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Lo scenario strategico da cui deve partire questa nuova era dovrà essere il luogo in cui viviamo e da cui paradossalmente siamo sempre più sradicati

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Academic year: 2021

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CAPITOLO PRIMO Dibattito sullo sviluppo locale

...si potrebbe dire che l'endocosmo è semplicemente l'esocosmo digerito attraverso i sensi, ristrutturato dalla ragione, e rivissuto dagli spazi dell'anima, della mente, della memoria e della cultura

di ognuno.

-Fosco Maraini1-

Il mito della crescita illimitata ha spinto alcuni studiosi a concentrarsi sul tema dello sviluppo cercando di capirne l'origine e il riscontro in molte società e culture.

S. Latouche e A.Magnaghi sono due degli studiosi che si stanno cimentando in questo percorso di studi. Il primo, professore emerito di Scienze economiche alla Paris Sud affronta criticamente il tema dello sviluppo ponendo l'accento sul falso mito della crescita illimitata a tutti i costi, in particolar modo si avvicina al focus del dibattito, da me affrontato, grazie alla critica degli sviluppi particolari che, secondo l'autore, non cambiano la logica economica conforme alla religione neo-liberale.

Il secondo autore che insegna pianificazione territoriale all'Università di Firenze si concentra sulla rappresentazione del territorio come punto di partenza per il dopo sviluppo. Lo scenario strategico da cui deve partire questa nuova era dovrà essere il luogo in cui viviamo e da cui paradossalmente siamo sempre più sradicati.

Entrambi, in maniera differente, pongono l'accento sugli effetti distruttivi dello sviluppismo per quanto riguarda: ambiente, cultura e architettura. La crisi di questo modello ha suggerito ai grandi meccanismi mondiali Fmi, Bmi, Wto e via dicendo la necessità di una rivisitazione del significato di sviluppo aprendo così le strade ai particolarismi tra i quali lo sviluppo locale.

1 Fosco Maraini, “Case, amori, universi” pag 19, Oscar Mondadori 1999

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Questa declinazione, del concetto madre, fa riferimento ai territori e alle loro specificità sempre più minacciate. La distruzione dei luoghi, in termini fisici, antropici e costruiti è sotto gli occhi di tutti, basti pensare alle grandi urbanizzazioni, ad esempio le megalopoli, che si generano senza regole e danno vita a baraccopoli, slum e favelas.

Questo fenomeno è determinato dal massiccio abbandono dei villaggi dove si viveva ancora in base alla tradizioni lavorative locali, il mito del progresso ha attirato orde di persone nelle città pensando di trovare maggiore successo economico e invece hanno dovuto affrontare una qualità della vita molto bassa: inquinamento, disoccupazione e bassa qualità abitativa. Abbandonare il proprio territorio significa sopratutto perdere il legame con la propria cultura applicata al luogo di vita (autonomia): saperi ambientali, religione, miti e molto altro. Le città create dal nuovo mito sviluppista infatti non contemplano più queste conoscenze, nella progettazione del territorio, ma ne propongono (impongono) altre; è in corso una omologazione degli stili di vita : siamo difronte a territori senza potere in mano a poteri senza territorio. Restringendo il campo e avvicinandosi alla realtà italiana possiamo affermare di non aver ancora conosciuto casi simili alle favelas ma, anche qui, possiamo parlare di rottura con il passato intesa come distruzione delle particolarità.

Infatti con il boom economico degli anni 50 si è venuto a creare il fenomeno della migrazione interna che ha determinato l'abbandono delle zone rurali: montane, pedemontane e costiere in favore delle zone di pianura dove nascevano le prime industrie che promettevano un futuro economicamente più roseo. Questa situazione, drastica, ha portato molti a riflettere sul tema sviluppo locale ma, come descriverò più avanti, senza mai abbandonare la pretesa di omologazione degli stili di vita in base alla crescita economica illimitata. Nelle pagine che seguiranno proverò a scomporre il termine in analisi nelle sue due componenti attraverso la lente degli autori sopracitati, il primo paragrafo parla di locale come approccio epistemologico e nel secondo mi soffermerò di più sul concetto di sviluppo cercando di spiegarne le ragioni storiche.

La prima parte del lavoro poi si articolerà su altri due paragrafi nei quali verrà illustrato, sinteticamente, un approccio alternativo allo sviluppo locale, quello proposto dalla Scuola territorialista che nasce agli inizi degli anni novanta ad opera di alcuni docenti e ricercatori in ambito universitario e CNR tra i quali: A.Maganghi, E.Scandurra (UNI Firenze), A.Tarozzi (UNI Bologna) e molti altri.

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Lo zoccolo duro della scuola è rappresentato dal fatto che i problemi della sostenibilità dello sviluppo mettono in evidenza la valorizzazione del patrimonio territoriale nelle sue componenti ambientali, urbanistiche, culturali e sociali. Il Territorio viene concepito come prodotto storico di processi coevolutivi tra natura e cultura che generano un insieme di luoghi dotati di profondità temporale, di caratteri tipologici e di individualità; sociodiversità. Parlare di sviluppo locale significa riflettere su questa sinergia tra gli elementi che compongono il luogo dell'abitare prendendo spunto dal passato, non creando dei musei a cielo aperto, per poi riproporre i processi in forme alternative e nuove, non aliene rispetto alla cultura specifica.

1. Il Locale

Il concetto di sviluppo locale, per poter essere analizzato in profondità, ha bisogno di essere scomposto nei suoi due termini, partendo dal concetto di locale proverò a definire il piano epistemologico su cui poggia: quello della sociodiversità. A questo proposito Ottavio Marzocca2 parla di un atteggiamento mentale: fare mente locale, attraverso il quale si impara a ragionare localmente mediante dei sistemi di riferimento che sono propri di ogni luogo e non coincidono con quelli imposti da altri.

Tali sistemi sono racchiusi in un concetto che A.Magnaghi definisce “coscienza di luogo3” intesa come consapevolezza, acquisita attraverso un percorso di trasformazione culturale degli abitanti, del valore patrimoniale dei beni comuni territoriali (materiali e relazionali), in quanto elementi essenziali per la riproduzione della vita individuale e collettiva, biologica e culturale. Tale consapevolezza è la musa ispiratrice che ci aiuta a plasmare l'ambiente fisico su cui viviamo; il territorio ha così una doppia connotazione: fisica e spirituale, che fuse insieme formano un neoecosistema generato dalla fecondazione della natura da parte della cultura specifica di ogni luogo.

