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1. Introduzione 1.1

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Academic year: 2021

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1.

Introduzione

1.1

Scopo della tesi

Il passaggio fondamentale del ciclo replicativo di HIV-1 è l’integrazione del cDNA provirale nel DNA della cellula ospite, in assenza di tale evento, infatti, il virus non è in grado di portare a termine il ciclo replicativo.

L’integrazione provirale è mediata dalla proteina virale integrasi (IN).

Numerosi studi finalizzati all’individuazione di siti specifici di integrazione nel genoma umano hanno dimostrato che non esistono sequenze di riconoscimento specifiche per l’integrazione virale. Tuttavia recenti studi hanno dimostrato che l’integrazione virale non avviene in modo del tutto casuale ma avviene preferenzialmente in regioni del genoma a più alta densità genica e in regioni del genoma trascrizionalmente attive dove la cromatina assume una struttura decondensata. I risultati di questi esperimenti hanno suggerito la possibilità che proteine in grado di modificare la conformazione della cromatina possano anche svolgere un ruolo nel processo di integrazione virale. La conformazione della cromatina è controllata dallo stato di associazione tra i nucleosomi, costituiti dagli istoni, e il DNA. L’associazione DNA/nucleosomi è regolata da diversi meccanismi tra cui le modificazioni post-traduzionali a carico degli istoni. L’acetilazione è una di queste modificazioni ed è mediata da una classe di proteine denominate Histone Acetyl Transferases (HAT). L’acetilazione determina un cambiamento delle forze elettrostatiche tra il DNA e le proteine istoniche che porta al rilassamento della struttura della cromatina, evento fondamentale per facilitare la trascrizione, la replicazione e la riparazione del DNA. In particolare recentemente è stato dimostrato che le HAT non solo acetilano gli istoni ma modificano anche altre proteine in grado di interagire con il DNA, tra le tante le più note sono: p53, Myo-D e E2F-1. Inoltre studi recenti hanno messo in evidenza che Tat, una proteina espressa da HIV-1 con funzione regolatrice del promotore virale, viene acetilata da due diverse acetiltrasferasi, p300 e PCAF, e che tale modificazione è in grado di regolarne l’attività.

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Alla luce di questi dati è stata esplorata l’ipotesi di una possibile associazione tra attività acetiltrasferasica delle HAT e integrazione virale. Questi studi hanno portato all’individuazione di una acetiltrasferasi, p300, in grado di aumentare l’efficienza di integrazione virale.

Il primo obiettivo di questo lavoro di tesi è stato quello produrre la proteina ricombinante p300 in sistema eucariotico e di studiarne in vitro l’interazione biochimica e funzionale con l’integrasi di HIV-1.

Per la produzione di p300 abbiamo utilizzato il Baculovirus Expression Vector System (BEVS). Questo sistema ha permesso di ottenere elevate quantità di proteina ricombinante con caratteristiche strutturali e funzionali del tutto simili alle proteine native eucariotiche.

Una volta prodotta, p300 ricombinante, la cui funzionalità è stata verificata tramite saggi di acetilazione, è stata utilizzata per studiare la sua attività sull’integrasi.

I risultati ottenuti ci hanno permesso di concludere che p300 acetila e lega l’integrasi in vitro e che l’interazione tra le due proteine determina un aumento dell’attività catalitica dell’integrasi in vitro.

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1.2 Ciclo replicativo di HIV-1

Il retrovirus HIV-1 appartiene al genere dei lentivirus ed è stato identificato quale agente eziologico dell’AIDS già nei primi anni Ottanta.

Al microscopio elettronico la particella virale dell’HIV-1 si presenta di forma sferica, con un diametro di mm 100 ed è caratterizzata da un nucleo elettrodenso di forma conica. Il nucleo è avvolto da un pericapside, derivato dalla cellula ospite, sul quale è ancorato il complesso proteico di origine virale Gp120/Gp41, indispensabile per il riconoscimento virus-cellula.

La Gp120 è, infatti, in grado di legare il recettore cellulare CD4, che è espresso dai linfociti T, macrofagi e cellule dendritiche.

In seguito al legame con il CD4, la Gp120 potenzia l’affinità per i corecettori CXCR4 o CCR5, espressi sui linfociti T e sui macrofagi, e che a livello cellulare funzionano da recettori per le chemochine α e β.

Successivamente alla formazione di un complesso ternario tra Gp120, CD4 e CXCR4 o CCR5 si determina un mutamento conformazionale della subunità Gp41, che causa la fusione della membrana plasmatica con il pericapside e l’entrata del virus nella cellula.

Dopo la fusione virus/cellula, si libera e, poi, disassembla, il core virale, costituito dal nucleocapside (NC), dalla matrice (MA) e, più all’interno, da due molecole di RNA che costituiscono il genoma virale. Associate all’RNA virale si trovano il tRNA, che agisce da primer per la trascrizione inversa, la Trascrittasi inversa (RT), l’Integrasi (IN) e Vpr.

La retrotrascrizione è un evento caratterizzante il ciclo replicativo dei retrovirus, inizia con il legame tra il tRNA, che funziona da primer, e una sequenza di RNA virale, detto Primer binding site (PBS). La sintesi del DNA procede verso il 5’ del genoma a formare il filamento negativo, mentre l’RNA originale viene, in parte, degradato. Il filamento negativo di DNA è, poi, utilizzato da stampo per la sintesi del filamento positivo e le sequenze di RNA, non completamente degradate, servono da primer.

Questo processo porta alla sintesi del doppio filamento di DNA, che costituisce la nuova forma di genoma virale e si differenzia dall’RNA stampo iniziale per la presenza alle estremità di sequenze identiche, dette Long Terminal Repeats (LTR).

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Le LTR, in conseguenza dell’integrazione virale, sono utilizzate al 5’come promotore ed al 3’ come terminatore della trascrizione virale. Inoltre le LTR sono necessarie per l’integrazione del genoma virale nel DNA ospite, poiché costituiscono il sito di attacco per IN.

Dopo poche ore dall’ingresso del virus nella cellula, all’interno del citoplasma si possono individuare complessi proteici di origine virale che sono chiamati di preintegrazione (PICs); tali complessi sono formati da DNA retrotrascritto, proteine virali quali la Matrice (MA), Vpr e l’integrasi (IN) e cellulari (INI 1, BAF, HMG I-Y e Ku70/80) e traslocano nel nucleo, dove avviene l’integrazione nel genoma cellulare.

I PICs entrano nel nucleo tramite un trasporto attivo mediato dalle proteine virali che li costituiscono, la matrice, infatti, contiene un segnale di localizzazione nucleare (NLS) di tipo canonico che è riconosciuto dai componenti classici della via dell’importo nucleare, l’importina-α e l’importina-β.

Vpr e l’integrasi, invece, posseggono un NLS di tipo non-canonico che consentirebbe loro di attraversare il poro nucleare senza interagire con l’importina-β. L’integrasi all’interno dei PICs si trova associata a diverse proteine cellulari.

HMG I (Y) è stata individuata associata a IN nei PICs tramite esperimenti di purificazione con filtrazione su gel. Questa proteina a livello cellulare ha funzione di rimodellamento della cromatina e di regolazione trascrizionale (Farnet and Bushman, 1997).

Con il sistema del “doppio ibrido” in lievito è stata individuata un’altra proteina che fa parte det PICs: INI-1, l’omologo umano della proteina di lievito SNF5. Questa molecola, come le rimanenti proteine cellulari dei PICs, è in grado di stimolare l’attività dell’Integrasi in vitro (Kalpana et al., 1994) (Landau, 2002). Nei PICs è stata individuata anche la proteina BAF, il cui nome (“barrier to autointegration”) deriva dalla sua attività di inibizione del meccanismo suicida di autointegrazione del virus (Lin and Engelman, 2003).

E’ stato di recente dimostrato che anche le proteine cellulari Ku 70 e Ku 80 interagiscono con IN nei PICs; queste due molecole di norma riparano le lesioni al doppio filamento del DNA cellulare, ma hanno come substrato il cDNA virale non integrato.

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Il complesso Ku70/Ku80 favorisce la reazione di integrazione in modo simile alle rimanenti proteine cellulari dei PIC (Li et al., 2001).

Recenti ricerche hanno, inoltre, dimostrato che la proteina LEDGF è in grado anch’essa di interagire con l’integrasi; tale proteina, della famiglia delle Hepatoma-derived growth factor, è implicata nella regolazione trascrizionale in conseguenza di stress cellulare e si è ipotizzato che essa, associata al DNA, possa servire a livello del genoma cellulare come recettore per i PICs (Cherepanov et al., 2003).

Una volta nel nucleo il DNA virale viene integrato nella cromatina cellulare mediante una reazione di transesterificazione (si veda di seguito il par.1.3.6 “Meccanismo di integrazione”).

