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INTERROGAZIONE M5S SU FONTI RINNOVABILI

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INTERROGAZIONE M5S SU FONTI RINNOVABILI

Interroga z i o n e a r i s p o s t a i n

commissio n e

presentat o

da Massim o Felice, M % S ,

martedì 6 a g o s t o 2013, al M i n i s t r o dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare sulle fonti rinnovabili di energia in Lombardia e i relativi processi di biodigestione. E per sapere se il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenga opportuno valutare se vi siano elementi di contrasto tra le linee guida adottate dalla regione Lombardia e il quadro normativo comunitario e, in tal caso, quali iniziative intenda assumere al fine di ripristinare la coerenza del quadro normativo, in modo da prevenire possibili censure da parte della Corte di giustizia europea.

Qui di seguito AGRICOLAE riporta il testo integrale . — Per sapere – premesso che:

la regione Lombardia ha approvato, con delibera di giunta regionale del 18 aprile 2012, n. 9/3298, le «Linee guida per l’autorizzazione degli impianti per la produzione di energia

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elettrica da fonti energetiche rinnovabili (FER), mediante recepimento della normativa nazionale in materia» e in tali linee guida al capitolo 7.4 «Processi di biodigestione anaerobica» ha previsto una disciplina specifica volta a favorire gli impianti che utilizzano biomasse agricole/reflui zootecnici, consentendo loro di impiegare per il funzionamento dei biodigestori anche altre biomasse costituite da rifiuti quali, ad esempio, i rifiuti biodegradabili di cucine e mense quali la FORSU – frazione organica dei rifiuti solidi urbani – avente codice CER 20 01 08 proveniente dalla raccolta differenziata (si veda, a riguardo, il capitolo 7.4.2) senza contestualmente imporre, ai titolari dei relativi impianti, l’utilizzo di tutti i presidi impiantistici necessari ad evitare impatti negativi sull’ambiente come, viceversa, imposto dalla normativa vigente agli impianti che trattano esclusivamente biomasse costituite da rifiuti;

in tali linee guida la regione Lombardia, nella fattispecie, ha ammesso lo spandimento come fertilizzante del digestato ottenuto utilizzando anche parzialmente rifiuti quali la FORSU come operazione di recupero (R10 – Trattamento in ambiente terrestre a beneficio dell’agricoltura e dell’ecologia) richiamando impropriamente, per lo spandimento, le norme imposte dal decreto legislativo n. 99 del 1992, che non sono applicabili, in quanto riferite esclusivamente allo spandimento in agricoltura dei fanghi di depurazione e l’applicazione generica del decreto legislativo n. 152 del 2006 che, a sua volta, non è applicabile in materia di spandimento di digestato da FORSU in quanto non prevede quali debbano essere le caratteristiche del digestato per la cessazione della sua qualifica di rifiuto e il suo spandimento in agricoltura, comportando quindi, nel caso del suo spandimento, impatti potenzialmente negativi sull’ambiente e sulla salute umana (l’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, prevede che un rifiuto soddisfi criteri specifici per essere ammesso alle attività di recupero, definendo anche valori limite per le sostanze inquinanti);

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correttamente, ai titolari degli impianti di digestione anaerobica che utilizzano esclusivamente rifiuti quali la FORSU è imposto, dalle autorizzazioni rilasciate dagli enti preposti, che il digestato che risulta dal processo di biodigestione anaerobica debba essere adeguatamente trattato al fine di depurarlo dalle sostanze potenzialmente inquinanti.

Le procedure corrette prevedono di separare le acque di risulta dal materiale solido e di sottoporre quest’ultimo, previa sua miscelazione con materiale verde ligneo- cellulosico, ad un trattamento di compostaggio aerobico, al fine di ottenere, al termine del suddetto processo, un prodotto fertilizzante (compost) rispondente a tutti gli effetti ai requisiti imposti dal decreto legislativo n. 75 del 2010 (riordino e revisione della disciplina in materia di fertilizzanti, a norma dell’articolo 13 della legge 7 luglio 2009, n. 88) o, in alternativa, che lo stesso digestato sia sottoposto a un trattamento che risponda a quanto previsto dal decreto legislativo n. 75 del 2010;

con l’emanazione delle suddette linee guida, la regione Lombardia, senza averne le competenze e l’autorità per farlo, si è illegittimamente sostituita ai Ministeri competenti nello stabilire i criteri che definiscono la fine della cessazione della qualifica di rifiuto (end of waste) di taluni tipi di rifiuto (in particolare il digestato ottenuto da FORSU). I criteri menzionati nelle linee guida in parola non sono secondo l’interrogante di fatto legittimi in quanto non soddisfano i requisiti previsti dall’articolo l84-ter del decreto legislativo n. 152 del 2006 (che ha recepito l’articolo 6 previsto dalla direttiva comunitaria n. 2008/98/CE) per l’end of waste. Tali criteri sono attualmente specificati nel decreto ministeriale 5 febbraio 1988 per i rifiuti non pericolosi e nel decreto ministeriale 12 giugno 2002, n. 61, per i rifiuti pericolosi. L’atto, adottato dalla Giunta regionale, non ha tra l’altro neanche assunto il preventivo parere della commissione consiliare competente, come impone l’articolo 42 dello statuto della

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regione Lombardia (legge regionale statutaria n. 1 del 2008);

la regione Lombardia ha predisposto ulteriori linee guida, ancora in bozza ma già disponibili, rafforzative del precedente provvedimento, concernenti: «L.R. 12 dicembre 2003, n. 26, per il trattamento dei fanghi provenienti dalla depurazione delle acque reflue (…) e il successivo utilizzo in agricoltura»;

la sentenza della Corte di cassazione, sezione III, del 31 agosto 2012, n. 33588, in merito alla «definizione di rifiuto»

ribadisce l’illegittimità di miscelare rifiuti e fanghi derivanti da impianti di biodigestione anaerobica per poi spandere il prodotto in agricoltura, con il seguente passaggio: «In materia di biodigestione anaerobica di materie prime vegetali la verifica circa la ricorrenza della nozione di rifiuto va fatta sia con riferimento alla massa liquida che a quella solida che residua dal processo di biodigestione. Se la sostanza liquida in questione è utilizzata nei limiti indicati e non vi sia contaminazione iniziale o successiva per la presenza di rifiuti, si deve escludere che possa essere definita rifiuto se non ricorrono le condizioni per ritenere che il detentore intenda disfarsene». In definitiva, la frazione liquida e solida derivante dal processo di biodigestione, se contaminate da rifiuti, come la FORSU, sono da ritenersi complessivamente rifiuti e come tali trattati, non certo spargendoli nei campi agricoli –:

se il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenga opportuno valutare se vi siano elementi di contrasto tra le linee guida adottate dalla regione Lombardia e il quadro normativo comunitario e, in tal caso, quali iniziative intenda assumere al fine di ripristinare la coerenza del quadro normativo, in modo da prevenire possibili censure da parte della Corte di giustizia europea. (5-00856)

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INTERROGAZIONE PD SU CONTRAFFAZIONE ALIMENTARE

Interrogazio

n e a

r i s p o s t a immediata in commissione p r e s e n t a t a da Alessandr a T e r r o s i , PD, martedì 6 a g o s t o 2 0 1 3 , a l M i n i s t r o d e l l e

p o l i t i c h e agricole alimentari e forestali sulla contraffazione alimentare e per sapere se ci si stia adoperando affinché la Commissione europea dia efficacia nei tempi più brevi possibili all’estensione ad altri alimenti dell’etichettatura di origine obbligatoria per la quale il Regolamento 1169 del 2011 definisce una procedura per ciascun alimento da concludere entro il mese di dicembre 2014.

