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Le misure di contrasto all’evasione fiscale previste nel D.L

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IL NUOVO REATO DI FALSE ESIBIZIONI DOCUMENTALI E FALSE COMUNICAZIONI AL FISCO.

Parte prima.

1. Le misure di contrasto all’evasione fiscale previste nel D.L.

201/2011.

Il D.L. 6 dicembre 2011, n. 201,1 convertito con la legge 22 dicembre 2011, n. 214, recante “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”, introduce significative misure volte al recupero di base imponibile sottratta ad imposizione.

Si tratta, infatti, di interventi in via diretta e mediata, i quali però sono suscettibili di dispiegare effetti dirompenti non solo sul sistema tributario italiano, ma anche sulle abitudini di vita dei contribuenti stessi.2

Tra i diversi provvedimenti, varati con il decreto legge in esame, prendendo in considerazione il Capo I rubricato “Misure per l’emersione di base imponibile e la trasparenza fiscale”, ricordiamo:

il regime premiale per favorire la trasparenza per professionisti, imprese individuali e società di persone (art. 10), l’emersione di base imponibile (art. 11) e la riduzione del limite di tracciabilità dei pagamenti a 1000 euro e contrasto all’uso del contante (art. 12).

2. Il regime per favorire la trasparenza.

In particolare, l’art. 10 del D.L. 201/2011, rubricato “Regime per favorire la trasparenza”, sancisce una serie di disposizioni volte ad agevolare il dialogo tra il Fisco e contribuente, al fine di evitare così futuri contenziosi.

1 Comunemente noto come “Decreto salva-Italia”.

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La previsione in esame, è indirizzata a categorie di contribuenti ben specifiche, dalle quali sono escluse però le società di capitali; si tratta infatti, comma 1, di un ambito di applicazione soggettivo piuttosto esteso, rivolto più espressamente, a soggetti che svolgono un’attività artistica o professionale ovvero attività di impresa in forma individuale, in forma associativa ovvero, infine, nella forma di società di persone.

Ai soggetti indicati, dunque, sono offerti i seguenti benefici:

a) la semplificazione degli adempimenti amministrativi;

b) l’assistenza negli adempimenti amministrativi da parte dell’Amministrazione finanziaria;

c) l’accelerazione del rimborso o della compensazione dei crediti IVA;

d) l’esclusione da determinate tipologie di accertamento induttivo per i contribuenti non soggetti agli studi di settore;

e) la riduzione di un anno del termine per l’accertamento fiscale, eccezion fatta per le ipotesi di violazioni che comportano obbligo di denuncia penale (ex art. 331 c.p.p.), per le quali scatta comunque il raddoppio dei termini ordinari.

Si tratta però, nella specie sub a), b) e c), di una serie di vantaggi che, per espressa previsione del successivo comma 3, saranno individuati in modo specifico e dettagliato da un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate con particolare riferimento agli obblighi concernenti l'imposta sul valore aggiunto e gli adempimenti dei sostituti d'imposta. È un regime premiale ancora da definire.

Più precisamente, con tale provvedimento potrà essere prevista:

− la predisposizione automatica da parte dell'Agenzia delle Entrate delle liquidazioni periodiche IVA, dei modelli di versamento

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e della dichiarazione IVA, eventualmente previo invio telematico da parte del contribuente di ulteriori informazioni necessarie;

− la predisposizione automatica da parte dell'Agenzia delle Entrate del modello 770 semplificato, del modello CUD e dei modelli di versamento periodico delle ritenute, nonché gestione degli esiti dell'assistenza fiscale, eventualmente previo invio telematico da parte del sostituto o del contribuente delle ulteriori informazioni necessarie;

− la soppressione dell'obbligo di certificazione dei corrispettivi mediante scontrino o ricevuta fiscale;

− l’anticipazione del termine di compensazione del credito IVA, abolizione del visto di conformità per compensazioni superiori a 15.000 euro ed esonero dalla prestazione della garanzia per i rimborsi IVA.

Per poter accedere al nuovo regime premiale della trasparenza, il comma 2, individua gli obblighi che dovranno essere rispettati dal contribuente. Questi infatti è tenuto:

• all’invio telematico all’Amministrazione finanziaria dei corrispettivi, delle fatture emesse e ricevute e delle risultanze degli acquisti e delle cessioni non soggetti a fattura;

• ad istituire un conto corrente dedicato ai movimenti finanziari inerenti l’attività svolta;

• al pieno rispetto della normativa antiriciclaggio (attualmente consistente nel non operare transazioni in contanti pari o superiori a 1.000 euro).

Il regime premiale della trasparenza si applica a partire dalle dichiarazioni del periodo di imposta 2011, dietro opzione da esercitare, in virtù del comma 6, in sede di dichiarazione dei redditi

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presentata nel periodo di imposta precedente a quello di sua applicazione (in pratica 2012 per chi ha inteso adottare il nuovo regime premiale dal 2013).

Inoltre, per i contribuenti in contabilità semplificata,3 il comma 4, prevede ulteriori misure di favore.

Le agevolazioni, giustappunto, consisteranno:

a) nella determinazione del reddito IRPEF secondo il criterio di cassa4 e predisposizione in forma automatica da parte dell'Agenzia delle entrate delle dichiarazioni IRPEF ed IRAP;

b) nell’esonero dalla tenuta delle scritture contabili rilevanti ai fini delle imposte sui redditi e dell'IRAP e dalla tenuta del registro dei beni ammortizzabili;

c) esonero dalle liquidazioni, dai versamenti periodici e dal versamento dell'acconto ai fini IVA.

In linea con il provvedimento analizzato, il comma 9, prevede anche agevolazioni per i contribuenti soggetti al regime di accertamento basato sugli studi di settore5 e “che dichiarano, anche per effetto

3 Il regime di contabilità semplificata è il regime “naturale”, ovvero quel regime che si applica senza che sia necessario esercitare alcuna opzione, a prescindere dall’attività svolta, per le imprese individuali esercitate anche in forma di imprese familiari e per quelle collettive esercitate sotto forma di società di persone e assimilate, quando i ricavi riferiti all’anno precedente a quello in corso o quelli previsti per le nuove imprese non superano i limiti che sono stati introdotti con il D.L. n. 70/2011 (c.d. “Decreto Sviluppo”), ossia:

per le imprese esercenti attività di prestazioni di servizi, 400.000,00 euro;

per le imprese esercenti attività diverse dalla prestazione di servizi, quali la cessione di beni, 700.000,00 euro.

I precedenti limiti, in vigore fino al 31 dicembre 2010, erano di euro 309.874,14, per le imprese esercenti attività di servizi, e di euro 516.456,90, per le imprese esercenti attività diverse dalle prestazioni di servizi.

Infine, nel caso di imprese che svolgono contemporaneamente attività di prestazione di servizi e altre attività, il limite dei ricavi per essere considerate imprese “minori” varia a seconda che l’imprenditore tenga una contabilità univoca ovvero contabilità separate per ogni attività.

Nel primo caso infatti, si considerano prevalenti le attività diverse dai servizi e, pertanto, il limite da tenere in considerazione è sempre di 700.000,00 euro.

Nel secondo invece, se l’imprenditore ha optato per una contabilità con separata annotazione dei ricavi per ciascuna attività, bisognerà prendere in considerazione l’ammontare dei ricavi relativo all’effettiva attività prevalente, individuati con riferimento a quella che ha conseguito il maggiore ammontare dei ricavi.

4 In base al principio di cassa, l’imputazione temporale dei componenti negativi e positivi che concorrono a determinare il reddito di impresa assumono rilievo quando avvengono i pagamenti e gli incassi.

