dell'impattatore; quello che si evince è la dipendenza lineare tra il valore critico di forza di impatto (quello a cui si inizia a formare la

Figura 1.15 - Tipi di rottura relativi a piccoli spessori (a sinistra) ed a spessori elevati (a destra) – (tratta da [1])

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delaminazione) e la dimensione del proiettile. Anche in questo caso i pannelli di piccolo spessore risentono dell'aumento delle dimensioni dell'impattatore più di quelli di spessore maggiore; in alcuni casi ci sono stati aumenti del carico critico del 150%. La dipendenza dallo spessore di questo legame ne suggerisce la causa: infatti una volta scelta la forma emisferica del proiettile, ad un diametro maggiore corrisponde una maggiore area interessata dal contatto e quindi una forza maggiormente distribuita sulla superficie del provino (Siow, [12]).

Nei test di laboratorio gli impatti vengono effettuati lanciando il proiettile in direzione perpendicolare al laminato, anche se questo non è quello che succede quando nella realtà lo stesso pannello viene colpito da detriti. I motivi di questo sono essenzialmente due: innanzitutto c'è la tendenza a semplificare i test eliminando più variabili possibili (si noti come nonostante molti pannelli reali siano realizzati con fibre tessute, i vari studi si concentrano su pannelli di prova realizzati con fibre unidirezionali); in secondo luogo bisogna anche considerare che la maggior parte del danno causato dall'urto è dovuto alla velocità incidente del proiettile e non a quella tangente, perciò studiando il caso in cui il proiettile cade perpendicolare al pannello, si semplificano i test senza compromettere significativamente i risultati.

Alla risposta del provino contribuiscono in maniera significativa anche le condizioni al contorno e le dimensioni proprie del pannello. Nella vita operativa un componente in composito sarà vincolato in vari modi ed ad ogni modo corrisponderà una maggiore o minore rigidezza del vincolo. L'impossibilità di poter eseguire test per ogni tipologia di vincolo, costringe i ricercatori a eseguire le prove con due o tre condizioni di vincolo diverse, dalle quali estrapolare dei modelli utilizzabili in qualsiasi contesto. In [13] è evidenziato come la risposta all'impatto dipenda sia dalle condizioni al contorno, che dalle dimensioni nel piano del provino. Questi due fattori vanno a modificare la rigidezza flessionale del provino e quindi la tipologia di danni indotti dall'impatto: pannelli più rigidi andranno incontro ad estese delaminazioni, in quanto deformandosi poco e perciò dissipando meno energia elastica, avranno più energia ad "alimentare" le delaminazioni.

1.5 – Il modello di Robinson

Nel 1991, Robinson, [14], pubblicò un interessante studio riguardo gli effetti della geometria del provino e della massa dell'impattatore sulla risposta del provino: egli testò provini circolari in CFPR di diverso diametro e sottoposti a varie condizioni di vincolo. Il primo risultato trovato fu la dipendenza tra la dimensione massima del danno (Fig. 2.8) e l'energia dell'impatto, a prescindere dalla massa del proiettile, come mostrato in Fig.1.16.

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L'effetto delle dimensioni del provino è invece visibile in Fig.1.17: come già detto, maggiori sono le dimensioni del provino nel piano (minore sarà la rigidezza) più energia sarà necessaria per ottenere un certo danno, in quanto il provino avrà la possibilità di deformarsi maggiormente, dissipando energia elastica.

Dai test di laboratorio emerse non solo la dipendenza tra energia e danno riportata in Fig.1.17, ma anche che il danno di determinate dimensioni massime corrispondente ad una certa energia, non dipendeva dalle variabili in gioco. Questo suggerì un approccio per la previsione del danno basato sull'energia "danneggiante". La procedura è la seguente:

(1) determinazione della forza massima di contatto Pmax dal grafico forza-tempo (di cui

un esempio è in Fig.1.19);

(2) assunzione che l'energia elastica immagazzinata nel provino danneggiato fino al raggiungimento della forza massima, può essere approssimata con l'energia elastica immagazzinata nel provino non danneggiato fino al raggiungimento della stessa