2 O.Marzocca, “La Stanchezza di Atlante: crisi dell'universalismo e Geofilosofia” pag 61, Edizioni Dedalo Srl 1994

3 A.Magnaghi, “Il progetto locale” pag 133, Bollati Boringhieri, 2010

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Queste regole non scritte sulla trasformazione del territorio, a nostra immagine e somiglianza, trovano una continuità fino all'avvento dell'epoca storica caratterizzata dal fordismo e dalla produzione di massa quando prendono il sopravvento le teorie tradizionali dello sviluppo, fondate sulla crescita economica illimitata, interpretando il territorio in termini sempre più riduttivi : il produttore ha preso il posto dell'abitante e il sito del luogo. Il territorio viene trattato come un puro supporto tecnico alle attività economiche localizzate in base alla razionalità ed efficienza tecnologica; si assiste a quella che potremmo definire liberazione dall'identità territoriale e alla nascita dell'urbanizzazione contemporanea il cui apice è la metropoli che si diffonde senza limiti e pervade con le proprie regole l'intero territorio in modo indipendente dal carattere del contesto. Questa seconda natura artificiale ha portato una crescita della ricchezza dalla durata effimera, accumulando nel tempo in modo esponenziale il degrado ambientale e sociale che ha prodotto l'insostenibilità e l'obsolescenza del nuovo modello. Le mega city terzomondiste sono un esempio del crescente impoverimento;

occorre però precisare che la critica al modello metropoli non vuole essere un pensiero antiurbano e cioè non è in discussione la grandezza della città in termini fisici, la metropoli è piuttosto vista come una negazione della città che distrugge la natura peculiare dei luoghi cancellandone le differenze, l' identità, la complessità coprendo il territorio di non luoghi.

Da molto tempo non edifichiamo più città ma organizziamo parti inanimate di un soggetto vivente smembrato: zone residenziali o quartieri dormitorio, zone industriali, quartieri mercato, zone commerciali, multisale, zone e centri per vacanze, favelas, baraccopoli ecc.. Le forze globali spingono la popolazioni ad abbandonare le aree rurali e ad invadere i grandi centri nonostante questi, per condizioni economiche, non siano poi così fiorenti; un ricercatore dell' Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) ha calcolato che i mercati ufficiali immobiliari nel Terzo mondo raramente forniscono più del venti percento del nuovo stock abitativo, per ciò la gente è costretta a ripiegare su baraccopoli, affitti in nero ecc..4

4 A.Oberai, Population Growth, Employment and Poverty in Third World Mega-Cities, ILO Studies\MacMillan,

London 1993, pag 13

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Questa fase migratoria interna, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, porta alla formazione di megalopoli che senza una vera e propria regola di insediamento assumono il carattere di slum: luoghi caratterizzati da sovraffollamento, strutture abitative scadenti o informali, accesso inadeguato all'acqua sicura e ai servizi igienici, scarsa sicurezza di possesso. Le città crescono in estensione a tal punto che arrivano ad inglobare le zone rurali, le due dimensioni si fondono e confondono le dimensioni fisiche che differenziano le due forme di insediamento e il locale, inteso come specificità, sparisce perché il processo di omologazione non è solo spaziale ma avviene anche a livello della coscienza di luogo prima citata. Il nuovo modello abitativo infatti non contempla la sinergia tra ambiente costruito, naturale e antropico (tre elementi che secondo A.Magnaghi costituiscono il territorio) scartando le ultime due si pensa solo alla costruzione in funzione dell'economia, abbandonando così saperi locali e rispetto, direi in senso animistico, delle cose che ci circondano.

Tabella esplicativa di alcune megalopoli con gli slum

Città Numero abitanti in

milioni

Abitanti per SLUM

Bombay 10\12 Dharavi 0,8 milioni

Città del Messico 8 Neza\Chalco\Izta 4 milioni

Lagos 8 Ajegunle 1,5 milioni

Il Cairo 8 Imababa 1 milione

Il Cairo 8 Città dei morti 0,8 milioni

Il Cairo 8 Ezbet El Haggana 1 milione

Lima 8\9 Cono Sur 1,5 milioni

Baghdad 5 Sadr 1,5 milioni

Dakar 2 Pikine 1,2 milioni

5

5 Mike Davis, Il pianeta degli Slum pag 31, Feltrinelli 2006

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Ecco alcune immagini di queste nuove zone di povertà:

Orangi Karachi -Pakistan-

Pikine , Dakar – Senegal –

Neza , Città del Messico – Messico –

Il caso Italiano non è forse meno drastico dei casi visti fin ora nel sud del mondo almeno per quanto riguarda il processo di deterritorializzazione inteso come liberazione dal territorio. Nel nostro paese che di migrazioni ne aveva già conosciute a cavallo tra 800 e 900 causate da una forte povertà, si verificò, negli anni 50, un fenomeno migratorio interno dovuto alla crescente ricchezza che alcuni centri industriali avrebbero prodotto. Qui nel contesto della divisione internazionale del lavoro nel secondo dopo guerra, si è verificato un processo di fordizzazione accelerata.

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Il risultato è stato imponente: abbandono dei sistemi urbani pedemontani e vallivi alpini, abbandono dell’osso appenninico, esodo dal sud e costruzione di aree metropolitane nella zona della pianura padana come esito del processo di massificazione del lavoro. Il nostro territorio è caratterizzato dalla storia delle città che costituiscono, a partire dall’epoca comunale medioevale, un reticolo molto fitto di città piccole, medie e grandi in pianura, al mare, in montagna ed in collina con una varietà di popoli, culture e paesaggi. Nel corso degli anni 50 si stratificano molte città centrali come Milano, Torino e Genova, il famoso triangolo industriale, verso il quale si mobilitarono un massiccio numero di risorse umane, tecniche ed economiche in relazione all’accelerazione del processo di produzione su vasta scala dei beni di consumo di massa. Si venne a formare il modello metropolitano città fabbrica che marginalizza la collina, la montagna e le zone costiere; in generale si rende periferico il reticolo urbano storico relegandolo a ruolo turistico ambientale. Il nuovo territorio non è più un costrutto storico di lunga durata ma viene destrutturato sempre più velocemente e gli spazi aperti vengono smembrati in:

a) Spazi aperti usati per l’urbanizzazione delle periferie industriali, spazi mono funzionali come quartieri dormitorio, zone mercato, ecc..

b) Pianure sfruttate per l’industria verde che trasforma parti rilevanti del paesaggio rurale (cascine, borghi, canali) in deserti meccanico-chimici del sistema mono culturale.