Qui di seguito AGRICOLAE riporta il testo integrale

— Per sapere – premesso che:

il settore agroalimentare è uno dei comparti produttivi nazionali più colpiti dalla contraffazione; i produttori stranieri di formaggio, di pomodoro e di pasta sfruttano la cultura gastronomica italiana per produrre alimenti che

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ricordano i prodotti italiani nella presentazione del contenuto, usando foto stilizzate del Duomo di Milano, del Colosseo e del Vesuvio, nel packaging o nella pubblicità e nomi come «Spicy thai pesto» statunitense; «Parma salami» del Messico; «salami calabrese» prodotto in Canada; «barbera bianco» rumeno; «provolone» del Wisconsin;

la forma più diffusa di contraffazione del made in Italy è il cosiddetto italian sounding ovvero la pirateria agroalimentare internazionale che utilizza denominazioni, marchi, parole o simboli che richiamano l’Italia per pubblicizzare e commercializzare prodotti che non appartengono alla realtà nazionale;

a contraddistinguere tali prodotti evocativi di una provenienza italiana non è certo la qualità dei prodotti agroalimentari made in Italy, ma il volume di affari di oltre 60 miliardi di euro che vi ruota intorno, a discapito dell’economia italiana;

l’8 luglio 2013, sul Corriere dell’Umbria, è stato pubblicato un articolo dal titolo «Clonato» il nome di Parrano per battezzare un formaggio, che racconta l’insolito caso di omonimia tra una località geografica umbra, il comune di Parrano, e il formaggio Parrano, prodotto in Olanda dalla Uniekaas (Paesi Bassi);

già il 20 maggio 2013, il sindaco del piccolo comune di Parrano di 600 abitanti (Terni), Vittorio Tarparelli, in una lettera indirizzata a diverse autorità indicava come il caso di omonimia fosse del tutto indipendente da un rapporto politico – culturale tra il comune di Parrano e l’azienda produttrice del formaggio olandese;

è volontà dell’azienda l’esplicito richiamo all’italianità del prodotto, presentato con etichetta tricolore, nome italiano e generica descrizione degli ingredienti senza alcuna specificazione della loro provenienza (articolo 7, n. 1,

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lettera g) del regolamento (CE n. 207 del 2009);

infatti, il formaggio olandese, che risulta commercializzato in particolare nel Regno Unito e negli Stati Uniti, viene pubblicizzato con la chiara intenzione di disorientare il consumatore inducendolo all’acquisto di un formaggio che di italiano ha soltanto il nome, violando l’articolo 2 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità;

nel sito internet www.parrano.com, interamente dedicato al p r o d o t t o , s i s p e c i f i c a c h e i l P a r r a n o p r e s e n t a l e caratteristiche e le qualità tipiche di un parmigiano stagionato miscelato al formaggio olandese Gouda. Sebbene prodotto in Olanda, secondo l’azienda, il formaggio Parrano costituisce la personificazione dello stile di vita italiano

«Parrano is an unforgettable cheese with a distinctly Italian temperament. It has the alluring nutty flavor and buttery aroma of a fine aged Parmigiano-Reggiano with the smooth creamy texture of a young Dutch Gouda» –:

se il Governo sia a conoscenza del fatto esposto in premessa relativo al formaggio olandese Parrano spacciato per prodotto italiano e se non ritenga urgente intervenire per mettere fine a tale frode a tutela dei prodotti nazionali e se si stia adoperando affinché la Commissione europea dia efficacia nei tempi più brevi possibili all’estensione ad altri alimenti dell’etichettatura di origine obbligatoria per la quale il Regolamento 1169 del 2011 definisce una procedura per ciascun alimento da concludere entro il mese di dicembre 2014.

(5-00864)

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INTERROGAZIONE PDL SU EMERGENZA FERRETTARE NEL SISTEMA DI PESCA

I n t e r r o g a z i o n e a r i sposta immediata in commissione presentata da Monica Faenzi, Pdl, martedì 6 agosto 2013, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali sull’emergenza delle ferrettare nel sistema di pesca costiera finito nel mirino dell’Unione europea.

Qui di seguito AGRICOLAE riporta il testo integrale . — Per sapere – premesso che:

è di questi giorni la notizia della proposta, avanzata dalla

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regione Calabria in sintonia con le maggiori associazioni di rappresentanza della categoria dei pescatori, di dare una risposta all’emergenza delle «ferrettare», sistema di pesca utilizzato dalla pesca costiera e finito nel mirino dell’Unione europea;

un comunicato della regione Calabria fa sapere che l’assessorato regionale alla pesca è in procinto di pubblicare un bando per il finanziamento della riconversione di quelle imbarcazioni dotate dell’attrezzo ferrettara con una dotazione prevista di 3,5 milioni euro;

un altro bando annunciato ed in corso di pubblicazione, dotato di 1,5 milioni, prevederebbe il finanziamento di piani di gestione locali e di progetti pilota;

l’attività della giunta regionale calabrese è meritoria, a giudizio dell’odierno interrogante, in quanto ha recepito il reale e concreto grido d’allarme della categoria altrimenti destinata all’abbandono del mestiere di pescatore senza alcun tipo di compensazione;

la riconversione volontaria rappresenta un’alternativa reale e possibile che mitigherebbe l’impatto economico ed occupazionale di scelte politiche «comunitarie» slegate dalla realtà e con pochi benefìci alla tutela e alla salvaguardia della fauna marina;

in alternativa e/o in abbinamento alla compensazione economica, un possibile sbocco potrebbe essere rappresentato dal ritiro dell’attrezzo «ferrettara» dietro l’assegnazione di quote tonno rosso, nei limiti delle quote assegnate all’Italia in aumento al precedente contingente sin dall’anno 2013 e seguenti;

soluzione, questa, a costo zero per l’amministrazione, e risolutiva in materia di diversificazione e riconversione delle attività di pesca, in linea con la sostenibilità dello stock, in quanto ragionevolmente nei limiti del contingente

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assegnato allo Stato membro dall’ICCAT, risolvendo tra l’altro a monte il problema della pesca illegale e degli sbarchi clandestini di tonno rosso –:

quali iniziative di competenza abbia intenzione di adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa. (5-00865)

INTERROGAZIONE LEGA SU MISURE PAC PER ACCESSO AI GIOVANI

I n t e r r o g a z i o n e a r i s p osta immediata in commissione presentata da Roberto Caon, Lega, martedì 6 agosto 2013, al Ministro delle politiche

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agricole alimentari e forestali sulle misure previste dalla Pac per favorire l’accesso ai giovani in agricoltura. E per sapere se non ritenga opportuno prevedere misure agevolative per favorire l’ingresso dei giovani nel mondo dell’agricoltura che permettano, anche, di poter ridurre i costi sostenuti dalle aziende, facilitare l’accesso al credito e l’acquisto dei terreni, considerato che queste soluzioni potrebbero mettere in condizione il comparto agricolo di svecchiarsi sotto tutti i profili e i giovani di continuare un’attività tra le maggiori in Italia.

Qui di seguito AGRICOLAE riporta il testo integrale . — Per sapere – premesso che:

lo scorso 26 giugno a Bruxelles è stata raggiunta un’intesa politica tra la Commissione europea, il Consiglio dei ministri dell’Unione europea e il Parlamento europeo (cosiddetto

«trilogo») in merito alla riforma della politica agricola comune (PAC) «Verso il 2020», la quinta degli ultimi 20 anni;

la struttura del secondo pilastro della PAC nella sostanza non cambia, spetterà sempre agli Stati membri organizzare le varie misure in programmi di sviluppo rurale nazionali e/o regionali;

una delle principali misure attivabili con il programma di sviluppo rurale è quella dell’insediamento dei giovani agricoltori. Questa prevede che accanto al premio di primo insediamento (sino a 70 mila euro) nell’ambito del business plan è possibile finanziare anche investimenti, formazione e servizi di consulenza;

un generale invecchiamento della popolazione agricola, ormai da ritenere a carattere strutturale, e uno scarso ricambio generazionale accompagnano la diminuzione degli addetti all’attività agricola e soprattutto dei giovani imprenditori che, negli ultimi anni, si riducono drasticamente. I fenomeni di esodo e abbandono del settore in vaste aree sono causa di

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degrado delle aree rurali;

una tale situazione è espressione delle difficoltà che hanno gli imprenditori più anziani ad uscire e di quelle che incontrano i più giovani imprenditori ad entrare nel mondo dell’agricoltura;

se non ci saranno aiuti per i giovani non ci si potrà che aspettare una desertificazione delle campagne e un abbandono continuo dell’attività agricola, e verrà sicuramente a mancare una futura generazione di agroimprenditori, più importanti che mai nella gestione del territorio;

è quanto mai indispensabile promuovere il ricambio generazionale in agricoltura, introducendo anche alcune misure agevolative di accesso al credito a favore dei giovani agricoltori;

a causa della perdurante crisi economica che sta investendo il nostro Paese, l’interrogante ritiene urgente individuare soluzioni concrete volte a favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, in quanto l’agricoltura può costituire una valida opportunità occupazionale, essendo da sempre un settore strategico per l’economia italiana;

l’interrogante ritiene che non sia più prorogabile una strategia volta alla rivitalizzazione dell’attività agricola, anche e soprattutto attraverso l’insediamento di nuove generazioni di imprenditori agricoli e la loro permanenza nel settore, assegnando allo spirito imprenditoriale giovanile una funzione centrale per lo sviluppo del settore;

le misure effettive da cui si potrebbe attingere per dare una mano a questi giovani agricoltori sono considerate uno dei pilastri della nuova PAC;

i giovani hanno bisogno di credere nei propri sogni e di tornare a credere nel futuro. Sono proprio i giovani agricoltori che hanno dato prova di saper scommettere ancora

