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Giacché, del resto, la nostra lettura del poema di Parmenide prende le mosse da una particolare maniera di definire il rapporto tra pensiero mitico e discorso razionale /

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Introduzione

Il problema del rapporto tra mythos e lógos è una delle questioni fondamentali su cui si interrogano gli studiosi della cultura greca. Nel corso del tempo, peraltro, è cambiato il modo in cui sono stati impostati i termini del problema. Non occorre qui ripercorrere le tappe fondamentali del percorso attraverso cui gli studiosi hanno iniziato a mettere in discussione l'idea di un passaggio lineare da una forma di pensiero espressa nel racconto mitico a una che si realizza nel discorso razionale.

Giacché, del resto, la nostra lettura del poema di Parmenide prende le mosse da una particolare maniera di definire il rapporto tra pensiero mitico e discorso razionale /

“scientifico”, sembra necessario, in via preliminare, fare qualche riferimento ai principi teorici sviluppati da altri studiosi, su cui si fonda la concezione del rapporto mythos/lógos che è alla base della chiave interpretativa con cui qui ci si accosta al testo parmenideo

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Uno tra i grandi studiosi che, per primi, hanno messo in discussione l'idea che il pensiero scientifico nasca in rottura con le forme mitico-religiose del pensiero tradizionale, è stato certamente Francis MacDonald Cornford. Buona parte della produzione scientifica di questo studioso – dal Thucydides Mythistoricus (London 1907) al volume uscito postumo Principium Sapientiae: The Origins of Greek Philosophical Thought (Cambridge 1952) – sembra, infatti, ruotare intorno all'idea che ciascun autore, pur essendone il più delle volte inconsapevole, subisca il condizionamento di una serie di presupposti comuni alla cultura dell'epoca in cui vive.

Nel tentare di trovare una definizione sempre più precisa di ciò che condiziona il pensiero di chiunque si accinga a comporre una nuova opera, Cornford ricorre spesso, soprattuto nei suoi primi scritti, a nozioni elaborate in discipline diverse dalla filologia classica, come quella di “rappresentazione collettiva” definita negli studi sociologici di Durkheim e Mauss, o quella di “inconscio collettivo” elaborata da Carl Gustav

1 Per una rassegna di studi che considerano in una prospettiva problematica la questione del rapporto tra mito e ragione nello sviluppo del pensiero greco cfr. Buxton (1999) e, al suo interno, per un'analisi dei presupposti teorici – considerati in una prospettiva storico-culturale - su cui si fonda la classica opera di Wilhelm Nestle Vom Mythos zum Logos (Stuttgart 1940), si veda Most (1999). Di recente Sassi (2009a) – di cui si leggano in particolare le pp. 27-66 – ha riconsiderato criticamente il problema del rapporto tra i primi “filosofi” e diverse forme di sapere tradizionale, anche attraverso un'analisi delle opinioni più significative sulla questione, come quelle di Cornford (1912, 1952), Vernant (1962) e Burkert (1999).

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. Sia che imposti la questione all'interno di parametri storico-sociologici, o in termini psicoanalitici, Cornford sembra soprattutto mirare a mettere in evidenza i limiti dello spazio d'azione entro cui si esprime il pensiero di ciascun autore, anche dei più innovativi, come i “fisiologi” di Ionia o lo storico Tucidide. Su queste basi Giovanni Cerri ha evidenziato come, per lo studioso di Cambridge, le idee tradizionali espresse nel mito sembrino configurarsi più come degli impedimenta, che come degli initia et instrumenta scientiae

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È interessante peraltro osservare che Cerri muove queste critiche a Cornford proprio in un articolo dedicato all'analisi dell'influenza che il pensiero tradizionale ha esercitato sulla teoria degli elementi di Empedocle e degli altri filosofi ionici. Nel tentativo di sottolineare la continuità tra pensiero mitico-religioso e riflessione fisico- speculativa senza svalutarne – come invece avrebbe fatto Cornford – la componente innovativa, Cerri sviluppa un ragionamento a partire dalla constatazione di alcune coincidenze tra il ruolo della lingua e quello del mito all'interno della cultura greca.

Sia una lingua che un repertorio di miti si presentano, infatti, seppur in forme diverse, come depositi di un sapere tradizionale che riflette una determinata visione della realtà.