A questa sostituzione del paesaggio agrario con uno spazio omogeneo, di supporto a produzioni di tipo industriale, corrisponde una riduzione della complessità genetica (biodiversità) e culturale fatta di conoscenze specifiche e sostenibili (socio diversità).

c) Spazi costieri funzionalizzati al tempo libero del produttore massificato: l’industria del turismo di massa ha cementificato le coste più belle per farvi residance di lusso degradando scogliere e coste.

d) Il paesaggio di collina e montagna, rilevantissimo sia per estensione che per storia è un territorio che viene abbandonato e sottoposto a degrado ambientale e sociale.

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L’attrazione è verso i poli industriali di pianura e la conseguenza è lo svuotamento di zone montane che per molti anni hanno rappresentato luoghi di lavoro agricolo nel pieno rispetto di tutto che ciò che dava da vivere, il territorio.

Con quest’ultimo A.Maganghi intende il neo ecosistema, fatto di saperi e ambiente, che nella sua accezione complessa e integrata di ambiente antropico, fisico e costruito viene sepolto, ridotto allo spazio astratto, atemporale dell’economia.

Il locale scompare perché scompaiono i luoghi e le identità locali come valori utilizzabili nel modello di sviluppo economico e nella modernizzazione.

Alcuni esempi di industrie Italiane che hanno determinato la deturpazione del nostro territorio

Solvay, Rosignano (LI)

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Ilva, Taranto

Con l’avvento dell’era telematica il processo di liberazione dal territorio (de territorializzazione) continua attraverso linee evolutive diverse.

Molte delle attività umane che prima si effettuavano negli spazi aperti delle nostre città ora avvengono al chiuso di una stanza: la produzione e molti lavori avvengono attraverso il controllo aspaziale e atemporale di un computer, altre attività come il consumo o quelle di socializzazione avvengono nel cyberspazio; tutto ciò invita a una minore attenzione ai luoghi in cui viviamo.

<< L’ex abitante della città fabbrica si trova ora nel suo cottage telematico, in uno squallido condomino di periferia o in una villetta di una città diffusa, apre la sua navigazione in un mondo di libertà, di emozioni che fanno da contrappeso alla povertà estetica, di relazioni sociali e interazioni dello spazio materiale in cui vive6 >>.

6 A.Magnaghi, “Il progetto locale” pag 41, Bollati Boringhieri, 2010

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2. Lo sviluppo

Facendo un passo indietro è necessario tornare al concetto di sviluppo il quale, da un punto di vista ideologico, è visto come la realizzazione dei desideri e delle aspirazioni di tutti e di ciascuno, al di fuori di qualsiasi contesto storico, economico e sociale.

Ricondotto alla realtà lo sviluppo coincide con il decollo dell'economia e del accumulo di capitale a qualsiasi costo, così come si è realizzato a partire dal industrializzazione britannica nel 1750. Lo zoccolo duro sviluppista è fatto di progresso, controllo della natura e universalismo, valori che non coincidono affatto con aspirazioni universali e profonde; le società animiste ad esempio non condividono affatto la fede nel controllo della natura e allo stesso modo i buddhisti e gli induisti.

La data di nascita di questo modello, secondo S.Lataouche, è il 20 gennaio1949 quando nel suo discorso inaugurale davanti al Congresso, il presidente Truman definì come regioni sottosviluppate la maggior parte del mondo, nacque così il concetto disottosviluppo. Tutto ciò implicò una nuova concezione del mondo, secondo la quale tutti i popoli della terra devono seguire una sola via (one best way) lo sviluppo.

Latouche afferma che agli occhi del presidente il cammino era così tracciato: “una maggiore produzione è la chiave della prosperità e della pace”7. Nacque così, per i nuovi dannati della terra (i popoli del terzo mondo), un'altra grande speranza paragonabile a ciò che fu il socialismo per il proletariato nei paesi occidentali, una speranza sospetta nelle sue origini in quanto erano stati i bianchi a portarne i semi piantati prima di lasciare i paesi che avevano duramente colonizzato.

Così l'élite dei nuovi stati indipendenti tentarono l'avventura dello sviluppo trovandosi difronte ad una contraddizione: l'impossibilità di rifiutare la proposta e quella di realizzarla in base alla difficoltà di radicare nelle loro realtà i diversi elementi che costituiscono la modernizzazione come la tecnologia, medicina, educazione e altri aspetti, lontani da culture così differenti.

Lo sviluppo per quanto teoricamente riproducibile non è universalizzabile, le ragioni più note e più facilmente comprensibili come fin qui visto sono quelle ecologiche e sociali ma ne emergono altre.

7 S.Latouche, “Come sopravvivere allo sviluppo” pag 30, Bollati Boringhieri, 2006

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In questi ultimi decenni S.Latouche afferma che il concetto qui esaminato ha subito un grande disincanto lo testimonia il fatto che l'aiuto allo sviluppo nel 1960 si decise dovesse ammontare all' 1 per cento del PIL dei paesi dell' Ocse, per poi essere ridimensionato allo 0,70 per cento nel 1995 a Copenaghen, in realtà non ha mai raggiunto lo 0.25 per cento. Negli anni novanta lo sviluppo non era popolare nelle arene internazionali: Fmi, Bm, Wto, ai forum di Davos l'argomento non era nemmeno toccato;

citando un articolo di Le Monde del 2002 Latouche ricorda l' espressione del ex presidente del centro sviluppo all' Ocse al suo successore << avete dimenticato di chiamarci l'orchestrina per suonarci il requiem>>.

Il fallimento del tentativo di uno sviluppo universalizzato, che avrebbe dovuto portare un livellamento delle diseguaglianze economiche e sociali, è riscontrabile già a partire dal 1998 quando secondo un rapporto del United Nation Development Programme (PNUD) se dal 1950 la ricchezza del pianeta è cresciuta di sei volte il reddito medio di 100 paesi su 174 esaminati è in piena regressione, così come l'aspettativa di vita. Il patrimonio delle quindici persone più ricche al mondo è superiore al Pil di tutta l'Africa Sub Sahariana8. In queste condizioni al Sud lo sviluppo in quanto tale è ormai fuori questione, si tratta piuttosto di realizzare degli aggiustamenti strutturali ossia dei piani di austerità imposti dal Fmi per ristabilire la solvibilità dei paesi indebitati a causa di progetti di sviluppo illusori. Tuttavia dopo alcuni anni di coma avanzato si assiste, a partire dalla contestazione di Seattle contro la mondializzazione, a una vera e propria resurrezione dello sviluppo al punto che il Wto gli ha dedicato nel 2002 alcuni vertici Doha (Qatar) e Monterrey (Messico). Lo sviluppo sembra dunque sopravvivere alla sua morte e un particolare ruolo a suo favore viene giocato da alcuni suoi critici, tra i quali I.Sachs il quale, proprio in questi anni, sottolinea la necessità di una rivoluzione semantica ridefinendo il concetto in esame come una forza pluridimensionale.

