Lorenzo Mancini Filosofia La Rettorica – La costituzione della rettorica
Carlo Michelstaedter, dopo aver trattato, nella prima parte, della persuasione, inizia a introdurre
“La Rettorica”. Questo secondo momento è suddiviso in tre parti: la rettorica , la costituzione della rettorica e la rettorica nella vita. Se l' uomo ha da affrontare la propria vita nella sua attualità come un falco, che nel suo slancio equilibrato si libra sicuro verso l' alto non temendo l' incertezza del vento che lo sferza, deve stare bene attento a non farsi tirare in basso dall'illusorietà del suo slancio.
“Le cornacchie nel loro volo pesante, ad ogni levar d' ala s' abbassano col corpo e non più il corpo leva le ali che le ali non abbassino il corpo..”. Questo è il punto nodale dove si gioca l' autenticità della persuasione: arrivare a una illusione persuasa per essere dei falchi e non ad una persuasione illusoria per finire ad affondare come delle cornacchie. Ecco che qui, non solo si sente una critica incalzante dell'autore verso l' individuo della società rettoricizzata, ma un' aspra denuncia verso la civiltà e la scienza moderna.
“Perchè amarono la gloria degli uomini più che la gloria di dio” (Giovanni) ma gli uomini non riescono a continuare per questa strada, il percorso è troppo pesante, “la voce del dolore troppo forte” e la solitudine, nel buio della vera realtà, è oscura. Per questo essi creano un sapere, una scienza, uno stato, un dio sofferente e una persona assoluta, che reggano di fronte all'irragionevole condizione in cui si trovano. Alcuni chiedono una benda per coprire i propri occhi, altri invece cercano di guardare, ma soltanto indietro possono voltarsi per cercare la propria certezza, un costrutto che nasca dal proprio “ero”, ma che li fa perdere inevitabilmente nell'inattualità della propria affermazione. Cercano il proprio “in sé” trascendendosi, perdendo la propria evenemenzialità del presente e l' attualità, che inesorabilmente vivono solo biologicamente.
Il presente è solo in quanto “era”. Proprio per questo gli uomini continuano erroneamente a voltarsi, riconoscono nel passato l' in sé della propria persona, e costituiscono quel processo di perseità finalizzata a rincorrere il mancante.
Michelstaedter porta come esempio la figura di Orfeo che perse la sua potenza, la sua persona, il suo fine, voltandosi indietro; colui che aveva osato sfidare gli dei, per riprendere dagli inferi Euridice, si volta, nell'incertezza, dimenticando la sua persuasione. Questo esempio ci fa capire come la linea tra persuasione e illusione sia veramente flebile e come si possa in un attimo ricadere nel baratro incessante della rettorica. La difficoltà nel sostenere la vita del persuaso, il dolore instancabile, la pena della morte, la coscienza della frammentarietà e della complicata azione nel non subire la storia, porta l' uomo a decorare il buio che lo avvolge e a gonfiare il nulla. Così egli non ha il “coraggio di permanere” nell'oscurità e cerca la mano dell'altro solo per cercare se stesso,
per dire a se: ”io sono, tu sei, noi siamo, perché l' altro gli faccia da specchio e gli dica:” tu sei, io sono, noi siamo”(pag 99). L' altro, quindi, è utilizzato solo per un' affermazione errata di sé, per fingere un correlativo alla persuasione che crede d' avere. In questo modo gli uomini arrivano a stordirsi l' uno con l' altro e a continuare il cerchio illusorio della vita.
Michelstaedter definisce la rettorica come “l' inadeguata affermazione d' individualità”. Tutto ciò conduce l' uomo fuori dalla vera attualità e dalla sua potenza: l' uomo ”è impotente”. Michelstaedter cita Giovanni:”In quanto non vedete sareste ciechi, ma voi dite:”Noi vediamo” , il vostro peccato rimane”. La cecità è l' estrema convinzione nell'affermazione costruita, ma in realtà impotente ,che rafforza la propria perseità. Infatti subito dopo si afferma: “Qualunque cosa uno dice, niente dice ma si giustifica”.
Questo vale soprattutto nel momento in cui l' uomo dice:”io so”. Si cerca un valore assoluto e stabile nel quale ci si affermi come assoluto, ma questo risulterà sempre posto da se stessi, come un pensiero che pone un pensiero, come un' autocoscienza che coglie solo se stessa nella razionalità del reale. “L' Assoluto non l' ho finché non sono Assoluto!” e ancora: “ L' assoluto, non l' ho mai conosciuto, ma lo conosco così come chi soffre d' insonnia conosce il sonno, come chi guarda l'oscurità conosce la luce. Questo so, che la mia coscienza, corporea o animale che sia, è fatta di deficienza..”. Ma l' uomo pensa di sapere e dice “io so” . In questa affermazione non conosce la persona volente di dire ciò che sente (“questo è”), ma “vuole se stesso volente” e questo lo porta inesorabilmente a non saper più nulla, se non che vuole sapere (“io so che questo è”). Così il finto persuaso inizia ad inventare il sapere e a creare ragnatele concettuali nelle quali dimentica il suo essere. E' l' agitare concetti lo scopo del soggetto conoscente, condotto alla vuotezza del presente e alla cura fittizia del futuro, nella quale perde tutto il suo essere. Proprio per questo Michelstaedter rilegge il cogito, non nella maniera più “tronfia “ della cultura occidentale, ma attribuendogli il significato di “voglio”, “cerco di sapere” rileggendo la formula cartesiana in questo modo:”Cogito
= non-entia coagito, ergo non sum”. L' uomo del sapere non partecipa all'essere ma rimane ingabbiato in una onticità, non cogliendo quello svelamento, che dà ampio respiro alla vita nascosta dell'ente, e che muore sotto le impalcature del pensiero, che pone se stesso. Questa è la costituzione della rettorica, un fascio di luminosità apollinea del sapere.