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in questa attività. Dobbiamo però aiutarli e dare loro risposte concrete;

il Nord Italia, dalla Liguria al Piemonte dalla Lombardia al Veneto, offre un’insieme di regioni più ricche d’Europa grazie anche all’agricoltura della pianura padana, che costituisce uno dei territori agricoli e gastronomici più straordinari del Paese;

una delle funzioni fondamentali dell’agricoltura è la produzione di beni di qualità. In futuro, l’agricoltura dovrà giocare sempre più, un ruolo fondamentale nella gestione del territorio, e nella predisposizione di sistema di controllo della sicurezza alimentare;

a parere dell’interrogante sarebbe opportuno definire programmi di attività d’uso delle terre pubbliche nell’ambito di accordi da stipulare con giovani agricoltori, prevedendo che l’accesso dovrebbe avvenire non solamente mediante affitti, ma anche favorendo le acquisizioni di proprietà a condizioni agevolate;

sarebbe, altresì, opportuno agevolare i giovani agricoltori, anche dal punto di vista fiscale, introducendo un’imposta sostitutiva di quelle sul reddito delle imprese e delle relative addizionali –:

se non ritenga opportuno prevedere misure agevolative per favorire l’ingresso dei giovani nel mondo dell’agricoltura che permettano, anche, di poter ridurre i costi sostenuti dalle aziende, facilitare l’accesso al credito e l’acquisto dei terreni, considerato che queste soluzioni potrebbero mettere in condizione il comparto agricolo di svecchiarsi sotto tutti i profili e i giovani di continuare un’attività tra le maggiori in Italia. (5-00866)

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INTERROGAZIONE SEL SU TRASFERIMENTO ENSE NEL CRA

I n t e r r o g a z i o n e a r i sposta immediata in commissione presentata da Erasmo Palazzotto, SEL, martedì 6 agosto 2013, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali sull’entrata dell’Ex Inran e dell’Ense nel Cra e sui rischi che corre il centro per la sperimentazione in agricoltura. E per sapere quali iniziative intendano intraprendere onde garantire sia la continuità nell’erogazione dei servizi cui l’ente in questione è preposto, sia la tutela dei lavoratori ivi impiegati.

Qui di seguito AGRICOLAE riporta il testo integrale . — Per sapere – premesso che:

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con decreto-legge n. 95 del 6 luglio 2012 (cosiddetta spending review) convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, all’articolo 12 si è disposto il trasferimento dell’Istituto nazionale ricerca alimentazione e nutrizione (INRAN) cui erano già stati trasferiti compiti, strutture e personale dell’Ente nazionale sementi elette (ENSE), al Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA), sotto la vigilanza del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;

detto trasferimento di compiti e funzioni, strutture e personale, dell’INRAN al CRA è avvenuto, a norma delle disposizioni citate, a far data dal decreto interministeriale del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione ed il Ministro dell’economia e delle finanze, che è stato emanato in data 18 marzo 2013;

il suddetto decreto interministeriale si è limitato a trasferire dall’INRAN al CRA personale, beni mobili e immobili e le risorse finanziarie come desunte da bilancio di chiusura al 7 luglio 2012, impegnando il CRA, a subentrare in tutti i rapporti attivi e passivi dell’ex INRAN e, tra gli altri, a far fronte «alle eventuali situazioni debitorie che dovessero riscontrarsi»;

la situazione debitoria dell’INRAN, alla data di emanazione del decreto interministeriale, era tutt’altro che «eventuale»

essendo stata puntualmente riportata dal Ministero dell’economia e delle finanze a seguito di una verifica amministrativo-contabile effettuata da un dirigente dei servizi ispettivi di finanza pubblica, trasmessa al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, oltre che alla procura regionale della Corte dei conti per il Lazio, in data 15 novembre 2012;

la verifica ispettivo contabile disposta dal Ministero dell’economia e delle finanze evidenziava serie sofferenze

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gestionali ed in particolare nella situazione dei residui, che avevano reso necessarie operazioni di anticipazione di cassa (euro 23.612.943,58 alla data della verifica, con consistente aggravio di spesa per interessi) che, a detta dell’ispettore inquirente, «opprimono il bilancio», presentando la necessità di iniziative urgenti a fronte del concreto rischio di «non poter far fronte, nel prossimo futuro, alle proprie obbligazioni»;

il trasferimento dei compiti dell’ex ENSE e dell’ex INRAN al CRA, che lo spirito della norma intendeva praticare con la finalità di garantire una più efficace azione amministrativa, migliorando l’erogazione dei servizi agli utenti ed ottenendo, a regime, la riduzione della relativa spesa, si è tradotta secondo l’interrogante in una semplice operazione contabile che trasferisce tout court la situazione debitoria di un ente nel contesto della gestione economico-finanziaria, sostanzialmente in equilibrio, propria di un altro ente. Il r i s u l t a t o d i t a l e o p e r a z i o n e è i n n e g a b i l m e n t e i l deterioramento del servizio di tre enti nazionali di importante rilievo, tra cui il più grande ente di ricerca in agricoltura (il CRA);

tale situazione, presentata anche alle organizzazioni sindacali dai vertici del CRA, mette a serio rischio l’erogazione della retribuzione al personale già nel breve periodo, oltre ad inficiare strutturalmente la missione istituzionale degli enti in parola –:

se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti e delle circostanze esposte;

quali iniziative intendano intraprendere al riguardo, onde garantire sia la continuità nell’erogazione dei servizi cui l’ente in questione è preposto, sia la tutela dei lavoratori ivi impiegati. (5-00868

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INTERROGAZIONE SULL’USO DEI PESTICIDI IN AGRICOLTURA

I n t e r r o g a z i o n e a r i sposta immediata in commissione presentata da Adriano Zaccagnini, Gruppo Misto, martedì 6 agosto 2013, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali sull’uso dei pesticidi in agricoltura e per sapere i tempi per una revisione e predisposizione definitiva del piano d’azione nazionale da trasmettere alla Commissione europea.

Qui di seguito AGRICOLAE riporta il testo integrale . — Per sapere – premesso che:

la direttiva europea 2009/128/CE ha istituito un quadro per gli interventi comunitari sull’utilizzo dei pesticidi,

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prevedendo che entro il 14 dicembre 2012 tutti gli Stati membri avrebbero dovuto trasmettere alla Commissione un proprio PAN, piano d’azione nazionale sull’uso sostenibile dei pesticidi;

la direttiva europea è stata recepita in Italia con il decreto legislativo del 14 agosto 2012, n. 150, che, all’articolo 6, prevede che «è adottato, entro il 26 novembre 2012, il Piano d’azione nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari»;

il PAN è uno strumento fondamentale per definire gli obiettivi quantitativi, le misure e i tempi di ciascuno Stato membro al fine di ridurre i rischi e gli impatti dell’utilizzo dei pesticidi sulla salute umana e sull’ambiente, e anche al fine di incoraggiare lo sviluppo e l’introduzione della difesa integrata e di approcci o tecniche alternativi per ridurre la dipendenza dall’uso di pesticidi, per questo dovrebbe essere considerato una priorità;

allo stato attuale, risulta sia stata completata una bozza di piano d’azione predisposta dai Ministeri competenti. Tale bozza, nel dicembre 2012, è stata destinata alla consultazione pubblica – prevedendo il termine per la presentazione delle osservazioni al 15 gennaio 2013 – al fine di rendere partecipi enti o associazioni interessate per l’elaborazione di osservazioni o altre proposte di integrazione;

16 organizzazioni ambientaliste – tra le quali Unapi, Upbio, Federbio, FAI, Slow Food Italia, Lipu – si sono concentrate in particolare su sette azioni prioritarie per rafforzare il PAN italiano: definire gli obiettivi del piano in modo concreto e misurabile; rafforzare il riferimento all’agricoltura b i o l o g i c a e d e f i n i r e u n a r o a d m a p c h e p e r m e t t a l’incentivazione del metodo biologico, ridurre i rischi concernenti l’uso dei pesticidi a qualsiasi livello;

affrontare in maniera decisa il legame tra pesticidi e OGM, promuovere ricerca e formazione in questo contesto e infine,

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sostituire il termine «prodotti fitosanitari» con quello più corretto – e tra l’altro esplicitato dalla direttiva europea – di «pesticidi»;

dei 27 Stati membri, 19 hanno già presentato il proprio PAN;

all’appello, oltre l’Italia, mancano ancora Belgio, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Polonia, Portogallo e Svezia;

i pesticidi sono tra le principali cause di inquinamento delle falde acquifere italiane, compromettendo sia la purezza delle acque superficiali che sotterranee e, di conseguenza, la vita degli organismi acquatici. Inoltre, l’uso indiscriminato dei pesticidi in Italia sta mettendo a rischio la vita delle api che impollinano il 50 per cento dei fiori, garantendo così la riproduzione della metà delle piante presenti sul pianeta –:

in base a quanto esposto in premessa, a che punto sia l’esame delle osservazioni presentate e quali siano, quindi, i tempi per una revisione e predisposizione definitiva del piano d’azione nazionale da trasmettere alla Commissione europea.