Molti di loro hanno così suggerito la retorica con la quale mistificare gli effetti negativi dello sviluppismo: disuguaglianze crescenti tra nord e sud, la trappola del debito, distruzione ambientale, omologazione culturale e produttiva, eterodirezione.

8 Pnud, Rapport mondial sur le développement humain,Economica, Paris 1998

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Si apre l'era degli sviluppi particolari: sviluppo durevole, sostenibile, autocentrato, endogeno, partecipativo, comunitario, equo, locale ecc..

Aggiungendo un aggettivo al termine iniziale non si mette in discussione l'accumulazione capitalistica ma si tenta piuttosto di aggiungervi una componente sociale, culturale o ecologica. Senza passare in analisi le varie declinazioni sopraelencate proverò a concentrarmi sulla variante sviluppo locale. La necessità di affiancare il termine locale al modello sviluppista, e quindi mistificarne gli effetti, nasce da almeno due cause: degrado ambientale e sociale.

Per quanto riguarda il primo aspetto il territorio, nell'accezione di ambiente naturale, è minacciato da lenti e inesorabili processi di inquinamento ed eccessivi sfruttamenti delle risorse che ne determinano un cammino poco roseo. Da qui nasce l'esigenza di un approccio più sostenibile ossia che tenga conto dell'esauribilità delle risorse; limiti all'inquinamento e ai prelievi, soglie e divieti.

Questo è l'orizzonte culturale nuovo che prevede soglie massime ammissibili di degrado: la sostenibilità che misura il limite di sopportazione dell'ambiente rispetto alla pressione antropica oltre i quali si parla di collasso dei sistemi ambientali.

Secondo A. Magnaghi queste misure correttive, degli effetti catastrofe, trattano comunque ancora il territorio come supporto funzionale alla produzione del quale occorre misurare i limiti di sopportazione nel suo uso sempre strumentale al aumento del capitale. Si cerca di curare il malato per poterlo sfruttare ancora a nostro piacimento, in questa logica assumono un ruolo molto importante la scienza e la tecnologia per risolvere i problemi con misure standardizzate e l'apparato politico amministrativo nel ratificare i limiti oltre i quali non si può eccedere. Questi attori delle politiche del disinquinamento restano gli stessi del sistema economico dominante e la logica di chi governa è: chi inquina paga, senza tener conto che molti dei danni ecologici causati dalla grande industria non sono misurabili economicamente.

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Un esempio di costi incalcolabili di danni ecologici, la catastrofe della BP nel golfo del Messico, 2010

Il disastro ambientale della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon è stato uno sversamento massivo di petrolio nelle acque del Golfo del Messico in seguito a un incidente riguardante il Pozzo Macondo, posto a oltre 1.500 m di profondità. Lo sversamento è iniziato il 20 aprile 2010 ed è terminato 106 giorni più tardi, il 4 agosto2010.

Dopo 100 giorni dall'inizio delle perdite e a due settimane dal nuovo tappo che chiude il pozzo, in attesa di una soluzione definitiva, presumibilmente grazie alla tempesta tropicale che si è abbattuta sulla zona per più

giorni, la macchia di petrolio che prima galleggiava sull'acqua è praticamente scomparsa.

Rimane visibile solo il catrame spiaggiato sulle coste. Quanto manca a eccezione di quanto aspirato nelle operazioni di pulizia (circa 800.000 barili - corrispondenti a 127 milioni di litri) o date alle fiamme in incendi controllati si presume sia in parte evaporato, in parte dissolto (sono stati impiegati 7 milioni di litri di solventi rovesciati sulla macchia nera nelle prime settimane dell'emergenza), in parte digerito dai batteri; ma si ipotizza che la maggior parte sia finita sul fondale marino formando laghi di petrolio destinato a solidificarsi. Un terzo delle acque degli stati USA che si affacciano sul Golfo del Messico sono state chiuse, la pesca sta morendo e il turismo registra la chiusura del 20% delle spiagge.

Il 3 agosto 2010 inizia l'operazione Static Kill, con la quale la BP si propone di tappare definitivamente il pozzo mediante un'iniezione

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di fango e cemento attraverso i pozzi sussidiari, così da deviare il greggio in un bacino sicuro posto a 4 km di profondità.

Il 19 settembre 2010 viene terminata la cementificazione definitiva del pozzo9.

La sostenibilità può essere pericolosa per il territorio, << si può definire sostenibile un carico sulla groppa di un asino ( quando sia tale da non farlo schiantare sotto il peso) [...] Ma i luoghi, lo ripeto non sono bestie da soma. I luoghi sono soggetti culturali ,

“parlano”, dialogano con i contemporanei del lungo processo di antropizzazione attraverso il paesaggio, restituiscono le identità, memoria, lingua [...] Finché sulla scia della cultura industriale massificata tratteremo i luoghi come bestie da soma resteremo all'oscuro delle loro ricchezze profonde e difficilmente riusciremo a invertire stabilmente l'ecocatastrofe planetaria che abbiamo prodotto con la nostra ignoranza ambientale e locale10 >>.

Per quanto riguarda il secondo ordine di problemi causati dal modello sviluppista l'abbandono delle zone rurali per avvicinarsi alle grandi fabbriche causa dei problemi, oltre che di carattere paesaggistico con l'abbandono dei paesi, anche di carattere culturale e tradizionale. L'abbandono fisico di una zona corrisponde negli anni ad un abbandono, perdita, di tutte quelle conoscenze specifiche che sono il frutto di una convivenza sinergica tra uomo e ambiente nel corso di decenni e forse più.

Le azioni correttive molto spesso sono scollegate dalla profondità storica del luogo e finiscono, come nel caso del disinquinamento, per perpetuare il danno. Lo sviluppo Locale non sfugge alla colonizzazione dell'immaginario da parte dell'economico, in Francia questo pleonasmo nasce nelle zone rurali, come slogan dei tecnocrati, in particolare nelle zone montane vittime del produttivismo.

