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PARTE PRIMA OLTRE LA FINE DEL LEGAME CONIUGALE: LA MEDIAZIONE FAMILIARE COME RISORSA A SOSTEGNO DELLA GENITORIALITA’

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PARTE PRIMA

OLTRE LA FINE DEL LEGAME CONIUGALE: LA MEDIAZIONE

FAMILIARE COME RISORSA A SOSTEGNO DELLA

GENITORIALITA’

Premessa - La risoluzione alternativa dei conflitti: dal conflitto distruttivo al conflitto costruttivo

La mediazione è “l’opera di chi si interpone fra due parti per far loro conseguire un accordo, qualcuno quindi che non guidi gli attori ma che li accompagni nell’attivazione di risorse che aiutino a trovare una soluzione” (GARZANTI 1993).

Il fondamento su cui nascono e si sviluppano il concetto e la pratica della mediazione è la presenza del conflitto1 e la necessità di superarlo. La diffusione dei conflitti e il bisogno d’armonia sono una caratteristica ineliminabile degli esseri umani. Nella logica della mediazione, fondamentale è la consapevolezza del conflitto, infatti solo attraverso l’interiorizzazione del problema è possibile raggiungere una soluzione, inoltre spesso nel tentativo di risolverlo emergono soluzioni nuove ai problemi del vivere spesso più soddisfacenti.

Il conflitto è solitamente associato all’aggressione. Ci sono reazioni istintive e biologiche al conflitto e all’aggressione, che sono comuni a tutti gli animali, compresi gli esseri umani2, queste anche in società altamente sviluppate, sono spesso primitive e implicano gravi conseguenze per tutti gli interessati.

A partire dalle teorizzazioni di Deutsch (DEUTSCH 1973) e dalla sua distinzione tra

conflitto costruttivo – basato su modalità di relazione cooperative, e conflitto distruttivo – basato su relazioni competitive e tendente all’espansione (escalation); il termine “conflitto” diventa una parola-chiave. A partire dagli anni Ottanta, infatti, si può parlare di un passaggio dalla logica del consenso a quella del conflitto, quest’ultimo visto come un elemento vitale di crescita del corpo sociale e familiare. In questa prospettiva il conflitto è considerato nelle sue potenzialità evolutive: la vita senza conflitto sarebbe statica.

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Riguardo al tema del conflitto un importante contributo è stato dato da: VON BERTALANFFY 1968, MILLER 1978 e da MILLER,MILLER 1992.

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A questo proposito Lorenz (LORENZ 1974) ed altri hanno studiato il funzionamento dell’aggressione negli animali, molti di questi evitano istintivamente il conflitto diretto, sottomettendosi all’individuo o al gruppo che percepiscono più forte.

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Quindi ciò che conta è se e come il conflitto viene gestito; infatti se gestito “attentamente”, non è necessariamente distruttivo. L’energia generata nel conflitto può essere utilizzata in modo costruttivo, cercando soluzioni in modo cooperativo invece che attraverso la contestazione.

“Risolvere un conflitto raramente ha a che fare con chi ha ragione. Dipende semmai dal riconoscimento e dall’apprezzare le differenze” (CRUM 1987, p. 49).

Le società umane hanno sviluppato numerosi modi per gestire il conflitto, ma soprattutto nelle società contemporanee, dove la valorizzazione del singolo individuo e della sua libertà sono elementi imprescindibili, sembra ormai chiaro che le tecniche tradizionali di gestione dei conflitti non rispondono a questo bisogno di autonomia; infatti quest’ultime tendono a burocratizzarsi sempre di più, nel tentativo di seguire nel dettaglio le sempre nuove occasioni di lite (CASTELLI 1996).

Il processo sia civile che penale è nato come strumento per evitare che le persone si facciano giustizia da sé. E’ il meno imperfetto dei sistemi che gli individui hanno saputo ideare per dirimere i conflitti, infatti, benché protegga i diritti individuali, tende a creare una polarizzazione dei disputanti distruggendo così una possibile propensione alla collaborazione. Inoltre la gestione forzatamente ritualizzata del processo è essa stessa fonte di conflitto. Le persone non si incontrano, ma si scontrano per avere ragione. Si tratta per lo più di giochi a somma zero: uno vince tutto e l’altro perde tutto.