(5-00869)

INTERROGAZIONE M5S PER LA

GESTIONE DEL PARCO DI ROSARNO

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Interrogazio

n e a

r i s p o s t a s c r i t t a p r e s e n t a t a d a D a l i l a Nesci, M5S, m a r t e d ì 6 agosto 2013, alla Camera, al Ministro d e i b e n i e d e l l e

a t t i v i t à culturali e del turismo sulla gestione del Parco di Rosarno dell’Istituto di Stato dell’Agricoltura

— Per sapere – premesso che:

la città di Rosarno possiede un importante parco archeologico dell’estensione di 13 ettari, posto nella zona denominata Pian delle Vigne, famosa per gli scavi di Paolo Orsi (1912-1914), Salvatore Settis (1964-1966) e Maurizio Paoletti (2005), di proprietà del Ministero per i beni e le attività culturali per circa 6 ettari di uliveto; i restanti 7 ettari sono di proprietà della provincia di Reggio Calabria ad uso dell’Istituto professionale di Stato per l’agricoltura;

il parco è considerato di rilevante interesse storico- archeologico poiché custodisce i resti dell’antica polis magnogreca Medma (VII sec. a.C. – I sec. d.C.), colonia di Locri Epizefiri, in parte portati alla luce grazie alla campagna di scavi effettuata dall’insigne archeologo Orsi, che rinvenne due gigantesche fosse sacre dove si trovavano accumulati migliaia di oggetti votivi del VI e V secolo a.C., nonché la necropoli situata in contrada Carozzo Nolio, di cui riuscì ad esplorare 88 tombe con relativi corredi funebri;

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i successivi scavi del professor Settis, dell’università di Pisa, portarono alla luce un piccolo deposito sacro ripieno di ex voto, tra cui un cavallino bronzeo di pregevole fattura, e le fondazioni di una fattoria di IV secolo a.c., con sovrapposto un modesto impianto di epoca romana;

la stessa area di contrada Calderazzo venne esplorata nell’estate del 2005, e con risultati di valenza scientifica, dal professor Paoletti, dell’università di Cosenza, che rinvenne le fondamenta di abitazioni di età greca, su una delle quali era stata impiantata una successiva struttura di epoca imperiale romana;

nel 2004 l’allora amministrazione comunale di Rosarno, sindaco Giacomo Saccomanno, ebbe a intercettare diversi milioni di euro dal Ministero dell’economia e delle finanze per la realizzazione del museo, l’istituzione di una scuola superiore di archeologia, la realizzazione di diverse strutture all’interno del parco per renderlo fruibile ai visitatori, oltre alla sua recinzione, con sofisticato impianto di videosorveglianza;

per la realizzazione di tale progettazione fu sottoscritto un protocollo di intesa con la provincia di Reggio Calabria, con l’università mediterranea di Reggio Calabria e con la Sovrintendenza ai beni archeologici della Calabria;

d o p o l ’ e s e c u z i o n e d e i l a v o r i d i r e c i n z i o n e , d i v i d e o s o r v e g l i a n z a ( m a i e n t r a t a i n f u n z i o n e ) e d i ristrutturazione dei locali ove realizzare il museo e la scuola superiore di archeologia, vi fu un fermo inspiegabile dei lavori;

l’anno scorso, poi, si verificò un pesantissimo incendio nella zona di proprietà del Ministero, con la distruzione di un uliveto secolare e della zona degli scavi eseguiti dal Paoletti;

la rimanente parte, di circa 7 ettari, gestita dalla locale

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scuola agraria, si trova invece in condizioni molto apprezzabili, tanto che nella stagione estiva viene utilizzata per rappresentazioni del teatro della Magna Grecia –:

se sia a conoscenza che la zona di 6 ettari di proprietà dello Stato risulta abbandonata, soffocata da sterpaglie, erbacce e roveti, nel disinteresse delle istituzioni preposte alla salvaguardia e alla valorizzazione di un bene che appartiene all’intera umanità;

se sia a conoscenza che tale zona, a causa dell’incuria dei luoghi, è stata interessata nella scorsa estate da un devastante incendio, probabilmente di natura dolosa, che ha provocato la distruzione di decine di alberi secolari di ulivo e trasformato quella parte di parco in landa desertica;

se sia a conoscenza che le esplorazioni archeologiche effettuate nel 2005 dall’equipe del professor Paoletti sono state lasciate nel più inspiegabile abbandono, anch’esse soffocate dalle sterpaglie e compromesse dagli incendi;

s e s i a a c o n o s c e n z a c h e i 7 e t t a r i d i p a r c o i n u s o all’Istituto professionale per l’agricoltura risultano coltivati in modo esemplare, con periodiche pulizie del terreno, tanto da assicurare la perfetta salvaguardia dell’area assegnata;

se sia a conoscenza della richiesta avanzata dall’Istituto professionale per l’agricoltura alla Soprintendenza ai beni archeologici della Calabria per ottenere in gestione la parte di parco di proprietà dello Stato per curarla e coltivarla, a beneficio dei giovani allievi, e quindi preservarla da ulteriori possibili danneggiamenti, richiesta che non ha ancora trovato risposta, lasciando quella zona del parco in abbandono;

quali iniziative intenda assumere perché venga tutelato tale bene, in modo da impedire che, per quelle che agli interroganti appaiono colpevoli negligenze, venga

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completamente distrutto;

quali iniziative intenda assumere perché si proceda all’apertura del museo e della scuola superiore di archeologia e si provveda a definire le modalità per la gestione del parco;

quali iniziative intenda intraprendere per consentire che un bene importante per lo sviluppo socio-culturale ed economico della città di Rosarno e del suo comprensorio venga tutelato, salvaguardato e al meglio valorizzato. (4-01596)

INTERROGAZIONE M5S SU USO DEL DIGESTATO IN AGRICOLTURA

Interrogazio

n e a

r i s p o s t a scritta pres e n t a t a

d a C h i a r a G a g n a r l i , M5S, martedì 6 a g o s t o 2 0 1 3 , a l M i n i s t r o dell’ambient e e d e l l a t u t e l a d e l territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali sul digestato in agricoltura equiparabile all’uso della chimica. E per sapere se i Ministri

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interrogati, al fine di evitare le criticità ambientali legate alla gestione del digestato, intendano emanare l’apposito decreto con cui si definiscono le caratteristiche e le modalità di impiego del digestato equiparabile, per quanto attiene agli effetti fertilizzanti ed all’efficienza di uso, ai concimi di origine chimica.