I prodotti finali di integrazione possono essere almeno quattro, ma di questi uno solo dà origine ad un provirus funzionale. In un caso le due LTR possono essere legate insieme a costituire un circolo, oppure può avvenire una ricombinazione omologa che dà origine ad un circolo con una sola LTR. Inoltre il DNA virale può integrarsi su se stesso (autointegrazione) dando origine o a un’unica struttura di DNA virale circolare contenente entrambe le LTR spaziate da un numero variabile di nucleotidi, o a due circoli distinti più piccoli contenenti ciascuno con una LTR.

Questi ultimi tre fenomeni danno origine a DNA virale extracromosomale da cui non si possono originare particelle virali infettive, anche se alcuni studi hanno dimostrato che queste forme sono in grado di trascrivere basse quantità di proteina Tat e Nef. Il virus che si integra in maniera corretta nel genoma cellulare può essere presente anche in copie multiple, anche se non tutte trascrizionalmente attive (Shoemaker et al., 1981) (Ju et al., 1982).

Una volta integrato HIV-1 utilizza le proteine cellulari per trascrivere il suo genoma; infatti le LTR sono simili ad altre unità trascrizionali eucariotiche e contengono elementi promotori cellulari come il TATA box, NF-kB, NF-AT e tre siti SP1.

La maggior parte delle sequenze cis-attivanti, che controllano sia il livello di trascrizione basale sia l’attivato, si trovano nella zona U3 delle LTR. Nonostante la presenza di diversi siti per fattori di trascrizione, il livello di espressione basale del virus integrato è molto basso e dipende principalmente dai siti per SP1.

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Esistono inoltre meccanismi specifici virali che permettono di controllare l’attività trascrizionale del promotore virale.

Durante le prime fasi della trascrizione, infatti, viene a formarsi a valle della regione U3, una struttura di RNA ad uncino detta Tat Transactivating Region (TAR), che viene utilizzato come sito di attacco per la proteina virale Tat, sintetizzata in queste fasi in bassissime quantità a causa dell’inefficiente trascrizione del DNA virale (Taube et al., 1999).

Il dominio di attivazione di Tat è in grado di interagire con il complesso trascrizionale P-TEFb formato dalle proteine ciclina T1 e CDK9. Tale interazione causa un cambiamento conformazionale di Tat, che porta ad un aumento della sua affinità per la regione TAR ed alla fosforilazione del dominio carbossiterminale delle RNA polimerasi II, questa modificazione attiva l’enzima permettendo così il completamento della sintesi delle molecole di RNA.

Legato al complesso p-TEFb è stato individuato un snRNA chiamato 7SK; questo snRNA, di cuisi ignora la funzione cellulare, inibisce l’attivazione della CDK9 e previene il reclutamento di p-TEFb sul promotore di HIV-1 determinando il blocco dell’elongazione del trascritto virale (Nguyen et al., 2001) (Yang et al., 2001).

I primi trascritti di HIV-1 che vengono sintetizzati sono i più corti, in quanto sono sottoposti a splicing ed esportati nel citoplasma seguendo lo stesso percorso usato dai trascritti cellulari. Questi primi mRNA codificano per le proteine accessorie del virus, tra cui Tat e Rev, che servono alla regolazione dei cicli successivi di trascrizione.

In seguito, nelle fasi più tardive del ciclo replicativo, vengono esportati nel citoplasma trascritti non sottoposti a splicing. Tali mRNA codificano le proteine strutturali delle nuove particelle virali e ne costituiscono anche il genoma. Il trasporto dei trascritti avviene tramite il legame con la proteina Rev che viene sintetizzata nella fase iniziale di espressione genica virale. Rev si lega ad una zona di RNA virale detta Rev Responsive Element (RRE) per poi associarsi alle proteine cellulari CRM-1 e Ran che, mediante la loro interazione con le proteine del complesso del poro nucleare, consentono l’esporto dei trascritti; una volta all’interno del citoplasma il complesso Rev/CRM-1/Ran si disassembla liberando gli mRNA ad alto peso molecolare di HIV-1 (Pomerantz et al., 1992) (Cullen,

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Oltre a Tat e Rev, HIV-1 sintetizza altre proteine regolatrici che sembrano avere un ruolo importante nella patogenesi dell’AIDS.

Tra le proteine non strutturali, Nef è in grado di modulare l’espressione di alcune proteine cellulari coinvolte nella risposta immunitaria e nel ciclo replicativo del virus. Infatti si è costatato che Nef è in grado di diminuire l’espressione di CD4 sulla membrana cellulare impedendo la super-infezione, ossia un’ulteriore infezione da parte di altre particelle virali (Lama et al., 1999).

Nef diminuisce, inoltre, l’espressione delle molecole MHC-I per evitare che i CTL riconoscano la cellula infettata, mentre aumenta l’espressione del FasL sulla superficie cellulare inducendo così l’apoptosi dei CTL via Fas-FasL; di conseguenza l’attività di Nef contribuisce all’evasione virale del sistema immunitario.

Esperimenti su animali con l’utilizzo di un clone virale deleto per Nef hanno dimostrato un decorso più lento della malattia probabilmente per effetto della minore attivazione dei linfociti T; sembrerebbe, infatti, che Nef possa intervenire anche sull’attivazione di tali cellule potenziando, così, la produzione di virus (Schwartz et al., 1996) (Xu et al., 1999) (Greene and Peterlin, 2002).

Un’altra proteina regolatrice sintetizzata dal virus, ed inclusa nel virione maturo, è Vpr. Questa proteina ha tre funzioni principali:

a) regolare la trascrizione di HIV-1 da parte delle forme non integrate del genoma virale;

b) favorire il trasporto dei PICs attraverso il poro nucleare;

c) indurre l’arresto delle cellule infettate nella fase del ciclo cellulare G2 (Heinzinger et al., 1994).

Probabilmente Vpr non stimola di per sé la trascrizione ma lo fa arrestando la cellula in G2 (Poon et al., 1998).

La terza proteina con funzioni regolatrici è Vif, il cui nome (Virus Infectivity Factor) deriva dal suo ruolo nell’induzione della produzione di virus infettivo. Vif è stato oggetto di recente di studi che hanno portato ad individuare una proteina umana (CEM-15 o APOBEC3G) che sarebbe in grado di causare un’ipermutazione del genoma virale come meccanismo limitante le infezioni. APOBEC3G, infatti, grazie alla sua attività di citidinadeaminasi è in grado di mutare il filamento negativo prodotto da HIV-1 durante la trascrizione inversa determinando così il blocco del ciclo replicativo virale. Recenti studi hanno

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dimostrato che Vif induce ubiquitinazione e degradazione proteosomale di APOBEC3G inattivando in questo modo l’attività antivirale dell’enzima (Kobayashi et al., 2005).

L’ultima proteina di regolazione sintetizzata da HIV-1 è Vpu.

Questo fattore è presente solo nel virus HIV di tipo 1 ed assente nel tipo 2 e nel SIV. Vpu è una proteina multimerica fosforilata che possiede un dominio transmembrana, ha la capacità di indurre la degradazione del CD4, in modo ubiquitina dipendente. Questa attività di Vpu permetterebbe un rilascio più efficiente delle particelle virali, in quanto si è visto che le molecole di CD4 appena sintetizzate possono legarsi ad Env, appena sintetizzato nel reticolo endoplasmatico, rendendolo non disponibile per la formazione del virione.

In supporto a tali risultati è stato dimostrato che virus mancanti di tale proteina non hanno un rilascio efficiente di virioni dalla membrana della cellula infettata (Margottin et al., 1998) (Strebel et al., 1988).

Una volta sintetizzate, le proteine strutturali e la proteina regolatrice Vpr, devono essere assemblate a formare la particella virale; tutti i componenti del virione si assemblano nelle vicinanze della membrana ed, in particolare, in zone specializzate (“lipid rafts”) che hanno la caratteristica di essere ricche di colesterolo e sfingolipidi (Zheng et al., 2001) (Guyader et al., 2002). I virus neoformati che gemmano dalla membrana della cellula ospite si trovano ancora in uno stato immaturo. La maturazione è completata ad opera della proteasi virale che idrolizza le poli-proteine dando origine ai prodotti proteici finali. Mentre Gp120 e Gp41, infatti, originano dall’attività proteolitica cellulare, le altre proteine strutturali derivano dall’attività enzimatica della proteasi virale sui precursori proteici. Da Gag-Pol tramite taglio proteolitico si originano due precursori più piccoli Gag e Pol; successivamente, per ulteriore taglio proteolitico virale, si formano, a partire da Gag, le proteine Nucleocapside (NC), Matrice (MA) e Capside (CA), mentre dal precursore Pol derivano la Trascrittasi Inversa (RT), l’Integrasi (IN) e la Proteasi (PR) stessa.