Il nostro ordinamento, che pure viene da una lontana tradizione processualistica che dava ampio spazio allo strumento della conciliazione (il Codice di Procedura Civile del 1865 si apriva con il Titolo preliminare “Della conciliazione e del compromesso” il cui art. 1 prevedeva che “I Conciliatori, ove ne siano richiesti, devono adoperarsi per comporre le controversie”), si è, attraverso passaggi storici comuni a molte regioni occidentali, via via uniformato ad una concezione di ordine imposto, anziché di ordine negoziato, nella quale la gestione del conflitto è prevista come un aspetto fondamentale dell’esercizio del potere (l’art. 1 dell’attuale codice di procedura civile, risalente al 1942, prevede che “la giurisdizione, salvo speciali disposizioni di legge, è esercitata dai giudici ordinari”). La resistenza di fondo dell’ordinamento ad abbandonare l’impostazione tradizionale della gestione dei conflitti, propria dei sistemi dell’ordine imposto, fondata sul modello processo-giudizio, ha portato dunque finora ad una sorta di marginalizzazione, all’interno dell’attuale sistema processuale, dei sistemi volti ad una gestione negoziale della lite, più vicina ai sistemi di ordine negoziato, fondati sulla conciliazione degli interessi.

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La cornice nella quale il legislatore si è finora mosso partiva dunque da una sorta di sfiducia e sospetto verso quelle forme di giuridicità trasversale, fondate su base negoziale, che potevano portare ad un progressivo allontanamento dalla centralità legislativa e ad un abbandono del tradizionale metodo di regolazione dei conflitti per tramite delle istituzioni giudiziarie che si muovono sulla tradizionale dicotomia di giudizio torto/ragione.

La crisi del sistema giudiziario e l’inadeguatezza degli strumenti processuali a fornire risposte adeguate, allorché ci si trovi di fronte a situazioni in cui non si tratta di accertare un fatto ma di decidere, ad esempio, su relazioni interpersonali, hanno fatto sì che negli ultimi anni si stia diffondendo con sempre maggior insistenza una cultura della valorizzazione dei mezzi di risoluzione alternativa delle controversie, non tanto ormai come via di fuga dai mezzi tradizionali, ma in quanto più rispondenti alle esigenze dei soggetti coinvolti nel conflitto.

La mediazione si sviluppa proprio in questo clima di crisi e sfiducia nel sistema giudiziario e nella sua capacità di regolazione delle controversie. Lo sviluppo della mediazione come modo di gestione delle liti, che permette una maggiore implicazione degli attori nella risoluzione dei propri contrasti, sembra confermare un’inevitabile evoluzione verso processi decentralizzati di regolazione dei conflitti.

Il termine mediazione comprende un’ampia varietà di tecniche in uso per comporre vertenze in molti ambiti differenti: di vicinato e comunità, di alloggio, civili e commerciali, di separazione e altri tipi di controversie familiari, fino alla sanità, la scuola, il lavoro, il sistema giudiziario penale e le vertenze internazionali. In tutti gli ambiti, la mediazione è stata ed è utilizzata in diversi modi per facilitare la comunicazione e assistere i disputanti nel raggiungere decisioni consensuali.

Va sottolineato che va emergendo la dimensione culturale della mediazione, questo incide anche sul modo d’essere della giurisdizione, soprattutto familiare e minorile. La mediazione ha infatti raggiunto un valore di civiltà, in quanto ha come presupposto l’esistenza di una reale democrazia familiare, in cui ognuno ha diritto di far sentire la propria voce, allontanandosi così dall’idea di famiglia patriarcale e gerarchizzata.

L’obbiettivo della mediazione sta nella mutua vittoria, il così detto win-win. La sua particolarità sta nel fatto che essa non è né un compromesso, né un arbitrato, il ruolo del mediatore è proprio quello di insistere sulla sfera del libero convincimento e/o

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autodeterminazione delle parti basandosi su un’interazione di tipo cooperativo ovvero sulla nozione di equilibrio teorizzata da J. Forbes Nash3.

Il mediatore non si sostituisce in alcun modo ad avvocati, giudici, commercialisti, o medici o alle molte altre figure professionali, a cui potrà essere opportuno rivolgersi per chiarire punti specifici del problema. La mediazione punta alla responsabilizzazione delle parti, di modo che queste abbiamo chiara l’importanza degli interessi in comune che sarebbe sciocco sacrificare in nome della “vendetta”. E’ fondamentale però sottolineare che la mediazione non è sempre appropriata o possibile e, anche quando lo è, può non produrre un accordo, essa ha dei limiti e i risultati sono variabili; ci sono situazioni in cui altri procedimenti, compreso quello giudiziario, sono necessari quanto o più della mediazione. Se infatti, inizialmente, il ricorso alla mediazione/conciliazione era motivato dalla necessità di avere in tempi brevi quelle risposte che il sistema non pareva in grado di dare con il tempo si è imposta l’idea che in taluni ambiti e materie tali mezzi possano porsi non tanto quali strumenti antitetici al tradizionale sistema di risoluzione giudiziario delle controversie, ma come mezzi più idonei (ed in questo senso alternativi rispetto all’intervento giudiziario, al pari di come si sceglie lo strumento migliore per intervenire su un problema), in quanto capaci di svolgere un’azione di cura nel rapporto delle parti e di prevenzione di ulteriori conflitti.

