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Academic year: 2021

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PARTE SECONDA

LA GESTIONE STRATEGICA E IL VANTAGGIO

COMPETITIVO DI DIFFERENZIAZIONE

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La gestione e l’analisi strategica dell’azienda

La gestione strategica dell’azienda, ovvero l’insieme delle idee, delle decisioni e delle operazioni a carattere economico-aziendale attraverso le quali è possibile realizzare obiettivi e indirizzi strategici di fondo ed orientare l’organizzazione al conseguimento di posizioni di equilibrio economico durevole ed evolutivo, presuppone la definizione del concetto di “strategia”. Tale nozione è, e dovrebbe rappresentare per l’azienda, un “tema unificatore che conferisce coerenza e unicità di direzione alle decisioni e alle azioni di una organizzazione

11” e, come tale, contribuire ad allineare le condizioni di gestione del

sistema sia con le forze mutevoli dell’ambiente esterno sia con i fattori aziendali (risorse e competenze) che caratterizzano la sua organizzazione interna. In particolare, la strategia trova il suo fondamento e la sua giustificazione nella politica aziendale il cui obiettivo è quello di sviluppare una efficace ed efficiente attuazione della formula imprenditoriale “in atto”. A partire, quindi, dalla definizione delle attività necessarie per la conquista e il mantenimento (nel presente) delle condizioni di economicità dell’azienda, la strategia si identifica nella volontà di cambiare il modello gestionale operante al fine di realizzare un disegno imprenditoriale “del futuro”, con la piena consapevolezza che il perseguimento della propria finalità generale di “creazione di valore nel tempo” non può mai dirsi definitivo ma richiede di intraprendere continuamente direzioni innovative

11

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e cammini diversi. In questo senso, la strategia deve consentire di riflettere sulle potenzialità economiche generali dell’azienda e del contesto competitivo/ambientale per valutare in modo razionale i punti di forza e di debolezza, le opportunità e le minacce e, in ultima analisi, pervenire alla definizione delle linee future di azione la cui realizzazione è auspicabile per la continuità e la prosperità della vita aziendale.

In generale, è possibile individuare almeno quattro fattori comuni che ricorrono in tutte le strategie aziendali di successo e che, insieme, contribuiscono al conseguimento dei risultati desiderati dal management12:

Obiettivi a lungo termine, semplici e coerenti;

Profonda comprensione dell’ambiente competitivo;

Valutazione obiettiva delle risorse e competenze interne;

Implementazione efficace (per rispondere ai rapidi cambiamenti dell’ambiente di riferimento).

I quattro elementi considerati costituiscono altrettanti momenti essenziali nella formulazione e analisi strategica ed evidenziano come la strategia, al pari dell’attività economica generale, implica sempre l’effettuazione di scelte che sono orientate ad ottenere un rendimento del capitale superiore al suo costo. In relazione quindi al principio della convenienza economica, si considerano almeno due tipi principali di

12

GRANT, ROBERT M., L’analisi strategica per le decisioni aziendali, Bologna, Il Mulino, 20063, pp. 22-23

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decisioni che un’azienda si trova a dover prendere: “dove competere” e “come competere”. La risposta alla prima domanda contribuisce a definire, secondo un’analisi di attrattività, in quali settori e in quali mercati l’azienda intende operare e permette di individuare un primo livello di strategia (c.d. strategia di gruppo o corporate strategy) mentre la definizione del modo di agire dell’azienda consente di descrivere come competere all’interno di un determinato settore o mercato (c.d. strategia di business o business strategy) al fine di conseguire un determinato vantaggio competitivo sui concorrenti.

E’ da notare, infine, che i tre fattori tipici delle strategie di successo – obiettivi a lungo termine semplici e coerenti, profonda comprensione dell’ambiente competitivo, valutazione obiettiva delle risorse e competenze interne (a cui si aggiunge, poi, il momento dell’azione o implementazione) – possono essere facilmente e rispettivamente ricondotti ai tre aspetti fondamentali che caratterizzano la visione dell’azienda secondo una prospettiva di governo economico e di analisi strategica13:

Sistema delle idee;

Sistema delle relazioni azienda/ambiente;

Sistema della produzione.

13

BIANCHI MARTINI, SILVIO, Introduzione all'analisi strategica dell'azienda, Pisa, Il Borghetto, 2005, pp. 30-31

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L’azienda come “sistema di idee” e di obiettivi strategici

La discussione in merito al sistema aziendale delle idee si fonda sulla considerazione del fenomeno “azienda” nella sua realtà soggettiva14.

E’ infatti nell’uomo e nell’organizzazione delle sue attività che è possibile ritrovare i presupposti essenziali che conferiscono alle operazioni aziendali un carattere sistematico e “di ordine”. Da questo punto di vista, è chiaro poter affermare che “gli andamenti delle unità aziendali scaturiscono dall’insieme dei comportamenti messi in atto dai soggetti che operano al suo interno15” e che “soltanto da un’analisi dei comportamenti delle

persone impegnate «a fare azienda» è possibile ottenere la chiave interpretativa delle complesse manifestazioni che caratterizzano la gestione16”. In particolare, le attività gestionali si manifestano sia sul

piano dell’azione (sistema delle operazioni) sia su quello propositivo/concettuale (sistema delle idee e sistema delle decisioni), questi ultimi rappresentanti il pensiero che si crea all’interno dell’azienda e che trova il suo naturale sviluppo nella ponderazione delle alternative possibili e, a seguire, nella presa delle decisioni. Si individuano così tre momenti significativi – le idee, le decisioni e le azioni – che, pur legati da

14

“L’attività delle persone impegnate nella gestione caratterizza, nel suo insieme, l’azienda da un

punto di vista soggettivo”. Si veda: BERTINI, UMBERTO, Scritti di politica aziendale, Torino,

Giappichelli Editore, 19953, p. 14

15

BIANCHI MARTINI, SILVIO, Introduzione all'analisi strategica dell'azienda, Pisa, Il Borghetto, 2005, p. 112

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un rapporto di conseguenza logica (dalle idee si passa alle decisioni e, infine, alle azioni), sviluppano anche relazioni multiple tra loro in quanto, ad esempio, il pensiero spesso si alimenta e trova le proprie modalità di espressione nelle operazioni quotidiane.

Le idee che nascono all’interno dell’azienda, e che per definizione hanno sempre un carattere individuale17, devono trovare una loro

composizione armonica e una coerenza di fondo per poter garantire l’organizzazione stessa del sistema ed il suo orientamento verso determinati obiettivi strategici. Da questo punto di vista, si individua quindi un complesso di idee-guida (a loro volta distinte in idee imprenditoriali – impostazione strategica attuale e intento strategico – , idee manageriali e idee esecutive) che sono tutte funzionali alla vita dell’azienda e contribuiscono, ad un livello strategico, alla realizzazione di quelle condizioni di equilibrio aziendale che sono state definite come soddisfacenti nell’impostazione strategica di fondo18. In generale, le

idee-guida devono essere funzionali al conseguimento della durevole economicità e, nella prospettiva di analisi strategico/competitiva, alla capacità di conseguire, mantenere e/o rinnovare il vantaggio competitivo.

17

“Le idee, manifestate dai diversi soggetti direttamente impegnati nella gestione (…) rappresentano

il principale elemento di qualificazione delle operazioni aziendali e costituiscono, al tempo stesso il «vero» fondamento dell’economicità aziendale” (in quanto tutte ugualmente funzionali alla vita del

sistema). Si veda: BERTINI, UMBERTO, Scritti di politica aziendale, Torino, Giappichelli Editore, 19953, p. 14

18 “L’economicità aziendale è il risultato del processo di conversione del sistema delle idee in sistema

di operazioni; tale processo coinvolge globalmente il sistema umano nelle sue tre fondamentali componenti: soggetto economico, sistema del management, tecnostruttura”. Per approfondimenti:

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Al tempo stesso, devono poter essere continuamente ridefinite e rinnovate al fine di orientare la strategia futura verso direzioni più attraenti e innovative, come imposto, di fatto, dalla mutevolezza interna ai settori di mercato, dall’imprevedibilità del gioco competitivo e dalle dinamiche relative alle proprie risorse e competenze.