<< Negli anni settanta già si diceva che le strade costruite a caro prezzo, con i fondi dei dipartimenti destinati a sostenere gli agricoltori, con il pretesto di far uscire dall'isolamento le zone rurali, in realtà servivano all'ultimo agricoltore a traslocare in città e al primo parigino di installarsi nella fattoria liberata e trasformata in casa di

9 La Repubblica, 19\09\2010, “Chiuso definitivamente il Pozzo Macondo. Fine di una catastrofe durata cinque mesi”

10 A.Magnaghi, “Il progetto locale” pag 66, Bollati Boringhieri, 2010

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campagna11 >>. A questo punto è necessario sottolineare che la critica a questo modello di sviluppo locale non vuole essere un approccio ecologista al problema. Infatti questa visione pone la sostenibilità come interazione reciproca tra insediamento antropico e ambiente (naturale) di cui vanno rispettate le leggi di riproduzione. L'obbiettivo, audace, degli ecologisti è quello di ricostruire l'economia della natura per rilanciare quella dell'uomo, tale atteggiamento è positivo e propositivo rispetto all'approccio funzionale, l'ambiente da vincolo diventa opportunità. In questo sostenere con forza le ragioni della natura, questo punto di vista, rischia di essere parziale e causare un forte determinismo nel progetto dell'ambiente antropico.

11 S.Latouche, “Come sopravvivere allo sviluppo” pag 41, Bollati Boringhieri, 2006

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3. Un approccio alternativo

In questi ultimi anni si sta facendo strada un modello interpretativo, molto più complesso e articolato rispetto a quello visto fin qui, secondo cui il territorio è un soggetto vivente ad alta complessità costituito dall'ambiente antropico, costruito e quello naturale; approccio Territorialista.

A.Magnaghi, uno dei padri fondatori della scuola territorialista, descrive così le tre componenti fondamentali che costituiscono il focus di questo paradigma: il Territorio;

Ambiente fisico: biosfera; lo sfruttamento anomico delle risorse porta a un degrado crescente dell'ambiente, l'approccio funzionale inoltre vede le difformità come ostacoli da rimuovere e predilige l'appiattimento, pianura, e come conseguenza di ciò si attuano una serie di operazioni dannose: cementificazione, deforestazione, ecc..

Ambiente costruito: patrimonio edilizio, architettonico e urbanistico; sta subendo un crescente degrado causato dai processi di periferizzazione, le tecniche costruttive i materiali (cemento, o prefabbricati ecc..) danno vita ad un paesaggio indifferente alle qualità dei luoghi e omologante gli stili di vita e dell'abitare; a questo risultato coopera la mercificazione dei suoli e delle abitazioni.

Ambiente antropico: segna il legame tra la cultura e il luogo che abita e genera, da cui essa stessa è generata; il processo di omologazione, in un unico modello di produzione e consumo, comporta sradicamento delle comunità e la conseguente scomparsa di sociodiversità, marginalizzazione di attività autonome, connesse e integrate all'attività dei luoghi, verso attività eteronome (lavoro salariato) astratte dall'ambiente.

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In questo approccio la sostenibilità viene riferita alla costruzione di relazioni virtuose tra le tre componenti sopra indicate. In base a questo punto di vista, per poterla misurare, dobbiamo valutare le azioni di superamento del degrado ambientale non solo in relazione alla salvaguardia della natura ma in riferimento agli effetti sulla qualità della città: ambienti insediativi e processi di autodeterminazione delle comunità insediate. Considerando la complessità del Territorio la questione ambientale non è più un problema settoriale ma diventa relazionale, dal momento che il degrado ambientale è il prodotto storico di una determinata civilizzazione, essa può essere dunque affrontata solo attraverso una diversa configurazione fra il sistema socioculturale, economico e ambientale; << ..senza la salvaguardia della sociodiversità non può darsi biodiversità..12>>. A causa dell'omologazione delle culture produttive agricole, monoculture intensive e mega serre, dettata dalla standardizzazione dei consumi alimentari, si è determinata la riduzione del coltivare nel mondo e dunque della biodiversità, per giunta si può individuare nel recupero delle specificità culturali e locali il rilancio della biodiversità.

“Il mare di plastica”

Un esempio di omologazione della produzione in relazione alla standardizzazione dei consumi, Serra ortofrutticola di el Ejido nel deserto di Almeria (Spagna), Andalusia. La costa del sol è una distesa di plastica surriscaldata dal sole (35 mila ettari), 120 mila immigrati lavorano per pochi spiccioli l'ora come anelli di una catena di montaggio che porta ogni giorno nei nostri supermercati ortaggi e frutta fresca.

Ogni giorno da el Ejidio partono circa 1000 camion pieni di frutta e verdura verso i mercati europei.

La produzione è calcolata su 3000 tonnellate annue13.

12 C. Raffstein, “Les conditions d' un écologie juste” in Aa. Vv., Editiones à la Bacconière, 1995 13 http://d.repubblica.it/dmemory/2006/10/07/attualita/attualita/092ser51992.html

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Centro vivaistico “La Piana”

Esempio di valorizzazione della biodiversità grazie alla comunità locale. Questo centro sito in Camporgiano (LU), Toscana, è presente dal 1953 come vivaio forestale, dal 1999 ha scelto la strada dell'agricoltura biologica locale andando a recuperare i semi autoctoni di frutta, verdura e cereali dell'alta Garfagnana presso i coltivatori della zona. Ha creato la “Banca del germoplasma”

che ha differenza delle banche normali non vuole soldi ma semi per poi donarli gratuitamente a coloro che vogliono diventare “Agricoltori custodi”

che li coltiveranno . In cambio, la banca vuole, l'impegno di restituire i semi ricavati dai frutti coltivati. Oltre a queste attività il centro offre l'opportunità di partecipare ad incontri e corsi di formazione, nel 2008 è stato attivato un corso “Un esperienza di integrazione del disabile nel mondo rurale: L'orto floricoltore”.

Secondo l'approccio territorialista la sostenibilità va ricercata ponendo attenzione alle regole insediative introiettando nel progetto architettonico, urbano, socioeconomico requisiti che producano di per se insediamento ad alta qualità ambientale senza necessità di disinquinare, trasferire rifiuti e costruire dei parchi. Queste regole sono necessarie al processo di recupero dei luoghi che però non può prescindere dall'individuazione dell' identità territoriale, recuperabile attraverso la lettura di quelle fasi in cui l' abitante ha plasmato il territorio costruendone il patrimonio materiale e immateriale.