La mediazione reinveste infatti le parti della gestione del conflitto, permettendo loro di riappropriarsi della soluzione del problema in considerazione dei propri interessi e riattivando la comunicazione interpersonale diretta e non delegata a tecnici del settore: va da sé che gli esiti di un tale processo di responsabilizzazione sono quelli di un rafforzamento e riconoscimento reciproco delle parti che porta a far sì che in ceri ambiti, come quello della gestione della crisi familiare, la mediazione non si ponga come metodo alternativo della risoluzione delle controversie ma come metodo adeguato di risoluzione della controversia.

La mediazione può essere inserita a pieno titolo nelle ADR4: Alternative Dispute

Resolution. Queste tecniche nascono negli Stati Uniti5 negli ultimi decenni, il termine

3

Cfr: voce: Nash, equilibrio di, in GARZANTI 2001. Nash estendendo la Teoria dei Giochi ad un numero arbitrario di partecipanti dimostra che, sotto certe condizioni, esiste sempre una condizione di equilibrio, che si ottiene quando ciascun individuo che partecipa ad un dato gioco sceglie la sua mossa strategica in modo da massimizzare la sua funzione di retribuzione, sotto la congettura che il comportamento dei rivali non varierà in base alla sua scelta. Tutti i giocatori possono dunque operare una scelta dalla quale tutti traggono vantaggio (o limitare lo svantaggio al minimo).

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A proposito delle ADR: BROWN 1982; FOLBERG 1983; SINGER 1990. I mediatori familiari intervistati fanno spesso riferimento alle ADR come un utile strumento di risoluzione creativa dei conflitti.

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viene usato per individuare un procedimento riservato e confidenziale in cui un terzo imparziale e neutrale ascolta le ragioni delle parti in conflitto e facilita la soluzione della controversia.

Le procedure di ADR possono essere usate in un’infinita varietà di situazioni, come le vertenze tra privati, in tema di contratti e problemi commerciali in genere, nelle dispute amministrative tra organi dello stato, per i conflitti familiari e tra gruppi sociali (tra condomini, abitanti di quartieri, cittadini etc…).

Infatti, proprio di fronte alle lungaggini, alle inefficienze - e allo stress naturalmente provocato dalla pendenza del giudizio - della Legge quale viene applicata nei tribunali, ci si è posti l’obbiettivo di individuare delle tecniche alternative per la risoluzione delle controversie.

Bisogna però sottolineare che le tecniche di risoluzione alternative dei conflitti non hanno la pretesa di sostituirsi al sistema giudiziario ma di affiancarsi ad esso. A questo proposito è interessante citare che a partire dal 1993 le regole deontologiche degli avvocati del Colorado (primo caso di questo tipo negli Usa a cui ne seguiranno molti altri) stabiliscono che un “avvocato deve informare i propri clienti riguardo alle forme alternative di composizione delle vertenze” (STEAD,LEONARD 1992).

La definizione di ADR include svariate forme di procedure per la risoluzione dei conflitti. Tutte si basano sulla figura di un terzo imparziale e neutrale che, grazie alla sua preparazione specifica, consente alle parti di riprendere un dialogo costruttivo. Le procedure più diffuse sono la mediation (in italiano mediazione, conciliazione), nella quale il terzo imparziale aiuta le parti a concepire tutti i possibili accordi.

Bisogna ora distinguere tra mediazione e arbitrato: la mediazione è una procedura in cui un terzo neutrale ed imparziale, il mediatore, dirige e facilita il dialogo fino al raggiungimento di un accordo, non emettendo però alcuna decisione in ordine all’oggetto della disputa, nell’arbitrato invece il terzo imparziale viene chiamato ad emettere un vera e propria decisione secondo diritto.

Le ADR, coinvolgendo direttamente le parti nel raggiungimento dell’accordo più conveniente per le stesse, tendono a generare accordi più pratici e creativi, infatti il terzo imparziale facilita il dialogo facendo sì che tutti i punti di vista siano seriamente considerati. Anche quando le procedure conciliative non producono effetti positivi, cioè un

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L’esperienza statunitense, nella quale il massiccio ricorso alle ADR fu la risposta alla cosiddetta litigation explosion degli anni ’80 che, vedendo addirittura quadruplicarsi il numero della cause civili iscritte, portò pressoché alla paralisi delle corti.

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accordo, consentono sempre di chiarire o delimitare l’oggetto del contendere, ponendo le basi per la continuazione della negoziazione tra le parti.

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