Le idee-guida assumono dunque un valore strumentale per lo svolgimento, a tutti i livelli, delle funzionalità aziendali, orientando la politica e le prassi organizzative19, ma è importante evidenziare come,

all’interno di tale complesso di idee, esistono anche valori, atteggiamenti e convincimenti “tendenzialmente permanenti” e che non possono essere assolutamente collegati con la dinamica strategico/gestionale dell’azienda. Si tratta, in altri termini, di idee-base che si riferiscono all’identità stessa dell’organizzazione e ne definiscono i suoi caratteri distintivi indipendentemente dalle strategie e politiche perseguite e dagli specifici obiettivi che, di volta in volta, si intendono realizzare. La “base ideologico/valoriale”, che si pone quindi ad un livello più alto della formulazione strategica, rappresenta un patrimonio consolidato di idee e valori, che spaziano dai principi etici ed economico-aziendali generali alla filosofia e alle metodologie gestionali, fino ad aspetti meramente operativi, e rimane tendenzialmente stabile (se non addirittura irremovibile) non solo nel breve periodo ma anche e soprattutto nel corso

19 Da questo punto di vista, è importante notare come il sistema aziendale delle idee fa leva sulla

figura del «soggetto economico», in quanto espressione più elevata ed autorevole della soggettività aziendale, e il cui ruolo si manifesta mediante idee-guida prevalentemente di tipo imprenditoriale che attraversano dall’alto verso il basso l’intero sistema delle idee. Si veda: BERTINI, UMBERTO, Scritti di

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del tempo. Essi costituiscono la “ragion d’essere dell’azienda” e sono proiettati nel futuro, condizionando così l’idea imprenditoriale e la sua realizzazione concreta attraverso le operazioni e le attività ordinarie del sistema. Per certi versi la “base ideologico/valoriale” (e la sua natura permanente) possono essere ricondotte alla nozione di “orientamento strategico di fondo” la quale, pur rimanendo strettamente legata al disegno strategico futuro (e temporaneo) dell’organizzazione, rappresenta anche una visione in profondità dell’azienda e della sua identità attraverso un insieme di idee su come “fare azienda” radicate nella cultura del management e del soggetto economico. In particolare, l’ “orientamento strategico di fondo”, che solitamente rimane implicito nelle convinzioni della direzione, si definisce attraverso tre elementi fondamentali: il campo di attività nel quale l’azienda intende operare (dove), la filosofia gestionale e organizzativa (come) e gli obiettivi di fondo ovvero le motivazioni che guidano l’agire dell’organizzazione (perché).

Il disegno imprenditoriale o “enunciato strategico” dell’azienda assume una rilevanza decisiva per il conseguimento di un successo durevole solo se esso è condiviso e fatto proprio da parte dei soggetti e delle funzioni che, ad ogni livello decisionale, sono coinvolti nella concreta realizzazione della strategia20. Questo può avvenire o in modo tacito e

20

Così come il soggetto economico o l’imprenditore è responsabile della conversione del sistema

delle idee in sistema delle decisioni (guida politica), allo stesso modo il management è responsabile della conversione del sistema delle decisioni in sistema delle operazioni (guida tecnica) e garante delle coerenza di quest’ultimo rispetto a questo primo mentre la tecnostruttura è l’elemento determinante nella fase finale di realizzazione concreta delle operazioni. Per approfondimenti: BERTINI, UMBERTO,

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implicito, attraverso l’osservazione e lo svolgimento dell’operatività quotidiana all’interno della realtà aziendale, oppure attraverso l’affermazione dei caratteri significativi e distintivi del disegno imprenditoriale e dei valori che lo ispirano (sia con riferimento alla formula “in atto” sia in relazione al cambiamento che si intende realizzare per il futuro). Con riferimento alla condivisione esplicita dell’enunciato strategico, è possibile individuare i componenti necessari a definire una valida idea imprenditoriale o business idea, la quale identifica in modo sintetico il “modo di essere” dell’azienda e si colloca sempre alla base di qualsiasi formulazione strategica21:

Formula competitiva: idea dell’azienda che, all’interno di un

determinato ambiente/mercato, offre uno o più sistemi di prodotto/servizio che le consentono di ottenere una posizione di vantaggio rispetto ai concorrenti;

Proposta progettuale: promessa di soddisfacimento delle

aspettative di tutti gli interlocutori all’interno e all’esterno dell’azienda per conseguire un adeguato livello di consenso;

Struttura dell’azienda: capacità di creare una combinazione

produttiva fondata su specifiche risorse e competenze interne e in grado di comporsi con le forze esterne del mercato, sfruttando quelle favorevoli e minimizzando l’impatto delle minacce;

21

BIANCHI MARTINI, SILVIO, Introduzione all'analisi strategica dell'azienda, Pisa, Il Borghetto, 2005, pp. 167-168

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Idee-guida: complesso di valori e convinzioni tendenzialmente

permanenti ma, in parte, anche mutevoli nel tempo e aperti al cambiamento, secondo le strategie e le politiche perseguite.

La business idea, quindi, si fonda su almeno tre aspetti-chiave costituiti da: l’ambiente/mercato verso il quale viene indirizzata l’offerta (o sistema competitivo), il sistema di prodotto offerto, la struttura organizzativa che consente all’azienda di presentarsi al mercato con quella data offerta. Essa è una vera e propria “formula competitiva” del business aziendale che descrive, in breve, lo status dell’azienda, gli obiettivi competitivi che essa si prefigge di realizzare e le modalità con cui si orienta al perseguimento di vantaggi concorrenziali ed economici rilevanti.

Oltre all’idea imprenditoriale, che rappresenta il “cuore” del business e della vita aziendale, è importante considerare altre nozioni qualitative che sono spesso utilizzate nelle formulazioni strategiche aziendali e che fanno parte del sistema delle idee e degli obiettivi di lungo periodo, quale “direttrice fondamentale di analisi gestionale”. In particolare, la missione (mission) e la visione (vision) costituiscono due concetti ampiamente ricorrenti nel profilo strategico delle organizzazioni che sono seriamente intenzionate a riflettere sulla propria identità. Per quanto attiene alla mission, essa è strettamente correlata con la “base ideologico/valoriale” ma non ne rappresenta la sua autentica

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esplicitazione22. Infatti, se da un lato l’insieme dei valori e delle idee-base

di un’organizzazione non devono necessariamente essere affermati attraverso comunicazioni formali all’interno e all’esterno dell’azienda (ma possono più agevolmente venir trasmessi nella struttura aziendale mediante il concreto operare), dall’altro, la mission non coincide sempre con l’insieme dei valori radicati nell’organizzazione ma si sostanzia piuttosto nell’espressione degli obiettivi e dei risultati che si intendono conseguire e nella definizione dell’area di business nella quale l’azienda già opera o intende competere nel futuro. Da questo punto di vista, la mission si identifica, per lo più, con slogan che “parlano” un linguaggio marketing il cui effetto è quello di contribuire a formare l’immagine dell’azienda, ovvero la sua “identità percepita” dagli interlocutori interni ed esterni, e che difficilmente permettono di scendere in profondità al complesso di valori fondanti il sistema aziendale.

Per quanto riguarda la vision, invece, ci si riferisce all’affermazione di ciò che l’azienda vuole diventare o di dove cerca di andare nel tempo. Essa delinea un’immagine mentale o uno scenario futuro desiderabili che siano realistici, credibili e attraenti e che prefigurino una situazione o condizione migliore per l’azienda rispetto a quella attuale. E’ quindi una sorta di dichiarazione di intenti che fissa dei precisi traguardi di tipo quantitativo e qualitativo al fine di stimolare la

22

“Le idee guida interpretano in modo inequivocabile la missione che l’azienda è chiamata a svolgere nei diversi momenti della sua vita e gli orientamenti conseguenti all’interno delle diverse aree di affari e funzionali”. Si veda: BERTINI, UMBERTO, Scritti di politica aziendale, Torino, Giappichelli Editore,

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struttura interna al loro raggiungimento e far sì che i destinatari della comunicazione aziendale possano apprezzare la tensione strategica dell’organizzazione nel conseguimento di sempre maggiori e migliori risultati.