Dice Cerri:

Il sapere depositato nel sistema mitico è coerente con quello depositato nel sistema linguistico, ma ne costituisce un secondo grado di elaborazione. Le nozioni generiche depositate nei segni linguistici si organizzano narrativamente in discorsi già più orientati, più interpretativi sulla realtà naturale, divina ed umana

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2 Per il riferimento, nell'opera di Cornford, a queste due nozioni tratte, rispettivamente, dagli studi sociologici e da quelli psicoanalitici, si vedano il primo saggio di Cornford sul problema del rapporto tra tradizione religiosa e pensiero filosofico From Religion to Philosophy (London 1912) e il testo letto nel 1921 presso la “Classical Association” – poi pubblicato nei Proceedings di quell'anno – The Unconscious Element in Literature and Philosophy, raccolto poi in Cornford (1950) alle pp. 1-13 di 1967

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. Su questi aspetti dell'opera di Corford si veda Sassi (2009) pp. 36-50 e, per una buona ricostruzione del profilo intellettuale di Cornford con utili riferimenti bibliografici, si veda la sezione introduttiva dell'edizione italiana di From Religion to Philosophy, a cura di Giuliana Scalera McClintock (Lecce 2002) pp. 7-38.

3 Cerri (1998) p. 41. Una definizione del rapporto tra speculazione mitica e speculazione razionale che consideri sia la componente limitante che quella strumentale-costruttiva della prima sulla seconda viene espressa chiaramente da Burkert, che afferma: “I Presocratici conoscevano e naturalmente utilizzavano le tradizioni più antiche, se non altro come impalcatura. Senza dubbio questa impalcatura preesistente costituiva un aiuto notevole per la costruzione, ma è possibile anche che molte strane distorsioni siano dovute ad essa” (Burkert (1999a) p. 55 = Burkert (1999b) p. 104).

4 Cerri (1998) p. 38.

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Allo stesso modo in cui anche il pensiero più nuovo e rivoluzionario deve necessariamente esprimersi attraverso un sistema linguistico che riflette un determinato assetto di conoscenze, la formulazione di ragionamenti sempre più complessi e innovativi non implica l'abbandono del codice mitico tradizionale. Cerri lo spiega bene alcune pagine dopo:

E non è detto affatto che l'ulteriore sviluppo culturale debba comportare una fuoriuscita dal mito. Come resta radicato nell'orizzonte interpretativo costituito dal sistema linguistico, può benissimo restare in stabile simbiosi con il mito. In questo caso, il mito verrà continuamente reinterpretato e rifunzionalizzato alle acquisizioni della riflessione razionale e della ricerca scientifica, acquisizioni che, del resto, da esso discendono. Può essere cioè che il progresso filosofico e scientifico non si configuri come abbandono del mito e della religione, ma come loro continuo affinamento quali strumenti interpretativi. È quanto accade nella Grecia arcaica, ed anche post-arcaica, fino alla tarda antichità ed al cristianesimo. Esegesi ed empiria continuarono ad andare di pari passo. Dovremmo dunque abituarci finalmente a concepire la

“sapienza” greca arcaica sulla linea di intersezione tra mito e ricerca fisica, anzi come sintesi di mito e ricerca fisica

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Parecchi decenni prima che Giovanni Cerri scrivesse queste acute osservazioni sul rapporto tra racconto mitico e discorso razionale a partire dalla considerazione della funzione che la lingua ha nella formulazione di ogni nuovo pensiero, Louis Gernet aveva trovato negli studi di Ferdinand de Saussure sul linguaggio un modello alla luce del quale considerare le relazioni tra le immagini mitiche all'interno della cultura greca. Il linguista francese, nel suo Cours de linguistique générale, aveva infatti distinto due generi di rapporti tra le parole di una lingua: il “rapporto sintagmatico” che legava le parole che si succedevano tra loro in praesentia, e quello

“associativo” che una parola intratteneva in absentia con altre evocate nella memoria in base a degli elementi comuni

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. Sulla base di questo modello, Gernet aveva distinto la relazione che ogni immagine mitica intrattiene con altre che compaiono nella stessa storia, da quella che lega l'immagine ad una serie di rappresentazioni simili che ad

5 Cerri (1998) p. 40: in generale, si vedano di questo articolo le pp. 34-44.

6 F. de Saussure, Cours de linguistique générale, Paris 1922, pp. 149-50 della tr. it. a cura di T. de Mauro (Bari 1968).