5 Gli studi di settore, elaborati mediante analisi economiche e tecniche statistico-matematiche, consentono di stimare i ricavi o i compensi che possono essere attribuiti al contribuente.

Individuano, a tal fine, le relazioni esistenti tra le variabili strutturali e contabili delle imprese e dei lavoratori autonomi con riferimento al settore economico di appartenenza, ai processi produttivi

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dell'adeguamento, ricavi o compensi pari o superiori a quelli risultanti dell'applicazione degli studi medesimi”. In pratica, per costoro sono preclusi gli accertamenti basati su presunzioni semplici e ridotti di un anno i termini di decadenza dell’accertamento. Altresì, l’accertamento sintetico è consentito solo se il reddito complessivo accertabile ecceda almeno di un terzo quello dichiarato. I benefici, ai sensi del comma 10, si applicano a condizione che il contribuente, oltre ad essere coerente con gli studi medesimi, abbia regolarmente assolto agli obblighi di comunicazione dei dati.

Infine, è d’obbligo segnalare, come sostiene autorevole dottrina6, che questa misura si fonda esclusivamente su base volontaristica: il contribuente, il quale peraltro dovrebbe sentirsi attratto dalle misure premiali previste in contraccambio, procede a comunicare di sua iniziativa all’Amministrazione finanziaria dati e informazioni che riguardano la propria attività.

A tal proposito, la previsione di cui al comma 8, prevede espressamente che i soggetti che non adempiono a tale sistema di scambio “reciproco”, contravvenendo peraltro a quanto dispone il D.

Lgs. 21 novembre 2007, n. 231 in tema di antiriciclaggio, decadranno interamente dalla possibilità di avvalersi del regime premiale e, inoltre, saranno soggetti a una sanzione amministrativa compresa tra 1.500 e 4.000 euro.7

utilizzati, all’organizzazione, ai prodotti e servizi oggetto dell’attività, alla localizzazione geografica e agli altri elementi significativi (ad esempio area di vendita, andamento della domanda, livello dei prezzi, concorrenza, ecc.). Gli studi di settore sono utilizzati dal contribuente per verificare, in fase dichiarativa, il posizionamento rispetto alla congruità (il contribuente è congruo se i ricavi o i compensi dichiarati sono uguali o superiori a quelli stimati dallo studio, tenuto conto delle risultanze derivanti dall’applicazione degli indicatori di normalità economica) e alla coerenza (la coerenza misura il comportamento del contribuente rispetto ai valori di indicatori economici predeterminati, per ciascuna attività, dallo studio di settore), e dall’Amministrazione finanziaria quale ausilio all’attività di controllo. www.agenziaentrate.gov.it

6 Cosi, F. TUNDO, ” Consumatori, Diritti e Mercato”, cit.

7 Il comma in esame, del D.L. 201/2011, inoltre afferma che “i soggetti che adempiono agli obblighi di cui al comma 2, lettera a) con un ritardo non superiore a 90 giorni non decadono dai benefici medesimi, ferma restando l'applicazione della sanzione di cui al primo periodo, per la quale è possibile avvalersi dell'istituto del ravvedimento operoso di cui all'articolo 13 del decreto legislativo

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3. Emersione di base imponibile.

Il comma 1, dell’art. 11, prevede l’applicazione di sanzioni penali per tutti coloro i quali esibiscano o trasmettano al Fisco, ove richiesto, atti o documenti falsi.

Come si avrà modo di vedere più avanti, in maniera attenta e dettagliata, la “trasmissione o l'esibizione di atti o documenti falsi in tutto o in parte” ovvero “la fornitura di dati e notizie non rispondenti al vero”, in occasione di richieste da parte degli organi di accertamento effettuate nell’esercizio dei poteri di cui “agli articoli 32 (Poteri degli Uffici) e 33 (Accessi, verifiche e ispezioni) del D.P.R. n.

600/1973”, nonché “degli articoli 51 (Attribuzioni e poteri degli uffici IVA) e 52 (Accessi, verifiche e ispezioni) del D.P.R. n. 633/1972”, è sanzionata penalmente.

Per rendere effettivi i poteri dell’Amministrazione finanziaria, allo scopo di recuperare base imponibile sottratta a tassazione, il comma 2, prevede specificatamente che, a decorrere dal 1° gennaio 2012, gli operatori finanziari sono obbligati a comunicare periodicamente all’Anagrafe tributaria alcune movimentazioni finanziarie8 (dai conti correnti ai conti deposito) e, inoltre, ogni altra informazione, relativa ai predetti rapporti, utile ai fini dei controlli fiscali (cc. dd. operazioni

“fuori conto”: dalla richiesta di assegni e contanti, alla richiesta di bonifici per contatti, al cambio di valuta o al cambio di assegni), compresi gli importi delle singole operazioni finanziarie effettuate dai contribuenti.

I dati comunicati saranno poi archiviati, in virtù dell’art. 7, comma 6, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 605 (modificato dall’art. 63 del D.

Lgs. n. 231/2007), nell’apposita sezione dell’Anagrafe tributaria.

8 Le movimentazioni interessate sono quelle recate dall’art. 7, comma 6, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 605 (“Disposizioni relative all’Anagrafe tributaria e al “codice fiscale” dei contribuenti”), vale a dire quelle intrattenute dal contribuente con gli operatori finanziari (banche, la società di Poste Italiane S.p.A., gli intermediari finanziari, le imprese di investimento, gli organismi di investimento collettivo del risparmio, le società di gestione del risparmio, etc), nonché ogni altra operazione di natura finanziaria, a esclusione di quelli effettuati tramite bollettino di conto corrente per un importo unitario inferiore a 1500 euro.

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Obiettivo della disposizione in esame, secondo autorevole dottrina, è quello di “superare una situazione definita paradossale, ovvero la circostanza che le informazioni relative ai rapporti di natura finanziaria possano essere acquisite solo a seguito dell’avvio di un controllo fiscale e non al fine, ancora più importante di utilizzarle per le analisi del rischio di evasione propedeutica alla selezione delle posizioni da controllare”.9

Il successivo comma 3, statuisce, in maniera piuttosto generica, che con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, di concerto con le associazioni di categoria degli operatori finanziari e con il Garante per la protezione dei dati personali,10 saranno definite le modalità di comunicazione e di utilizzo dei dati raccolti, eventualmente estendendo l’obbligo informativo a ulteriori dati che si dovessero rivelare necessari ai fini dei controlli fiscali.

Inoltre, in virtù del comma 5, è stato abrogato il comma 36-undevicies dell'articolo 2 del D.L. 13 agosto 2011, n. 138,11 che prevedeva la possibilità per l’Agenzia delle Entrate di procedere all’elaborazione di specifiche liste selettive di contribuenti da sottoporre a controllo, basate su informazioni relative ai rapporti finanziari e relative operazioni.

Parallelamente, al comma 4, del menzionato art. 11, il legislatore ha previsto testualmente che: “oltre che ai fini previsti dall'articolo 7, undicesimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605, le informazioni comunicate ai sensi dell'articolo 7, sesto comma, del predetto decreto e del precedente

9 In tal senso, L. FERRAJOLI, “Provvedimenti antievasione nella manovra «Salva Italia»”, il Sole 24 Ore, n.2- febbraio 2012, p. 25.