Le considerazioni sviluppate in merito all’azienda come sistema di idee e di obiettivi di lungo periodo semplici e coerenti ha permesso di individuare tre momenti fondamentali nella formulazione e nell’analisi strategica di un’organizzazione: le idee, le decisioni e le operazioni (o attuazione della strategia). A completamento di questa sezione, è importante riflettere su un quarto aspetto rilevante: i risultati che l’azienda intende realizzare e quelli effettivamente ottenuti nel perseguimento dei suoi obiettivi23.

In termini generali, l’attività dell’azienda è volta a creare valore e, in modo speciale, il valore aggiunto, che rappresenta la differenza tra il valore della produzione (output) e il costo di tutti gli input utilizzati nel processo produttivo. Da un punto di vista economico-tecnico, si può affermare che l’obiettivo primario dell’azienda è la massimizzazione del profitto nel lungo termine che, nonostante non rappresenti mai la sola motivazione a fondamento della vita dell’organizzazione e delle sue strategie, ne costituisce, di fatto, un aspetto imprescindibile per la garanzia della sua continuità nel tempo. E’ quindi necessario definire come misurare concretamente il profitto (profitto totale o tasso di

23

GRANT, ROBERT M., L’analisi strategica per le decisioni aziendali, Bologna, Il Mulino, 20063, pp. 53-75

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profitto?) e quali misure di redditività adottare (ROE, ROI, ROS, …). Inoltre, distinguere il reddito contabile (normale rendimento del capitale o rimunerazione degli investitori per l’uso del loro capitale + reddito economico) dal reddito economico in sé che costituisce il surplus disponibile dopo che tutti gli input sono stati rimunerati e rappresenta una misura adeguata e migliore delle performance aziendali rispetto all’utile netto contabile. Conseguire il profitto significa essere in grado di ottenere una eccedenza dei ricavi sui costi disponibile per essere distribuita e tale risultato può assumere una diversa valenza, secondo la prospettiva dalla quale viene interpretato, nella misurazione delle performance reddituali dell’azienda. Ai fini della formulazione strategica, la massimizzazione del profitto nel tempo implica la capacità dell’organizzazione di creare e massimizzare il valore per l’intero sistema aziendale. La realizzazione di tale finalità dipende anche, e in modo cruciale, dall’adozione di un sistema di idee e valori strategico/gestionali (lontani dal concetto di redditività) in grado di contribuire al successo dell’azienda e al conseguimento delle performance reddituali nel lungo termine attraverso il rafforzamento del disegno imprenditoriale, l’accrescimento del consenso e del coinvolgimento all’interno e all’esterno dell’organizzazione ed il perseguimento di alti scopi sociali e morali24.

24 “Il sistema aziendale delle idee ha un peso determinante nella formazione dei risultati della

gestione”. Si veda: BERTINI, UMBERTO, Scritti di politica aziendale, Torino, Giappichelli Editore,

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Concluse le considerazioni in merito al sistema delle idee, rimangono da definire le altre due componenti fondamentali dell’analisi strategica: lo studio dell’ambiente esterno (sistema delle relazioni azienda/ambiente) e quello dell’ambiente interno (sistema della produzione).

(15)

L’attrattività del settore e il posizionamento

strategico/competitivo

L’analisi del sistema delle relazioni azienda/ambiente si fonda sulla visione soggettiva del fenomeno aziendale inteso, da questo punto di vista, come il complesso di rapporti tra l’azienda ed i soggetti che interagiscono con essa dall’esterno25. L’organizzazione aziendale

rappresenta quindi un sistema aperto e un punto di convergenza e di necessaria mediazione tra le attese, gli interessi, i bisogni e le richieste che le diverse classi di interlocutori (c.d. stakeholder) chiedono di valutare e si aspettano di veder realizzati26. In generale, si possono

distinguere due principali tipi di relazioni con l’ambiente di riferimento: da un lato, quelli che definiscono il modo di essere dell’azienda nell’arena competitiva e, dall’altro, quelli attinenti al modo di essere dell’azienda nell’ambiente sociale. Nel primo caso, si fa riferimento alla capacità dell’organizzazione di competere in un determinato settore/segmento di mercato, offrendo un sistema di prodotti/servizi in grado di superare

25

“La realtà aziendale moderna è caratterizzata, rispetto al passato, da un grandissimo impatto umano, tecnologico, sociale, politico e culturale e (…) la gestione dell’ambiente esterno è forse la primaria funzione dell’impresa”. Si veda: BERTINI, UMBERTO, Scritti di politica aziendale, Torino,

Giappichelli Editore, 19953, p. 35

26 “Le nuove fonti del potere aziendale vanno ricercate nel complesso di fattori

socio-economico-politici variamente combinati e (…) riconducibili al «capitale di rischio», alla «tecnostruttura» e alle «forze esterne», di natura politica e sociale. (…) Il mix che scaturisce dalla combinazione di queste tre forze è l’elemento di caratterizzazione del potere aziendale moderno”. Si veda: BERTINI, UMBERTO, Scritti di politica aziendale, Torino, Giappichelli Editore, 19953, p. 35

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l’offerta dei concorrenti, ottenere il consenso commerciale dei clienti e un conseguente flusso di ricavi ovvero conseguire un posizionamento di successo nel contesto competitivo, alla continua ricerca del vantaggio concorrenziale. La seconda dimensione del finalismo aziendale considera, invece, i legami con i vari gruppi di interlocutori esterni che si fanno portatori di interessi i più diversi e il cui consenso e contributo è fondamentale per favorire lo sviluppo di soddisfacenti condizioni relazionali nel contesto sociale e per la legittimazione dell’azienda e del suo posizionamento strategico nel macro-ambiente. A questi due aspetti, si aggiunge poi il necessario orientamento all’economicità della combinazione aziendale e la sua capacità di creare valore nel tempo, che dipende in modo significativo dallo sviluppo di sinergie tra la dimensione competitiva e quella sociale. Infine, è possibile aggiungere una terza tipologia di rapporti azienda/ambiente che consiste nella capacità di questa prima di essere competitiva anche sui mercati finanziari al fine di attrarre risorse, investimenti e capitali che sono indispensabili per dare corso alle strategie e alle politiche imprenditoriali.

Secondo un’altra prospettiva27, il contesto di riferimento nel quale

opera l’azienda può essere distinto in due parti fondamentali: il macro-ambiente e il micro-macro-ambiente (o macro-ambiente settoriale). Il macro-macro-ambiente è composto da tutte quelle variabili esterne che influenzano in modo più o meno significativo le decisioni, le attività e i risultati aziendali senza che l’organizzazione sia in grado di intervenire per massimizzare o limitare il

27

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loro impatto sul sistema delle operazioni. Queste influenze possono avere origine economica, tecnologica, sociale, istituzionale, ambientale (tendenze generali dell’economia nazionale e internazionale, cambiamenti tecnologici, orientamenti politici e sociali, problemi ecologici, …) ma assumono un’importanza relativa nella formulazione strategica in quanto sono indirettamente collegate con la vita dell’azienda e, come tali, la determinazione della loro reale influenza è difficile da stimare.

Il micro-ambiente o ambiente settoriale, invece, si compone di quei fattori che agiscono direttamente sulla struttura e sul funzionamento dell’azienda e la cui analisi è di vitale importanza per la gestione strategica e operativa in quanto su di essi l’organizzazione può intervenire, cercando di modificare, frenare o ampliare i loro effetti. In particolare, “il nucleo centrale dell’ambiente di riferimento … è formato dalle relazioni con i clienti, i fornitori e i concorrenti28”. Diviene quindi

fondamentale per l’azienda sviluppare un’analisi strategica dell’attrattività del settore di mercato al fine di comprendere i fattori che sono alla base della sua redditività strutturale, intesa come rapporto tra il tasso di rendimento e il tasso di costo del capitale. Tale livello è significativamente determinato da almeno tre caratteristiche strutturali riconducibili all’intensità e alle tipologie della concorrenza nell’ambiente settoriale (concorrenza perfetta, oligopolio, duopolio, monopolio), al valore del prodotto/servizio per il consumatore (in termini di capacità di creare

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valore nel soddisfacimento dei suoi bisogni) e al potere contrattuale relativo nei diversi stadi della catena produttiva.