Qui di seguito AGRICOLAE riporta il testo integrale . — Per sapere – premesso che:

la normativa vigente non regolamenta e non fornisce parametri per l’utilizzazione agronomica del digestato, sottoprodotto delle centrali a biogas che, in via cautelativa, viene equiparato agli effluenti zootecnici ed utilizzato nelle quantità massime di 170 chilogrammi/anno di azoto per ettaro, attraverso un piano di utilizzazione agronomica (PUA); mentre, la quantità eccedente l’utilizzo agronomico ammesso, deve trovare altre destinazioni coerenti con la vigente legislazione in materia di rifiuti;

secondo diversi studi in materia, lo spandimento del digestato presenta delle criticità legata alle emissioni di ammoniaca in atmosfera, qualora lo spandimento non sia effettuato con le migliori tecniche disponibili, ed alla perdita di nitrati nelle acque di falda, qualora si ecceda negli apporti e si applichi in periodi non opportuni;

l’applicazione al terreno agricolo del digestato deve corrispondere esattamente al fabbisogno di azoto della coltura, pena la perdita di azoto nelle acque superficiali e profonde; ma in realtà i digestati vengono normalmente sparsi, più volte l’anno, anche quando il terreno è nudo e le condizioni climatiche rallentano l’attività vegetativa delle piante e quella di trasformazione microbica nel terreno, che favoriscono la trasformazione dell’azoto ammoniacale (85 per cento di quello contenuto nei digestati) in nitrati, ed il loro assorbimento radicale;

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tale prassi comporta un grave rischio di depauperamento dei suoli agricoli che accolgono i digestati (ricchi di azoto e poveri di carbonio) e di eutrofizzazione delle falde acquifere;

non vanno sottovalutati i rischi igienico-sanitari legati all’uso dei digestati: diversi lavori mettono in luce come il Clostridium perfringens (causa di tossinfezioni oltre che di aborti) non subisce alcuna riduzione nei digestati; gli enterococci risultano molto resistenti alla digestione anaerobica; Salmonella ssp. (causa della maggior parte delle tossinfezioni alimentari segnalate) è stata rilevata in un campione su quattro della frazione solida e in uno su tre di quella liquida del digestato, mentre Lysteria monocytogenes (causa di listeriosi, con esiti a volte mortali) in quattro su quattro e tre su tre campioni rispettivamente della frazione solida e liquida (Bonetta et al. «Rischio igienico associato all’impiego di digerito in agricoltura»);

a Serboli (Subbiano), in provincia di Arezzo, un impianto di produzione di energia elettrica da biogas regolarmente realizzato nella azienda agricola San Luigi è stato sospeso da una ordinanza del sindaco (7–2013 del 17 giugno) a causa di quattro diversi sversamenti nel torrente Talla, da febbraio a giugno 2013, l’ultimo dei quali ha provocato una ingente moria di pesci;

considerata la data di inizio attività dell’impianto, si presume che il digestato-concime prodotto e sparso nei campi delle località di Poggio D’Acona, Calbenzano, S. Mama, non sia stato sottoposto al ciclo di maturazione di 160 giorni, necessario per abbattere la carica microbica, Clostridi, E.

Coli, Botulino, con conseguente rischio di epidemia di animali domestici e non, pesci nei torrenti contaminati, ed anche per l’uomo;

i tecnici di ARPAT affermano che l’impianto non è in sicurezza e non è gestito correttamente ma, ciò nonostante, di recente

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si sta paventando la riapertura di tale impianto, senza che siano state fornite garanzie sui provvedimenti da adottare;

il comitato civico per Subbiano, a tutela del territorio, della salute delle persone e degli animali, ha chiesto al sindaco che la riapertura della centrale di Serboli a Calbenzano non sia concessa fino a quanto una commissione di esperti non abbia accertato che l’ordinanza sindacale n. 7–2013 sia stata soddisfatta nei punti 2-3-4-5, provvedendo ad una verifica dell’impianto;

in data 11 luglio 2013 l’interrogante ha presentato una interrogazione a risposta scritta (n. 5-00585) per sollecitare l’emanazione del decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, previsto dall’articolo 52, comma 2-bis del decreto-legge n. 83 del 2012 convertito, con modificazioni dalla legge n. 134 del 2012, che dovrà finalmente definire le caratteristiche e le modalità di impiego del digestato equiparabile, per quanto attiene gli effetti fertilizzanti –:

se i Ministri interrogati, al fine di evitare le criticità ambientali legate alla gestione del digestato, intendano emanare l’apposito decreto di cui in premessa, con cui si definiscono le caratteristiche e le modalità di impiego del digestato equiparabile, per quanto attiene agli effetti fertilizzanti ed all’efficienza di uso, ai concimi di origine chimica, nonché le modalità di classificazione delle operazioni di disidratazione, sedimentazione, chiarificazione, centrifugazione ed essiccatura, in modo da evitare casi di sversamenti e di utilizzo prematuro del digestato ad uso ammendante, come avviene nell’impianto a biogas di Serboli a Carbenzano di cui si paventa la riapertura. (4-01609)

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MOZIONE SEL PER RILANCIARE SETTORE MANIFATTURIERO ATTRAVERSO INNOVAZIONE E RIDUZIONE FISCALE

M o z i o n e p r e s e n t a t a d a G i o r g i o A i r a u d o , SEL, lunedì 5 a g o s t o 2013, seduta n . a l a Camera, per impegnare il g o v e r n o a prendere le m i s u r e

n e c e s s a r i e per “rilanciare” il settore manifatturiero italiano le cui aziende sono messe in crisi dal debito bancario. Molte appartenenti al comparto agroalimentare, come Newalat e Sumador e i consorzi agrari. Anche attraverso un nuovo piano fiscale e l’incentivazione all’innovazione.

Qui di seguito AGRICOLAE riporta il testo integrale premesso che:

l’industria manifatturiera rappresenta il comparto economico più esposto alla concorrenza internazionale già da lungo tempo. Ciò trova causa nelle caratteristiche tecniche delle

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varie industrie, nelle quali non vi sono situazioni di m o n o p o l i o n a t u r a l e , e c o m u n q u e n e i p r o c e s s i d i liberalizzazione del commercio dei beni avvenuti, in sede comunitaria, fin dal 1957 e sostanzialmente progrediti negli anni Settanta e Ottanta e, in sede internazionale, con gli accordi GATT del 1947 e l’istituzione dell’OMC del 1994;

la progressiva riduzione dei dazi e delle altre restrizioni tecniche agli scambi ha determinato il contesto istituzionale adatto perché si potesse realizzare il libero gioco dei mercati internazionali nel selezionare i produttori più efficienti in grado di offrire i prodotti migliori e più economici;

la ragione di un simile contesto istituzionale poggia sul processo di specializzazione e divisione internazionale del lavoro e lo favorisce contribuendo ad adeguarlo nel tempo. Di qui i vantaggi comparati nel commercio internazionale per ciascuno dei Paesi che partecipano a tali organizzazioni e la storia economica contemporanea ha dimostrato la verità di queste affermazioni: il benessere misurato in termini di crescita del PIL dei Paesi che aderiscono alle organizzazioni di libero scambio nel mondo e in particolare alla UE è andato sempre crescendo, almeno fino ad oggi;

l’attuale crisi non dovrebbe rimettere in discussione i risultati raggiunti negli ultimi cinquantanni;

il processo di divisione internazionale del lavoro, alimentato dall’operare della concorrenza nel quadro del commercio internazionale, ha consentito nel nostro Paese la selezione di comparti industriali vitali e duraturi nei quali si sono affermate come protagoniste principali le piccole e medie imprese che hanno trovato nei distretti industriali un luogo di sviluppo particolarmente favorevole;

accanto a queste sussistono, e non vanno trascurate, realtà imprenditoriali anche di grandi dimensioni operanti come

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player di rilievo mondiale nei settori meccanici, aeronautici, dei sistemi spaziali e satellitari, delle apparecchiature militari, nell’ottica, nell’alimentare, nelle costruzioni e nella moda;

in ogni caso, il modello delle piccole e medie imprese che esportano ha rappresentato, e rappresenta tuttora, un pilastro, stabile nel tempo, dell’organizzazione industriale del Paese, sia in termini di numero di addetti che in termini di contributo al PIL e capacità di creazione di valore aggiunto;

l’affermazione, a partire dalla fine degli anni cinquanta di questo modello industriale fondato sulle esportazioni fu dovuta non solo all’esistenza di radicate tradizioni di eccellenza in alcuni settori (tessile, ceramica, arredamento, scarpe e pellami, moda, meccanica di precisione), ma anche a precise scelte di politica economica orientate a fornire quantomeno un quadro infrastrutturale idoneo a consentire lo sviluppo di simili attività;

successivamente, si sono però cominciati a manifestare i segni di una sofferenza specifica di tali settori da ricondurre, in una prima fase, non tanto alla pressione concorrenziale esterna, ma essenzialmente a inefficienze del sistema economico interno;

si pensi ai costi dell’energia che queste imprese hanno dovuto sopportare, nel corso del tempo, comparativamente maggiori di quelli pagati dai loro concorrenti specie comunitari; si pensi ai costi indotti dal sistema burocratico sempre più farraginoso; ai costi imposti dal sistema fiscale, non solo in termini di carico complessivo in senso stretto, ma anche di gestione dei rapporti amministrativi con il fisco; si pensi, ancora, al progressivo deterioramento della dotazione infrastrutturale del Paese (vie e mezzi di trasporto, logistica in generale); si consideri l’assenza di reti di collegamento tra la formazione professionale, la ricerca e le