10 Il Garante per la protezione dei dati personali è un’autorità amministrativa indipendente istituita dalla c.d. “Legge sulla Privacy” (Legge 31 dicembre 1996, n. 675) – che ha attuato nel nostro ordinamento giuridico italiano la Direttiva Comunitaria 96/46/CE – e oggi disciplinata del Codice in materia di protezione dei dati personali (D.L. 30 Giugno 2003, n. 196). Esso è un organo collegiale composto da quattro membri eletti dal Parlamento, i quali rimangono in carica per un mandato di sette anni non rinnovabile. Tra i diversi compiti, specificatamente richiamati dal Codice in materia di protezione dei dati personali e da altre fonti normative nazionali e comunitarie, il Garante si occupa di tutti gli ambiti, pubblici e privati, nei quali occorre assicurare il corretto trattamento dei dati e il rispetto dei diritti delle persone connessi all’utilizzo delle informazioni personali; www.garanteprivacy.it

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comma 2 sono utilizzate dall'Agenzia delle Entrate per l'elaborazione con procedure centralizzate, secondo i criteri individuati con provvedimento del Direttore della medesima Agenzia, di specifiche liste selettive di contribuenti a maggior rischio di evasione”.

Dunque, tali comunicazioni all’Anagrafe tributaria devono essere utilizzate – oltre che quale “base dati” per risposte immediate alle richieste di indagini finanziarie formulate ai sensi dell’art. 32, comma 1, n. 7) del D.P.R. n. 600/1973 e successive modificazioni e dell’art.

51, comma 2, n. 7) del D.P.R. n. 633/1972 e successive modificazioni12 – anche per individuare i “contribuenti a maggior rischio di evasione da sottoporre a successivo controllo fiscale”.

Al di fuori di queste succitate ipotesi, pertanto, l’Agenzia delle Entrate non può automaticamente utilizzare i dati contabili per motivare gli eventuali accertamenti fiscali, con la conseguente e relativa inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, ma ne può usufruire solo come spunto per richiedere agli operatori finanziari, previa la necessaria autorizzazione, i dati, le notizie e i documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati, con i loro clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi.

Per tanto, prima della manovra “salva-Italia” vi era la possibilità, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di acquisire i dati finanziari solo ad attività di controllo già avviata; successivamente invece, in base ai commi 2, 3 e 4 dell’art. 11, incombe un vero e proprio obbligo in capo agli operatori finanziari di comunicare periodicamente, all’Anagrafe tributaria:

− le movimentazioni relative ai rapporti di natura finanziaria effettuati dai contribuenti per conto proprio ovvero per conto

12 In particolare, si tratta di disposizioni che prevedono tassativamente la preventiva autorizzazione del Direttore centrale dell’accertamento dell’Agenzia delle Entrate o del Direttore regionale della stessa ovvero, per i reparti operativi della Guardia di Finanza, del Comandante regionale.

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o per nome di terzi;

− ogni informazione pertinente ai predetti rapporti necessari ai fini dei controlli fiscali;

− infine, l’importo delle operazioni suddette.

Questa accozzaglia di comunicazioni e informazioni contabili, tuttavia, indirizzate all’Anagrafe tributaria, non possono essere indistintamente utilizzate dall’Agenzia delle Entrate ai fini di accertamento, che deve, pertanto, sempre richiedere le preventive autorizzazioni.

Il legislatore, al successivo comma 6, dispone l’obbligo, in capo all’Istituto Nazionale della previdenza sociale (INPS), di fornire i dati relativi a posizioni di oggetti destinatari di prestazioni socio- assistenziali.

Più precisamente, l’INPS ha l’obbligo di fornire all'Agenzia delle Entrate ed alla Guardia di Finanza i dati relativi alle posizioni di soggetti destinatari di prestazioni socio-assistenziali, affinché vengano considerati ai fini della effettuazione di controlli sulla fedeltà dei redditi dichiarati, basati su specifiche analisi del rischio di evasione.

Infine, con il comma 7, sono state apportate alcune modifiche alle garanzie previste dal D.L. n. 70/2011 (c.d. “Decreto Sviluppo”), convertito con modifiche nella legge 12 luglio 2011, n. 106 , in tema di accessi e controlli da parte degli organi finanziari nonché ai tempi di permanenza dei verificatori presso la sede del contribuente.

In particolare, allo scopo di ridurre il peso della burocrazia che grava sulle imprese, e più in generale sui contribuenti, il legislatore aveva previsto che, esclusi i casi straordinari di controlli per salute, giustizia ed emergenza, il controllo amministrativo in forma d’accesso effettuato da parte di qualsiasi autorità competente e deputata ai controlli, doveva essere oggetto di programmazione da parte degli enti

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competenti e di coordinamento tra i vari soggetti interessati al fine di evitare duplicazioni e sovrapposizioni nell’attività di controllo.

Inoltre, per la Guardia di Finanza, il legislatore aveva stabilito che

‘‘negli accessi di propria competenza presso le imprese, dovrà operare, per quanto possibile, in borghese’’ (art. 7 comma 1, del D.L.

n. 70/2011), al fine di ridurre al massimo la possibile turbativa, a danno del contribuente, scaturente dall’effettuazione dei controlli amministrativi o fiscali presso la sua azienda.

Altresì, erano state apportate delle modifiche alla disciplina in materia di accessi e controlli, prevedendo come limite massimo temporale per il controllo, la cadenza semestrale e una durata non superiore a quindici giorni.

Gli atti compiuti in violazione di tale regole avrebbero costituito, per i dipendenti pubblici, illecito disciplinare.

Lo stesso provvedimento prevedeva, per le verifiche fiscali dei contribuenti minori (imprese individuali e lavoratori autonomi) in contabilità semplificata, termini di durata più restrittivi in caso accessi e ispezioni a carattere fiscale nonché il principio secondo cui è possibile effettuare un solo accesso a cadenza semestrale presso la sede dei contribuenti.

Con l’art. 11, comma 7 del D.L. n. 201/2011 invece il legislatore modifica parte delle disposizioni contenute nell’ art. 7 del c.d.

“Decreto Sviluppo”.

In particolare si dispone che: “esclusi i casi straordinari di controlli per salute, giustizia ed emergenza, il controllo amministrativo in forma d’accesso da parte di qualsiasi autorità competente deve essere oggetto di programmazione da parte degli enti competenti e di coordinamento tra i vari soggetti interessati al fine di evitare duplicazioni e sovrapposizioni nell’attività di controllo. Codificando la prassi, la Guardia di Finanza, negli accessi di propria competenza

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presso le imprese, opera, per quanto possibile, in borghese”.

Le altre disposizioni previste dal Decreto Sviluppo (più precisamente l’art. 7 comma 2 lett. a) a i numeri 3) e 4) del D.L. 70/2011) vengono abrogate.

Dalla modifica normativa apportata con il D.L. n. 201/2011 conseguono, pertanto:

− l’eliminazione della norma che vietava di effettuare controlli ripetuti presso lo stesso contribuente nell’arco di un semestre e di durata superiore a quindici giorni;

− l’eliminazione delle disposizioni relative all’ illecito disciplinare, per i dipendenti pubblici, qualora abbiano adottato atti e provvedimenti, anche sanzionatori, in violazione del principio di contestualità ed unicità dei controlli, della loro cadenza semestrale e del termine massimo di permanenza dei verificatori.

Nessuna modifica, invece, ha riguardato l’art. 7, comma 2, lett. c), del D.L. 70/2011, che, modificando l’art. 12 dello “Statuto dei diritti del contribuente”, aveva introdotto, una durata massima di quindici giorni lavorativi contenuti nell'arco di non più di un trimestre, per le verifiche fiscali svolte presso la sede di imprese in contabilità semplificata e lavoratori autonomi.

Pertanto, per i contribuenti minori resta fermo il predetto limite di durata delle verifiche, mentre per gli altri contribuenti la durata massima di permanenza dei verificatori presso la sede dell’’impresa è di trenta giorni lavorativi, prorogabili di ulteriori trenta giorni in caso di particolare complessità dell'indagine individuati e motivati dal dirigente dell'ufficio.