In seguito al processo proteolitico, che avviene dopo il distacco della particella virale dalla cellula madre, le proteine del pericapside assumono una diversa disposizione, il core tende ad assumere la forma caratteristica delle particelle di HIV-1 di tipo conico.

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1.3 Struttura ed attività enzimatica della proteina Integrasi di

HIV-1

L’Integrasi è la proteina che catalizza la reazione di integrazione del genoma di HIV-1 nel DNA dell’ospite; è codificata dal gene virale Pol da cui viene prodotta una poliproteina che in seguito al processamento proteolitico ad opera della Proteasi dà origine all’Integrasi, la Trascrittasi Inversa e la Proteasi.

1.3.1 Organizzazione strutturale dell’integrasi

L’Integrasi è una proteina di 288 aminoacidi. Studi di proteolisi parziale ed allineamento di sequenze hanno permesso di suddividere questa proteina in tre distinti domini:

- N-terminale - Core - C-terminale

La regione che si è vista essere resistente alla proteolisi costituisce il core o dominio catalitico della proteina, mentre le altre due regioni si degradano rapidamente e costituiscono il dominio aminoterminale ed il dominio carbossiterminale (Engelman and Craigie, 1992).

A causa della sua scarsa solubilità non è stato ancora possibile analizzare la struttura dell’integrasi tramite cristallografia o risonanza magnetica nucleare (NMR). Tuttavia è stato possibile analizzare la struttura di ogni singolo dominio separatamente permettendo così di elaborare almeno in via teorica la struttura della proteina intera. (Figura 1.2).

1.3.2 Dominio Aminoterminale

Il dominio aminoterminale è costituito da circa 50 aminoacidi; al suo interno si trova un motivo costituito da due residui di istidina e due di cisteina (HHCC) che è altamente conservato nell’Integrasi degli altri retrovirus e che spesso si trova anche in altre proteine cellulari in grado di legare il DNA.

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Il dominio HHCC è in grado di legare ioni zinco. Alcuni studi hanno dimostrato che il legame con questo ione promuove la tetramerizzazione ed aumenta l’attività enzimatica dell’integrasi (Zheng et al., 1996) (Lee et al., 1997).

Esperimenti di mutagenesi hanno dimostrato che questi residui sono necessari per il completamento dell’attività enzimatica dell’Integrasi: il processamento del 3’ del DNA ed il trasferimento dei filamenti di DNA. Inoltre mutazioni in questa zona causano una diminuzione della sintesi di Integrasi.

La struttura del dominio N-terminale è stata recentemente determinata tramite NMR, che ha permesso di individuare in questa regione quattro α-eliche, che assumono un motivo di tipo helix-turn-helix simile a molte proteine leganti il DNA (Eijkelenboom et al., 1997). Tuttavia nell’integrasi tale struttura non sembra coinvolta nel legame con il DNA in quanto la carica distribuita sul dominio sembra non adatta a favorire un’associazione con gli acidi nucleici, la regione ad elica, quindi, che nel motivo helix-turn-helix dovrebbe essere coinvolta nel legame con il DNA, è, in realtà, impegnata nella dimerizzazione dell’Integrasi.

1.3.3 Dominio catalitico

Il dominio catalitico è costituito da circa 150 aminoacidi e si estende dall’aminoacido 51 al 212 dell’integrasi.

Questa regione è altamente conservata all’interno delle integrasi dei retrovirus e presenta delle omologie con le retrotrasposasi. Ciò che accomuna queste proteine è una sequenza particolare di aminoacidi, detto motivo D,D(35)E, che è caratterizzato da tre residui acidi, di cui due acidi spartici ed un acido glutammico, separati da 35 aminoacidi (Kulkosky et al., 1992).

Esperimenti di mutagenesi hanno dimostrato che ogni singolo residuo è necessario per una corretta attività enzimatica. E’ stato proposto che questi aminoacidi siano importanti per coordinare ioni metallici divalenti , come Mg2+ e Mn2+. Infatti recenti studi hanno dimostrato che il legame con ioni divalenti è essenziale per un cambiamento conformazionale della proteina che porta alla stabilizzazione del complesso costituito da integrasi-ione-DNA e quindi all’attivazione dell’enzima.

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La struttura di questo dominio è stata ricavata mediante cristallografia, dopo la sostituzione della fenilalanina 185 in lisina per motivi di solubilità. Da tali studi è risultato che il dominio catalitico è dimerico ed ha una forma circolare, con ogni monomero costituito da cinque foglietti-β centrali e da sei α-eliche; questa struttura si ritrova anche in altre polinucleotidi transferasi, come la trasposasi Mu e l’enzima Rnasi H.

Il dominio catalitico, inoltre, è coinvolto nella reazione di processamento del 3’ del DNA, è infatti in grado di riconoscere con elevata specificità il dinucleotide CA, conservato all’interno delle LTR di tutti i retrovirus.

Infine questa regione è probabilmente coinvolta nel trasloco nel nucleo dei PIC, in quanto è stata individuata al suo interno una sequenza di localizzazione nucleare.

1.3.4 Dominio Carbossiterminale

Il carbossi-terminale dell’integrasi si estende dal residuo aminoacidico 220 al 288, l’ultimo della proteina.

Questa regione si presenta con alta variabilità; esiste, però, una sequenza altamente conservata che si estende dall’aminoacido 259 al 266. Numerosi studi hanno dimostrato che questa sequenza di aminoacidi, ed in particolare la lisina 264, sono fondamentali per il legame dell’integrasi con il DNA, soprattutto durante le prime fasi della reazione catalitica di integrazione (legame Integrasi/DNA di tipo non-specifico) (Vink et al., 1993).

Il modello corrente di funzionalità di questa regione propone che, in seguito al legame non specifico tra integrasi e DNA, avvenga un corretto orientamento del DNA all’interno del sito catalitico, questo favorirebbe la stabilizzazione del legame specifico tra la proteina ed il substrato permettendo quindi una efficiente reazione di integrazione (Esposito and Craigie, 1998).

Come nel caso dei due precedenti domini, anche il carbossiterminale può trovarsi sottoforma di dimero, la formazione del dimero avviene grazie a interazioni idrofobiche che si stabiliscono tra i residui dell’interfaccia di ciascun monomero. Questa organizzazione dimerica del carbossiterminale porta alla formazione di un solco di carica positiva che lega il DNA.

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E’ stata, inoltre, dimostrata l’esistenza di un dominio SH3 al carbossiterminale caratteristico della proteina Src e di altri fattori coinvolti nella traduzione del segnale (Eijkelenboom et al., 1995).

Come nel core, anche in questo dominio è stato individuato un segnale NLS il cui coinvolgimento nel trasporto nucleare della proteina o dei PIC rappresenta un argomento di grande interesse nel campo della ricerca virologica (Gallay et al., 1997).

1.3.5 Interazione Integrasi - DNA

L’integrasi lega le molecole di DNA in due modi diversi: nel caso del genoma virale il riconoscimento è altamente specifico e basato essenzialmente sull’interazione del Core con le estremità del cDNA del virus; al contrario il legame con il DNA della cellula ospite non coinvolge sequenze specifiche.

Un esperimento effettuato da Shibagaki ha portato a determinare il dominio coinvolto nel riconoscimento specifico tra integrasi e DNA: è stata utilizzata l’integrasi chimerica composta dal core di HIV-1 ed il carbossiterminale di FIV e viceversa; ciò ha portato a concludere che l’integrazione avviene con la specificità del Core e non del carbossiterminale (Shibagaki et al., 1997).

La specificità del legame con il DNA avviene in quanto l’integrasi è in grado di riconoscere specifiche sequenze all’estremità delle LTR: il dinucleotide CA che in seguito a retrotrascrizione si trova in posizione 3 e 4 rispetto al 3’ del DNA virale lineare viene riconosciuto e legato dall’integrasi. E’ stato dimostrato che la mutazione o la delezione di questi due nucleotidi diminuisce drasticamente l’attività dell’enzima (Bushman and Craigie, 1991) (Brown et al., 1999). Anche le sequenze più interne rispetto al dinucleotide CA hanno un ruolo importante nel riconoscimento del substrato da parte dell’integrasi: diversi studi hanno messo in evidenza che la sequenza più importante è composta da 8 nucleotidi situati nelle regioni U5 e U3. Inoltre la presenza di ioni divalenti come Mg2+ e Mn2+ pare essere importante per il meccanismo di riconoscimento del substrato da parte dell’integrasi (Ellison and Brown, 1994) (Vink et al., 1994) (Pemberton et al., 1996).

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La reazione di integrazione non è sito-specifica, infatti l’ integrasi non riconosce sequenze consensus all’interno del genoma ospite. Il legame aspecifico con il DNA avviene mediante il dominio carbossiterminale ed i residui responsabili per tale interazione si trovano all’interno di una regione che si estende dall’aminoacido 220 al 270; in particolare, attraverso esperimenti di mutagenesi, è stato individuato che il residuo 264 svolge un ruolo chiave nel legame integrasi/DNA, legandosi direttamente allo scheletro dell’acido nucleico (Vink et al., 1993) (Lutzke et al., 1994).