Nella costituzione della rettorica, come già accennato più sopra, Michelstaedter, dopo aver analizzato la filosofia e la sua impossibilità di stringere la “vita vera” attraverso il suo linguaggio, passa a criticare la scienza e la sua pretesa di poter arrivare ad una conoscenza oggettiva della realtà. L' esperienza che si può avere della realtà è solo di parte, poiché nell'osservazione dei dati non si può eliminare la presenza dello scienziato e quindi della sua soggettività (“Ma l' occhio sa
quello che sa solo in quanto vostro occhio”). In questo senso “esperienza davvero oggettiva sarebbe solo il pieno compenetrarsi del soggetto nell'oggetto, il loro pieno essere uno; ma la scienza rifugge da tale eventualità, perché sa che sarebbe insieme la sua apoteosi e la sua morte..”(Enciclopedia Filosofica Bompiani-voce Carlo Michelstaedter pag 7420). Non esiste oggettività anche essa è soggettività, è tutto il sapere assoluto adesso. L' oggettività è inorganica, è come la bocca staccata dal corpo che non mangia più per l' intero sistema, ma solo per se stessa (“liquida voluptas”). Ma cosa può fare uno scienziato, secondo Michelstaedter, per arrivare all'oggettività? O meglio, se vi è un' oggettività, come si può raggiungere? L' autore cita l' esperimento di Gilliatt, protagonista del romanzo “I lavoratori del mare” di Victor Hugo, che seduto su uno scoglio si lascia sommergere dall'alta marea mentre guarda la donna che ama fuggire con un altro uomo. L' uomo sommerso dall'acqua, che non solleverà il suo capo per riprendere aria, ”si potrà dire in possesso finito dell'infinita potestas: egli avrà conosciuto sé stesso e avrà l' assoluta conoscenza oggettiva- nell'incoscienza”. Qui si leggono dei rimandi all'imminente suicidio del filosofo; egli considera il suicidio come un “venire a ferri corti con la vita”, come il finir di “girarsi nella schiavitù di ciò che non conosce”, rifiutando l' “offa di parole vuote”. Ma non potrebbe soltanto essere una affermazione perenne della propria perdita? Un inginocchiarsi di fronte alla menzogna e quindi un infinita rettorica studiata ad hoc?
“E' più facile educare le proprie dita ad un disperato acrobatismo che intendere ciò che si suona”
La scienza rimane il motore dello sviluppo di questa civiltà, che, attraverso il progresso ha portato, ad un potere esasperato, scambiando la scelta deliberativa del mezzo come fine. Allo sviluppo della civiltà corrisponde un regresso dell'individuo, dove il necessitarismo artificiale creato dalla società odierna è direttamente proporzionale alla contingenza negativa del singolo. Il soggetto si trova nei binari instaurati dal sistema, dal finto benessere e dalla sicurezza di polizia, che lo rendono non autosufficiente a se stesso, rettoricizzato. Il consumismo, nel quale è inserito, ostacola la sua persuasione. In tutto ciò ha ruolo fondamentale la religione che rende gli uomini non bisognosi di una persuasione “poiché da quando sono nati, qualunque cosa facciano o dicano, hanno già il privilegio di un' anima immortale che li accompagna dalle braccia della balia..fino al letto di morte”(pag 96). L' uomo ha creato un Dio che ha sacrificato se stesso per l' intera umanità, un dio storicizzato che non lasci l' uomo nella solitudine della sofferenza. Cristo è salvatore solo di se stesso come uomo, non dell'umanità, poiché non si può aspettare la salvezza da nessuno (ne da l' altro, ne da Gesù). Con l' agonia di un dio l' uomo risolve la distruzione e la frammentarietà che non riesce, in vita, a fronteggiare da persuaso e, con il sacrificio, con il “cruor dei”, egli trova la risoluzione alla sua sofferenza. “Soltanto la sofferenza di Dio, e la più pietosa, poteva alleviare l' agonia degli uomini”.
“È un brusio la vita, e questi persi in essa, la perdono serenamente, se il cuore ne hanno pieno: a godersi
eccoli, miseri, la sera: e potente in essi, inermi, per essi, il mito
rinasce... Ma io, con il cuore cosciente
di chi soltanto nella storia ha vita, potrò mai più con pura passione operare, se so che la nostra storia è finita?”
“le ceneri di Gramsci” Pierpaolo Pasolini
Bibliografia:
1) Carlo Michelstaedter: “La Persuasione e la Rettorica”. Adelphi Editore 2) Enciclopedia Filosofica Bompiani Vol. 11. Bompiani Editore
3) Pierpaolo Pasolini: “Le ceneri di Gamsci”. Poesia “le ceneri di Gramsci”(VI). Garzanti Editore 2010.
4) Albert Camus: “L' uomo in rivolta”. Bompiani Editore 2012 (rivolta metafisica)