Saranno quindi possibili più controlli amministrativi presso lo stesso contribuente nell’arco di un semestre, purché programmati e coordinati.

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4. Riduzione del limite per la tracciabilità dei pagamenti a 1.000 euro e contrasto all'uso del contante.

Tra le novità introdotte dal D.L. n. 201/2011, c’è la normativa sulla tracciabilità dei pagamenti,13 che abbassa ulteriormente la soglia per le transazioni finanziarie in contanti o trasferimenti di libretti di deposito al portatore, o di titoli al portatore.

Il limite è stato infatti portato, in virtù dell’art. 12, a 1.000 euro, quindi riducendo notevolmente il precedente limite di 2.500 euro previsto dall’art. 2 del D. L. 13 Agosto 2011, n. 138.

Per giunta, viene chiarito, che i pagamenti frazionati artificiosamente verranno punite dalla legge.

Il legislatore, con l’articolo in esame, sancisce che costituiscono operazioni vietate:

• il trasferimento di denaro contante, o di libretti di deposito bancario o postale al portatore, o di titoli al portatore fra soggetti diversi per importo pari o superiore a 1.000 euro. Il trasferimento è vietato anche quando è eseguito con più pagamenti inferiori alla soglia che appaiono però artificiosamente frazionati;

• i pagamenti effettuati attraverso assegni bancari, postali e circolari e vaglia postali e cambiari emessi per importo pari o

13 La normativa “antiriciclaggio” ha subito, dal punto di vista delle conseguenze fiscali e dei limiti di tracciabilità dei pagamenti, un’evoluzione normativa identificabile nelle seguenti fasi:

dal 1991 al 29 aprile 2008, in virtù della legge n. 197/1991, il limite era fissato a 12.500 euro;

dal 30 aprile 2008 al 24 giugno 208, mediante il D.L. n. 223/2006, il limite è stato ridotto a 5.000 euro;

dal 25 giugno 2006 al 30 maggio 2010, tramite il D.L. n. 112/2008, il limite è stato ulteriormente esteso a 12.500 euro;

dal 31 maggio 2010 al 12 agosto 2011, ai sensi del D.L. n. 78/2001, il limite è stato ridotto a 5..000 euro;

dal 13 agosto 2011 al 5 dicembre 2011, con il D.L. n. 138/2011, il limite è stato portato a 2500 euro;

dal 6 dicembre 2011 ad oggi, con il D.L. in esame n. 201/2011, il limite indicato dal legislatore è pari a 1.000 euro.

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superiore a 1.000 euro qualora tali titoli non indichino il nome o la ragione sociale del beneficiario e la “clausola di non trasferibilità”. Il rilascio di assegni bancari, postali e circolari e di vaglia postali e cambiari liberi, senza clausola di non trasferibilità, può essere richiesto per iscritto dal cliente, se di importo inferiore a 1.000 euro, previo pagamento dell’imposta di bollo di 1,50 euro per singolo modulo di assegno o vaglia;

• il possesso di libretti di deposito bancari o postali al portatore con un saldo pari o superiore a 1.000 euro.14

La previsione dell’art. 12 mira a combattere l’evasione fiscale fissando a 1.000 euro la soglia di tracciabilità dei pagamenti: oltre questa cifra, infatti, non sarà più possibile pagare in contanti, ma soltanto attraverso carta di credito, carte bancomat, bonifici o assegni non trasferibili, ovvero mediante sistemi di pagamento che lascino traccia della transazione.

Si tratta di un provvedimento volto a scoraggiare i pagamenti “in nero” e la circolazione del sommerso, incentivando l’uso del “denaro virtuale”, tradizionalmente poco diffuso nel nostro Paese.

Le sanzioni previste incidono non solo sul soggetto che compie l’irregolarità, ma anche su chi, tenuto a comunicarle agli enti competenti, omette tale obbligo.

In particolare, si segnala che chi viola la soglia di 1.000 euro relativamente alle movimentazioni di denaro contante ovvero omette di inserire la “clausola di non trasferibilità” o la ragione sociale del beneficiario di un assegno superiore a 2.500 euro è assoggettato a una sanzione che va dall’1% al 40% dell’importo trasferito, con una sanzione minima non inferiore a 3.000 euro e a 15.000 euro per

14 Se questi già erano esistenti, secondo quanto affermato espressamente dal legislatore, era necessario provvedere entro il termine ultimo del 31 marzo 2012 alla riduzione del saldo a una somma inferiore a 1.000 euro ovvero estinguerli, oppure trasformarli in libretti nominativi.

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importi superiori a 50.000 euro.

Viene, inoltre, inasprita la sanzione per i libretti di deposito bancari e postali al portatore con importo inferiore al limite che va dal 20 al 40% del saldo (se il saldo riguarda importi superiori a 50.000 euro le sanzioni minime e massime sono aumentate del 50%).

Il legislatore ha poi disposto, però, una moratoria per le infrazioni commesse dal 6 dicembre 2011 al 31 gennaio 2012.

Per le violazioni di importo non superiore a 250.000 euro è possibile altresì ricorrere all’istituto dell’oblazione.

Attraverso l’oblazione è ammesso il pagamento di una somma in misura ridotta pari alla terza parte del massimo della sanzione prevista per la violazione commessa o, se più favorevole e qualora sia stabilito il minimo della sanzione edittale, pari al doppio del relativo importo, oltre alle spese del procedimento, entro il termine di 60 giorni dalla contestazione immediata o, se questa non vi è stata, dalla notificazione degli estremi della violazione.

Il provvedimento prevede, in coerenza con l’intento di favorire la tracciabilità dei pagamenti per la lotta all’evasione e altresì per favorire la modernizzazione e l’efficienza degli strumenti di pagamento, che “gli stipendi, le pensioni e i compensi comunque corrisposti dalla Pubblica amministrazione centrale e locale e dai loro enti, e ogni altro tipo di emolumento a chiunque destinato di importo superiore a 1.000 euro debbono essere erogati mediante l'utilizzo di strumenti telematici” (accreditamento sui conti correnti bancari o postali dei creditori ovvero su altri strumenti elettronici di pagamento scelti dai beneficiari).

Per i soggetti che percepiscono trattamenti pensionistici e sociali minimi, assegni e pensioni sociali, i conti correnti per l'accredito sono esenti da imposta di bollo e da costi bancari.

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Infine, il legislatore, per garantire l’efficienza delle disposte misure sulla tracciabilità, volte a ridurre l’utilizzo del denaro contante come strumento per combattere l’evasione fiscale, ha sancito che, entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge, sarà stipulata una convenzione tra il Ministero dell'Economia e delle Finanze, Banca d'Italia, Abi (Associazione delle banche italiane) e Poste Italiane S.p.a. per definire le caratteristiche di un conto corrente di base o di un conto di pagamento di base, che le banche sono tenute ad offrire senza prevedere costi di gestione, nonché le regole generali per assicurare una equilibrata riduzione delle commissioni a carico dei beneficiari delle transazioni effettuate mediante strumenti di pagamento telematici.

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Parte seconda.

1. L’art. 11, comma 1, del D.L. 201/2011: il reato di false esibizioni documentali e false comunicazioni al Fisco.

Negli ultimi anni, si è assistito ad un notevole potenziamento dei poteri in capo all’Amministrazione finanziaria e, conseguentemente, in maniera più che esponenziale, si sono ulteriormente ampliati gli obblighi di collaborazione dei contribuenti (e di terzi) verso il Fisco, determinando così un inasprimento del sistema sanzionatorio.15

Difatti, come anticipato, l’art. 11, comma 1 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, introduce nel nostro ordinamento giuridico il reato di “false risposte”16 all’Amministrazione finanziaria e alla Guardia di Finanza.