La rilevanza della strategia e della pianificazione per la gestione dell’azienda, finalizzata al miglioramento delle performance nel tempo e alla massimizzazione delle fonti di profitto nell’ambiente esterno, ha avuto una grande risonanza negli studi economico-manageriali tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80. In particolare, la letteratura sull’analisi strategica delle organizzazioni è stata fortemente influenzata dal contributo di Michael E. Porter (Harvard Business School)29 che ha

applicato gli studi e i concetti tipici dell’economia industriale alla realtà delle singole aziende e all’analisi del ambiente settoriale e della competizione, sviluppando l’ormai famoso concetto di “concorrenza allargata”. La sua proposta per l’analisi del settore, e dei segmenti che lo compongono, (nel presente) e per la previsione della sua evoluzione (nel futuro) si fonda sul c.d. “Schema delle cinque forze competitive” nel quale egli identifica altrettanti fattori che sono in grado di agire sulla struttura del contesto concorrenziale e determinarne in modo significativo la redditività generale e il conseguente livello di attrattività per le aziende. In particolare, si considerano tre fonti di competizione “orizzontale” (la concorrenza di prodotti/servizi sostitutivi, la minaccia di nuove entrate e la rivalità tra le aziende esistenti) e due fonti di competizione “verticale”

29

PORTER, MICHAEL E., Competitive strategy: Techniques for Analyzing Industries and Competitors, New York, Free Press, 1980; trad. it. La strategia competitiva: analisi per le decisioni, Bologna, Edizioni della Tipografia Compositori, 1982

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(il potere contrattuale relativo dei fornitori – “a monte” – e quello degli acquirenti – “a valle”).

Per quanto riguarda la concorrenza di prodotti/servizi sostitutivi si fa solitamente riferimento alle alternative di scelta che gli acquirenti hanno a disposizione tra prodotti/servizi tendenzialmente omogenei che rispondono a bisogni semplici e la cui utilità può essere valutata in maniera facile e intuitiva. In generale, l’assenza di prodotti/servizi sostitutivi determina l’insensibilità al prezzo da parte degli acquirenti ovvero una domanda relativamente anelastica mentre l’esistenza di molti prodotti/servizi sostituitivi ha come conseguenza una maggiore sensibilità al prezzo degli acquirenti e, dunque, una domanda elastica che risente particolarmente delle variazioni di prezzo. E’ quindi evidente che quanto maggiore è la possibilità di ricorrere a prodotti/servizi sostitutivi e quanto più l’acquirente ha un’ampia varietà di scelta, tanto più elevato è il rischio di danneggiare la redditività del settore e delle aziende che vi operano.

La minaccia di nuove entrate permette di considerare non solo i concorrenti attuali ma anche quelli potenziali che in futuro potrebbero rappresentare un pericolo per l’azienda. Essa si basa infatti sul presupposto secondo cui maggiore è il rendimento del capitale rispetto ai costi, maggiori sono l’interesse e la volontà delle organizzazioni di entrare a far parte di un settore/segmento, determinando così la discesa del tasso di profitto al suo livello competitivo. Nella quasi totalità dei casi le nuove aziende non riescono ad entrare ed operare in un nuovo settore/segmento alle stesse condizioni delle organizzazioni già

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affermate. Da questo punto di vista, le barriere all’entrata/alla mobilità e la loro forza misurano la dimensione del vantaggio delle aziende ormai consolidate sui nuovi concorrenti e rappresentano un’arma molto potente per conservare la redditività di un settore/segmento e i maggiori profitti delle organizzazioni che operano al suo interno. Tra gli esempi più significativi è possibile considerare gli ingenti fabbisogni di capitale necessari per dare vita alle attività di produzione (settore siderurgico, …), le barriere istituzionali e legali (licenze, brevetti, copyright, norme che impongono standard ambientali/di sicurezza, …), la scarsa flessibilità dei sistemi produttivi e la possibilità di sfruttare le economie di scala ovvero sviluppare volumi di attività elevati tali da consentire un abbattimento dei costi medi unitari e realizzare una dimensione minima efficiente di impianto. A questi si aggiungono i vantaggi assoluti in termini di costo, per esempio, nell’approvvigionamento delle materie prime (attraverso accordi privilegiati tra un’azienda leader e i suoi fornitori, …) e le economie di apprendimento, che derivano dalla specializzazione in un determinato settore/segmento e dalla capacità di ridurre così i tempi di produzione, gli sprechi di fattori aziendali e i difetti nei prodotti/servizi finali; la differenziazione della propria offerta attraverso forti investimenti in comunicazione, pubblicità, qualità, … per far leva ed accrescere il proprio patrimonio intangibile e creare così prodotti/marche difficilmente attaccabili dalla concorrenza; l’accesso più o meno semplice ai canali di distribuzione e ai mercati di sbocco. Infine, le ritorsioni (“guerre” di prezzi, forte incremento della pubblicità/comunicazione, conflitti legali, …)

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o la loro minaccia credibile da parte delle imprese esistenti possono rappresentare un altro valido strumento per scoraggiare l’entrata di potenziali concorrenti ed evitare che il tasso di profitto si abbassi al suo minimo competitivo. L’efficacia delle barriere all’entrata/alla mobilità dipende sia dalle capacità, dalle risorse e dalle strategie dei concorrenti potenziali sia dalla qualità e tempestività delle azioni intraprese dalle organizzazioni già affermate al fine di proteggere il proprio settore/segmento di mercato e la propria redditività, anche se si ritiene che tali strumenti non consentano di bloccare del tutto l’ingresso di nuove aziende o la mobilità di quelle esistenti ma, piuttosto, di ostacolarli o ritardarli nel tempo. Maggiori sono quindi le barriere all’entrata/alla mobilità di un settore/segmento, e maggiore è la loro efficacia nel contrastare le iniziative di potenziali entranti, tanto più sarà possibile mantenere il tasso di rendimento ad un livello soddisfacente.

La terza “fonte di competizione orizzontale” è rappresentata dalla rivalità tra le aziende presenti all’interno di un settore/segmento ovvero quella che più comunemente viene definita come “concorrenza”30. La

natura e l’intensità della competizione economica dipende da molti fattori tra i cui il grado di concentrazione del mercato (determinato dal numero e dalla distribuzione delle aziende), il tipo di concorrenza che vi si sviluppa (basata sul prezzo o su altri fattori, siano essi, materiali – il prodotto – o

30

Per un’analisi generale delle tipologie e caratteristiche delle situazioni concorrenziali si veda:

LAMBIN, JEAN JACQUES, Marketing strategico e operativo: market-driven management, Milano, McGraw-Hill, 20044, pp. 182-193

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intangibili – l’immagine) e la capacità dei concorrenti di affermare la propria diversità e specificità per poter conseguire posizioni di vantaggio competitivo. Inoltre, si considera l’eventuale impegno nella differenziazione e unicità del prodotto/servizio – per spostare l’oggetto della competizione su tutto ciò che è diverso dal prezzo – , l’abilità nel limitare le proprie capacità produttive in eccesso e l’analisi/valutazione della struttura dei costi (componenti fisse e variabili) con i quali l’azienda opera sul mercato.