Figura 1.16 - Grafico Energia Vs Danno massimo

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forza. In pratica si immagina che il danno sia piccolo e che quindi si possa calcolare la deflessione al centro del provino (w0) con la formula valida per corpi sottili

(comportamento piastra-membrana) soggetti ad un carico uniformemente distribuito: w0 h +A( w0 h ) 3 =BP a 2 Eh4 Eq.1.18

dove "h" è lo spessore del provino, "a" è il raggio del provino, "E" è il modulo di Young, mentre "A" e "B" sono delle costanti che dipendono rispettivamente dalle condizioni al bordo e dal rapporto di Poisson del materiale del provino.

Tenendo conto dell'Eq.1.18, l'energia elastica immagazzinata nel provino (Ue) può

essere calcolata come:

Ue=Eh 4 Ba2

0 w0max [w0 h +A( w0 h ) 3 ]dw0=Eh 4 Ba2[ w0max2 2h +A w0max4 4h3 ] Eq.1.19

dove con w0max si è indicata la massima deflessione al centro del provino, ovvero

quella rilevata quando il carico P è uguale a Pmax;

(3) assunzione che neppure la minima parte di questa energia immagazzinata nel provino, venga dissipata per attriti vari durante il processo di danneggiamento, l'energia danneggiante (Ud) può essere così calcolata semplicemente come

differenza tra l'energia di impatto (Ui) e quella elastica:

Ud=Ui−Ue Eq.1.20

Il metodo riportato ha avuto riscontro nella pratica, anche se le assunzioni alla base del ragionamento descritto sono spesso abbastanza rilevanti. In pratica, si è ottenuta una dipendenza tra energia di danneggiamento ed entità del danno migliore di quella usata precedentemente tra entità del danno ed energia di impatto. A questo punto, la procedura di previsione del danno sembrerebbe chiara e precisa: dato il pannello (con i relativi vincoli e costanti elastiche) e il dato di forza massima raggiunto durante l'impatto è possibile calcolare la massima deflessione e poi l'energia elastica assorbita e quindi l'energia di

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Prova su pannello campione (sono quindi noti h, A, B ,E, a e Ui che compaiono in Eq.1.18)

Acquisizione della deflessione massima (w0max) e della forza massima (Pmax)

Calcolo dell'energia elastica (Ue) con l'equazione 1.19

Calcolo dell'energia danneggiante (Ud) mediante l'Eq.1.20

Da grafici tipo quello di Fig.1.17, ottenuti in precedenza e validi solo per un determinato laminato (tipo di fibra, tipo di matrice,

spessore, sequenza di impilamento) e nota l'energia danneggiante si risale all'entità del danno

Per produrre lo stesso danno nei due pannelli, impattare il secondo con un valore di energia di impatto (Ui') ottenuta sommando all'energia danneggiante

Ud, l'energia elastica Ue'

Sul nuovo pannello registrare (anche mediante prova statica) il valore di energia elastica

(Ue') relativo ad un carico pari a Pmax

Grafico 1.1 : schematizzazione dell'applicazione del modello di Robinson: procedura per produrre lo stesso danno su pannelli di dimensioni diverse

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danneggiamento; in seguito da quest'ultimo valore si risale al danno dai grafici come quello in Fig.1.17 (in cui però in ascissa è riportata l'energia di danneggiamento).

Prima di scendere nei particolari si osservi che altri autori propongono un approccio simile, ma non uguale, nel quale il cardine del ragionamento non è più l'energia elastica, ma l'energia assorbita (Ua), che viene calcolata come il lavoro fatto istante per istante dalla

forza di contatto "P" che dal momento del contatto tra proiettile e pannello, sposta il punto di contatto con una velocità "V", ovvero:

Ua=

0 t PV dt Eq.1.21 dove: V =V0

0 t (P m−g )dt Eq.1.22

in cui con "V0"si è indicata la velocità al momento dell'impatto, con "m" la massa

dell'impattatore e con "g" l'accelerazione di gravità. L'energia assorbita risulta perciò, [14]:

Ua=V0

0 t Pdt+g

0 t tP dt−1 m[

0 t (

0 t P2dt)dt ] Eq.1.23

L'energia assorbita è quindi calcolata fino al momento in cui la forza di contatto si annulla a completamento dell'impatto.