Testualmente la nuova norma dispone che “Chiunque, a seguito delle richieste effettuate nell'esercizio dei poteri di cui agli articoli 32 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.

600, e agli articoli 51 e 52 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1972, n. 633, esibisce o trasmette atti o documenti falsi in tutto o in parte ovvero fornisce dati e notizie non rispondenti al vero è punito ai sensi dell'articolo 76 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. La disposizione di cui al primo periodo, relativamente ai dati e alle notizie non rispondenti al vero, si applica solo se a seguito delle richieste di cui al medesimo periodo si configurano le fattispecie di cui al decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74”.

Va preliminarmente osservato come in sede di conversione da parte del Parlamento del D.L. 201/2011, sia stato aggiunto all’art. 11, comma 1, quest’ultimo capoverso della norma in esame, con la

15 Cfr. A. MARCHESELLI, “Obbligo di collaborare con il Fisco e diritto di tacere: violazione del diritto comunitario?”, in Corriere tributario, 2012, p. 2533 e ss.

16 In tal senso, G. FLORA, “Le recenti modifiche in materia penale tributaria: nuove sperimentazioni del

«diritto penale del nemico» ?”, in Dir. Pen. Proc., 2012.

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funzione di restringere ulteriormente il campo di applicazione della medesima.17

Bisogna pertanto tenere presente e come meglio si dirà, che l’esibizione e la trasmissione documenti falsi ha sempre rilevanza penale, mentre qualora si procede a comunicare notizie e dati non rispondenti al vero, il reato si configurerà solo nel caso in cui, successivamente alle richieste dell’Amministrazione finanziaria o della Guardia di Finanza, ed in conseguenza di queste, sia riscontrabile un delitto tributario ai sensi del D. Lgs. n. 74/2000.

Come si può evincere palesemente, anche dalla rubrica della norma in esame “Emersione di base imponibile”, la ratio dell’intervento legislativo è giustappunto la lotta all’evasione fiscale;18 difatti, le misure adottate dal legislatore in tema di lotta all’evasione fiscale sono sempre più spesso indirizzate dalla ricerca di piani di collaborazione concreta tra Fisco – contribuente, poiché il fine perseguito dal nuovo reato ex art. 11 è quello di poter garantire la genuinità e l’autenticità della documentazione richiesta dal Fisco nell’esercizio dei poteri ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi e dell’IVA.

Precisamente, per quel che concerne l’obiettivo fatto proprio dal legislatore con il provvedimento in esame, si osserva come si sia determinato un vero e proprio punto di rottura rispetto alla linea a suo tempo intrapresa con l’approvazione del D. Lgs. n. 74/2000 e l’abolizione della legge n. 516/1982 (c.d. “manette agli evasori”), in

17 Il comma 1 dell’art. 11 del menzionato decreto presenta infatti delle variazioni rispetto al suo testo originale. Inizialmente il legislatore disponeva l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 76 del D.P.R. n. 445/2000 a chiunque, in seguito delle richieste effettuate nell’ambito dei poteri di accertamento previsti in relazione alle imposte sui redditi ed IVA, provvedeva ad esibire o trasmettere atti o documenti falsi in tutto o in parte, ovvero a fornire dati e notizie non rispondenti al vero.

18 A tale conclusione perviene, pare, G. FLORA, “Le recenti modifiche in materia penale tributaria:

nuove sperimentazioni del «diritto penale del nemico» ?”, cit., laddove afferma che la ratio della incriminazione è quella di “ottenere una “leale collaborazione” del cittadino confidando nella forza persuasiva del “tintinnìo delle manette””; nello stesso senso vanno le considerazioni di M.

CONIGLIARO, “Accertamento e Verifiche”, in La Circolare Tributaria, n. 3 del 23 gennaio 2012, secondo cui “il legislatore sembra essersi accorto che troppo spesso i contribuenti rispondono con leggerezza, ovvero forniscono dati strumentali ad una parziale ricostruzione dei redditi, allorquando

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quanto, precedentemente, il legislatore aveva privilegiato l’utilizzo della sanzioni amministrative, lasciando alla sanzione penale il ruolo di extrema ratio, operante cioè solo in presenza di condotte decettive in danno dell’Amministrazione finanziaria.19

Difatti, e come meglio si avrà modo di osservare in seguito, la disciplina introdotta nel 2011 dal legislatore è assai tortuosa e genera grande incertezza circa la reale portata della sanzione da applicare, poiché rinvia al citato art. 76 del D.P.R. n. 445/2000 (recante

“Disposizioni legislative in materia di documentazione amministrativa. (Testo A)”), il quale a sua volta prevede che

“chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal presente testo unico è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia”.

2. Le possibili richieste del Fisco.

Prima di individuare quali possono essere i soggetti attivi del reato, è indispensabile muovere dall'analisi dei presupposti delle condotte delineati dall'art. 11 del decreto in esame.

Le richieste che fanno scattare la nuova sanzione penale, difatti, sono quelle avanzate dall’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza20 eseguite nell’esercizio dei poteri ai fini dell’accertamento ex artt. 32 e 33 D.P.R. n. 600/1973, e artt. 51 e 52 del D.P.R. n.

633/1972, c.d. “controllo sostanziale” delle imposte sui redditi e dell’Iva.

19 Sul punto, tra i primi commentatori, E. FONTANA, “Conversione in legge del D.L. n. 201/2011:

sanzione penale ad ampio spettro per le mendaci comunicazioni e dichiarazioni del contribuente al Fisco”, (consultato in data 11 maggio 2011 all’indirizzo http://www.penale.it/page.asp?IDPag=1001); in tal senso anche G. FLORA, “Le recenti modifiche in materia penale tributaria: nuove sperimentazioni del

«diritto penale del nemico» ?”, cit., il quale sostiene che “la repressione penale si deve concentrare sui casi più gravi di trasgressione del dovere contributivo, secondo una linea di politica criminale per la quale la sanzione penale va riservata solo ai comportamenti di particolare gravità/intollerabilità sociale”.

20 Occorre poi ricordare che per espressa previsione dell’art. 2 del D. Lgs. n. 68/2001, la Guardia di Finanza, ai fini dell’espletamento dei compiti di prevenzione e repressione delle violazioni a fini delle imposte sui redditi ed Iva ad essa affidati, si avvale delle facoltà e dei poteri degli articoli 32 e 33 del D.P.R. 600/1973 e 51 e 52 del D.P.R. 633/1972.

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In particolare, come si è avuto modo di vedere nel primo capitolo di questo elaborato, l’art. 32 del D.P.R. n. 600/73 in materia di imposte dirette e l’art. 51 del D.P.R. n. 633/72 in ambito IVA, ai fini dei controlli fiscali, attribuiscono agli Uffici dell’Amministrazione finanziaria numerosi poteri.

Tra questi poteri si segnalano quelli relativi alla possibilità, da parte dei verificatori, di richiedere informazioni e notizie ai contribuenti, quali per esempio:

− invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento nei loro confronti;

− invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a esibire o trasmettere atti e documenti rilevanti ai fini dell'accertamento nei loro confronti, ivi compresi i bilanci o rendiconti ed i libri e/o registri previsti dalle disposizioni tributarie per i soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili;

− inviare ai contribuenti questionari relativi a dati e notizie di carattere specifico rilevanti ai fini dell'accertamento nei loro confronti nonché nei confronti di altri contribuenti con i quali abbiano intrattenuto rapporti, con invito a restituirli compilati e firmati (art. 32, comma 4, D.P.R. n. 600/73)

− richiedere ai soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili dati, notizie e documenti relativi ad attività svolte in un determinato periodo d'imposta, rilevanti ai fini dell'accertamento, nei confronti di loro clienti, fornitori e prestatori di lavoro autonomo (c.d. controlli incrociati);

− invitare qualsiasi soggetto ad esibire o trasmettere, anche in copia fotostatica, documenti e fatture relativi a determinate cessioni di beni o prestazioni di servizi ricevute ed a fornire ogni informazione relativa alle operazioni stesse;

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− invitare ogni altro soggetto ad esibire o trasmettere, anche in copia fotostatica, atti o documenti fiscalmente rilevanti concernenti specifici rapporti intrattenuti con il contribuente e a fornire i chiarimenti relativi;

− richiedere agli amministratori di condominio negli edifici dati, notizie e documenti relativi alla gestione condominiale.