Il potere contrattuale dei fornitori (“a monte”) e quello degli acquirenti (“a valle”), qualsiasi sia il settore/segmento nel quale l’azienda si trova ad operare, rappresentano le due fonti di competizione “verticale” individuate nel modello di Porter che identificano, rispettivamente, le relazioni nel mercato di riferimento tra i produttori e i loro fornitori (mercato degli input) e tra questi primi e i loro acquirenti (mercato degli output). Entrambe queste condizioni dipendono da almeno due fattori principali che sviluppano un rapporto di inversa proporzionalità con la redditività generale del settore: la sensibilità al prezzo degli acquirenti e il potere contrattuale relativo. Per quanto riguarda il primo elemento, esso dipende, a sua volta, da altre condizioni e risulta essere particolarmente elevato quando:

È alta l’incidenza del costo del prodotto/input sui costi totali dell’azienda acquirente o lo è l’incidenza del costo del prodotto/output per il consumatore finale;

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È basso il grado di differenziazione delle offerte delle aziende-fornitrici nel mercato degli input e in quello degli output (prodotti indifferenziati o c.d. commodity);

È elevata la concorrenza tra gli acquirenti nei mercati degli input e degli output (con la conseguenza che essi cercheranno di ottenere le migliori condizioni dai loro fornitori, …);

È maggiore l’importanza del fattore acquisito come input per la qualità del prodotto/servizio finale (mercato B-2-B) o lo è quella del prodotto/servizio per il consumatore finale (mercato B-2-C).

Il potere contrattuale relativo identifica, invece, il costo (potenziale) sostenuto dalle parti in gioco come conseguenza del rifiuto a concludere una transazione e si basa sulla credibilità e sull’efficacia dei segnali e delle minacce rivolte verso la controparte. Esso subisce quindi le seguenti influenze:

Maggiore è la dimensione e la concentrazione degli acquirenti nel mercato degli input/output rispetto ai fornitori, maggiore è il potere contrattuale relativo di questi primi;

Maggiori sono le informazioni sui fornitori a disposizione degli acquirenti nel mercato degli input/output (costi, offerte dei concorrenti, …) tanto più elevata sarà l’influenza che essi possono esercitare;

Maggiore è la capacità dell’azienda (o la sola minaccia) di integrarsi verticalmente “a monte” o “a valle” del

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settore/segmento (per produrre da sé i beni finora acquistati dai fornitori o per distribuire i prodotti/servizi attraverso propri canali di distribuzione), più forte è il suo potere contrattuale relativo.

Entrambi i fattori descritti (la sensibilità al prezzo degli acquirenti e il potere contrattuale relativo) misurano l’impatto e l’efficacia del potere dei fornitori e di quello degli acquirenti/consumatori rispetto al settore/segmento di mercato nel quale si incontrano la domanda/offerta e consentono di definire meglio la struttura e la redditività dell’ambiente competitivo.

Una volta definite le caratteristiche dell’ambiente settoriale e la loro incidenza sulla concorrenza e sulla redditività media di cui beneficiano le aziende al suo interno, il modello proposto da Porter può essere utilizzato anche per sviluppare una previsione attendibile circa il cambiamento nel tempo delle performance reddituali del settore/segmento31. In altri termini, è possibile prevedere l’evoluzione

della sua redditività futura considerando, sia da un punto di vista qualitativo sia a livello quantitativo, ciò che è accaduto in passato, quali sono le attuali tendenze strutturali e qual è la loro influenza sulle cinque forze competitive. E’ altresì utile considerare il modello in esame per identificare le caratteristiche strutturali che sono tipicamente responsabili della riduzione di redditività del settore/segmento nonché analizzare

31

GRANT, ROBERT M., L’analisi strategica per le decisioni aziendali, Bologna, Il Mulino, 20063, pp. 106-109

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quegli elementi sui quali è possibile agire direttamente con apposite iniziative strategiche al fine di mutare a proprio favore la struttura e la pressione competitiva in esso presenti (per esempio, attraverso fusioni/acquisizioni tra le aziende esistenti, differenziazione spinta di prodotto, riduzione della capacità produttiva in eccesso e ridimensionamento della catena produttiva, creazione di efficaci barriere all’entrata del settore o alla mobilità tra segmenti, …).

Il modello delle cinque forze competitive di Porter rimane ancora oggi un riferimento fondamentale per l’analisi dell’attrattività del settore e dei segmenti che lo compongono ma è importante sottolineare le principali critiche che sono state mosse alla sua attendibilità e individuare i limiti che in parte lo caratterizzano. In particolare, esso risulta essere troppo “meccanicistico” ovvero basato su un approccio di tipo “struttura/comportamento/risultati” che non trova sempre un’adeguata giustificazione nella pratica aziendale. Inoltre, il modello definisce a priori il carattere conflittuale delle relazioni tra le aziende di un settore/segmento o tra gli attori nella filiera produttiva senza considerare che possono svilupparsi anche alleanze strategiche e joint venture (“a monte” o “a valle”) tra organizzazioni concorrenti o rapporti di collaborazione e di partnership tra fornitori e clienti. Infine, la proposta di Porter si basa sulla considerazione secondo la quale la struttura di un settore/segmento è tendenzialmente statica e determinata dall’esterno ed essa influenza l’intensità della concorrenza e il livello di redditività per le aziende. In realtà, il gioco competitivo ha un carattere dinamico e il suo

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evolvere nel tempo altera dall’interno, in modo più o meno sostanziale, le caratteristiche strutturali dell’ambiente settoriale e, dunque, contribuisce a modificare l’attrattività del settore/segmento per le organizzazioni che mirano ad entrarvi e le condizioni di redditività per quelle che già vi operano.

L’importanza della competizione economica per la prosperità dell’azienda spinge a considerare, oltre all’analisi dell’attrattività del settore/segmento di mercato anche la qualità del posizionamento dell’organizzazione nell’ambiente concorrenziale di riferimento. Da questo punto di vista, diviene strategico identificare i fattori critici di successo che determinano la capacità di sopravvivenza e di sviluppo dell’azienda e che sono alla base del conseguimento e della sostenibilità del vantaggio competitivo. Si tratta, in particolar modo, di due condizioni principali che l’organizzazione deve cercare di soddisfare:

Offrire ai consumatori ciò che essi desiderano;

Combattere efficacemente la concorrenza.

In altri termini, è necessario comprendere bene da chi è formato il target di riferimento e quali sono i suoi bisogni e le sue preferenze in modo tale da offrire un sistema di prodotti/servizi che permetta di rispondere efficacemente alle richieste dei destinatari. Oltre all’analisi della domanda, è opportuno chiedersi, poi, chi sono i concorrenti e come operano all’interno del settore/segmento di mercato al fine di individuare i modi migliori di affrontare la concorrenza e giungere così ad una

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posizione competitiva superiore tale da garantire un’altrettanto positiva redditività per l’azienda. Entrambi questi elementi costituiscono fonti esterne del vantaggio competitivo e la loro definizione strategica assume un rilievo assoluto nel perseguimento degli obiettivi di lungo periodo del sistema aziendale.

In particolare, è necessario sviluppare un’analisi approfondita della concorrenza allo scopo di acquisire, dalle fonti più varie (giornali, siti-web, bilanci di esercizio, risorse umane, …), informazioni preziose sulle aziende concorrenti e cercare di prevedere il loro comportamento futuro. L’intento di una tale analisi è dunque quello di poter prevedere le strategie e le decisioni future dei concorrenti, ipotizzare le loro reazioni probabili a seguito delle iniziative strategiche promosse dall’azienda e, soprattutto, determinare come può essere influenzato il loro comportamento per sfruttarlo a tutto vantaggio della propria posizione competitiva. L’analisi e la previsione del comportamento della concorrenza si basa sullo studio di quattro variabili fondamentali32:

Identificazione della strategia attuale ovvero la capacità

dell’azienda di comprendere le intenzioni strategiche perseguite attraverso il contenuto e le modalità di comunicazione del concorrente e la strategia effettivamente realizzata mediante le decisioni e le azioni sul campo;

32

GRANT, ROBERT M., L’analisi strategica per le decisioni aziendali, Bologna, Il Mulino, 20063, pp. 139-143

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Identificazione degli obiettivi – economico/finanziari,

qualitativi e di mercato – del concorrente sia nel breve che nel medio/lungo termine;

Identificazione delle idee dei concorrenti sul settore o, in

altre parole, le percezioni e convinzioni (c.d. ricette o idee di settore) che i dirigenti dell’azienda hanno nei confronti del mercato di riferimento, del comportamento concorrenziale appropriato, delle determinanti del successo, … e che guidano, inevitabilmente, la capacità dell’organizzazione di adottare una strategia perseguibile in modo efficiente e di rispondere efficacemente ai cambiamenti esterni nel contesto competitivo;

Identificazione delle risorse e competenze dei

concorrenti (capacità manageriali, risorse e investimenti

finanziari, aspetti qualitativi/comunicativi, caratteristiche funzionali di marketing, distribuzione, R&S, …) che rappresentano una minaccia rilevante per la qualità del posizionamento competitivo delle altre aziende del settore/segmento.