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essa vengono associate dalla memoria

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. Grazie all'inserimento di questi rapporti in una prospettiva storica, sociale ed antropologica, Gernet definisce, quindi, “la polivalenza delle immagini mitiche” in questo modo:

Ce que nous appelons la polyvalence des images est donc un phénomène de mémoire sociale:

elle consiste en ce que des répresentations plus ou moins dominatrices et capables, à la rencontre, de servir de pôles d'attraction ont correspondu à des objets divers de préoccupation ou d'intérêt dans les milieux successifs. On se doute bien que des images traditionnelles sont restées des éléments ou des accessoires obligés dans des histoires qui auraient pu s'en passer et où ils peuvent faire l'impression de corps étrangers. Cette transmission ne suppose même pas une continuité: il y a une part de la mythologie qui est iconographique, c'est-à-dire que des représentations figurées qui ont pu venir du dehors ou être héritées de sociétés plus anciennes ont été interprétées arbitrairement et ont donné naissance à de nouveaux mythes: on en connaît plusieurs exemples, notamment ceux de plusieurs damnés des Enfers, et la liste pourrait certainement en être allongée. Mais dans nombre de cas aussi, on a affaire à de véritables remplois: dans une histoire qui a évolué ou qui s'est constituée avec des éléments anciens, la signification des images n'a plus été la même finalement [mais si elle a pu varier en cours de route, c'est par une évolution inconsciente qui laissait subsister quelque valeur essentielle]

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.

L'immagine mitica è dunque un'unità ricca di significato: essa infatti si presenta come un nucleo di “memoria sociale” che può venire rifunzionalizzato in contesti diversi per esprimere nuovi pensieri, a partire dalla serie di complessi rapporti che questo intrattiene con altri elementi tradizionali. È significativo, peraltro, che Gernet concluda anche tale riflessione con un riferimento a de Saussure, secondo cui ogni elemento lessicale cambia di valore a seconda del sistema linguistico in cui è inserito nel corso del tempo.

Le considerazioni di Gernet sulla polivalenza delle immagini mitiche possono quindi costituire un punto di partenza fondamentale per stabilire in che modo anche le idee più nuove vengano espresse a partire da elementi condivisi nella memoria

7 L. Gernet, La notion mythique de la valeur en Grèce, “JdP” 41 (1948), pp. 415-62 (= Gernet 1968 pp.

93-137).

8 Questo testo fa parte della raccolta di riflessioni sulla leggenda greca pubblicate per la prima volta nel 2004 a cura di A. Soldani (cfr. Gernet (2004) pp. 48-49). Per una premessa allo studio di questo complesso materiale si vedano Di Donato (1990) pp. 119-30, la prefazione a Gernet (2004) e la relazione pronunciata da Riccardo Di Donato a Trento nel 1999 La leggenda eroica come memoria sociale dei Greci. Polivalenza di immagini, edita in Marrucci-Taddei (2007) pp. 137-48

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collettiva. Su tali basi la questione del rapporto tra mythos e lógos nei primi pensatori Greci può essere impostata in una prospettiva per certi aspetti diversa da quella che sta alla base dei lavori – peraltro ancora fondamentali – di Jean-Pierre Vernant Les Origines de la pensée grecque (Vernant 1962) e la raccolta Mythe et pensée chez le Grecs (Vernant 1965). In questi studi, infatti, l'allievo di Gernet si pone l'obiettivo di comprendere – nella prospettiva della psicologia storica promossa da Ignace Meyerson – in che modo e in quali condizioni storico-sociali si sia verificata la complessa trasformazione che “de l'homo religiosus des cultures archaïques” ha condotto “ à cet homme, politique et raisonnable, que visent les définitions d'un Aristote”

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. Con tale analisi Vernant mira dunque a tratteggiare l'evoluzione intellettuale dell'uomo greco, nel passaggio dall'età arcaica a quella classica, rispetto a una serie di funzioni psicologiche che vanno da quella di spazio e di tempo, a quelle di memoria e di persona

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. Le riflessioni gernetiane sulla polivalenza delle immagini mitiche sembrano, d'altra parte, costituire un buon punto di partenza per considerare il problema da un'angolatura diversa da quella di Vernant, che, invece di concentrarsi sull'evoluzione intellettuale che va dal mito alla ragione

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, valuti in che modo un pensiero filosofico-speculativo possa esprimersi attraverso le forme mitiche tradizionali.