Il fatto che nello studio considerato il danno da impatto dipenda dall'energia e non dalla massa dell'impattatore e/o dalla velocità di impatto implica che la distribuzione locale degli stress nel punto di impatto non influenza la risposta del provino che quindi si comporta in maniera quasi statica; questo vuol dire che il modo di vibrare dominante è quello con frequenza più bassa, mentre l'energia immagazzinata dai modi a più alte frequenze (e dalle fluttuazioni degli stress conseguenti) è inconsistente. Una seconda implicazione è che la velocità di deformazione non influisce sul comportamento del provino.

Se il comportamento del provino nei confronti di un impatto a bassa velocità è uguale a quello dello stesso provino sottoposto ad un impatto quasi statico, allora per una data rigidezza del provino, il danno dipende solo dal picco della forza e perciò dovrebbe esserci una buona correlazione tra picco della forza ed energia di impatto; questo è confermato

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nella pratica come osservabile in Fig.1.18. Vien da sé che anche la dipendenza tra forza di picco e danno sarà indipendente dalla massa dell'impattatore, e anche questo è confermato sperimentalmente.

Dal momento che il comportamento elastico del provino è influenzato anche dalle sue dimensioni, ci si può chiedere se la forza sviluppata durante l'impatto dipenda oppure no dalle dimensioni del provino. In [14] è stata riscontrata una certa indipendenza tra forza e dimensioni del provino, il che lascia supporre che a prescindere dalle dimensioni del provino, a parità di forza si ha lo stesso danno. Questo risultato è tuttavia imputabile al fatto che nei test riportati in [14], la maggior parte delle rotture fossero dovute al taglio trasverso nel punto di impatto, si è quindi omesso il fatto che all'aumentare delle dimensioni subentra la failure dovuta agli stress membranali.

L'indipendenza del danno legato alla forza di picco dalle dimensioni del provino è stata dimostrata in laboratorio, ma non è stato possibile prevedere i danni dovuti agli effetti flessionali (ovvero allo sforzo normale dovuto alla flessione del provino) nemmeno considerando l'energia di danneggiamento e l'energia assorbita.

Sono proprio le ipotesi alla base del metodo dell'energia di danneggiamento che non permettono di tener conto dei danni legati alle tensioni membranali. Per prima cosa, si deve considerare che si è trascurata l'energia spesa nei primi istanti del contatto tra impattatore e provino (quella relativa al processo di indentazione); in secondo luogo nell'Eq.1.18 si considera che il provino si comporti come una piastra non danneggiata durante la deflessione, ovvero l'energia elastica ceduta al provino non viene immagazzinata ed impiegata per successivi danneggiamenti, ma restituita per intero. In questo caso non si considerano nemmeno le quantità di energia dissipate per attriti vari (come ad esempio quello tra impattatore e provino durante l'indentazione).

Figura 1.18 - Grafico "Forza di picco Vs Energia di impatto"(tratta da [14])

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L'energia assorbita dal processo d'indentazione è sicuramente trascurabile quando le deflessioni sono elevate rispetto allo spessore del provino, mentre assume un ruolo importante in provini con deflessioni piccole se paragonate allo spessore del provino. L'energia associata all'indentazione non può essere calcolata facilmente in quanto il processo di indentazione inizia al primo contatto tra impattatore e provino e continua fino alla separazione tra i due.

L'errore principale che si commette usando Eq.1.18 è considerare la piastra non danneggiata mentre in realtà il danno c'è ed ha dimensioni tali da non poter essere trascurato. Inoltre, l'Eq.1.18 è relativa a processi quasi statici, quindi non potrebbe essere applicabile laddove le velocità di deformazione sono elevate, come ad esempio nel punto in cui avviene l'impatto.