Identificare e comprendere la strategia attuale e gli obiettivi della concorrenza, le idee-guida dei dirigenti e le risorse e competenze interne delle aziende concorrenti rappresenta un presupposto necessario al fine di influenzare il loro comportamento e orientarlo a proprio favore attraverso segnali e minacce credibili. Il gioco competitivo si basa infatti non solo sul

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binomio azione/reazione (come le imprese competono e fronteggiano la concorrenza) ma anche sulle reciproche credenze e impressioni (ciò che il concorrente pensa che i suoi rivali stiano facendo…). Per questo diviene strategico lanciare dei veri e propri segnali (credibili) allo scopo di influenzare le percezioni e i comportamenti delle aziende concorrenti e favorire o evitare certi tipi di reazione (cooperazione o “guerra aperta”) a seconda che siano auspicabili o meno per il posizionamento e il successo dell’organizzazione.

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Le risorse e le competenze interne nella formulazione

strategica

L’analisi delle risorse e delle competenze interne dell’azienda rappresenta uno dei fattori principali per la previsione del comportamento strategico dei concorrenti ed ha assunto, nel corso del tempo, una sempre maggiore rilevanza nello studio dei fondamenti teorici alla base della strategia e delle determinanti del profitto. Da questo punto di vista, si pone l’accento sulle risorse/fattori aziendali intesi come elementi del sistema della produzione, sulla dinamica operativa che li coinvolge (sistema di operazioni che si sviluppano a tutti i livelli dell’organizzazione) e sul rapporto tra le caratteristiche interne dell’azienda e la strategia sviluppata al fine di conseguire obiettivi e risultati nel medio/lungo termine. L’approccio di analisi “Resource-based View of the Firm” (RBV)33

si è affermato negli studi economico-manageriali a partire dalla seconda metà degli anni ’80 e, soprattutto, negli anni ’90, proponendo una nuova prospettiva di studi strategici volta ad individuare il vantaggio competitivo dell’organizzazione a partire dalla sua composizione interna e, dunque, dalle risorse, dalle competenze e dalle routine organizzative e gestionali

33

L’approccio prende il nome dall’articolo “A Resource-Based View of the Firm” (1984) di Birger Wernerfelt anche se le sue origini possono esser fatte risalire ad alcuni contributi dottrinali degli anni ’50 (cfr. PENROSE, EDITH, The Theory of the Growth of the Firm, Basic Blackwell, London, 1959). Due pubblicazioni immediatamente successive all’articolo di Wernerfelt (ad opera di J.B. Barney) hanno aperto la strada allo studio di questa nuova prospettiva di analisi strategico-gestionale (cfr. BARNEY, J. B., Firm Resources and Sustained Competitive Advantage, in: “Journal of Management”, 17, 1991, pp. 99-120).

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che la caratterizzano e possono distinguerla rispetto alla concorrenza. Questa prospettiva di analisi si discosta fortemente dallo schema delle cinque forze competitive di Porter (considerato la base per lo studio dell’assetto del settore, della qualità del posizionamento concorrenziale e per la ricerca del vantaggio competitivo nel sistema delle relazioni azienda/ambiente) in quanto si fonda, al contrario, sull’analisi di risorse e capacità nel più ampio sistema interno della produzione e rappresenta così un approccio complementare, ma altrettanto importante, per la valutazione strategica del successo a cui l’azienda può aspirare34.

Nei contesti economico-concorrenziali, oggi, sempre più caratterizzati da una elevata instabilità e imprevedibilità, dalla difficoltà di definire esattamente i confini dei settori/segmenti nonché da una crescente difficoltà di competere, la formulazione strategica a partire dalla risorse e competenze interne dell’azienda costituisce un ancoraggio stabile e duraturo nel tempo a differenza di una strategia orientata al mercato (Chi è il target di riferimento? – Quali sono i suoi bisogni? – …), che non necessariamente definisce un valido posizionamento nel lungo periodo. Le risorse e le competenze definiscono infatti la natura stessa dell’azienda ovvero ciò che essa è capace di fare e possono essere utilizzate come base per costruire la sua identità e, dunque, la strategia

34 “Il «successo» viene da me interpretato come «un fenomeno di crescita economica a valere nel

tempo (…)» per cui altro non è che un’esaltazione del fenomeno dello sviluppo. (…) Sviluppo interno significa soprattutto sfruttamento delle potenzialità offerte dal sistema delle risorse interne (materiali, finanziarie, immateriali e umane) (…) in funzione del raggiungimento degli obiettivi di economicità”. Si

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che l’azienda intende perseguire. Secondo questa visione, ogni organizzazione rappresenta un insieme eterogeneo e distintivo di risorse e capacità/competenze a partire dalle quali sviluppare una strategia volta a realizzare un vantaggio competitivo duraturo e difendibile in grado di assicurare condizioni positive di redditività per l’azienda. In particolare, non è sufficiente entrare nei settori/segmenti di mercato più attrattivi e perseguire disegni strategici appropriati (siano essi di imitazione del comportamento dei concorrenti, di mutua cooperazione o di rivalità aperta) ma diviene essenziale perseguire una strategia che riconosca e valorizzi le caratteristiche proprie dell’azienda e sfrutti le sue potenzialità di differenziazione e unicità rispetto alla concorrenza ovvero:

Massimo sfruttamento dei punti di forza dell’organizzazione (risorse e capacità/competenze distintive);

Massimo sfruttamento dei profitti realizzati (per accrescere continuamente risorse e capacità/competenze interne);

Ampliamento della base di differenziazione e unicità (per potenziare costantemente le risorse e le capacità/competenze possedute in vista delle strategie future).

Le risorse rappresentano il complesso di fattori (produttivi e non) disponibili e controllati dall’azienda, utilizzati per lo svolgimento delle operazioni gestionali nell’ambito del sistema interno della produzione, le quali, però, non sono mai direttamente collegate con uno specifico vantaggio competitivo. La loro combinazione e integrazione dà luogo alle

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capacità o competenze che costituiscono ciò che l’organizzazione “sa fare” ovvero le sue attitudini nello svolgimento di determinate attività (produttive e non) e il modo (coordinato o meno) con cui riesce a svolgerle, nonché la sua abilità nell’acquisire skill tecnici, generare know-how e sviluppare processi interni di conoscenza e apprendimento. Le routine organizzative e gestionali si riferiscono, invece, all’insieme di operazioni e di processi produttivo/combinatori che caratterizzano la gestione aziendale e la rendono complessa, a volte, tacita e difficilmente trasmissibile all’interno, intelligibile o meno dall’esterno e, di conseguenza, maggiormente o scarsamente imitabile e replicabile dalla concorrenza come fonte del vantaggio competitivo.

E’ chiaro che la possibilità per un’azienda di conseguire, mantenere e rinnovare nel tempo una posizione preferenziale rispetto alla concorrenza deve tener conto non solo di questi tre aspetti strategici interni (risorse, competenze, routine gestionali) ma deve anche e, soprattutto, saper coniugarli in modo profittevole con i fattori critici di successo attuali e futuri del mercato al fine di realizzare una coerenza e composizione armonica con le condizioni che caratterizzano il settore/segmento di riferimento e i potenziali trend di cambiamento. L’analisi delle cinque forze competitive di Porter trova dunque il suo completamento nella capacità di guardare all’interno del sistema aziendale e, a sua volta, l’approccio RBV non può prescindere dal

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considerare il contesto e le influenze esterne che identificano il campo d’azione dell’organizzazione35.