1.3.6 Meccanismo di integrazione

L’integrazione è un processo fondamentale nel ciclo vitale di tutti i retrovirus, infatti mutazioni che interferiscono con l’integrazione bloccano la replicazione retrovirale.

L’integrazione è fondamentale per la replicazione dei retrovirus per due motivi: - il DNA virale non è in grado di replicarsi autonomamente come episoma; deve integrarsi nel genoma della cellula ospite per usare il suo apparato di replicazione e trascrizione

- l’integrazione stabile nel genoma dell’ospite protegge il DNA del virus dalla degradazione da parte di enzimi cellulari.

L’integrazione del DNA virale a doppio filamento nel genoma cellulare è un processo molto complesso a cui prendono parte, come fattori necessari, l’integrasi e le sequenze ripetute (LTR) ai termini del DNA virale.

Le LTR sono sia il sito di legame per l’integrasi che il sito a cui si legherà il DNA cellulare; in particolare la sequenza importante per la reazione è il dinucleotide altamente conservato CA/TG che è posizionato all’estremità del DNA virale. Dopo la retrotrascrizione l’integrasi all’interno dei PIC catalizza una reazione endonucleasica a carico del dinucleotide GT, posto all’estremità 3’ del DNA virale nel citoplasma della cellula infettata. I gruppi –OH rimasti liberi al 3’ serviranno da sito di attacco del DNA virale in quello cellulare; a questo punto i PICs entrano nel nucleo dove sono in grado di interagire con il DNA della cellula ospite.

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L’integrasi, così associata al DNA virale e cellulare, è in grado di catalizzare la reazione vera e propria di integrazione che a livello chimico avviene mediante una reazione di transesterificazione. L’energia derivata dalla rottura del legame fosfodiestereo nell’acido nucleico viene utilizzata per creare il legame tra genoma cellulare e DNA virale durante la reazione di integrazione.

Dopo la formazione di tale legame viene portato a termine il legame del DNA virale con quello cellulare tramite due reazioni che hanno tuttora molti punti oscuri:

- al termine della reazione catalizzata dall’integrasi virale, il dinucleotide spaiato viene eliminato da una proteina ancora sconosciuta; si è ipotizzato che il fattore responsabile potrebbe essere la stessa integrasi o la trascrittasi inversa

- la sequenza di DNA cellulare fiancheggiante il provirus rimasta a singolo filamento viene riparata da enzimi cellulari ancora da caratterizzare.

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1.4 Le Acetiltransferasi

1.4.1 Modificazione acetilasica delle proteine

L’acetilazione è una modifica post-traduzionale che consiste nel trasferimento di un gruppo acetile dell’AcetilCoA al gruppo ε-amminico delle lisine della proteina substrato; tale modificazione viene utilizzata dalla cellula per controllare diversi eventi biologici tra i quali la conformazione della cromatina.

Negli eucarioti il DNA è impaccato intorno ad un ottametro di istoni: H2A, H2B, H3 e H4 formando così una struttura - detta nucleosoma - che è il primo livello di organizzazione del genoma; il DNA va successivamente ad organizzarsi in sovrastrutture di complessità crescente fino alla formazione dei singoli cromosomi durante la metafase.

Tale impaccamento attorno ai nucleosomi produce un effetto negativo sulla trascrizione, in quanto rende inaccessibile il DNA ai complessi multiproteici che regolano la trascrizione (Grunstein, 1990).

Esistono diverse classi di enzimi che modificano lo stato della cromatina mediante meccanismi differenti: ci sono proteine che rimodellano il DNA in modo ATP-dipendente e fattori che alterano questa struttura modificando covalentemente gli istoni mediante reazioni di fosforilazione, metilazione e ubiquitinazione.

Una delle modificazioni individuate è l’acetilazione.

Il trasferimento di gruppi acetile sui residui di lisina degli istoni sembra neutralizzarne parte della carica positiva e rendere, in tal modo, il legame elettrostatico tra DNA e istoni più debole; la cromatina, quindi, cambia la sua struttura che diviene più rilassata e accessibile ai fattori di trascrizione. L’acetilazione degli istoni, infatti, è rilevabile soprattutto nelle zone della cromatina che sono trascrizionalmente attive (Hong et al., 1993) (Steger and Workman, 1996).

L’acetilazione è un processo reversibile, le Histon Deacetylases (HDACs), infatti, sono una classe di proteine in grado di rompere il legame tra gruppo acetile e residuo ε-amminico della lisina.

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Mentre le HAT sono coinvolte nel meccanismo di attivazione della trascrizione le HDACs hanno un ruolo essenzialmente negativo su tale processo, non solo per la specifica attività enzimatica, ma anche per la capacità di legare proteine note per la loro funzione di repressori trascrizionali.

Le HAT sono strettamente coinvolte nella regolazione dell’espressione genica non solo tramite la regolazione della struttura della cromatina, ma anche in quanto modificano le proteine associate alla regolazione trascrizionale. Infatti le HAT non solo sono attive sugli istoni ma sono anche in grado di agire direttamente su fattori di trascrizione e altre proteine coinvolte nella trascrizione sia come attivatori diretti sia come fattori regolanti l’architettura della cromatina (vedi paragrafo 1.4.3).

1.4.2 Le Acetiltrasferasi

Le acetiltrasferasi possono essere raggruppate in due classi che dipendono dalla localizzazione cellulare e dalla funzione enzimatica.

Le HAT di classe A catalizzano le reazioni di acetilazione a livello nucleare e sono principalmente coinvolte nella regolazione trascrizionale.

Le HAT di classe B, invece, sono localizzate nel citoplasma e regolano l’acetilazione degli istoni neo-sintetizzati per il controllo del loro trasporto nucleare.

1.4.3 p300/CBP

p300 e la sua omologa CREB binding protein (CBP) sono proteine nucleari che coordinano e regolano l’apparato trascrizionale della cellula. Queste proteine controllano lo stato trascrizionale principalmente in due modi:

- formano complessi proteici che agiscono da ponti tra gli elementi trascrizionali dei promotori, i fattori di trascrizione e le proteine con funzione transattivante; - tramite l’attività di acetiltrasferasi a carico degli istoni, questi enzimi determinano la modificazione di forze elettrostatiche tra DNA ed istoni, rendendo

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La capacità di p300 di regolare l’attività trascrizionale della cellula fa sì che essa sia coinvolta in molteplici processi cellulari, tra cui la proliferazione, la riparazione del DNA e l’apoptosi.

p300 è stata individuata inizialmente grazie alla sua capacità di legare la proteina dell’adenovirus E1A, mentre CBP è stata scoperta grazie al suo legame con la cAmp Responsive Element Binding Protein (CREB) (Chrivia et al., 1993) (Eckner et al., 1994).

Fin dalle prime ricerche è stato chiaro il ruolo di entrambe queste proteine quali coattivatori della trascrizione, a cui è seguita l’identificazione della loro attività acetiltrasferasica.

p300/CBP sono proteine molto conservate tra gli esseri viventi e condividono tra loro una omologia molto elevata, soprattutto in alcuni domini come il bromodomain ed i tre domini ricchi in cisteine e istidine, denominati CH1, CH2 e CH3, che costituiscono il dominio acetilasico. Queste tre regioni sono composte da quattro motivi zinc finger, che sono TAZ1 nel CH1, PHD nel CH2 e ZZ insieme a TAZ2 nel CH3.

All’N-terminale esiste un dominio detto Nuclear Receptor Interacting Domain (RID) che interagisce con gli attivatori dei recettori nucleari; sono presenti due segnali di localizzazione nucleare: uno nel dominio ricco in glutamina e prolina, e l’altro al centro della proteina.

Analisi biochimiche hanno consentito di associare funzioni distinte ai singoli domini (Figura 1.4):

- la regione CH3 recluta il complesso della RNA polimerasi II, P/CAF e TFIIB; - il bromodomain sembra fondamentale per il legame con la cromatina;

- il dominio acetilasico catalizza la reazione di acetilazione ed il C-terminale lega SRC/p160.

Questa organizzazione a moduli permette a p300 di fungere da impalcatura per la formazione di differenti complessi di inizio trascrizionale (Kraus et al., 1999). p300/CBP, a differenza delle HAT finora individuate, sono in grado di acetilare tutti e quattro gli istoni e sono a loro volta regolate a livello post-traduzionale. E’ stato osservato che p300/CBP vengono fosforilate e che tali modificazioni avvengono in dipendenza delle fasi del ciclo cellulare: durante la mitosi p300/CBP viene iperfosforilata dalle chinasi cicline-dipendenti. La funzione di questa modificazione post-traduzionale è ancora da chiarire, anche se recenti

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ricerche in merito suggeriscono che la fosforilazione da parte della ciclina E-cdk2 aumenti l’attività acetiltrasferasica, che ha il suo picco nella transizione dalla fase G1 a S (Ait-Si-Ali et al., 1998) (Ait-Si-Ali et al., 2000).