Grazie a questa attenta lettura, infatti, si può dare una profondità storica al luogo, non finalizzata alla conservazione o alla creazione di una città parco, volta ad acquisire sapienza ambientale e arte di costruire che hanno costituito in epoche precedenti le relazioni sinergiche tra ambiente e uomo. In secondo luogo dobbiamo far emergere il carattere culturale, radicato nel corso dei secoli, dei luoghi, determinante nella comprensione dei valori fondativi delle città: miti, religioni, utopie, rapporti sociali, economia ecc..

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L'identità di un luogo serve ai propri cittadini per riconoscersi e ripensarsi facendo emergere la sociodiversità dalla quale deve partire il lento processo di riterritorializazione. La sostenibilità dunque si risolve in un sistema che si autosostiene senza bisogno di stampelle: A.Magnaghi parla di << Sviluppo locale autosostenibile14

>> in opposizione a definizioni tecniciste della sostenibilità che prevedono un sostegno esclusivo dall'esterno diminuendo la capacità, dei luoghi, di essere autonomi e specifici.

Questo particolare modello di sviluppo si distingue da quelli descritti nei paragrafi precedenti proprio perché richiede una trasformazione paradigmatica delle sue tre componenti:

• Lo sviluppo non si identifica con la crescita economica ma alla crescita della società locale e alla sua capacità di autogoverno, politico, economico, culturale e sociale.

• Locale non si identifica più con lo spazio ma con il luogo inteso come specificità ambientale e culturale che va valorizzato non in funzione di decisioni o scopi esogeni ma viceversa deve essere un'esclusività endogena. In questo caso è necessario sottolineare che il luogo non appartiene di diritto a chi lo abita ma a chi se ne prende cura, per giunta questa posizione epistemologica è lontana da qualsiasi visione di chiusura culturale.

• La sostenibilità non coincide con la capacità di carico ambientale (ecological footprint) ma fa riferimento all'autonomia politica, sociale, economica, produttiva, culturale ecc..

14 A.Magnaghi, “Il progetto locale” pag 74, Bollati Boringhieri, 2010

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L'autore fiorentino costruisce, a proposito di (auto)sostenibilità e grazie ad I.Sachs, un sistema di indicatori, in base ai quali poterla misurare:

Sostenibilità Politica: Capacità di autogoverno della comunità insediata rispetto alle relazioni con poteri decisionali esogeni. Questo aspetto richiede di attivare forme di partecipazione alla governance rivolta alla costruzione di patti socialmente condivisi per uno sviluppo fondato sulla valorizzazione del patrimonio locale. Il progetto futuro nasce dalla pattuizione tra soggetti, in una società complessa e multiculturale, che fanno parte della società civile e i soggetti istituzionali che devono aprirsi a queste forme di democrazia partecipativa.

Sostenibilità sociale: Riuscire ad integrare gli interessi di quelli che sono i soggetti deboli nel sistema decisionale locale. Questi devono essere cercati tra coloro che esprimono un'energia contraddittoria rispetto a quella della crescita economica illimitata, da ricercare all'interno di quelle che sono le fasce colpite dalle nuove povertà:

ambientale, culturale, sociale ecc...

Sostenibilità economica: Viene intesa come capacità di autosostenibilità da ricercare in quelle attività agricole, industriali e del terziario che producano valorizzazione del patrimonio locale, stimolino le autoimprenditorialità locali in relazione alle risorse locali, agevolino le imprese a valenza etica.

Sostenibilità ambientale: Attività attraverso la quale si riduce la nostra impronta ecologica: chiusura dei cicli (energetici, rifiuti, alimentazione ecc..), riduzione mobilità interna delle persone e delle merci.

Sostenibilità territoriale: Il modello insediativo deve riuscire a favorire la riterritorializzazione, ossia valutare se l'organizzazione dello spazio fisico rende possibile la messa in pratica delle altre quattro sostenibilità.

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4.Schema e strumenti del processo di pianificazione di “Sviluppo locale autosostenibile”

Dopo aver ridefinito epistemologicamente il concetto di sviluppo locale, sgomberando la mente da possibili equivoche interpretazioni (ambientalismo e funzionalismo), è necessario operativizzarlo attraverso una sua sintetica e schematica rappresentazione che pianifichi il progetto.

Rappresentazione identitaria del territorio: Secondo A.Magnaghi le mappe topografiche convenzionali, rappresentando il territorio in base alle regole della geometria descrittiva, rispondono a esigenze funzionali dell'organizzazione del territorio: posizione, dimensione e funzioni.

Il territorio dei luoghi è invece quello che interessa all'approccio territorialista e la sua rappresentazione qualitativa è l'oggetto principale della mappa. Il suo contenuto è una biografia narrata tramite lo stile percettivo dei valori patrimoniali e territoriali, attraverso questa finestra interpretativa si elabora un documento culturale, con appositi apparati iconografici, che identifica la struttura e i caratteri morfotipologici, ambientali e paesaggistici di lungo periodo.

Il risultato di questo impegnativo lavoro interpretativo è “L'atlante identitario del patrimonio15” la cui rappresentazione riguarda: il patrimonio ambientale come i bacini idrogeologici, bio-masse, reti ecologiche, potenzialità energetiche; il patrimonio territoriale e paesistico morfotipo urbano, strutture e infrastrutture (spazi collettivi, strade, piazze), boschi, colline; il patrimonio socioeconomico riguarda i saperi, l'arte ecc.. Questo genere di atlante è uno strumento che nella sua fase di progettazione e sviluppo mette in moto un dialogo tra popolazione locale (portatrice di saperi) e un gruppo di esperti in materia di urbanistica, geologia, antropologia, sociologia.

15 Ivi, pag 149

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Le esperienze più recenti in questo senso sono le mappe di comunità16 costruite attraverso il coinvolgimento della popolazione locale e l'aiuto di docenti, artisti locali, architetti e alunni delle scuole, rappresentano in forma evocativa e simbolica l'identità e i valori patrimoniali che gli abitanti ritengono caratterizzare il loro luogo di vita.

Parish maps

di Loddiswell località del distretto di Devon nel sud dell' Inghilterra.

16 Questi progetti nascono dall'esempio Inglese dell'associazione Common Ground, che lavora per la valorizzazione

del patrimonio locale.

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Mappa di comunità zona Trasimeno e Orvietano nella provincia di Terni, Italia17.