Le risorse dell’azienda possono essere distinte in fattori tangibili, fattori intangibili e fattore umano. Nel primo caso, si fa riferimento alle risorse finanziarie (in termini di capacità di investimento/indebitamento, …) e ai fattori fisici che condizionano il processo produttivo e la struttura dei costi (caratteristiche di impianti e macchinari, ubicazione, riserve di materie prime, …). Entrambi questi elementi sono facilmente identificabili in quanto figurano all’interno del bilancio di esercizio. Le risorse intangibili (invisible asset o firm specific) costituiscono una parte importante del patrimonio aziendale che, tipicamente, non è presente nelle scritture di periodo e dunque non è sempre immediatamente visibile e riconoscibile. Esse si basano sulla reputazione e sull’immagine che l’azienda ha saputo costruirsi (attraverso il valore e la conoscenza della marca, la qualità e l’affidabilità dei prodotti/servizi e dei suoi rapporti con gli interlocutori sociali, …) nei confronti dei clienti, fornitori, pubblica amministrazione, dipendenti, comunità locale. Inoltre, si fa riferimento alla tecnologia in termini di R&S e proprietà intellettuale (brevetti, copyright, …) e alle risorse disponibili per introdurre innovazioni di prodotto/processo, sviluppare la capacità di previsione dei cambiamenti futuri e la

35

Un valido spunto di riflessione sulla necessità di conciliare la prospettiva rivolta all’ambiente esterno e l’approccio centrato sulle risorse e competenze interne si trova anche in Bertini quando afferma: “Governare oggi le imprese significa, da un lato, intuire i cambiamenti che si possono

determinare sul mercato, e possibilmente anticiparli e svilupparli con adeguate strategie, dall’altro, adeguare la struttura interna dell’azienda ai nuovi piani e programmi”. Si veda: BERTINI, UMBERTO, Scritti di politica aziendale, Torino, Giappichelli Editore, 19953, p. 35

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conseguente flessibilità di risposta necessaria a ridefinire la direzione da seguire nella strategia dell’organizzazione. Infine, si comprende in questa categoria anche la cultura aziendale o sistema delle idee, formato dai valori e dai convincimenti che nel corso del tempo si sono diffusi all’interno dell’azienda e ispirano il suo operare, dal modo di definire gli obiettivi e interpretare i risultati, dallo stile di direzione/gestione, … . Il terzo e ultimo elemento è costituito dal fattore umano ovvero dalle persone che lavorano nell’azienda e dall’insieme di rapporti che si stabiliscono tra loro. Si fa quindi riferimento sia alle abilità tecniche e professionali (conoscenze, capacità, specializzazione, …) che alle caratteristiche psicologiche e relazionali (motivazione, impegno, coesione, …) che si sviluppano all’interno dell’organizzazione e costituiscono una risorsa estremamente importante per realizzare l’obiettivo strategico di “creazione del valore”.

Per quanto riguarda, invece, le capacità aziendali, si tende solitamente a distinguerle in competenze di base o generali (relative allo svolgimento di attività in senso ampio e funzionali all’esecuzione della strategia) e in competenze distintive o specialistiche che, invece, identificano “le attività che un’organizzazione svolge con particolare abilità rispetto ai suoi concorrenti36” e che possono essere aggregate per

dar vita alle competenze generali. Nel corso del tempo e grazie alla continua pratica, esse tendono a divenire delle vere e proprie routine gestionali e organizzative che si sostanziano nella c.d. “catena del

36

(36)

valore37” proposta da M. E. Porter. Essa rappresenta la classificazione

delle attività dell’azienda secondo una logica sequenziale che permette di distinguere le attività primarie, relative al processo produttivo di trasformazione dagli input agli output, fino alla distribuzione sul mercato (ad esempio, acquisto materie prime – progettazione e trasformazione – prodotto finale e controllo qualità – marketing e vendite – servizi di assistenza), dalle attività collaterali di supporto (gestione risorse umane, tecnologia, …). Il modello consente di individuare le competenze necessarie per lo svolgimento di ciascuna attività e considera la dinamica delle operazioni aziendali e il loro essere “attività generatrici di valore per il cliente”. Quest’ultimo si traduce, concretamente, nel prezzo che gli acquirenti sono disposti a pagare per il sistema di prodotto/servizio e, dunque, nei ricavi totali di vendita per l’azienda.

In generale, tanto le risorse quanto le competenze interne all’azienda manifestano un “valore strategico/competitivo” risultante dal loro maggiore o minore contributo nel perseguimento e mantenimento di una soddisfacente posizione di vantaggio competitivo. Secondo questo orientamento, è possibile individuare dei veri e propri requisiti che consentono di giudicare una risorsa o competenza come funzionale al successo dell’organizzazione e, dunque, fattore prioritario da considerare nella formulazione strategica:

37

Con l’espressione “catena del valore” si intende una metodologia che permette di descrivere la struttura di una organizzazione come un insieme limitato di processi o attività generatrici di valore. Si veda: PORTER, MICHAEL E., Competitive Advantage: creating and sustaining superior Performance, New York, Free Press, 1985 trad. it. Il vantaggio competitivo, Milano, Edizioni Comunità, 1987

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Scarsità e natura distintiva: la risorsa o competenza non

deve essere ampiamente disponibile e accessibile nel settore/dai concorrenti e, al tempo stesso, deve risultare distintiva e unica in funzione del sistema di prodotti/servizi che contribuisce a realizzare e/o della struttura interna dell’azienda;

Rilevanza o valenza concorrenziale: la risorsa o competenza

deve essere rilevante in relazione ai fattori critici di successo del mercato ovvero deve consentire di combattere efficacemente la concorrenza e/o creare valore per i clienti (e metterli nelle condizioni di poterlo effettivamente percepire);

Affinità strutturale e coerenza funzionale: la risorsa o la

competenza deve poter esprimere la propria utilità non in sé ma nel complesso di legami che instaura con le altre risorse e competenze e tale valore deve essere fatto proprio all’interno della struttura aziendale;

Non trasferibilità e replicabilità: il valore di una risorsa o

competenza deve poter essere difficilmente trasferibile/acquistabile da un’azienda all’altra (per immobilità geografica, complementarietà tra più risorse/competenze, diverse capacità organizzative e contesti relazionali, …) e, allo stesso modo, deve risultare difficile da imitare o svantaggioso da costruire da parte di un concorrente;

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Durevolezza: la risorsa o la competenza deve permettere di

conseguire e difendere nel tempo (o per un lasso di tempo ritenuto soddisfacente) un vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza;

La strategia fondata sulle risorse e competenze interne dell’azienda richiede un’attenta valutazione circa l’effettiva appropriatezza di determinati fattori per assicurare una posizione di vantaggio competitivo stabile e un’analisi dei punti di forza e di debolezza relativi in rapporto alle caratteristiche della concorrenza. Una tale riflessione è il presupposto necessario per poter gestire adeguatamente le proprie criticità e sfruttare i fattori-chiave di successo in grado di assicurare la massimizzazione del profitto. A tal proposito, è significativo considerare che “la principale determinante delle competenze … [dell’azienda] … non è la dimensione dell’insieme delle sue risorse ma la sua capacità di utilizzarle nel modo più efficiente38” ovvero facendole convergere su pochi

obiettivi ben definiti e su quelle attività che più di altre sono in grado di influenzare il valore percepito dal mercato, accumularle attraverso la replicazione interna e lo sfruttamento dell’esperienza, combinarle per ottenere relazioni di complementarietà, conservarle, svilupparle e rinnovarle nel tempo …

Inoltre, le attuali risorse e competenze dell’organizzazione potranno perdere nel futuro la loro valenza positiva, trasformandosi in vere e proprie rigidità e, quindi, fonti di insuccesso per il sistema 38

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aziendale, così come, al contrario, potrebbero essere combinate in modo originale per espandere l’attività dell’azienda e consentire il suo sviluppo in altri settori/segmenti più redditizi. In particolare, la capacità di migliorare e ridefinire continuamente le proprie risorse e competenze organizzative e l’abilità di crearne sempre di nuove rappresenta un chiaro presupposto per l’innovazione strategica dell’organizzazione e per la continua conquista di risultati economici non livellati dalla concorrenza. Si configura così, nell’ambito della “Resource-based View of the Firm”, un terzo e nuovo approccio strategico/manageriale particolarmente interessante per le aziende che operano in contesti competitivi caratterizzati da rapidi e improvvisi cambiamenti tecnologici e ambientali: il “Dynamic Capabilities Framework”39.