1.4.4 p300 e le proteine non istoniche

p300 è una delle acetiltrasferasi con la maggior varietà di substrati; questa proteina non solo modifica, come precedentemente detto, tutti e quattro gli istoni, ma è anche responsabile dell’acetilazione di diversi altri fattori cellulari.

Tra le prime proteine identificate come substrato non istonico di p300 è p53. Questa proteina costituisce un nodo fondamentale in cui convergono molte vie di trasduzione del segnale, attivate sia da eventi normali della vita della cellula, che da stimoli oncogenetici.

p53 risponde ai danni citotossici a cui può andare incontro una cellula arrestando il ciclo cellulare, inducendo la senescenza, il differenziamento o il meccanismo di apoptosi. L’attività di questa proteina è finemente regolata da modificazioni post-traduzionali che provocano la sua stabilizzazione, la sua attivazione o degradazione (Brooks and Gu, 2003).

p300/CBP è un co-attivatore di p53, che potenzia la sua attività di fattore di trascrizione e le sue funzioni biologiche in vivo. L’acetilazione di cinque residui di lisine nel dominio carbossi-terminale di p53 causa l’aumento della sua affinità per il DNA e la sua stabilizzazione; infatti è stato dimostrato che i livelli di p53 sono più elevati in cellule sottoposte a stress in seguito a stabilizzazione della sua forma acetilata (Ito et al., 2001).

Inoltre l’attività di p53 viene aumentata dall’acetilazione in quanto viene modificato il dominio carbossiterminale che normalmente svolge un’attività inibitoria sulla funzionalità della proteina (Gu and Roeder, 1997).

Ulteriori esperimenti hanno dimostrato che l’acetilazione, oltre ad un effetto diretto sulla funzionalità della proteina, potenzia l’induzione di geni p53-dipendenti tramite un aumento di efficienza nel reclutamento di attivatori della trascrizione sullo stesso promotore su cui è attivo p53 (Barlev et al., 2001).

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C-Myb, GATA-1, EKLF, E2F-1 e MyoD sono altre proteine coinvolte nella crescita e nel differenziamento cellulare, la cui attività di regolatori trascrizionali viene modulata dall’acetilazione.

In maniera simile a p53, l’affinità di c-Myb e E2F-1 per il DNA aumenta in seguito ad acetilazione, mentre è ancora in discussione l’effetto di tale modificazione su GATA-1 (Marzio et al., 2000).

MyoD è un fattore coinvolto nel differenziamento delle cellule muscolari il quale, benché leghi p300, viene in realtà acetilato da un’altra acetitrasferasi associata a p300/CBP, e cioè PCAF (Puri et al., 1997).

p300 acetila anche i fattori di trascrizione che fanno parte del complesso dell’RNA polimerasi II, come TFIIE e TFIIF. Studi recenti hanno messo in evidenza che il fattore di trascrizione TFIIB lega p300 al carbossiterminale e che oltre ad essere un substrato per l’acetilazione ha un’attività autoacetilante, in quanto lega l’AcetilCoA modificando la lisina 238 (Choi et al., 2003).

Tre importanti co-attivatori di recettori nucleari, noti come SRC-1, ACTR e TIF 2, vengono acetitati da p300.

SRC-1 è un co-attivatore che è in grado di stimolare in modo dipendente il recettore del progesterone (PR), il recettore per gli estrogeni (ER) il recettore per i glucocorticoidi (GR), il recettore per gli ormoni tiroidei (TR) e quello per i retinoidi (RXR). Anche ACTR interagisce con numerosi recettori ormonali nucleari ed ha capacità transattivante, tale attività viene inibita in seguito ad acetilazione della proteina.

SRC-1 e ACTR sono delle acetiltransferasi in grado di acetilare gli istoni H3 e H4, mentre non si hanno ancora dati certi su TIF2 (Sterner and Berger, 2000). p300 acetila anche fattori che regolano la struttura della cromatina, come le proteine appartenenti alla famiglia delle High-Mobility-Group (HMG): HMG1, HMG14 e HMGI(Y). Quest’ultima, oltre a partecipare all’architettura della cromatina, è coinvolta nella regolazione trascrizionale del gene dell’interferone-β. In seguito ad infezione virale HMGI(Y) lega l’enhancer del gene dell’interferone-β, alterandone la struttura e permettendo l’attacco dei fattori di trascrizione. All’interno del complesso trascrizionale HMGI(Y) viene acetilato determinando una regolazione sia positiva che negativa della proteina (Munshi et al., 1998).

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1.4.5 p300 e le proteine virali

E’ noto che p300 interagisce anche con diverse proteine virali; l’esempio più conosciuto è quello della proteina di Adenovirus, che ha consentito di individuare questa acetiltrasferasi.

Si ritiene che questo legame sia coinvolto nel meccanismo di immortalizzazione delle cellule; infatti la proteina E1A del tipo virale 12, che è tumorigenica, lega p300 in modo diverso rispetto alla proteina E1A appartenente al tipo 2/5 che non è un virus oncogenico.

Il legame diretto della proteina virale con il dominio acetilasico o il terzo dominio zinc-finger blocca l’attività acetiltransferasica di p300 e quindi la sua funzione di coattivatore trascrizionale.

Inoltre p300 verrebbe inattivata da E1A mediante competizione del sito di legame usato per complessare il fattore di trascrizione TFIIB. Poiché la sovraespressione di p300 blocca la trasformazione cellulare indotta da E1A, si ipotizza che l’acetilasi abbia un ruolo di protezione dell’attività tumorigenica virale (Lipinski et al., 1999).

Un altro esempio riportato in letteratura è quello della proteina Tax del retrovirus umano HTLV-1 che serve a regolare l’espressione virale. Tax è in grado di attivare la trascrizione di HTLV-1 tramite l’induzione di un dimero Tax/CREB il quale a sua volta recluta p300 a livello del promotore.

La regione di p300 coinvolta nel legame è la stessa utilizzata da numerosi altri fattori di trascrizione, tra cui c-jun, c-myb e p73 (Hottiger and Nabel, 2000). Recentemente è stato osservato che anche la proteina del virus HIV-1 Tat interagisce con p300. Tat viene acetilata sia da PCAF che da p300 in due lisine distinte: p300 acetila la lisina 50 nel dominio di legame al TAR, mentre PCAF acetila la lisina 28 nel dominio di attivazione.

L’acetilazione da parte di p300 promuove la dissociazione di Tat dal TAR durante la prima fase dell’allungamento del trascritto, mentre la modificazione sostenuta da PCAF aumenta la capacità di Tat di legare la CDK9.

Questa scoperta suggerisce che l’acetilazione di Tat da parte di p300 sia un momento fondamentale nella regolazione della trascrizione dei geni virali (Kiernan et al., 1999).

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1.5 Baculovirus: vettori di espressione proteica in cellule di insetto

1.5.1 Caratteristiche dei Baculovirus

I baculovirus sono attualmente la più importante classe di virus in grado di infettare cellule di insetto. I baculovirus sono costituiti da un capside contenente una molecola supercoiled di DNA circolare a doppio filamento. Sono stati isolati più di 500 tipi diversi di baculovirus la maggior parte dei quali derivano da artropodi e in particolar modo da insetti dell’ordine dei Lepidoptera.

I baculovirus presentano un ciclo replicativo costituito da tre fasi:

Fase Precoce: in questa fase il virus prepara la cellula infettata alla replicazione del DNA virale. I passaggi fondamentali in questa fase del ciclo replicativo virale sono: attacco del virus alla membrana della cellula infettata, penetrazione, disassemblamento virale, espressione dei geni virali precoci e spegnimento dei geni della cellula ospite. La sintesi virale inizia tra 0.5 e 6 ore dopo l’infezione. Fase Tardiva: in questa fase vengono espressi i geni tardivi necessari per la replicazione del DNA virale e per l’assemblamento del virus. Tra le 6 e le 12 ore dopo l’infezione la cellula comincia a produrre nuovi virioni, questi presentano un envelope costituito dalla membrana della cellula ospite e la glicoproteina (gp)64 necessaria per l’ingresso del virus nella cellula tramite endocitosi. Il picco di rilascio del virus avviene tra le 18 e le 36 ore dopo l’infezione.

Fase finale: in questa ultima fase vengono espressi il gene p10 (che codifica per una proteina importante per l’assemblamento delle particelle virali) e il gene della poliedrina che costituisce la matrice cristallina poliedrica più esterna che circonda i nuovi virioni. Tra le 24 e le 96 ore dopo l’infezione i virioni completi di matrice poliedrica gemmano dalla cellula ospite che va così incontro a lisi cellulare.