Chiunque riceve una delle richieste di cui sopra è tenuto a rispondere, nel termine assegnato, al fine di non incorrere nella sanzione amministrativa da euro 258,22 ad euro 2.065,82 prevista dall’art. 11 del D. Lgs. n. 471/97, alla quale il legislatore, come si avrà modo di dire, affianca oggi una sanzione di natura penale.

3. Le condotte penalmente rilevanti.

Le condotte a cui è ricollegata la tutela penale, dopo la modifica apportata in sede di conversione, sono ora in concreto due:

− l’esibizione e la trasmissione di atti e documenti falsi;

− la comunicazione di dati e notizie non rispondenti al vero.

Entrambe le condotte richiamate dall’art. 11 del decreto in esame devono seguire una richiesta effettuata dall'Agenzia delle Entrate o della Guardia di Finanza nell'esercizio dei poteri ai fini dell'accertamento delle imposte sui redditi e dell'IVA.

Di fatto, la nuova norma sembrerebbe assimilare la produzione di documenti falsi ovvero le risposte non veritiere ai casi di falsità nelle autocertificazioni.21

In quest’ultimo caso, però, come osservato da autorevole dottrina, il cittadino si sostituisce alla Pubblica Amministrazione e rilascia, in sua vece, delle dichiarazioni che vengono impiegate a propria utilità.

21 Cfr. A. IORIO, S. MECCA, “Falso ideologico e falso materiale nei reati tributari”, in Fisco, 5/2012.

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Diversamente invece è l’ipotesi delle risposte al Fisco che frequentemente vengono richieste e fornite da chi è assoggettato a controlli da parte dell’Amministrazione finanziaria e della Guardia di Finanza ex artt. 32 e 33 del D.P.R. n. 600/1973 e 51 e 52 del D.P.R. n.

633/1972 e che, presumibilmente, avrebbe anche diritto di difendersi.22

Secondo una recente pronuncia della Suprema Corte in tema di frode fiscale (Cass. Pen., Sez. III, 15 dicembre 2011, n. 46591/11) appare irrilevante la distinzione tra falso ideologico o materiale dell’atto.2324 Si potrà, dunque, verificare che coloro che emettono o utilizzano fatture false risponderanno del nuovo reato per il solo fatto di averle esibite o trasmesse all'Amministrazione finanziaria. Ne consegue pertanto che questi soggetti, il più delle volte, corrono il rischio di essere perseguiti per due reati in concorso: emissione (o utilizzazione) di fatture false (D. Lgs. n. 74/2000) ed esibizione di documenti falsi (art. 76 D.P.R. n. 445/2000).25

Tuttavia, mentre nella prima ipotesi (casi di falsità di atti o documenti

22 In questo senso, tra i primi commentatori, A. IORIO, “Rischio manette per chi mente al Fisco”, in Il Sole 24 Ore, 28 dicembre 2011 (consultato il 13 maggio 2013 all’indirizzo http://www.banchedati.ilsole24ore.com), il quale sostiene che l’assimilazione alle ipotesi delle autocertificazione appare obiettivamente una forzatura, poiché “la circostanza che l’art. 11, comma 1, del Decreto “Salva Italia” richiami, ai fini dell’applicazione sanzionatoria, la fattispecie di falso nelle autocertificazioni, dovrebbe comportare un’assimilazione di tale illecito solo relativamente alla sanzione e non anche circa i casi di falsità perseguiti”.

23 “Il falso è un reato previsto e disciplinato dal codice penale italiano agli artt. 476 e seguenti.

Il legislatore ha distinto il falso materiale dal falso ideologico.

Si ha falso materiale quando un documento è stato oggetto di:

contraffazione: il documento, cioè, è stato posto in essere da persona diversa da quella che appare esserne l’autore;

alterazione: al documento, redatto da chi ne appare autore, sono state apportate, posteriormente alla sua redazione, modifiche di qualsiasi genere da parte di altro soggetto non legittimato.

Il falso materiale esclude, dunque, la genuinità del documento e può riguardare l’autore, la data, il luogo di formazione, nonché il contenuto del documento medesimo.

Si ha, invece, falso ideologico in ogni caso in cui il documento, non contraffatto né alterato, contiene dichiarazioni menzognere: nel falso ideologico, dunque, è lo stesso autore del documento ad attestare fatti non rispondenti al vero.

Tradizionalmente il criterio distintivo tra il falso ideologico e il falso materiale è quello che riposa sull’oggetto della falsificazione: ove essa investa la forma esteriore dell’atto si avrà falso materiale, ove il suo contenuto, falso ideologico”. In tal senso, A. IORIO, S. MECCA, “Falso ideologico e falso materiale nei reati tributari”, cit.

24 A sostegno di quanto detto la più recente giurisprudenza di legittimità (v. sentenze 9673/2011 e 46785/2011), dopo un iniziale controverso orientamento, ritiene ormai che rientrino nella falsa fatturazione e, nel dettaglio nella dichiarazione fraudolenta, sia i casi di falsità materiale, sia quelli di falsità ideologica.

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esibiti e trasmessi), il reato si configura in ogni caso a prescindere dalle conseguenze della condotta del contribuente che ha trasmesso o esibito tali atti o documenti falsi; nella seconda ipotesi, invece, l'emendamento approvato in sede di conversione appare piuttosto destabilizzante e lascia perplessi sotto il profilo interpretativo, poiché non si comprende che cosa abbia voluto intendere il legislatore quando prevede che la sanzione penale trovi la sua concreta applicazione solo se, a seguito delle richieste effettuate, si configurano, le fattispecie delittuose previste dal D. Lgs. n. 74/2000, ritenendo presumibilmente che il legislatore faccia riferimento a quelle fattispecie delittuose di cui agli artt. 2, 3 o 8 del citato decreto.26 Il sistema penale tributario, introdotto dal D. Lgs. n. 74 del 2000, individua agli artt. 2, 3 e 8, in tema di reati tributari, tre ipotesi di falso, nella specie, il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (ex art. 2), dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (ex art. 3) ed emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (ex art.

8).

Le fattispecie di reati tributarie contemplate nel D. Lgs. n. 74/2000, generalmente, si consumano prima dell’espletamento dell’attività di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria e nessuna di esse sembrerebbe contemplare il reato che sanziona il mendacio all’Amministrazione finanziaria; pertanto, la nuova fattispecie di reato ex art. 11, comma 1, del D.L. n. 201/2011 sembrerebbe affermarsi solamente se il mendacio fornito dal contribuente riguardi situazioni cui siano correlati reati e solo quando un delitto consegua e non anche quando preceda la violazione, ossia solo nell’ipotesi in cui il soggetto

26 Cfr. S. CAVALLINI, “Il nuovo reato di false risposte all’Amministrazione finanziaria, tra vecchie e nuove emergenze, norme simboliche ed autentici labirinti interpretativi”, in Riv. dottori comm., 2012, il quale sostiene che non appare di facile comprensione individuare entro quale dei due sottoinsiemi di condotte vadano iscritte talune situazioni nella pratica assai spesso ricorrenti, tra le altre, ad esempio, non è chiaro se le risposte scritte a questionari inviati dall'Amministrazione finanziaria costituiscano trasmissione di atti o documenti ovvero come pare più corretto una comunicazione di dati e notizie. In tema anche E. FONTANA, “Conversione in legge del D.L. 201/2011”, cit.