Infine, l'ipotesi che l'energia elastica venga restituita per intero non è rigorosamente giustificabile come le precedenti; si tenga solo presente che l'energia elastica che non viene restituita facendo rimbalzare il proiettile, viene dissipata per smorzamenti interni al laminato oltre che per gli attriti già citati.

Le indicazioni utili al presente lavoro di tesi, riguardano le procedure analitiche di previsione del danno; perciò si può procedere come segue per cercare di prevedere il danno in un componente reale a partire dai dati estratti in laboratorio (vedi anche grafico 1.1):

1. determinare la forza di picco e l'energia di danneggiamento per avere un danno di una determinata estensione massima in un provino di dimensioni ridotte;

2. calcolare l'energia elastica immagazzinata nel pannello in prova per una forza di picco pari a quella determinata nel punto precedente;

3. sommare l'energia elastica calcolata al punto 2 all'energia di danneggiamento del punto 1 per ottenere una stima dell'energia di impatto che bisognerà usare per avere il danno del punto 1 nel provino di dimensioni reali.

I punti cardine della procedura sono il calcolo della forza di picco e la stima delle costanti che compaiono nella Eq.1.18. Per quanto riguarda la forza di picco si può ricorrere all'uso in laboratorio di sensori di forza, detti anche celle di carico, che permettono di registrare la forza istante per istante, dando la possibilità di poter individuare il massimo di tale forza. A titolo d'esempio in Fig.1.19 è riportato un tipico diagramma forza-tempo relativo ad un impatto.

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1.5.1 – La legge di contatto Hertziano

Un secondo metodo per la stima della forza di picco prevede l'uso di una formula analitica che permette di calcolare la pressione hertziana di contatto. La legge di contatto hertziano che fin'ora ha trovato il miglior riscontro con i risultati di laboratorio, è dovuta a Willis ed è riportata in [15], secondo il quale la forza di contatto "P" è calcolabile come:

P=kc

α3 Eq.1.24

dove il "kc"indica la rigidezza del contatto ed è dato dalla relazione:

kc=4 3 E

R Eq.1.25 con: 1 R= 1 R1+ 1 R2 e 1E= (1−ν1 2 ) E1 + (1−ν2 2 ) E2 Eq.1.26

Nelle formule si è indicato con il pedice 1 tutto ciò che è relativo al pannello e con il pedice 2 tutto ciò che è relativo all'impattatore. "R", "E" e "ν" sono rispettivamente il raggio di curvatura, il modulo elastico e il rapporto di Poisson, mentre "α", che compare nella Eq.1.24, è l'indentazione misurata in millimetri.

Usando la legge di contatto si sposta la difficoltà del calcolo della forza massima di picco al calcolo istante per istante dell'indentazione: infatti durante la fase di carico e scarico l'indentazione parte da zero fino ad un massimo per poi ridursi fino ad un valore che a volte può non essere zero. Oltre un certo valore di indentazione massima succede che una piccola parte dell'indentazione raggiunta diventa permanente lasciando quindi una traccia che tuttavia non è facilmente correlabile all'indentazione massima che poi è quella che serve nel calcolo della forza di picco.

L'Eq.1.24 non è altro che l'equazione della curva di best fit di dati ottenuti in laboratorio da Willis premendo una sfera di materiale isotropo su di un corpo, sempre costituito da materiale isotropo, semi-infinito (ovvero di dimensioni molto più grandi di quelle della sfera).

Questa relazione fu successivamente modificata da Sun e Yang, [15], per poterla applicare ai laminati compositi che per prima cosa non sono isotropi, ma anisotropi, sono non

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omogenei e poi non hanno dimensioni infinite (anche se le dimensioni nel piano possono essere considerate infinite, di certo lo stesso non lo si può affermare nella direzione dello spessore).