A partire da tali considerazioni prende le mosse la nostra scelta di studiare quel che ci resta del testo parmenideo attraverso l'individuazione delle immagini mitiche che ricorrono al suo interno. Parmenide, infatti, ben si presta ad uno studio di questo tipo proprio perché, pur presentandosi come uno dei pensatori che maggiormente hanno contribuito alla formazione di un pensiero specificamente filosofico

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, ha composto la sua opera nella forma massimamente tradizionale del poema epico, adottandone lingua e metro

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. Poiché nell’epica greca arcaica – composta e ascoltata

9 Cfr. Vernant (1965) pp.11-12 della terza edizione (Paris 1985

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).

10 La nozione di “funzione psicologica” è deliberatamente ripresa dagli studi di Meyerson, autore del saggio Les fonctions psychologiques et les œvres, Paris 1948. Per il dialogo e la mutua collaborazione tra Gernet, Meyerson e – il più giovane Vernant – cfr. Di Donato (1990).

11 Si pensi al titolo della sezione finale di Mythe e pensée: Du mythe à la raison che, nella terza edizione del 1985, si è arricchita del saggio Les origines de la philosophie.

12 Un primato in questo senso viene assegnato all'eleate, tra gli altri, sia da Vernant – per cui cfr. in Vernant (1965) pp. 383-85, 396-402 della terza edizione (Paris 1985

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) tratte da Vernant (1957) – , sia da Burkert per cui cfr. Burkert (1999a) pp. 55-57 e Burkert (1999b) pp. 105-6.

13 Della scelta dell’eleate di scrivere la sua opera in versi tradizionali sono state proposte diverse spiegazioni: desiderio di conferire particolare autorità al proprio discorso e presa di distanza dal pensiero dei naturalisti ionici, poesia come supporto alla memorizzazione del messaggio e strumento di

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all’interno di una cultura orale – le immagini mitiche costituiscono un luogo privilegiato di comunicazione di forme di pensiero, è naturale pensare che anche per Parmenide esse giochino un ruolo comunicativo essenziale. Tuttavia, mentre il poeta epico tende a fare un uso automatico delle immagini tradizionali che costituiscono la narrazione, nell’opera speculativa dell’eleate – composta con ogni probabilità per iscritto – le immagini vengono piegate ad esprimere un messaggio radicalmente nuovo, subendo così quelle significative trasformazioni che qui verranno prese in esame. Già Alexander Mourelatos, nella sua monografia The Route of Parmenides (Mourelatos 1970), aveva dedicato una cospicua parte del primo capitolo (Epic Form) allo studio della ripresa da parte di Parmenide di quelli che egli stesso definiva i due

“motivi” tradizionali del “viaggio” e del “fato-costrizione ”. Il nostro studio, ponendosi in una linea affine all’indagine qui avviata da Mourelatos, intende portarla avanti a partire dalla nozione gernetiana di “polivalenza delle immagini”. Individuare le immagini che ricorrono nel poema e cercare di seguire le associazioni con elementi tradizionali che queste possono avere evocato nel pubblico, sembra permettere, infatti, di inserire l'opera dell'eleate nella rete di rapporti che essa intratteneva con altre manifestazioni della cultura coeva e precedente, aiutando così a comprendere meglio quel che possiamo leggere dell’opera parmenidea. In tal senso – sulla scia di un recente contributo di Laura Robbiano (Robbiano 2006) – si tenterà qui, il più delle volte, di ricostruire le reazioni del pubblico di fronte al progressivo dispiegarsi delle immagini che ricorrono nel poema, piuttosto che prendere direttamente in considerazione la prospettiva dell'autore, dal momento che non è sempre possibile capire con che grado di consapevolezza Parmenide alludesse ad altri contesti tradizionali nel momento in cui formulava il suo discorso. In questa analisi, particolare attenzione verrà rivolta ai punti di contatto con la poesia omerica ed esiodea, con cui – come si è detto – l’eleate si pone in rapporto diretto attraverso la scelta di un discorso in esametri, e con la quale possiamo essere praticamente certi che

diffusione, discorso poetico come unica forma al tempo disponibile per esprimere ragionamenti complessi e compiuti. Cfr. Bernabé (1979), Floyd (1992), Wright (1998) e la risposta di Osborne (1998), Cerri (1999) pp. 85-96 con la bibliografia cui rimanda in n. 115, Kahn (2003). Interessante peraltro la spiegazione di Mourelatos (1970) pp. 45-46 della seconda edizione (Las Vegas-Zurich- Athens 2008