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abbia già commesso un reato tributario.27

Dunque, ciò che finora appare pacifico è che la collaborazione infedele, secondo autorevole dottrina, non è sempre reato, ma è tale solo se la condotta è collegata a un delitto tributario e, conseguentemente, il reato tributario è successivo ad una delle richieste avanzate dall’Amministrazione finanziaria nell’esercizio dei sui poteri di cui agli artt. 31 e 32 del D.P.R. n. 600/1973 in materia di imposte sui redditi e, specularmente i corrispondenti artt. 51 e 52 del D.P.R. n. 633/1972 in materia di IVA.28

4. Il soggetto attivo del reato: i pericoli per i professionisti.

Le condotte sanzionate penalmente dal decreto in esame, appaiono particolarmente ampie sotto il profilo soggettivo, poiché l’utilizzo da parte del legislatore del termine “chiunque” per individuare il soggetto attivo del reato, lascia chiaramente intendere come la disposizione in esame sia indirizzata, e conseguentemente punisca, non solo ed esclusivamente il contribuente che, chiamato dal Fisco a cooperare personalmente, si dovesse rendere responsabile di produrre documenti falsi o rendere dichiarazioni non veritiere, ma essa, altresì, si rivolge a qualsiasi altro soggetto che dovesse farlo in sua vece e nel suo interesse, laddove giustappunto il contribuente si avvalga di un rappresentante, ovvero le richieste del Fisco si rivolgano ad un terzo.29 In particolare, come osservato da autorevole dottrina, appare opportuno dover distinguere l’ipotesi in cui il contribuente, per assecondare le richieste avanzate dai funzionari dell’Agenzia delle

27 Sul punto D. TERRACINA, “Il sabotaggio dei controlli fiscali: un reato verso l’Amministrazione pubblica”, in Dialoghi tributari, n. 2/2012, p. 231 e ss.,, laddove afferma che “se il soggetto non ha commesso il reato può mentire, se invece lo ha commesso ha il dovere di dire la verità”.

28 A tale conclusione perviene A. MARCHESELLI, “Obbligo di collaborare con il Fisco e diritto di tacere: violazione del diritto comunitario?”, cit.; nonché D. TERRACINA, “Il sabotaggio dei controlli fiscali: un reato verso l’Amministrazione pubblica”, cit., laddove sostiene che “le comunicazioni orali o scritte inoltrate all’Amministrazione finanziaria su sollecitazione della stessa assumano rilevanza penale solamente nell’ipotesi in cui, a seguito di tali richieste, si configurino dei reati tributari”.

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Entrate e dalla Guardia di Finanza, agisca personalmente dall’ipotesi in cui il contribuente si avvalga anche di un proprio “rappresentante”

o di un “terzo”, poiché differenti possono essere le conseguenze che ne derivano.30

Dunque, l’enunciazione della norma in esame sembra piuttosto allarmante, poiché essa mira a sanzionare sostanzialmente “chiunque”

esibisca o trasmetta atti o documenti falsi in tutto o in parte, oppure, con i suddetti limiti, fornisca dati o notizie non rispondenti al vero, successivamente alle richieste avanzate dall’Agenzia delle Entrate o dalla Guardia di Finanza, durante l’esercizio dei poteri ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi e dell’IVA.31

È tuttavia possibile, in questo considerevole contesto, tentare di individuare a titolo meramente esemplificativo quale possa essere il campo, estremamente vasto, di applicazione delle nuove fattispecie incriminatrici, che possono essere appunto potenzialmente ascrivibili a

“chiunque” e dunque, in primo luogo, al contribuente (inteso quale persona fisica o legale rappresentante della persona giuridica, degli Enti o associazioni), nonché ai consulenti, professionisti e intermediari finanziari (banche, Poste S.p.A. e assicurazioni) che non rispondano correttamente alle richieste dell’Amministrazione finanziaria e della Guardia di Finanza nel corso di un controllo su una persona fisica o giuridica dei cui dati siano in possesso.

Ancora, si pensi senza alcuna pretesa di essere esaustivi: ai notai, procuratori del registro, conservatori dei registri immobiliari e gli altri pubblici ufficiali, agli organi e alle Amministrazioni dello Stato; agli enti pubblici non economici, agli amministratori di condominio e più

30 Sul punto, G. FLORA, “Le recenti modifiche in materia penale tributaria: nuove sperimentazioni del

«diritto penale del nemico» ?”, cit., osserva come nei confronti di “terzi” potrebbero sorgere qualche discussione nel caso in cui si tratti di professionisti tenuti al segreto, che, in virtù dell’art. 200 c.p.p., non possono essere obbligati a deporre nemmeno in sede penale; mentre se si tratta di un proprio

“rappresentante” è del tutto evidente che anch'egli, in presenza di tutti gli altri requisiti, potrà rispondere del reato in esame, normalmente a titolo di concorso con il "rappresentato" con il quale si deve ritenere che secondo l'id quod plerumque accidit agisca di concerto.

31 Cfr. E. FONTANA, “Conversione in legge del D.L. 201/2011”, cit.

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in generale, a mente dell’art. 32, comma 1, n. 8-bis) del D.P.R. n.

600/1973, ”ogni altro soggetto” al fine di ottenere la consegna di “atti o documenti fiscalmente rilevanti concernenti specifici rapporti intrattenuti con il contribuente” e di invitarli a “fornire i chiarimenti relativi”.

Questa enunciazione generica e di larga portata sembrerebbe, pertanto, in primo luogo, sollevare dubbi di legittimità costituzionale per violazione dei canoni di tassatività e determinatezza che sono invece propri delle norme penali, in quanto il primo rischio concreto che si corre è proprio quello di imbattersi in un ampissimo campo di applicazione della norma di non facile circoscrizione.32

In secondo luogo, ci si è domandati in dottrina, se le fattispecie di reato contemplate al comma 1, dell’art. 11 del D.L. n. 201/2011, siano riconducibili alla più ampia categoria di reati comuni, o a quella più ristretta cerchia dei reati propri.

Secondo la tradizionale impostazione, in relazione al soggetto che compie il reato, si possono pertanto individuare, da un lato, i reati comuni, che possono appunto essere commessi da ogni persona, indipendentemente dal possesso di particolari qualifiche soggettive, dall’altro lato, i reati propri, per i quali invece la legge richiede una speciale qualifica del soggetto che pone in essere il comportamento costituente reato (fatto tipico) ovvero il possesso di particolari qualità o, comunque, esige che egli ricopra una determinata posizione o si trovi in una specifica situazione.

Nell’ipotesi di reati propri pertanto viene a configurarsi un peculiare rapporto tra il soggetto attivo, autore del reato, e il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, che, secondo la ricostruzione tradizionale, può essere direttamente pregiudicato esclusivamente da chi possieda tali qualità, ovvero ricopra tale posizione, o, comunque,

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si trovi in quella specifica situazione.33

Anche qui, parte della dottrina dominante, ritiene che il reato di false esibizioni documentali e false comunicazioni al Fisco debba considerarsi come un reato proprio, in quanto può essere commesso solamente dal destinatario delle richieste di cui alle disposizioni tributarie formali richiamate dall’art. 11 che qui occupa; ma al contempo, è opportuno sottolineare come l’utilizzo del termine

“chiunque” da parte del legislatore lasci chiaramente intendere come le nuove fattispecie di reato, mancando di una esplicita identificazione del soggetto attivo, siano riferibile ad una platea più ampia e non circoscritta di soggetti – destinatari, suscitando così rimarchevole perplessità.34

Annoverare il nuovo reato fra quelli propri – o “pseudo - propri”35 – richiede altresì una valutazione circa le possibili ipotesi di concorso.