La formula proposta da Sun e Yang differisce dalla Eq.1.24 solo per come è definita la kc:

kc=4 3 Rs (12) [(1−νs 2 ) Es + 1 ET] −1 Eq.1.27 dove i pedici "s" sono riferiti alla sfera e "ET" è il modulo elastico del laminato in direzione

normale al piano d'impatto. Si osservi, inoltre, che ancora una volta non si sta tenendo conto dell'effetto della velocità di deformazione, ritenendolo trascurabile. Durante le prove di indentazione Sun e Yang riscontrarono che il valore dell'esponente di "α" si manteneva costante (pari a 1.5) tenendo costanti lo spessore e la larghezza del provino (di forma rettangolare) e variando la misura del lato maggiore; questo implica che la legge d'indentazione non è influenzata dalla lunghezza del pannello, ovvero le tensioni flessionali non influenzano la rigidezza del contatto. Inoltre, fu notato che una minima indentazione veniva a crearsi sulla superficie del provino ad ogni test; quindi, a prescindere dal carico, si ha una, anche impercettibile, indentazione (vedi Fig.1.20).

Figura 1.19 - Grafico Forza-Tempo relativo ad un impatto senza perforazione. In questo grafico è riportata anche la variazione dell'energia elastica.

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Nei test effettuati da Sun e Yang i provini erano di dimensioni ridotte, perciò l'indentazione permanente era il tipo di danno che assorbiva la maggior parte di energia di danneggiamento; per questo motivo è stato ritenuto interessante uno studio riguardante l'indentazione. Sempre in [15] è riportata l'equazione che governa la fase di scarico, che, come può essere aspettato, differisce da quella della fase di carico. Durante la fase di scarico, la forza P è data dall'Eq.1.28 proposta da Barnhart e Goldsmith:

P=Pm[ (α−α0) (αm−α0)]

q

Eq.1.28

Figura 1.20 - Grafico Forza (F) Vs. Indentazione (α) per un pannello in fibra di carbonio e resina epossidica. In alto, a sinistra, è riportata la legge di indentazione trovata con il metodo dei minimi quadrati

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dove: "Pm" è la massima forza di contatto registrata appena prima dell'inizio della fase di

scarico, "αm" è l'indentazione che si ha nel momento in cui la forza P è uguale a Pm, "α0" è

l'indentazione permanente e "q" è un esponente da stimare sperimentalmente, anche se 2.5 è un valore piuttosto ricorrente in letteratura.

1.6 – Approssimazione quasi-statica

Come spiegato in [15], per poter rilevare sperimentalmente le pressioni di contatto è possibile montare una cella di carico sul proiettile usato come impattatore; in alternativa si può ottenere lo stesso risultato montando la stessa cella di carico su una sfera che viene premuta lentamente sul laminato. E' stato anche accennato che, se si stanno studiando impatti con corpi che si muovono a basse velocità, si può ricorrere ad un'approssimazione dell'impatto vedendolo come un processo quasi-statico; in [8] è riportata una regola utile a capire quando è adeguato usare tale approssimazione: la risposta di un laminato è assimilabile ad un processo quasi-statico se la massa del proiettile è almeno dieci volte maggiore della massa equivalente7 del provino. Swanson in [16] indica come procedere al

calcolo della massa equivalente; a titolo d'esempio il rapporto tra la massa equivalente di un pannello semplicemente appoggiato e la massa totale del pannello caricato centralmente è circa 0.2.

Usando questa approssimazione, il corpo impattato viene modellato come una molla che viene impattata da un corpo rigido di massa "m". Anche se il modello può sembrare grossolano, si riescono ad avere importanti informazioni riguardo l'effetto della velocità di impatto, della massa del proiettile e della rigidezza del proiettile. Si possono anche mettere in conto alcuni fattori spesso ritenuti trascurabili come:

• Il peso del proiettile, in genere trascurabile perché molto inferiore alla forza di contatto;

• La massa del provino, piccola nei test di laboratorio, ma non di certo trascurabile in applicazioni reali;

• Smorzamento interno al pannello

• Grandi deflessioni, non contemplate nei modelli derivanti dalla teoria delle piastre. Assumere che il provino si comporti come una molla è solo una delle possibili modellazioni, la più semplice, chiamata appunto modellazione ad un grado di libertà. Si

7 La massa equivalente è definibile come la massa totale di un modello a parametri concentrati del provino a cui è associata la stessa risposta dinamica del provino stesso, che quindi dipenderà anche dalle condizioni di vincolo.