1.5.2 Baculovirus come vettori di espressione e produzione proteica in cellule di insetto

I baculovirus sono stati largamente usati per la produzione di numerose proteine ricombinanti in cellule di insetto. A tale scopo vengono prodotti baculovirus ricombinanti che si ottengono sostituendo all’interno del genoma di un

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baculovirus wild-type il gene della poliedrina con il gene ricombinante di interesse o con il suo cDNA. Il gene di interesse viene posto sotto il controllo trascrizionale del forte promotore della poliedrina AcNPV. In questo modo, nella fase più tardiva del ciclo replicativo virale, verrà espresso il gene di interesse al posto di quello della poliedrina. I virioni che gemmeranno dalla cellula infettata risulteranno del tutto normali e funzionali ma non presenteranno la matrice esterna poliedrica. La proteina ricombinante prodotta dal baculovirus dopo l’infezione verrà poi processata, modificata ed indirizzata verso la appropriata localizzazione cellulare.

1.5.3 Vantaggi del BEVS

La produzione di proteine ricombinanti mediante l’utilizzo dei baculovirus presenta notevoli vantaggi rispetto agli altri sistemi di espressione proteica: Sicurezza: 1. I baculovirus sono generalmente non patogeni per mammiferi e piante, presentano un ristretto range infettivo spesso limitato a determinate specie di invertebrati e soprattutto insetti. 2. Le cellule di insetto non vengono trasformate da virus patogeni o infettivi e quindi possono essere mantenute con minime condizioni di sicurezza. 3. Non sono necessarie linee cellulari helper o virus helper in quanto il genoma del baculovirus contiene tutte le informazioni necessarie per la sua replicazione.

Alti livelli di espressione del gene ricombinante: in molti casi la proteina ricombinante è solubile e può essere facilmente recuperata dalle cellule infettate nelle fasi più tardive dell’infezione quando i livelli di espressione della cellula ospite risultano diminuiti.

Accuratezza: i baculovirus possono essere propagati in cellule di insetto all’interno delle quali la proteina ricombinante subisce modificazioni post-traduzionali del tutto simili a quelle che avvengono nelle cellule dei mammiferi. Capacità di espressione di grandi inserti: la dimensione (130 kb) e la flessibilità del genoma permettono l’espressione di prodotti proteici di grandi dimensioni.

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1.5.4 Applicazioni

a)Esempi di proteine ricombinanti

Il BEVS è considerato attualmente uno dei più potenti e versatili vettori eucariotici per l’espressione di proteine ricombinanti. A partire dal 1985, quando la prima proteina (IL-2) è stata prodotta utilizzando un baculovirus ricombinante, l’utilizzo del BEVS è aumentato drasticamente fino a diventare oggi uno dei sistemi più accurati e vantaggiosi per la produzione di proteine ricombinanti. Attualmente con la tecnologia del baculovirus si possono produrre migliaia di proteine ricombinanti. In particolare il sistema basato sul baculovirus è stato utilizzato con successo nella produzione di:

- Molecole di membrana, transmembrana, canali, recettori; le grandi quantità di proteina prodotte con il BEVS hanno permesso di sviluppare con successo numerosi studi strutturali di interazione proteina-proteina e proteina-ligando, alcuni esempi sono i recettori associati a proteine G e proteine G stesse (ad esempio Rab38(Osanai et al., 2005)), pompa Na-K (Blanco et al., 1997), pompa calcio(Guerini et al., 2003), recettore delle secretine (Asmann et al., 2004), recettore dei cannabinoidi CB2 (Filppula et al., 2004), recettore dell’angiopoietina-1(Weber et al., 2005), recettori beta-adrenergici (Strosberg and Guillaume, 2000), recettori degli androgeni (Janne et al., 1993), recettore degli estrogeni(Clay et al., 2003) , recettore della lactoferrina (Suzuki and Lonnerdal, 2004), etc..

- Interleuchine ricombinanti (IL-2 (Smith et al., 1985), IL-3(Ding et al., 2003) , IL-4 (Nuntaprasert et al., 2005b), IL-6 (Nuntaprasert et al., 2005a), IL-18 (Wu et al., 2004), IL-21(Muneta et al., 2004) ), interferone alfa (Ruttanapumma et al., 2005), interferone gamma (Wu et al., 2002)e interferone tau (Nagaya et al., 2004).

- Molecole enzimatiche e molecole di segnale intercellulare e intracellulare; la forte attività catalitica delle proteine prodotte con il BEVS ha permesso di sviluppare con successo studi di caratterizzazione funzionale, alcuni esempi sono la cisteinproteasi papaina (Bromme et al., 2004), inibitori delle serinproteinasi (Jayakumar et al., 2004), la piruvatocarbossilasi umana (Petchampai et al., 2004), la aminopeptidasi B (Cadel et al., 2004), la

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metiltransferasi G9a (Patnaik et al., 2004), la fosfoproteina ribosomale umana P0 (Abo et al., 2004), la tirosina chinasi RET (Mologni et al., 2005), etc..

b) VLP (Virus-like particles)

La tecnologia del baculovirus è stata utilizzata anche per la produzione di Virus-Like Particles (VLP). Tali particelle differiscono dal virus originale in quanto costituite solo dalle particelle strutturali ma mancanti del genoma virale e quindi non in grado di completare il ciclo replicativo. Il vantaggio di utilizzare il baculovirus per la produzione di VLP deriva dalle grandi dimensioni del suo genoma, è possibile infatti esprimere tutte le proteine strutturali di un virus utilizzando un unico baculovirus ricombinante. Una volta espresse in cellule di insetto, le proteine strutturali virali vanno incontro ad autoassemblamento formando così la VLP. Con questa tecnica si può quindi studiare il processo di assemblamento della particella virale in assenza di infezione. Le VLP così prodotte, inoltre, possono essere utilizzate anche come agenti immunizzanti in quanto, essendo dotate di tutti gli epitopi propri dei virus, sono in grado di scatenare una risposta immunitaria. Particolarmente interessante è lo studio di VLP di HIV-1 come possibile vaccino per l’AIDS (Doan et al., 2005). Attualmente con il BEVS sono state prodotte VLP di differenti virus come HIV-1 (Luo et al., 1992), herpes simplex virus (Tatman et al., 1994), human papilloma virus (Volpers et al., 1994), polyomavirus (Gillock et al., 1997), parvovirus (Kajigaya et al., 1991), virus dell’epatite C (Xiang et al., 2002) e enterovirus 71 (Hu et al., 2003). Molto recentemente è stata anche prodotta la VLP del SARS coronavirus (Ho et al., 2004a) (Mortola and Roy, 2004). Recenti studi hanno inoltre dimostrato la capacità delle VLP di funzionare da vettori per il trasferimento genico (Touze et al., 2001) (Tegerstedt et al., 2003). VLP di poliomavirus, infatti, sono in grado di legare DNA esogeno e mediare il trasferimento di questo all’interno di cellule COS-7 mediante interazione con i residui di acido sialico presenti sulla superficie cellulare (Touze et al., 2001). Questi studi dimostrano che le VLP sono anche promettenti veicoli per il trasferimento genico.

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c) Vettori virali

Grazie alle grandi dimensioni del genoma i baculovirus ricombinanti sono stati utilizzati anche per la produzione di vettori virali utili per trasferimento genico e terapia genica. Tutti i geni essenziali per la replicazione e per il packaging dei vettori adenovirali (38 kb), ad esempio, possono essere espressi da un unico baculovirus. Questo baculovirus transfettato con un vettore plasmidico contenente le sequenze terminali invertite (ITR), la sequenza segnale di packaging e il gene reporter, determina la produzione di vettori adenovirali senza bisogno del virus helper (Cheshenko et al., 2001). Questa tecnica è stata utilizzata anche per la produzione di vettori virali adeno-associati (AAV) il cui impiego attualmente è limitato a causa della mancanza di un sistema di produzione semplice ed efficiente. Cellule di insetto vengono coinfettate con tre baculovirus ricombinanti, uno esprime le proteine necessarie per la replicazione del virus adeno-associato, il secondo esprime le proteine strutturali del virus e il terzo il gene reporter fiancheggiato dalle sequenze ITR (Sollerbrant et al., 2001) (Urabe et al., 2002). Nel genoma delle Sf9 sono state ritrovate un numero di particelle AAV pari a 5 x 104 e questo dimostra che questo sistema può produrre grandi quantità di vettori adeno-associati.

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2. Materiali e Metodi

2.1 Metodi di biologia Molecolare

2.1.1 Costruzione del plasmide ricombinante pFASTBac codificante per p300

Il DNA codificante per p300 è stato ottenuto mediante la metodica della PCR.