Le mappe di comunità in Italia sono nate con l'esperienza degli ecomusei e si sono sviluppate anche nell'ambito della pianificazione paesaggistica18 che nella organizzazione partecipata degli statuti del territorio19.

La costruzione dello statuto dei luoghi: Questo testo normativo ha la duplice funzione di regolare la manutenzione, riproduzione e valorizzazione del patrimonio territoriale e il processo partecipativo degli attori che definiscono i valori dei luoghi in cui vivono.

Lo statuto è un passaggio successivo alla rappresentazione del Identità territoriale sulla quale si deve fondare e dalla quale esso stesso sarà creato, è infatti dalle invarianti strutturali che si può creare un corpus di regole e piani dalle quali poi dipenderanno le future trasformazioni del luogo. Con il termine invarianti strutturali si intende: << [...]

termine che nasce nell'abito delle discipline biologiche per indicare quei caratteri dei sistemi viventi che non variano e garantiscono la “conservazione” del sistema e il suo adattamento a perturbazioni esterne.

17 Questa esperienza è raccolta nel sito www.provincia.terni.it/ecomuseo/mappe.htm, molte altre mappe sono

rintracciabili nel sito www.mappedicomunità.it

18 Vedasi ad esempio il sito www.paesaggio.regione.puglia.it

19 Vedasi ad esempio i laboratori attivati presso il comune di Montespertoli (FI)

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Con questo significato il termine è entrato nel lessico della pianificazione territoriale.

[...] riconoscere i caratteri fondativi dell'identità dei luoghi che consentono il loro mantenimento e crescita nei processi di trasformazione.>> (comitato tecnico scientifico della Regione Toscana 1999). Le invarianti non indicano un imperativo normativo ma si riferiscono a quei caratteri che non sono variati nel tempo lungo dei cicli di territorializzazione e sono rappresentati ad esempio da bacini idrografici, sistemi costieri, paesaggi rurali e urbani storici, modelli socioculturali, valori relazionali tra insediamento e ambiente e così via. Il mancato rispetto di queste regole, nella riproduzione del territorio, comporta la morte di quest’ultimo. Come abbiamo visto il secondo aspetto dello statuto riguarda il tema della partecipazione riferendosi al fatto che il documento deve essere socialmente condiviso. In questo modo esso diventa un vero e proprio strumento di democrazia partecipativa attraverso il quale sono i cittadini che danno vita ad un atto costituzionale fondato sulla condivisione del valore patrimoniale locale. L'insieme di regole sarà orientato verso la trasformazione piuttosto che la conservazione museale dei nostri luoghi, ad esempio il trattamento del sistema fluviale: se ne prevedo un uso tecnico come lo smaltimento di alcuni rifiuti mi limiterò a ridurre il rischio di inquinamento (es. impianti di fitodepurazione) oppure se ne prevedo una fruizione, ad esempio ludica, cercherò di valorizzalo come risorsa.

Alcuni esempi di regole di trasformazione: materiali di costruzione, tecniche costruttive e tipologia urbana; regole finalizzate alla chiusura dei cicli energetici, costruzione di un mix di produzione energetica in relazione alla peculiarità del luogo; regole di riqualificazione di alcune strutture urbanistiche e architettoniche presenti, per eliminare il continuo processo di cementificazione.

Lo statuto è dunque orientato verso l'orizzonte della pianificazione territoriale ma non è un vero atto di pianificazione è piuttosto un trattato che la precede. La costruzione del progetto locale si fonda dunque sul patto tra una pluralità di attori che si realizza qualora si dia riconoscimento collettivo e valorizzazione del patrimonio territoriale come bene comune. Questo richiede che siano resi espliciti e socialmente prodotti gli scenari strategici della trasformazione. Il percorso fin qui delineato richiede il superamento delle forme tradizionali di rappresentanza e di delega quindi alla costruzione di nuovi istituti di governace allargata agli attori più deboli; democrazia partecipativa.

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Come abbiamo fin qui visto il territorio, concetto inscindibile da quello di locale, richiama un elemento che non è presente in natura in quanto prodotto dalle trasformazioni che compenetrano vicendevolmente natura e cultura.

La scuola territorialista cerca di (ri)portare il concetto di sviluppo locale sui binari giusti cercando di evitare facili mistificazioni, che Latouche bene ci descrive con l'esempio della campagna francese, partendo dall'idea che il locale non corrisponde necessariamente alla piccola dimensione è piuttosto il principio di una teoria interpretativa che postula la legittimità della differenza: il soggetto locale è colui che vede l'altro diverso da se un soggetto portatore di dignità e di senso non un oggetto da colonizzare.

Dunque la specificità è la carta che viene giocata in contrapposizione alle tendenze omologanti della globalizzazione descritte nei primi paragrafi. Per poter arrivare alla costruzione di questo progetto che Magnaghi stesso definisce “utopico” sono necessari, oltre che basi epistemologiche ben salde, alcuni strumenti operativi dai quali poi poter applicare i principi vitali: atlante patrimoniale, statuto dei luoghi e strumenti di democrazia partecipativa.

Il progetto è ambizioso e richiede la partecipazione di più soggetti, in primis gli abitanti che devono sentire la necessità di un rilancio autosostenibile dei luoghi in cui vivono, ultimamente stanno nascendo una serie di associazioni e iniziative confortanti in questo senso: La società dei territorialisti20, Mondi locali, Ecomusei, Ecovillaggi21, GAS, Orti civici22 e via dicendo. Questo breve elenco di buone pratiche dovrebbe farci riflettere sulla possibilità di cambiare e anche sul coraggio di voler prendere delle decisioni alternative, a volte radicali, rispetto a un modello di vita socio economico omologante.

Personalmente penso che la strada sia ancora lunga e che però sia quella da percorrere per poter avere un rilancio, non solo in senso economico, delle vite di molte persone aggrappate a sussidi e lavori precari.

20 Vedasi il sito di riferimento http://www.societadeiterritorialisti.it/

21 Ad esempio il caso di Torri Superiore villaggio ai piedi delle Alpi Liguri www.torri-superiore.org 22 Il caso dell'associazione “I custodi del piano”, Gorfigliano (LU) Alta Garfagnana, consultabili sulla

pagina

Facebook, la loro attività sta nel recuperare, tutelare e valorizzare il patrimonio agricolo e boschivo che nei periodi

duri della storia del nostro paese risultò fondamentale

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“Costruirsi il lavoro a casa” far si che il luogo in cui si vive non diventi solo il luogo dove “si mangia e si dorme” ma diventi anche quello in cui vale la pena di vivere per portare avanti e creare un mondo che sia più sano anche per i nostri figli abbandonando il pensiero che il comico G.Marx descrive grottescamente in un celebre aforisma:

<< Perché dovrei preoccuparmi dei posteri ? I posteri si sono mai preoccupati di me? >>.