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imprese, tanto più necessarie proprio perché le imprese del settore possono non raggiungere quella massa critica per esperire da sole attività di questo tipo; infine, si consideri l’insieme delle politiche industriali degli anni Settanta e Ottanta sostanzialmente a sostegno delle grandi imprese;

l’insieme di questi fattori ha causato evidenti svantaggi competitivi alle nostre imprese del settore. Inoltre, questi impedimenti hanno assunto ormai carattere strutturale e, nella crisi, aumentano il proprio peso e ad essi si è aggiunto il problema dell’accesso al credito;

per un certo periodo, gli svantaggi competitivi sono stati in parte compensati dalle periodiche svalutazioni della lira;

da quando, però, non è stato più possibile ricorrere a questo strumento, a causa del progredire dell’integrazione monetaria europea, l’industria manifatturiera italiana non è stata in grado di mantenere il passo e si è assistito ad una lenta ma inesorabile diminuzione della quota delle esportazioni nazionali sui volumi delle esportazioni mondiali;

a questo esito ha contribuito, da ultimo, l’affermazione sulla scena del commercio internazionale di nuovi agguerriti protagonisti come, ad esempio, l’India e la Cina (quest’ultima entrata formalmente nell’OMC solo nel 2001). Questi Paesi beneficiano di due ordini di vantaggi. Hanno la possibilità di a p p l i c a r e a l l e m e r c i i m p o r t a t e t a r i f f e d o g a n a l i comparativamente più alte di quelle che possono essere imposte sulle merci che essi esportano. Possono contare su costi di produzione inferiori essenzialmente a causa del minor costo del lavoro e, in genere, dei processi produttivi, che spesso non soggiacciono al rispetto dei medesimi standard di tutela ambientale e della salute che invece sono imposti alle imprese comunitarie;

tra gennaio ed aprile 2013 sono 4.218 le aziende in Italia che hanno chiuso a causa della crisi. Ben 58 di queste aziende

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hanno dichiarato fallimento proprio nella data dell’8 aprile.

Si tratta del 13 per cento in più di aziende chiuse nello stesso periodo del 2012, dopo che l’anno appena passato ha segnato il triste record di fallimento di 34 aziende al giorno, cioè 1000 al mese, per un totale di 12.442 imprese che si sono arrese alla crisi;

nel 2013 si è, quindi, passati da 34 aziende chiuse al giorno alla media di 43 imprese al giorno che dichiarano fallimento;

le 4.218 aziende fallite di gennaio-aprile 2013 vanno ad aggiungersi ai 45.280 fallimenti registrati fra 2009 e 2012;

tali cifre dipingono un quadro ancora più fosco se si pensa che nel 2007 è intervenuta una riforma della legge fallimentare che ha escluso dall’ambito di applicazione le imprese più piccole, ma il risultato, nonostante il crollo iniziale dei numeri, è stato quello di tornare ai livelli precedenti al 2007;

l’industria soffre, dunque, in qualunque settore di ogni regione italiana;

la Lombardia, il Veneto, il Lazio e la Campania nel 2012 sono le regioni con il numero più alto di società fallite tra il 2009 ed il 2012 secondo i dati Cerved, ma le regioni più sofferenti, se si tiene conto del rapporto tra le società fallite e quelle con bilanci in attivo, sono il Friuli Venezia Giulia e le Marche. E il trend di fallimenti sembra peggiorare nel 2013;

la classifica stilata dal Sole 24 Ore del numero di fallimenti regione per regione dal 2009 al 2012 (Dati Cerved Group) indica 2.817 imprese fallite in Lombardia (in aumento nel 2012), 1342 imprese nel Lazio (in aumento nel 2012), 1076 imprese in Veneto (in calo nel 2012), 1014 imprese in Campania (in calo nel 2012), 952 imprese in Piemonte (in aumento nel 2012), 866 imprese in Toscana (in calo nel 2012) 856 imprese in Emilia Romagna (in calo nel 2012), 648 imprese in Sicilia

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(in aumento nel 2012), 573 imprese in Puglia (in calo nel 2012), 434 imprese nelle Marche (in aumento nel 2012), 307 imprese in Abruzzo (in aumento nel 2012), 307 imprese in Abruzzo (in aumento nel 2012), 289 imprese in Calabria (in aumento nel 2012), 266 imprese in Liguria (in aumento nel 2012), 265 imprese in Friuli Venezia Giulia (in aumento nel 2012), 260 imprese in Sardegna (in aumento nel 2012), 222 imprese in Umbria (in aumento nel 2012), 144 imprese in Trentino Alto Adige (in aumento nel 2012), 52 imprese in Basilicata (in calo nel 2012), 44 imprese in Molise (in calo nel 2012), 15 imprese in Valle d’Aosta (in aumento nel 2012);

secondo la classifica stilata da dati Cerved group, le 10 province con il più alto numero di fallimenti sono Milano (4.378), Roma (3.622), Napoli (2.081), Torino (1.932), Brescia (1200), Bergamo (1.039), Bari (1.036), Treviso (995), Firenze (941) e Padova (829). Mentre le province con la più alta incidenza di fallimenti risultano essere Pordenone (5.9 per cento), Teramo (5.3 per cento), Ancona (4.9 per cento), Vibo Valentia (4.8 per cento), Verbano (4,5 per cento), Mantova (4.5 per cento), Rovigo (4.4 per cento), Catanzaro (4.3 per cento), Crotone (4.2 per cento), Udine (4.2 per cento);

numerosissime, inoltre, le aziende in crisi operanti nel settore manifatturiero in Italia. Nel Nord-Italia, in Lombardia ad esempio: la Schneider di Guardamiglio, la Giannoni di Santangelo Lodigiano, la MAC, la Bessel, la E.R.C, la Bettini, la Bonaiti, l’azienda Eicasting, la RSI, la V.M.C, la Riva Acciao, l’Algat, l’Alko Kober, la Beco, la Camusso Tubi, la Castelli Pietro, la Defremm, la Helman, la Lucchini, la M.D.S., la Faip, la Koch, la Manni Sipre, la Carlo Colombo, la Faital, la S.I.B., la CAME, la Doppio Vetro, la ATP, la Coven, la Autorotor, la Stiliac, la Veryflon, l’azienda Anghinetti, la VA.RE.L, la LTE Solution, l’ORT Italia (settore metalmeccanico), la Brandt Italia (settore elettrodomestico), l’Alnor (profilati in alluminio), Rubinetterie Flero-Teorema (rubinetterie), Consorzio Agrario, ex Polenghi ora Newalat,

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Spumador, Cantine Soldo, Azienda Agricola Lombarda, Caseificio Meneghini (settore agroalimentare), Coop. Serramenti Dolcini di Codogno (serramenti), Zucchi, Dresser Cubo gas, Dresser misuratori, valt logistic, techinick, alexia, Altex, Calzificio il Gabbiano, Tintoria Europea, Tintoria Sonia (settore tessile), Scarne Mastaf, CF Gomma, Fapes, Bienne, Dinoplast, Taba, Luben Plast, Fb Tecnopolymeri (settore della gomma-Plastica), Invatec, Dott, Tamoil, Coim, Solchim, Abibes (chimica), Sedileexport (legno), Monier, Fornaci Laterizi Danesi (laterizi) Nicma, Compass (indotto Iveco), Cabloelettrica, subfornitore della Fiat (elettrica), Brasilia (macchine da caffè), Sea, Riello, Herte, Siderval, ring mill, fic, valtecne (imprese varie). Nel Centro-Italia, e segnatamente in Abruzzo: la Pilkington (settore vetro), Ex Air One Manutenzione di Pescara, ex Micron (Microprocessori) di Avezzano, il Polo elettronico dell’Aquila (nel settore informatico), la Golden lady e la Sixty (nel settore tessile), la Solvay (nel settore chimico), la Real Aromi (produzione di liquori), la Honda (moto), la Cartiera di Chieti (produzione di carta). E, infine, in Campania, come la FOS-Fibre ottiche, la Treofan, l’Alcatel, l’azienda Amato, per non parlare del comparto ceramica, del comparto dell’agroindustriale (Conservieri-Pastifici-Scatolifici e trasformazione prodotti agricoli), del comparto metalmeccanico (Brollo-Landys e Gir- Ideal Standard Fatmel) e, infine, del settore tessile (MCM);

venendo poi alla Regione Puglia, si segnala come in quattro anni, dal 2009 al 2013, si siano perse, solo in questa Regione, ben 2.360 attività manifatturiere, pari all’11,7 per cento in meno. Ne esistevano 20.146 ed oggi sono solo 17.786, rappresentando il 23,6 per cento circa della totalità delle imprese artigiane (circa 75.376). E questo quanto emerge dalla prima indagine congiunturale sull’artigianato manifatturiero, condotta dal Centro Studi di Confartigianato Imprese Puglia, secondo cui il settore vacilla sotto i colpi della crisi, le aziende chiudono, la produzione è quasi ferma, la domanda interna è scarsa, le esportazioni frenano e l’erogazione del