La reazione di PCR è stata effettuata in un volume di 50 µl utilizzando: DNA stampo 10 ng Tampone 5 µl dNTPs 1 µl Primer 100 ng/µl Pfu 2 µl Acqua

La reazione viene fatta procedere per 25 cicli, ogni ciclo è costituito da: 94º per 30 secondi denaturazione 50º per 1 minuto appaiamento 72º per 2 minuti estensione

Il primer utilizzato per il 5’ del DNA è:

5’-3’: CCGCTCGAGGCCGAGAATGTGGTGGAA

Il primer utilizzato per il 3’ del DNA è:

5’-3’: CCCAAGCTTCTACTAGTGTATGTCTAGTGTACT

Il DNA ottenuto è stato tagliato con XhoI e HindIII e clonato nel vettore pFASTBac.

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Tutte le reazioni di restrizione, sia preparative che di controllo, sono state eseguite seguendo le indicazioni della casa produttrice degli enzimi usati.

La miscela è costituita da:

DNA in quantità variabili (in caso di tagli di controllo sono sufficienti 600 ng, in caso di reazioni preparative sono necessari alcuni mg).

Enzima di restrizione 1 unità per 100 ng di DNA Tampone specifico dell’enzima

BSA 1% dove necessario

Acqua per portare al volume desiderato.

L’enzima e il suo tampone non devono superare 1% del volume totale della reazione in quanto il glicerolo presente può ostacolare la reazione. Le miscele vengono incubate alla temperatura indicata dalla casa produttrice dell’enzima per almeno 1 ora.

Il DNA digerito è quindi controllato su gel di agarosio ad una percentuale adatta al tipo di risoluzione che si vuole ottenere secondo i classici protocolli riportati in Sambroock 1989.

2.1.3 Ligazioni

I frammenti prodotti tramite PCR o tramite i tagli enzimatici vengono clonati dentro il plasmide linearizzato mediante digestione enzimatica usando l’enzima T4 ligasi (Promega) che ha la capacità di creare un legame fosfodiestereo tra le estremità 5’ e 3’ di due frammenti di DNA duplex sia se le estremità sono tronche sia se sono adesive.

Tipicamente la miscela è costituita da una quantità totale di DNA di 400 ng, con un rapporto molare tra vettore e inserto di 1:5.

Si usa 1U di enzima per 100 ng di DNA, il tampone specifico e acqua per raggiungere il volume desiderato.

Le ligazioni sono state eseguite lasciando la miscela o.n. a 16º C.

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La trasformazione è stata effettuata con cloni di E.coli di tipo DH10Bac resi competenti con il metodo FSB/DMSO (Hanahan).

Vengono trasformati 100 µl di batteri competenti con 10 ng del prodotto di legazione tramite il metodo del Heat-Shock: i batteri e le ligazione vengono incubati in ghiaccio per 30 minuti poi vengono messi in un bagnetto a 45º C per 45 secondi e poi di nuovo in ghiaccio per 2 minuti. Alla miscela di batteri vengono aggiunti 0.9 ml di terreno SOC ( tryptone 20 gr/l, estratto di lievito 5 gr/l, NaCl 5 mM, KCl 2.5 mM), vengono quindi incubate 4 ore a 37º C in leggera agitazione (max 225 rpm) in modo tale da permettere ai batteri trasformati di esprimere il gene per la resistenza all’antibiotico presente nel plasmide.

I batteri trasformati vengono piastrati su piastre di agarosio LB contenenti kanamicina, gentamicina, tetraciclina, IPTG e BluoGal e incubati a 37° C per 2 giorni in modo da dare tempo alla colorazione blu delle colonie contenenti il bacmide non ricombinante di svilupparsi. Dopo due giorni di incubazione vengono selezionate alcune colonie di colore bianco (contenenti il bacmide ricombinante) e per ciascuna colonia viene fatto uno “streaking” su una nuova piastra. Lo scopo di questa operazione è accertarsi che le colonie bianche selezionate siano effettivamente tali. Come controllo negativo viene sottoposta a “streaking” anche una colonia di colore blu.

Una volta effettuato il controllo dalla piastra vengono prelevate per controllo alcune colonie con un’ansa sterile e fatte crescere o.n. a 16° C in 3 ml di brodo di Luria.

Il DNA bacmidico viene quindi estratto seguendo il protocollo del Kit Miniprep Promega e viene usato come stampo in una reazione di PCR fatta per controllare che l’evento di trasposizione sia avvenuto correttamente.

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Il DNA bacmidico estratto viene usato come stampo in una reazione di PCR che utilizza due primer NFB ( New Forward Bacmid) e NRB ( New Reverse Bacmid) complementari a sequenze del bacmide che fiancheggiano l’inserto (in questo caso p300). Le reazioni di PCR vengono eseguite utilizzando il primer NFB insieme a un primer che riconosce la terminazione 3’ di p300 e un primer che riconosce la terminazione 5’ di p300 con il primer NRB. Le dimensioni del prodotto di amplificazione riveleranno se la trasposizione è avvenuta correttamente senza che sia avvenuta alcuna delezione all’interno del frammento di interesse.

Le reazioni di PCR sono state effettuate in un volume di 50 µl contenente:

DNA stampo (pFastBac-p300) 10 ng Mg2+ 25 mM 4 µl dNTPs 1 µl Primer 100 ng/µl Taq Polymerase 0.5 µl Acqua

La reazione viene fatta procedere per 40 cicli, ogni ciclo è costituito da: 94° C per 45 secondi denaturazione 65° C per 30 secondi appaiamento 72° C per 7 minuti estensione

Il primer NFB è: 5’-3’: GTTTTCCCAGTCACGAC Il primer NRB è: 5’-3’: CAGGAAACAGCTATGAC Il primer p300 forward è: 5’-3’: CCGCTCGAGGCCGAGAATGTGGTGGAA Il primer p300 reverse è: 5’-3’: CCCAAGCTTCTACTAGTGTATGTCTAGTGTACT

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Il prodotto di amplificazione viene controllato su gel di agarosio per verificare che corrisponda alle dimensioni previste. Se la trasposizione è avvenuta correttamente la colonia contenente il bacmide ricombinante viene fatta crescere in 5 ml di LB contenente tetraclina, gentamicina e kanamicina e fatta crescere o.n. a 37° C. Il giorno seguente si può così estrarre il DNA bacmidico ricombinante.

2.1.6 Estrazione del DNA bacmidico ricombinante

Il DNA bacmidico ricombinante viene estratto mediante “Marlingen High Purity Plasmid Purification System”, questo sistema utilizza una resina a scambio anionico per purificare il DNA plasmidico.

La colonia fatta crescere o.n. viene pellettata centrifugando a 8000 rpm per cinque minuti.

Il pellet di cellule viene risospeso in 0.4 ml di Cell Suspension Buffer ( 50 mM Tris-HCl pH=8, 10 mM EDTA, RNase 0.2 mg/ml), le cellule vengono lisate aggiungendo 0.4 ml di Cell Lysis Solution (200 mM NaOH, 1% SDS).

Il lisato cellulare viene poi caricato in una colonna di purificazione precedentemente impaccata, qui i fosfati carichi negativamente del DNA reagiscono con le cariche positive poste sulla superficie della resina.

Temperatura, concentrazione salina e pH della soluzione influenzano il legame con la resina. In condizioni di bassa salinità il DNA plasmidico rimane legato alla resina mentre RNA, proteine, carboidrati ed altre impurità vengono eliminati. La colonna viene quindi lavata due volte con 2.5 ml di Wash Buffer (800 mM NaCl, 100 mM Sodium acetate pH=5.0) in modo da lasciare solo il DNA plasmidico legato alla resina. Il DNA bacmidico viene eluito in condizioni di elevata salinità aggiungendo 0.9 ml di Elution Buffer (1.25 M NaCl, 100 mM Tris-HCl pH=8.5).

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Il pellet plasmidico viene quindi lavato con 1 ml di etanolo al 70% e fatto precipitare centrifugando per 5 minuti.

Si lascia, quindi, dissolvere il pellet di DNA in 40 µl di buffer TE (10 mM Tris-HCl pH=8, 0.1 mM EDTA).

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2.2 Metodi biochimici

2.2.1 Western Blotting

Le proteine vengono separate su un gel di poliacrilamide e vengono poi trasferite su una membrana di nitrocellulosa (Sheleicher & Shuell, OPTITRAN BA s83 reinforced NC Dassel Germany) usando l’apposito apparato immerso in tampone di trasferimento (2.9 gr glicina, 5.8 gr tris, 0.37 gr SDS in 800 ml di acqua a cui vengono aggiunti 200 ml di metanolo).

All’apparato viene fornita una corrente di 350 mAmp per 1 ora e 30 minuti che permette alle proteine, cariche negativamente, di migrare dal gel alla nitrocellulosa posta sull’anodo.