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), che fa dipendere la scelta di scrivere in versi da quella di formulare un discorso in termini tradizionali in cui, ad esempio, la ricerca venga rappresentata nella forma di un viaggio, l’errore come l’uscita di rotta, e la necessità logica attraverso il tema del “fato-costrizione”.

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il pubblico di Parmenide avesse una certa familiarità

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È chiaro, del resto, che le immagini che ricorrono nel poema presentano forma e funzioni diverse a seconda della sezione del testo in cui compaiono. Il Proemio, essendo occupato da un'ampia sezione narrativa, concede ampio spazio al mito.

L'isolamento di alcune immagini al suo interno, peraltro, permette di considerare in che modo l'eleate sfrutti la loro intrinseca plasticità per costruire, attraverso diverse combinazioni di elementi tradizionali, rappresentazioni inedite che trasmettano nuovi significati.

Il primo capitolo di questo studio si concentra, quindi, sui due fotogrammi che aprono il Proemio: il viaggio del giovane sul carro e l'attraversamento della soglia dei percorsi di Giorno e di Notte. L'analisi di queste due immagini e dei contesti tradizionali che esse evocano può infatti aiutare a comprendere in che modo l'eleate rappresenti l'esperienza da cui trae origine la sua opera. Si tenterà di capire, pertanto, in che modo Parmenide faccia prendere all'immagine del carro delle Muse – simbolo dell'esecuzione poetica – la forma del carro solare, così da fare assumere all'esperienza dell'autore i caratteri di un percorso conoscitivo di natura straordinaria.

La particolare maniera in cui viene descritta l'immagine tradizionale delle porte dei percorsi di Giorno e di Notte, inoltre, permetterà forse di capire meglio il grande valore che Parmenide intende attribuire al superamento di questa soglia.

Il secondo capitolo sarà dedicato alle altre immagini che appaiono nel racconto proemiale. Grande attenzione verrà rivolta alla scena dell'accoglienza della dea nei confronti del giovane che si presenta al suo cospetto. L'analisi dei gesti e delle parole con cui la divinità si rivolge al suo interlocutore permetterà di mettere in relazione questa scena con immagini tratte da diversi ambiti tradizionali: dall'epica omerica alla poesia didascalica, a tradizioni misteriche di matrice orfica e pitagorica. Considerare la maniera in cui viene rappresentato il rapporto tra la dea e il giovane all'interno di una prospettiva più ampia potrà forse aiutare a capire meglio in che modo Parmenide imposti il rapporto tra sapere umano e sapere divino e quale ruolo attribuisca al sapiente rispetto al pubblico cui si rivolge. A tale questione appare collegato il

14 Quanto al fatto che i poemi omerici ed esiodei fossero, già all’epoca, generalmente noti, soprattutto attraverso gli agoni rapsodici praticati fin da età antica – come dimostrano i vv. 654-59 degli Erga di Esiodo – si ricordi almeno il frammento di Senofane 21 B10 ejx ajrch§~ kaq j {Omhron ejpei; memaqhvkasi pavnte~ ... “Poiché da principio hanno imparato secondo Omero”.

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problema della legittimità dell'impresa dell'autore e del sapere che ne ottiene. In questo senso sarà fondamentale analizzare la funzione di Dike nel Proemio alla luce dell'importanza che, in varie forme, questa figura divina iniziava ad assumere nella cultura greca dell'epoca. Nella sezione conclusiva del capitolo, verranno considerate le parole con cui la dea presenta i due momenti del discorso che si accinge a svolgere, con particolare attenzione alla contrapposizione tra l'immagine del cuore di “ben rotonda verità” e la dimensione del dokein che sembra definire i limiti del sapere dei mortali.