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credito è sempre più rarefatta. In particolare, le ditte e le società che si occupano di confezioni di articoli di abbigliamento sono crollate del 27,9 per cento. Prima erano 2.668, oggi sono solo 1.923, con un saldo negativo di 745 unità. Le fabbriche di mobili sono diminuite del 24 per cento (da 915 a 695). Il saldo è negativo di 220 unità. In questo comparto sono comprese numerose attività che rappresentano quasi tutte le tipologie di mobili (soggiorno, letto, cucina, ufficio, materassi, eccetera), con una prevalenza per le poltrone e i divani. L’industria del legno e dei prodotti in legno e sughero conta 401 attività in meno, pari al 17,3 per cento in meno (da 2.313 a 1.912). Il settore comprende imprese che svolgono attività molto diverse tra loro: si tratta, in prevalenza, di produzioni di infissi o altri manufatti di falegnameria destinati all’edilizia a cui si affiancano altre lavorazioni che vanno dal taglio e la piallatura del legno, alla produzione di semilavorati sino alla fabbricazione di imballaggi. Segue l’industria tessile che ha perso 110 imprese, con un tasso negativo del 16,9 per cento (da 652 a 542). Le fabbriche di «altri prodotti della lavorazione di minerali» sono diminuite del 9,7 per cento: da 1.276 a 1.152.

Ce ne sono 124 in meno. Si contano 329 fabbriche di prodotti in metallo (esclusi i macchinari) in meno rispetto a quattro anni fa (da 3.504 a 3.175). In termini percentuali, il 9,4 in meno. Racchiude, prevalentemente, le unità che operano nella produzione di elementi da costruzione affiancate da lavorazioni di trattamento e rivestimento del metallo; poco significativa la metallurgia. Nello stesso quadriennio (2009-2013), la stampa e riproduzione di supporti registrati scende di 65 unità, pari al 7,6 per cento (da 857 a 792). Le altre industrie manifatturiere si sono contratte, in media, del 6,7 per cento (da 2.003 a 1.869). Questo settore è residuale rispetto ai precedenti e, di conseguenza, è molto variegato: le produzioni più significative sono quelle della lavorazione di minerali non metalliferi (vetro, ceramica, pietre) e della carto-tecnica (stampa e lavorazione della carta e del cartone). Da segnalare anche quelle della

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produzione di attrezzature mediche e dentistiche, delle lavorazioni di gioielleria e oreficeria, dell’installazione, manutenzione e riparazione di macchinari industriali. Nel complesso, in collusione, gli indicatori congiunturali più rappresentativi dell’artigianato (produzione, ordinativi e fatturato) evidenziano segni negativi, con un netto peggioramento negli ultimi trimestri. Le difficoltà di mercato hanno indotto numerose imprese ad avviare processi di trasformazione orientati verso produzioni a valore aggiunto maggiore. Negli altri casi, invece, si assiste ad una riduzione dell’attività produttiva in termini di volume della produzione e addetti impiegati. La provincia di Bari, se confrontata con le altre, ha sofferto in modo più intenso gli effetti della recessione. Le imprese manifatturiere del capoluogo regionale, infatti, sono diminuite del 13,9 per cento (da 9.209 a 7.926). Segue Lecce che ha perso 569 attività (-11,2 per cento), Foggia 252 unità (-9,8 per cento), Brindisi 157 aziende (-9,6 per cento) e Taranto 99 società (-6 per cento);

accanto al preoccupante fenomeno dei fallimenti e delle crisi aziendali che stanno fiaccando il sistema delle imprese italiane, un nuovo fenomeno, per certi aspetti più allarmante, sta emergendo con evidenza: ovverosia il numero in costante crescita delle aziende che scelgono la via della liquidazione volontaria. Un fenomeno entrato con prepotenza dall’autunno scorso nelle analisi del Cerved, il leader nel settore business information, che ha rilevato come nel 2012 le chiusure di aziende con i conti in ordine siano state 45mila con un incremento del 16 per cento sul 2011. Quel che allarma è la progressione costante degli imprenditori che di fatto rinunciano ad andare avanti con la loro attività e gettano la spugna;

in sostanza ci si trova in presenza di aziende che hanno bilanci in ordine, come per esempio la Cagiva recentemente acquistata dagli austriaci, che non hanno ferite aperte sul

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fronte dell’eccessivo indebitamento e che ciononostante chiudono per svariati motivi legati alle difficoltà connesse al passaggio generazionale, alla volontà di aprire all’estero, ma anche e sopratutto a ragioni che derivano dalla sfiducia generalizzata degli imprenditori per le prospettive future;

la debolezza del nostro sistema industriale dipende da molteplici fattori quali gli eccessivi costi dell’energia, un sistema fiscale farraginoso e tendenzialmente spostato sulle imprese e sulle famiglie, un’insufficiente dotazione infrastrutturale con particolare riguardo ai settori del trasporto, della logistica e della banda larga; una burocrazia lenta e ridondante, uno scarso collegamento tra formazione, ricerca e imprese, un costo elevato dei servizi bancari, delle assicurazioni, delle professioni e dei servizi in genere; un mercato del lavoro ancora troppo caratterizzato da un’occupazione scarsamente posizionata nei settori tecnologici e della green economy, nonché infine il permanere di forti squilibri territoriali;

ciò che impedisce realmente una sensibile ripresa del nostro P a e s e è p e r a l t r o d o v u t a a l l a l i m i t a t a i n c i d e n z a dell’intervento pubblico;

con riferimento al settore energetico: l’Italia deve stare al passo con gli ambiziosi, obiettivi europei individuati nel pacchetto clima-energia e dato che il Paese soffre di un gap consistente dovuto all’elevato costo dell’energia rispetto ad altri competitori europei, in tale contesto le micro e piccole imprese hanno un ulteriore svantaggio nei confronti delle imprese di più grandi dimensioni. Inoltre, il costo dell’energia è stato segnalato come elemento strutturale di debolezza anche del mercato dei filati e delle calze, laddove in Italia si paga circa il 20-30 per cento in più degli altri concorrenti e rispetto alla Francia quasi il doppio;

per il rilancio del settore manifatturiero, particolarmente sentito è indubbiamente il tema del credito. Le banche sono,

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infatti, determinanti per rendere la crisi meno profonda e duratura, ma non si considera ancora raggiunto l’obiettivo di conciliare il necessario equilibrio economico e patrimoniale con il sostegno finanziario alle imprese. I punti più critici sono innanzitutto la quantità di credito che attualmente viene allocata sull’economia reale, soprattutto sulle medie e piccole imprese e anche sulle famiglie, e il costo di tale credito;

sul versante della fiscalità è stata da più parti sottolineata l’esigenza di misure eccezionali sul piano della riduzione del carico fiscale e contributivo, volte a garantire la sopravvivenza delle piccole e medie imprese;

con riferimento alle problematiche relative alla effettiva implementazione dei distretti industriali nel nostro Paese, appare quanto mai necessario approvare provvedimenti volti ad agevolare le filiere produttive, in particolare per alcuni comparti, quali ad esempio il tessile-abbigliamento- calzaturiero, che risentono di situazioni di crisi

«settoriali» precedenti a quella internazionale iniziata nella seconda metà del 2008;

per quanto riguarda l’occupazione, il tema centrale è il sostegno al reddito in caso di perdita del lavoro e più in generale l’adozione di un progetto nazionale innovativo per il medio termine, nell’ambito del quale si possano individuare alcune priorità che puntino innanzitutto all’obiettivo primario della stabilità sociale e della valorizzazione della persona nel quadro di un intervento reale per il rilancio del Paese nel contesto europeo e internazionale, di cui la nota vicenda ILVA rappresenta un banco di prova di altissimo profilo, dalla cui risoluzione dipenderà il futuro non solo dell’Italia, ma probabilmente dell’intera costruzione europea di cui l’Italia è parte integrante, con l’annunciato Piano e u r o p e o p e r l ’ a c c i a i o e d i l r i l a n c i o d e l s e t t o r e manifatturiero;

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l’Italia è, inoltre, un Paese debole sotto il profilo dell’innovazione tecnologica, come emerge da alcune statistiche dell’Unione europea, soprattutto nei settori ad alta e medio-alta tecnologia. Un’ulteriore caratteristica distintiva del nostro mondo dell’innovazione è stata individuata nella debolezza della finanza specializzata per l’innovazione, una carenza di venture capital, per la quale si auspica un ruolo di maggior rilievo;

dovrebbe essere inoltre sottolineata l’importanza strategica della ricerca e della formazione, per puntare sulla qualità dei prodotti e non sul semplice abbattimento dei costi di produzione, si propone pertanto la valorizzazione della ricerca universitaria, con particolare riferimento al trasferimento tecnologico e ai rapporti pubblico/privato;

per quanto attiene alle problematiche relative alla semplificazione normativa, deve essere sottolineata la necessità di procedere sulla via della semplificazione normativa e amministrativa, attraverso uno snellimento burocratico effettivo ed efficace, prevedendo una fase finale in cui sia chiara la responsabilità della decisione, anche contro le indicazioni provenienti da altri enti;

è emerso peraltro, e specie in questo ultimo decennio, il ruolo chiave della chimica per lo sviluppo economico e per il benessere, poiché dalla chimica sono rese disponibili in continuazione sostanze, prodotti, materiali innovativi e nuove soluzioni tecnologiche per tutti i settori economici.