La membrana viene incubata in una soluzione di PBS 1x, tween 20 0.1% e latte in polvere per saturare i siti aspecifici.

La membrana viene quindi incubata per tutta la notte a 4° C in leggera agitazione con la soluzione precedente e l’anticorpo primario in diluizione 1:1000.

Dopo l’incubazione con il primario vengono fatti tre lavaggi da 10 minuti in PBS e tween 20 0.1% per eliminare i legami aspecifici dell’anticorpo primario; terminati i lavaggi la membrana viene incubata con il corretto anticorpo secondario coniugato con l’enzima HRP (horse radish peroxidase) ad una diluizione di 1:2000 per 1 ora a temperatura ambiente.

La membrana viene quindi lavata tre volte in PBS e tween per eliminare i legami aspecifici dell’anticorpo.

La presenza della proteina di interesse viene rilevata usando il kit ECL (Amersham Pharmacia) che contiene idrazine ciclica (luminolo), questa molecola viene convertita dalla perossidasi in un composto luminescente in presenza di acqua ossigenata.

La luminescenza viene rilevata su lastra radiografica.

(33)

Le proteine ricombinanti ( integrasi wild type e mutata, istoni e BSA) vengono incubate con la proteina ricombinante p300 in presenza di HAT buffer (Tris-HCl 50 mM pH=7.4, glicerolo 5%, EDTA 0.1 mM pH=8, KCL 50 mM), sodio butirrato come inibitore delle deacetilasi e AcetilCoA C come donatore di gruppi acetile.

La reazione viene lasciata in agitazione a 1400 rpm per 45 minuti a 30°C.

I campioni vengono, quindi, separati su un gel di poliacrilamide secondo la metodica del SDS PAGE, il gel viene quindi colorato con una soluzione di blu di coomassie allo 0.1% e decolorata con una soluzione 30% metanolo e 10% acido acetico.

Dopo la decolorazione il gel viene fatto seccare e la radioattività viene rilevata tramite Cyclone.

2.2.3 Trascrizione e traduzione in vitro

Per eseguire il saggio di trascrizione e traduzione in vitro abbiamo utilizzato il Kit TNT T7/SP6 Coupled Reticulocyte Lysate System (Promega).

La miscela viene preparata come descritto nel protocollo fornito dalla ditta produttrice. Acqua 16 µl DNA stampo (0.5-1 mgr) 2 µl TNT reaction buffer 2 µl RNAsi inibitore 1 µl TNT lisato di reticolociti 25 µl 1 mM Aa mix-metionina 2 µl 1000 Cu/mM S35 Met 1 µl TNT RNA polimerasi 1 µl Volume totale 50 µl

(34)

I reagenti vengono incubati in agitazione a 30 °C per 1 ora e 30 minuti per permettere la trascrizione del cDNA e la traduzione del messaggero in proteine. Terminato il tempo di incubazione 1 µl del campione viene caricato su un gel di poliacrilammide alla percentuale adatta (10% per l’integrasi) e viene separato mediante metodica del SDS-PAGE (Sambrook 1989).

La radioattività viene quantificata usando il Ciclone.

2.2.4 Saggio di binding in vitro

p300 ricombinante e l’integrasi (o i deleti dell’integrasi) marcata radioattivamente vengono incubati a 30 °C per 2 ore in presenza di HAT buffer (Tris-HCl 50 mM pH=7.4, glicerolo 5%, EDTA 0.1 mM pH=8, KCl 50 mM) in agitazione a 1400 rpm.

Al termine dell’incubazione le proteine vengono fatte reagire con la resina di agarosio e i campioni vengono portati a un volume di 500 µl aggiungendo NHEN buffer.

L’incubazione con la resina procede over night su ruota a 4 °C.

Il giorno seguente vengono effettuati diversi lavaggi per eliminare i legami aspecifici.

Il primo lavaggio viene fatto utilizzando 1 ml di NHEN contenente NaCl 600 mM e lasciando i campioni in agitazione per 10 minuti a 4 °C. A questo primo lavaggio seguono altri tre lavaggi con NHEN contenente imidazolo 10 mM, anche in questo caso i campioni vengono lasciati in agitazione per 10 minuti a 4 °C.

Al termine dei lavaggi i campioni vengono risospesi in 15 µl di tampone adatto a cui si aggiungono 6 µl di SDS-PAGE buffer. I campioni vengono bolliti per 10 minuti a 100 °C in modo da staccare le proteine legate alla resina. Le proteine vengono quindi raccolte e separate tramite SDS-PAGE su gel di poliacrilammide al 10%.

Il gel viene colorato con una soluzione di blu di coomassie 0.1% e decolorato con una soluzione 30% metanolo e 10% acido acetico.

(35)

Il gel viene fatto seccare e quindi esposto al Cyclone per avere una quantificazione della radioattività presente sul gel, questo ci permette di determinare la quantità di integrasi legata alla resina presente nei diversi campioni del saggio.

2.2.5 Saggio di strand transfer

Il saggio di strand transfer viene eseguito utilizzando degli oligonucleotidi già processati alla terminazione 3’ e marcati con 32P alla terminazione 5’. Questi oligonucleotidi verranno utilizzati come substrato per la reazione di integrazione catalizzata dall’integrasi.

Le sequenze degli oligonucleotidi utilizzati nella reazione di strand transfer sono:

ODN 71:

5’-3’: GTGTGGAAAATCTCTAGCA

ODN 72:

5’-3’: ACTGCTAGAGATTTTCCACAC

La marcatura degli oligonucleotidi si ottiene incubando: DNA (10 µM) 1.7 µl 10x PNK buffer 1.5 µl PNK 1.5 µl Acqua 1.3 µl 32 -ATP (500 µCi) 9.0 µl

La miscela di reazione viene fatta incubare per 30 minuti a 37 °C. Al termine dell’incubazione si aggiunge 1.5 µl di PNK.

La reazione viene fatta procedere per 1 ora a 37 °C.

Una volta ottenuti, gli oligonucleotidi marcati vengono utilizzati nella reazione di strand transfer. Il saggio viene eseguito in un volume totale di 20 µl contenenti: HEPES (pH=8) 20 mM, DTT 10 mM, MnCl2 7.5 mM, NP-40 allo 0.05 %, HIV-1 IN (da 1 a 5 pmol) e 1 pmol di oligonucleotidi marcati.

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La reazione viene fatta procedere per 1 ora a 37 °C e dopo viene fermata aggiungendo 10 µl di loading buffer (95 % di formamide, EDTA 20 mM, 0.05 % di blu di bromofenolo).

I prodotti di reazione vengono analizzati su gel di poliacrilamide al 15 % contenente urea 7 M in Tris-EDTA a pH=7. Il gel viene quindi analizzato mediante autoradiografia.

2.2.6 Purificazione mediante FPLC

Per purificare p300 ricombinante viene utilizzata la FPLC, un’applicazione della HPLC per la purificazione di proteine. Le cellule infettate vengono raccolte e centrifugate (vedi paragrafo 2.3.3), il pellet viene quindi risospeso in un volume adeguato di lysis buffer (Sodium Phosphate buffer 0.1 M, NaCl 5 M, Tween 20 0.5 %, glicerolo 10 %, Acqua, inibitori delle proteasi). Le cellule vengono incubate per 15 minuti su ruota a 4 °C e dopo vengono sonicate con 5 pulse da 10 secondi ciascuno. Al termine le cellule lisate e sonicate vengono centrifugate a velocità massima per 15 minuti a 4 °C. A questo punto l’estratto proteico può essere caricato nella colonna di purificazione. La colonna utilizzata è una Hi Trap Chelating HP contenente una matrice di sefarosio. La colonna viene lavata con 5 ml di acqua distillata e caricata con 0.5 ml di NiS04 0.1 M, in questo modo la matrice di sefarosio

risulterà ricoperta dagli ioni Ni2+ necessari per legare la coda di istidine di p300. Si effettua a questo punto l’impaccamento della colonna facendo passare attraverso di essa un buffer contenente: 50 mM di Tris-HCl a pH=8, NaCl 300 mM, glicerolo al 5 % e -mercaptoetanolo 2 mM. Una volta equilibrata, la colonna viene caricata con l’estratto proteico cellulare contenente p300 ricombinante che si legherà agli ioni Ni2+ presenti sulla matrice della colonna. Terminato il caricamento, la colonna viene lavata con il buffer descritto prima utilizzando un volume pari a 10 volte il volume della colonna. A questo punto si passa all’eluizione della proteina. L’eluizione di p300 si ottiene facendo

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pH=8, NaCl 300 mM, glicerolo al 5 %, -mercaptoetanolo 2 mM e imidazolo 0.5 M. L’imidazolo si lega agli ioni Ni2+ della colonna permettendo così l’eluizione di p300.

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