Stante alla regola per cui il concorso di un terzo nel reato proprio presuppone la sua consapevolezza circa la sussistenza dei presupposti di tale reato,36 induce ad affermare che la responsabilità del soggetto al quale non sia direttamente indirizzata alcuna richiesta da parte degli organi verificatori, id est terzo c.d. “extraneus”, è configurabile solo nel caso in cui egli fosse consapevole del fatto che la falsa documentazione esibita oppure le comunicazioni mendaci sono rese a seguito di specifica richiesta, manifestata ai sensi delle norme che disciplinano il controllo sostanziale richiamati dal comma 1, art. 11

33 Sulla nozione di reato proprio, F. CARNELUTTI, “Teoria generale del reato”, Padova, 1933, p. 117, secondo il quale la posizione del soggetto attivo in un reato proprio è riconducibile ad un suo modo di essere nei confronti del bene tutelato; nella manualistica, fra gli altri, F. ANTOLISEI, “Manuale di diritto penale”, Milano, 1997, p. 172; G. FIANDACA – E. MUSCO, “Diritto penale, parte generale”, Bologna, 2004, p. 142; G. MARINUCCI – E. DOLCINI, “Manuale di diritto penale, parte generale”, Milano, 2009, p. 189.

34 Sul punto, S. GIANONCELLI, “Il nuovo reato di false esibizioni documentali e false comunicazioni al Fisco”, in Rassegna tributaria, n. 1 di gennaio-febbraio 2013, p. 6, che ritiene sia sufficiente, ai fini della riconducibilità delle fattispecie in esame alla categoria dei reati propri, che il soggetto attivo si trovi in “una posizione logicamente preesistente al precetto penale”.

35 Terminologia impiegata da I. CARACCIOLI, “Tutela penale del diritto di imposizione fiscale”, Bologna, 1992, p. 21, con riferimento al reato di omessa presentazione della dichiarazione redditi e IVA, punito ai sensi del previgente art. 1, 1° comma, della l. n. 516/82, trattandosi di un reato nella cui tipizzazione vi è “un intreccio tra condotta e soggetto attivo, nel senso che solo chi si trova in date condizioni può realizzare la stessa”.

36 Sul punto G. FIANDACA – E. MUSCO, “Diritto penale, parte generale”, cit., p. 481.

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del D. L. n. 201/2011.37

Inoltre, secondo la tradizionale interpretazione e la natura unitaria del reato commesso in concorso, che non consente che due o più concorrenti siano chiamati a rispondere di reati diversi, la disciplina dettata dall’art. 117 c.p. dispone che nel caso in cui le condizioni o le qualità personali del colpevole, o i rapporti tra il colpevole o l’offeso, dovessero mutare il titolo del reato per taluno di coloro che vi sono concorsi, anche gli altri rispondono dello stesso reato.

Infine, le richiamate fattispecie di reato, impongono particolari cautele in capo ai professionisti nel caso in cui quest’ultimi siano incaricati di difendere un contribuente.

Difatti, essi dovranno agire con estrema cautela in sede di produzione dei documenti, per conto degli assistiti, agli Uffici finanziari o alla Guardia di Finanza.

È appena il caso di ricordare l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza in tema di responsabilità solidale del professionista per le violazioni e gli errori commessi nell’attività di assistenza fiscale al cliente. A tale riguardo si ricorda, su tutte, la recente sentenza della Corte di Cassazione – Sezioni Unite civili – n. 11082 del 7 maggio 2010.38

Quel che al momento è certo, in attesa di auspicabili interventi chiarificatori da parte della giurisprudenza, è che il contribuente si trova, come attentamente osservato e messo in luce dalla dottrina39, di fronte ad una triplice spiacevole alternativa:

37 Cfr. S. GIANONCELLI, “Il nuovo reato di false esibizioni documentali e false comunicazioni al Fisco”, cit.

38 Con questa pronuncia, la Corte di Cassazione ha sancito il principio di diritto secondo cui files, e-mail, documenti, pareri, corrispondenza con i clienti del contribuente – avvocato possono essere esaminati dall’Amministrazione finanziaria alla ricerca di attività professionali fiscalmente rilevanti e non dichiarate e a tale attività non può essere genericamente opposto il segreto professionale; in tal senso, C.

BARTELLI, “Segreto professionale nudo”, in Italia Oggi, sabato 8 maggio 2010, p. 23. Sullo stesso argomento: A. IORIO, F. FALCONE, “Il giudice delimita il segreto”, in Il Sole 24 Ore, sabato 8 maggio 2010, p. 23.

39 Sulla triplice alternativa prospettabile al contribuente è ancora G. FLORA “Le recenti modifiche in

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a) «fornire documentazione o rendere dichiarazioni corrispondenti al vero, a costo però, di autodenunciarsi per eventuali illeciti amministrativi o penali commessi in precedenza;

b) “giocare d'azzardo” 40 violando così il precetto previsto nell'art.

11 del D. L. 201/2011, con il rischio, solo parzialmente neutralizzabile in via interpretativa, di una doppia incriminazione;

c) assumere un atteggiamento restio e non collaborativo ovvero rifiutando di dar seguito alle pretese dell'Autorità procedente41, senza incorrere in alcuna sanzione quando la stessa possa conseguire aliunde quanto richiesto (art. 7 comma 1 lett. f) della l. 106/2011),42 ma accettando di subire le conseguenti sanzioni amministrative ex art. 11 D. Lgs. 471/199743 laddove di tali informazioni l'Amministrazione non disponga o, in ogni caso, di “soccombere” dinanzi le pretese del Fisco».

5. L’elemento psicologico e le possibili cause di esclusione della punibilità.

Le condotte punite ai sensi del comma 1, dell’art. 11 del decreto in esame, sono da considerarsi rientrati nella categoria dei delitti e non in

40 Espressione ancora un volta di G. FLORA, “Le recenti modifiche in materia penale tributaria: nuove sperimentazioni del «diritto penale del nemico» ?”, cit., p. 23.

41 Opzione che sarebbe sempre perfino consigliabile secondo E. FONTANA, “Conversione in legge del D.L. 201/2011”, cit.,

42 La disposizione appena richiamata recita testualmente che “i contribuenti non devono fornire informazioni che siano già in possesso del Fisco e degli enti previdenziali ovvero che da questi possono essere effettivamente acquisite da altre Amministrazioni”.

43 L’art.11 del D. Lsg. n. 471/1997 rubricato “Altre violazioni in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto”, al comma 1, sancisce che sono punite con la sanzione amministrativa da euro 258,22 ad euro 2.065,82 le seguenti violazioni:

omissione di ogni comunicazione prescritta dalla legge tributaria anche se non richiesta dagli uffici o dalla Guardia di finanza al contribuente o a terzi nell'esercizio dei poteri di verifica ed accertamento in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto o invio di tali comunicazioni con dati incompleti o non veritieri;

mancata restituzione dei questionari inviati al contribuente o a terzi nell'esercizio dei poteri di cui alla precedente lettera a) o loro restituzione con risposte incomplete o non veritiere;

inottemperanza all'invito a comparire e a qualsiasi altra richiesta fatta dagli uffici o dalla Guardia di finanza nell'esercizio dei poteri loro conferiti”.

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