L’Italia, come previsto dall’Unione europea, deve promuovere un’industria chimica orientata alla sostenibilità. Per conseguire questo obiettivo, è necessario sostenere sia l’innovazione e la ricerca, che la qualità normativa e una corretta implementazione e applicazione della medesima. La chimica di base vive forti difficoltà, non solo a livello italiano, ma anche europeo. In Italia è stata incrementata la chimica fine, la chimica delle specialità, la chimica di formulazione, fondamentali perché più vicine al mercato. È

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tuttavia necessario intervenire per eliminare alcuni condizionamenti che pesano sulla chimica italiana per restituire competitività alle imprese attraverso: una politica industriale finalizzata a introdurre normative meno penalizzanti e in linea con quelle europee, la riduzione del costo dell’energia, le infrastrutture e il sostegno alla ricerca e, infine, l’avvio veloce di progetti di ricerca, con l’eliminazione delle barriere normativo-burocratiche che bloccano i programmi delle imprese;

il settore delle macchine soffre di debolezze strutturali che rendono difficile la sperimentazione di idee coraggiose. È dunque indispensabile operare per rafforzare il sistema fieristico e di promozione all’estero, attraverso il coordinamento delle diverse iniziative, dando vita a un sistema di cooperazione comunitario, che aggreghi imprese costruttrici di beni strumentali, ma anche utilizzatori, centri di ricerca, università, finalizzata alla condivisione della conoscenza già esistente e allo sviluppo di nuove soluzioni tecnologiche;

per quanto infine riguarda l’industria farmaceutica, si ritiene, in primo luogo, necessario incrementare gli investimenti delle imprese internazionali nel nostro Paese, un settore che non delocalizza ma, al contrario, può creare sviluppo,

impegna il Governo:

1) ad adottare un programma nazionale che punti al rilancio del settore manifatturiero attraverso l’adozione di molteplici iniziative volte a:

a) realizzare una politica energetica più concorrenziale, in linea con le direttive dell’Unione Europea, fondata

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sull’efficienza e sul risparmio energetico, sulla diversificazione delle fonti, sulla riduzione dei combustibili fossili, sullo sviluppo delle fonti rinnovabili, sul potenziamento delle infrastrutture;

b) riallocare le energie lavorative sui livelli più alti della filiera produttiva e sui livelli più raffinati dal punto di vista tecnologico;

c) ottenere un effettivo snellimento burocratico, in un contesto caratterizzato da un eccesso di leggi, scarsità o duplicazione dei controlli, sovrapposizione di competenze;

d) ridurre il carico fiscale e contributivo per liberare risorse da destinare alla produzione e al lavoro;

e) sostenere concretamente la domanda interna procedendo velocemente alle liberalizzazioni dei settori protetti;

f) allentare il patto di stabilità interno per rilanciare in particolare il settore dell’edilizia, garantendo al contempo un migliore utilizzo dei fondi strutturali europei;

g) modernizzare il sistema produttivo con lo sviluppo delle tecnologie ambientali e dei servizi sociali, settori che possono offrire interessanti sbocchi occupazionali;

h) adottare con urgenza specifiche misure di rilancio della politica industriale, affinché Finmeccanica modifichi la propria strategia industriale attraverso investimenti ed anche con trasferimento di tecnologie dal militare al civile, fermando qualsiasi ipotesi di cessione degli asset civili, a partire da AnsaldoBreda, Ansaldo STS, Ansaldo Energia e BredaMenarini, così da garantire che le scelte della società vadano nella direzione dello sviluppo e del rilancio produttivo dei settori e degli stabilimenti che rappresentano un’importantissima risorsa strategica per il Paese;

i ) a d o t t a r e c o n u r g e n z a s p e c i f i c h e m i s u r e v o l t e a

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riqualificare il trasporto pubblico utilizzando Breda Menarmi di IRISBUS, evitandone la chiusura, come polo di sviluppo della mobilità pubblica, nonché a porre in essere ogni atto di competenza volto a far sì che la FIAT condivida e persegua pienamente e chiaramente con l’Esecutivo ed il Paese impegni concreti in Italia in termini di investimenti, prodotti, allocazioni di risorse e tutela dell’occupazione, al fine di non rischiare di perdere come nel caso di Finmeccanica, importanti segmenti di produzione industriale in Italia e italiana;

ad adottare specifiche iniziative normative volte a:

a) rivedere la disciplina che prevede l’annullamento dell’imposizione fiscale per le attività che superano la soglia dei duecentomila kilowattora/mese, a discapito delle attività che operano al di sotto di tale soglia;

b) sostenere la competitività delle imprese nazionali con una politica mirante a una maggiore differenziazione delle fonti energetiche e a ridurre in particolare il differenziale di costo del gas naturale (metano), rispetto ai competitori europei, che penalizza pesantemente le imprese industriali energivore;

c) favorire la concorrenzialità nel mercato del gas, dell’accesso alle reti, del potenziamento della capacità di stoccaggio, per garantire una maggiore pluralità e differenziazione sul lato dell’offerta, in modo da ridurre il costo del gas, principale materia prima di molte industrie manifatturiere, in particolare di quella delle ceramiche;

d) rendere più moderne e trasparenti le relazioni tra banche e imprese, consentendo alle singole aziende di beneficiare di condizioni dipendenti dalla propria qualità creditizia, senza dover scontare inefficienze di altri;

e) garantire la sopravvivenza delle piccole e medie imprese anche tramite: 1) la sospensione degli acconti fiscali; 2) il

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versamento dell’IVA a fattura incassata, in particolare nei contratti di subfornitura; 3) l’abolizione dell’IRAP o, in subordine, la diminuzione della percentuale di acconto dell’IRAP, la deducibilità totale degli oneri finanziari ai fini IRAP, la previsione della deducibilità totale o parziale dell’IRAP dall’IRES e dall’IRPEF; 4) l’aumento della deducibilità degli interessi passivi ai fini IRES; 5) la revisione del Patto di stabilità interna al fine di liberare risorse per gli investimenti degli enti locali; 6) gli sgravi fiscali per gli investimenti sui beni strumentali compresi la ricerca e l’innovazione; il ridimensionamento della portata degli studi di settore, riguardo agli accertamenti automatici i quali debbono concorrere più elementi, rivedendo i metodi di calcolo ed i moltiplicatori per tener conto del peggioramento dell’andamento dell’economia;

f) tutelare le risorse umane, adottando provvedimenti premianti non solo verso le aziende che assumono, ma anche verso le aziende che mantengano inalterati i livelli occupazionali;

g) sostenere il made in Italy, anche attraverso l’adozione di apposite iniziative, anche normative, volte ad introdurre l’etichettatura dei prodotti made in Italy con obbligo di codice a barre e certificazione igienico-sanitaria e di sicurezza dei prodotti provenienti da Paesi non facenti parte della Unione europea, incentivando al contempo l’aggregazione tra imprese al fine di intervenire sull’assetto dimensionale del tessuto produttivo;

h) intervenire sull’Unione europea per promuovere, su scala mondiale, l’adozione di standard di reciprocità a livello sociale e ambientale, per evitare fenomeni di dumping, e affinché gli stati membri del WTO rimuovano le barriere non tariffarie che ostacolano l’accesso ai mercati;

i) promuovere un tessile «etico» per rilanciare i distretti del tessile attraverso il sostegno alle imprese che producono

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