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ipotizza quindi, che sotto l'azione dell'impatto, la struttura si deformi linearmente e che in corrispondenza del punto d'impatto la deflessione della struttura sia legata ad uno spostamento, in modo da poter stabilire una relazione lineare tra il suddetto spostamento e la forza agente in quel punto del tipo:

P=kx Eq.1.29

dove "P" è la forza, "x" è lo spostamento del punto d'impatto e "k" è la costante elastica della molla ideale che dovrà essere determinata per via sperimentale. L'equazione del moto di un sistema massa-molla (rappresentato in Figura 1.21) è:

m ¨x+kx=0 Eq.1.30

la cui soluzione richiede che siano fissate le condizioni al contorno, che nel caso considerato sono:

x (0)=0 e ˙x(0)=V Eq.1.31

Risolvendo l'equazione differenziale si ottiene la storia della forza di contatto tra 0 e "Tc",

ovvero fino all'istante in cui termina la fase di scarico:

P=kx=V

mk sin ω t Eq.1.32

Tc

m

k Eq.1.33

Pmax=V

km Eq.1.34

dove ω= √(k/m).

Si nota subito che la forza massima cresce linearmente all'aumentare della velocità del proiettile, oltre che con la radice della rigidezza della struttura e della massa del proiettile. Anche la durata del contatto, come riportato in Eq.1.33, è proporzionale sia alla massa del proiettile, che alla rigidezza del provino.

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velocità del proiettile, ma mantenendo inalterati tutti gli altri parametri, i punti relativi alle varie forze massime e velocità, se riportate su un grafico, si troverebbero su una linea retta.

A questo punto, un danneggiamento potrebbe quindi essere rilevato osservando una sostanziale deviazione da questa linea, causata dalla riduzione della rigidezza della struttura a seguito del danno.

Un altro interessante riscontro è con il grafico in Figura 1.19, infatti tenendo conto che l'energia d'impatto è data da:

U =1 2mV

2

Eq.1.35 la Eq.1.34 può essere riscritta come:

Pmax=

2 k U Eq.1.36

si può quindi osservare la dipendenza della massima forza di picco dalla radice quadrata dell'energia.

Inserendo l'effetto di quei fattori ritenuti in genere trascurabili, come ad esempio inserendo il peso del proiettile, l'Eq.1.30 dovrebbe essere modificata aggiungendo il termine "mg" a

Figura 1.21 - Modello dell'impatto mediante un sistema ad un grado di libertà

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destra del segno di uguale; senza scendere nei particolari della trattazione matematica, si trova che se l'altezza da cui viene lanciato il proiettile è molto più grande della deflessione statica della struttura, ovvero dello spostamento sotto l'azione statica del peso del proiettile ( δ=mg /k ), l'effetto del peso del proiettile è trascurabile. Se i valori di altezza di lancio e deflessione statica sono abbastanza vicini (anche rapporti di 100:1 sono considerati piccoli), allora il peso del proiettile influenza sia la forza di picco, che la durata del contatto e deve essere pertanto considerata nei modelli analitici per trovare conferma con i risultati sperimentali. Sempre senza scendere in dettagli numerici, si può affermare che la massa del pannello in prova può non essere considerata, nel modello rappresentato in figura 1.21, se piccola rispetto alla massa del proiettile; questa è la situazione che in genere si presenta quando si eseguono prove con apparati drop weight in cui piccoli provini vengono impattati con pesanti proiettili. Naturalmente in caso di test particolari in cui le masse dei proiettili sono piccole, anche la massa del provino deve essere considerata nei modelli analitici.