Mentre il modello proposto da Porter si focalizza sull’attrattività e sul posizionamento dell’azienda nell’ambiente settoriale/competitivo ed interpreta il suo comportamento, alla luce della nozione di “concorrenza allargata”, come finalizzato al conseguimento di posizioni uniche o privilegiate sul mercato (c.d. “rendita quasi monopolistica”) e la prospettiva di analisi “Resource-based” si fonda sullo sviluppo di risorse scarse e competenze distintive in grado di valorizzare il carattere interno di differenziazione dell’organizzazione (c.d. “rendita ricardiana”), la teoria delle “dynamic capabilities” si riferisce alla capacità di rinnovare le proprie

39 Questa prospettiva di analisi è nata verso la fine degli anni ’90 come un approccio integrativo e

un’evoluzione della “Resource-Based View” per la ricerca del vantaggio competitivo in ambienti concorrenziali dinamici, caratterizzanti il contesto attuale dell’economia. Per un approfondimento, si veda: TEECE, DAVID J., PISANO, GARY, SHUEN, AMY, Dynamic capabilities and Strategic

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risorse e competenze coerentemente con la mutevolezza dell’ambiente esterno e riadattare continuamente le routine organizzative e gestionali alle nuove strategie manageriali40. L’obiettivo che si pone consiste nella

continua ricerca delle c.d. “rendite schumpeteriane”, che sono legate all’abilità imprenditoriale di sfruttare in modo originale le risorse e le competenze interne, reagire in modo rapido ai cambiamenti esterni, mantenere un continuo orientamento all’innovazione creativa e tecnologica e beneficiare così della carica positiva del rinnovamento e delle nuove prospettive che esso apre per l’acquisizione dei profitti. Come afferma il Bertini, la creatività aziendale diviene il presupposto stesso per l’innovazione (degli obiettivi, dei metodi di gestione, dei processi operativi, …) e quest’ultima è connaturata nel concetto stesso di “strategia” per cui, “se l’innovazione rappresenta il punto di arrivo della creatività aziendale ed il punto di partenza della strategia, tra creatività e strategia sussiste un rapporto di stretta correlazione41”. Tale prospettiva

considera dunque l’organizzazione immersa in un costante processo di cambiamento, “la condizione ideale per la crescita e lo sviluppo del sistema aziendale nella sua complessa realtà42”.

40

L’impatto di tale prospettiva gestionale è tanto più attuale se si considerano le parole del Bertini quando afferma che: “Fare l’imprenditore oggi significa gestire soprattutto l’innovazione, il

cambiamento; prima sul fronte esterno, del mercato, e poi su quello interno, dell’organizzazione”. Si

veda: BERTINI, UMBERTO, Scritti di politica aziendale, Torino, Giappichelli Editore, 19953, p. 35

41

BERTINI, UMBERTO, Scritti di politica aziendale, Torino, Giappichelli Editore, 19953, p. 87

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Il vantaggio competitivo come “vantaggio di

differenziazione”

I due principali modelli di analisi strategica (lo schema delle cinque forze competitive di Porter e l’approccio “Resource-based View”) chiariscono che un’azienda può ottenere il suo obiettivo primario, ovvero una redditività superiore al costo del capitale, sia posizionandosi in un settore attrattivo sia realizzando un vantaggio rispetto alla concorrenza. La conquista, il mantenimento e il rinnovamento di una posizione preferenziale nel contesto competitivo costituisce sicuramente la fonte più importante dei profitti per l’organizzazione e si realizza grazie alla capacità dell’azienda di sviluppare la composizione e la coerenza tra i fattori critici di successo nel settore/mercato di riferimento e il complesso di risorse uniche e competenze appropriate all’interno dell’organizzazione.

In generale, è possibile definire l’asimmetria o il vantaggio competitivo come la capacità (e potenzialità) dell’azienda di ottenere, mantenere e sfruttare in modo continuativo una redditività superiore a quella dei suoi rivali43. Esso nasce a partire da fonti esterne e fonti

interne di cambiamento e dalla loro armonica combinazione a favore dell’organizzazione. Nel primo caso si fa riferimento a fattori quali la domanda del consumatore, il livello dei prezzi, l’evoluzione della tecnologia, … il cui impatto su un settore/segmento può essere maggiore o minore non solo in base alla loro reale entità ma anche in

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considerazione del fatto che l’eterogeneità delle risorse e competenze interne all’azienda determina il perseguimento di strategie differenti e può condurre a risultati altrettanto diversi. Il vantaggio competitivo dipende quindi dalla capacità di identificare e rispondere in modo rapido ed efficace ai cambiamenti esterni e dal saper cogliere le opportunità di profitto che si presentano. L’informazione e la flessibilità di risposta rappresentano, rispettivamente, la risorsa e la competenza principali per prevedere i cambiamenti futuri e, soprattutto, per anticiparli (orientamento pro-attivo) o per adeguare velocemente la propria strategia una volta che le condizioni settoriali/ambientali sono mutate. Da questo punto di vista, maggiore è la capacità dell’azienda di rispondere in modo ottimale ai cambiamenti esterni, minore è la sua dipendenza dalla capacità di previsione degli andamenti futuri.

Per quanto concerne le fonti interne di cambiamento, si considera la portata dell’innovazione strategica (di prodotto, di processo o anche nuovi modi di svolgere una stessa attività) sia come determinante del vantaggio competitivo sia, soprattutto, come presupposto per cogliere di sorpresa gli avversari e rovesciare la loro posizione preferenziale. Sono dunque necessarie intuizione e capacità creative superiori tali da poter riorganizzare le attività nella “catena del valore”, sviluppare nuovi modi di concorrere in un settore/segmento e cambiare le “regole del gioco” a

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tutto vantaggio delle proprie risorse e competenze distintive, dei punti di forza innovativi e, ovviamente, delle opportunità di mercato44.

Una volta conseguita la posizione di asimmetria competitiva, diviene essenziale per l’azienda riuscire a conservarla e sfruttarla nel medio/lungo termine (o almeno per un periodo di tempo giudicato soddisfacente). Così come la concorrenza fornisce l’input per stabilire un vantaggio sul mercato, al tempo stesso, può rappresentare la prima causa di erosione e perdita della redditività superiore alla media attraverso le strategie di innovazione o di imitazione del miglior concorrente. Diviene così fondamentale saper difendere il proprio vantaggio competitivo dagli attacchi delle organizzazioni rivali, innalzando vere e proprie barriere all’imitazione o sviluppando i c.d. meccanismi di isolamento. In particolare, si tratta per l’azienda di riuscire a nascondere le proprie performance superiori ovvero occultare i risultati positivi in termini di redditività e, se necessario, rinunciare agli stessi profitti nel breve periodo in modo tale da scoraggiare eventuali attacchi dannosi da parte dei concorrenti attuali e potenziali. Nell’ambito del comportamento competitivo, inoltre, l’azienda può svolgere un’azione di dissuasione nei confronti della concorrenza, facendole credere che la strategia imitativa non le è conveniente o che il suo perseguimento non la porterà ad ottenere una redditività superiore, oppure può semplicemente emettere

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Il concetto di “creatività” assume un rilievo centrale nelle considerazioni del Bertini, secondo il quale: “agisce come un fattore innovativo dei processi di gestione”. È dunque una manifestazione del pensiero produttivo dell’azienda a tutti i livelli (imprenditoriale, manageriale e operativo) suscettiva di tradursi in un miglioramento delle condizioni di economicità per l’azienda. Si veda: BERTINI, UMBERTO, Scritti di politica aziendale, Torino, Giappichelli Editore, 19953, pp. 79-94

Riferimenti