Nonostante nel discorso veritiero la presenza del mito appaia meno evidente che nel resto del poema, il ricorrere di alcune immagini sembra avere svolto un ruolo fondamentale nell'orientare il pubblico nel quadro dell'arcana verità presentata dalla dea (cap. 3). Importanza particolare – come è già stato ampiamente riconosciuto – sembra doversi attribuire all’immagine delle vie. I due momenti fondamentali di cui il percorso conoscitivo del kouros si compone – il sentiero lontano dal cammino degli uomini che conduce il giovane al cospetto della dea, e il bivio davanti a cui questa lo pone – sembrano arricchire il contenuto del poema di valore esistenziale attraverso la rete di relazioni stabilite con alcune immagini comuni alla tradizione didascalica e con altre di natura misterico-iniziatica. Interessante sarà poi considerare come Parmenide costruisca dell' unica autentica realtà un'immagine per certi aspetti assimilabile alla nuova rappresentazione del divino che si andava delineando in alcune tradizioni orfiche e nelle riflessioni del poeta-sapiente Senofane. Altre rappresentazioni – come quella di “Ciò che è” tenuto in ceppi da Dike, Ananke e Moira e la similitudine conclusiva di to; ejovn con la massa di ben rotonda sfera – permetteranno forse di capire meglio quale sia il rapporto che, secondo Parmenide, dovrebbe essere stabilito con il proprio oggetto di conoscenza da chi vuole ottenere un autentico sapere. A partire dall'analisi della “polivalenza delle immagini” che occupano il discorso veritiero si proporrà, alla fine del terzo capitolo, una sequenza dei frammenti di questa sezione del poema in parte diversa da quella che leggiamo nella VI edizione Diels- Kranz.

Nella seconda parte del discorso della dea, dedicata alla rappresentazione ingannevole del reale a partire dalle opinioni dei mortali, la presenza delle immagini mitiche sembra assumere un valore ancora diverso. Di questo ci occuperemo nell'ultimo capitolo di questo studio. Innanzi tutto, si tenterà di capire il senso della

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scelta di Luce e Notte come forme originarie del cosmo, a partire dalla considerazione del ruolo che tali principi ricoprono nelle teogonie tradizionali e nei discorsi dei primi fisiologi. Particolare attenzione sarà quindi rivolta all'analisi del frammento 16, in cui la formazione del pensiero umano viene definita in termini tali da evocare la tradizionale immagine dell'uomo ephemeros, pur venendo – allo stesso tempo – ricondotta alla commistione dei principi luminoso e notturno sui cui è fondata la rappresentazione del cosmo descritta nella doxa. Questa analisi sarà, peraltro, il punto di partenza per alcune considerazioni di insieme sul rapporto che lega le tre sezioni del poema parmenideo. Grande importanza, all'interno della doxa, sembra doversi attribuire all'immagine della daimon che, dal centro del cosmo, ne regola il divenire, attraverso la creazione di altre figure divine – come Eros – che la aiutino a dirigere i processi di generazione, di sviluppo e di morte. A questa verrà pertanto dedicata la seconda parte del quarto capitolo.

In chiusura, cercheremo di capire in che modo un'analisi del poema parmenideo che parta dall'isolamento di alcune immagini e dallo sfruttamento della loro potenzialità semantica possa contribuire a comprendere meglio il senso dell'opera parmenidea all'interno della multiforme tradizione culturale in cui essa si inserisce.

Nel tentativo di seguire le diverse tracce aperte dalle immagini che ricorrono nel poema, lo scritto dell'eleate verrà dunque inserito in un dialogo che coinvolge, allo stesso tempo, l'epica omerica ed esiodea, alcune manifestazioni di poesia lirica ed elegiaca, le riflessioni sulla natura e sulla conoscenza dei primi sapienti di Ionia e Magna Grecia, e alcune tradizioni misteriche di matrice orfica e pitagorica. In questo modo, si potrà valutare, in seconda ma altrettanto importante istanza, se un discorso speculativo come quello di Parmenide possa essere compreso meglio attraverso il mito piuttosto che non come un superamento del pensiero mitico. Senza mirare in alcun modo alla completezza, questo lavoro si pone quindi come primo obiettivo quello di costituire uno stimolo a seguire nuove direzioni di ricerca, in un momento in cui una parte degli studi sui “Presocratici” inizia a considerare l'esperienza di questi autori in rapporto alla fluida complessità di saperi che caratterizza l’età arcaica.

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