1.7 – Tecniche per il miglioramento del comportamento all'impatto di laminati

Compresi i meccanismi e le cause alla base della formazione dei vari tipi di danneggiamento, diventa necessario sviluppare dei metodi per aumentare la resistenza e la tollerabilità al danneggiamento dei laminati. Tutte le tecniche per il miglioramento delle prestazioni fin'ora sviluppatesi possono essere divise in due grandi blocchi: nel primo vi sono tutte le tecniche in cui si cercano di ottenere miglioramenti agendo sulle proprietà dei costituenti; nel secondo gruppo vi sono tutte quelle che prevedono la modifica dell'"architettura" delle fibre.

Nel primo caso, l'obiettivo è l'aumento della duttilità della matrice, oppure il miglioramento dell'adesione fibra/matrice, entrambi fattori che condizionano la resistenza a delaminazione del materiale.

Il secondo metodo prevede l'impiego di fibre tessute fino ad ottenere vari tipi di fabric come i tessuti 2D e 3D, o plies cross-ply e ancora gli usatissimi woven-fabric. L'uso di tessuti ha trovato facile diffusione in quanto consente di ottenere anche altri vantaggi rispetto ai tradizionali nastri unidirezionali; un esempio può essere la possibilità di formare superfici complesse o avere proprietà meccaniche più uniformi (anche in direzione dello spessore nei tessuti 3D).

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1.7.1 – Woven fabrics

La necessità di approfondire il comportamento di pannelli realizzati con fibre tessute è da ritenere doveroso nel presente lavoro di tesi dal momento che i pannelli che saranno utilizzati nelle prove descritte nei capitoli seguenti sono, appunto, realizzati con questo tipo di architettura.

Quando si parla di woven fabric (WF) si intende un tessuto realizzato intrecciando due o più set di fasci di fibre, di cui uno passa una volta sopra e una volta sotto i susseguenti fasci di fibre posti ortogonalmente. Questi tipi di tessuti esibiscono un'ottima stabilità (intesa come resistenza alla propagazione di fessure) sia in direzione dell'ordito (direzione longitudinale) che della trama (direzione ortogonale); inoltre presentano un'alta densità di fibre, se paragonati ad altri tipi di tessuti come quelli 3D. Tuttavia, è inevitabile che vi sia un'incurvatura delle fibre lungo entrambe le direzioni, il che porta ad una ridotta resistenza al taglio nel piano e ad un decadimento della resistenza a trazione e compressione rispetto ai laminati realizzati con plies di fibre unidirezionali. Sempre l'incurvatura è alla base della nascita di concentrazioni di tensioni locali quando il pannello è sottoposto a sforzi di trazione e queste concentrazioni sono la causa della nascita di rotture della matrice, debonding e fenomeni di instabilità delle fibre, quando sottoposte a carichi di compressione. In passato sono stati condotti svariati studi per trovare, in base all'impiego del materiale, il giusto compromesso

tra i vantaggi e gli svantaggi derivanti dalla più o meno marcata incurvatura delle fibre. Le argomentazioni alla base di questi studi sono quelle che saranno di seguito discusse focalizzando l'attenzione su i meccanismi che governano la formazione delle delaminazioni causate da impatti a bassa velocità. Kio-Kim in [17] analizza passo passo tutte le fasi del danneggiamento riportate nel paragrafo 1.3, descrivendo le peculiari differenze tra il Figura 1.22 - Propagazione della delaminazione in un WF

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comportamento riscontrato in un unidirezionale (UF) e in un WF.

1.7.1.1 – Nascita e propagazione delle delaminazioni

La nascita delle delaminazioni, come è stato già spiegato nel paragrafo 1.3.2, è frutto di sollecitazioni che tendono a spezzare la matrice e a separare le plies adiacenti, agendo secondo il modo I d'apertura. Uno dei maggiori vantaggi connessi all'uso dei WF è la migliore toughness nei confronti delle fratture interlaminari sollecitate secondo il modo I d'apertura (GIc). Test condotti su provini in CFPR hanno dimostrato che, sebbene il valore

di GIc relativo alla formazione del danno fosse uguale in direzione longitudinale e

trasversale, il valore di GIc relativo alla propagazione della fessura in direzione trasversale

era il doppio di quello in direzione longitudinale. Questo fatto in laminati a più strati porta ad avere delle fessure nella matrice che non rimangono nel piano, ma tendono a diramarsi nei layers adiacenti, passando attraverso le fibre o a volte spezzandole. Il beneficio in questo meccanismo è che nella zona in cui si verifica la deviazione, il GIc aumenta

arrivando ad un valore anche 6 volte maggiore di quello iniziale.

Da esami microscopici delle superfici di frattura è emerso che i vari danneggiamenti seguivano l'andamento ondulato creato dalla particolare forma del tessuto, indice questo del fatto che la forma di danno più frequente in questi fabric è il debonding. A conferma di ciò vi è il fatto che in laminati in cui sono impiegate resine con proprietà adesive migliori come quelle in vinil-estere le fratture si propagano in modo instabile, al contrario di quanto accade utilizzando resine con proprietà adesive peggiori dove la propagazione è stabile. Il valore di GIc in un WF può essere da due a otto volte maggiore di quello di un UF, in base a

come è realizzato il tessuto: in tessuti in cui la fibre orientate perpendicolarmente alla direzione di propagazione della fessura sono in quantità maggiore si hanno i valori di GIc

più elevati.

A differenza degli UF, in un WF la delaminazione si muove su più fronti, uno per ogni fascio di fibre di trama (Fig.1.22). In caso di propagazione stabile il fronte di propagazione è più avanzato dove i fasci di fibre sono allineati con la direzione della fessura nella matrice e più arretrati dove i fasci di fibre sono in direzione perpendicolare a questa (Fig.1.22 (a)). Il fronte d'avanzamento ha perciò una forma discontinua. Quando la delaminazione è abbastanza estesa da propagarsi in maniera quasi instabile, il carico subisce un improvviso abbassamento e il fronte d'avanzamento arriva fino alla seguente ondulazione creando un fronte con una forma più regolare (Fig.1.22 (b)). Al successivo aumento di carico il meccanismo si ripete, finchè non si ha una completa delaminazione del pannello (Fig.1.22 (c)). L'andamento periodico del carico e il conseguente alternarsi di

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fronti d'avanzamento regolari e non, è generato dalla diversa orientazione dei fasci di fibre che si viene ad avere sull'apice della delaminazione man mano che questa avanza.

Un ulteriore motivo per il quale i fabric hanno maggiore toughness è legato all'ondulazione delle fibre, e quindi anche della resina, che, al contrario di quello che si è abituati a vedere nei UF, presenta una grossolana rugosità. Questa rugosità dipende dalla tecnica di tessitura delle fibre e dallo spessore dei fasci di fibre: fibre spesse e tessute con un impacchettamento minore, sopportano maggiori quantità d'energia prima della frattura, rispetto a fabric realizzati con fibre meno spesse e tessiture meno rade; il motivo risiede nella maggiore rugosità del primo tipo di tessuto e dal conseguente maggior numero di zone ricche di resina, mentre un tessuto più fine essendo più piano (e quindi più simile ad un UF) permette una distribuzione della matrice più uniforme e quindi una minore toughness. La rugosità fa anche in modo che si vengano a formare delle zone particolarmente ricche di resina, come succede nei punti dove si incrociano trama e ordito. Come si può osservare in Fig.1.23, all'apice della delaminazione si viene a creare una zona plastica (intesa come una zona in cui la resina non si comporta fragilmente, ma appare più viscosa rispetto alle zone circostanti) che rallenta la velocità di propagazione. Questa zona plastica interessa però solo la resina ed è perciò limitata a interessare lo spazio tra uno strato di fibre e il successivo. Sempre dalla Fig.1.23, si nota come la rugosità dei WF dia più libertà alla formazione della zona plastica che quindi apparirà, a parità di altre caratteristiche, più estesa in un WF che in un UF. Segue quindi una maggiore toughness.

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