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CAPITOLO SECONDO La deterritorializzazione

Sulla base di una ricerca che ho effettuato il termine in questione viene definito da Claude Raffstein, docente di Geografia umana all'università di Genova, come: << una delle fasi del processo di territorializzazione-deterritorializzazione- riterritorializzazione, la quale si innesca all’interno di una territorialità (intesa come stato compiuto che corrisponde ad un insieme codificato di relazioni, il cui equilibrio è tuttavia continuamente instabile poiché soggetto a variazioni nelle informazioni che possono imporre nuove strutturazioni) generando una crisi. La deterritorializzazione è, in senso primo, l’abbandono del territorio ma può essere anche interpretata come la soppressione dei limiti23. >>.

Il patrimonio territoriale esiste in quanto costrutto storico coevolutivo che ha trasformato la natura in territorio; questo processo in divenire, regolato da norme invisibili che producono paesaggi visibili, è definibile come ciclo di territorializzazione.

Tutto ciò genera un soggetto vivente ad alta complessità, infatti grazie all'interazione di più componenti: naturali, antropiche e strutturali si genera un organismo che cresce, si sviluppa, si differenzia e ha dei limiti; il neo-ecosistema ha bisogno di essere alimentato nel corso degli anni. La linfa vitale è rappresentata da quelle regole che lo hanno generato o da nuove, a condizione che tali trasformazioni costituiscano una continuità tra natura e cultura. Una rottura di questo legame può portare alla morte del territorio; evento che non rappresenta un problema ambientale ma riguarda l'uomo e le sue generazioni future.

Proverò ad oggettivare questa situazione con un esempio che A.Magnaghi ci offre: <<

un sistema collinare terrazzato è un sistema vivente […] prodotto a partire da un versante boscato , attraverso la costante opera di costruzione, trasformazione e manutenzione dei terrazzi in pietra che determina nuovi e più complessi equilibri fra azione umana e natura: aumenta l'assolazione creando un nuovo microclima, aumenta la produttività e la fertilità dei suoli ; trattiene a regime le acque produce salvaguardia idrogeologica; induce particolari tecniche e colture produttive e quindi costituisce un

23C. Raffestin, “Territorializzazione, deterritorializzazione, riterritorializzazione e informazione”, in A.

Turco (ed.), Regione e regionalizzazione, Milano, Angeli, 1984

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patrimonio informativo, tecnico e culturale; crea infine un paesaggio antropico. Il terrazzamento se abbandonato degrada e infine muore in quanto territorio […]

tornando natura attraverso un processo di dilavamento, erosione, microfrane, smottamento, interramento, frane più vaste [..] attraverso un nuovo equilibrio idrogeologico ed ecologico24>>.

Questo esempio ci fa capire chiaramente che la natura, nonostante l'abbandono, ritroverebbe un suo equilibrio ma così non sarebbe altrettanto per l'uomo il quale si troverebbe costretto a riorganizzarlo secondo le regole della sostenibilità, intesa come relazione virtuosa tra le componenti ambientali, antropiche e strutturali che costituiscono il neo-ecosistema territorio, altrimenti si troverebbe immerso in un non- territorio. Per sgomberare il campo da qualsiasi possibile fraintendimento la morte del territorio o deterritorializzazione non si identifica esclusivamente con una scarsa attenzione ecologica, come nell'esempio sopracitato, ma passa attraverso un mancato rispetto delle regole (limiti) che determinano una particolare identità del luogo che, non coincide con l'elenco dei singoli monumenti o paesaggi ma è piuttosto un particolare approccio epistemologico che possiamo definire “mente locale” intesa come metacomunicazione tra i soggetti e il luogo che abitano.

24 A.Magnaghi, “Il progetto locale” pag 97, Bollati Boringhieri, 2010

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1. La genesi della rottura

Secondo Albertro Magnaghi nel manifesto dell'urbanistica contemporanea, la “Carta di Atene del 1933” tradotta in lingua francese da Le Corbusier25, si porta a compimento teorico e normativo l'ordinamento del territorio in forma metropoli come fase matura della città fabbrica; un territorio riordinato secondo le leggi spazio-temporali del sistema di produzione tayloristico fordiano.

Il nuovo modo di abitare libera il territorio dai suoi vincoli naturali in funzione della razionalità del sistema fabbrica, l'astrazione del luogo avviene con la sua riduzione a spazio geometrico euclideo le cui figure sono riproducibili universalmente; nasce il territorio globale.

Le identità e le specificità territoriali vengono interpretate come ostacoli da rimuovere, l'abitante non è più al centro del progetto di occupazione del territorio ma ad ognuno è assegnata una specifica funzione alla quale è collegato un apposito spazio.

La recisione della città dal suo contesto vivente passa, secondo A.Magnaghi, attraverso una fase cruciale che coincide con il dominio delle funzioni economiche sull'organizzazione dello spazio: oggettivazione del territorio.

La produzione delle merci insegue razionalità insediative riferite all'organizzazione del ciclo produttivo, dei mercati e dei differenziali salariali, politici, ambientali e della qualificazione della forza lavoro. Le funzioni della metropoli si depositano come meteoriti che seppelliscono il territorio dei luoghi, degli stili di vita, dei modelli socioculturali ecc.

Un caso emblematico è quello della Samsung, azienda che da lavoro a circa 370 mila persone in oltre ottanta paesi, la cui influenza, sulla vita delle persone, si fa sentire in Corea del Sud.

Un cittadino di Seul potrebbe nascere al Samsung Medical Center e poi andare ad abitare in un condominio costruito dalla divisione edile della Samsung.

25 Le Corbusier; “La carta d'Atene / con un discorso preliminare di Jean Giraudoux”. Trad. it. di C.

De Roberto; Milano, Edizioni di Comunità, 1960.

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La sua culla potrebbe arrivare dall'estero magari trasportata su una nave cargo costruita dalla Samsung Heavy Industries. Crescenndo questa persona potrebbe vedere gli spot realizzati dalla Cheil World Wide, agenzia pubblicitaria della stessa Samsung e indosserà abiti della divisione tessile della Samsung la Bean Pole. Quando i suoi parenti verranno a trovarlo potranno soggiornare all' Hotel Shilla e fare shopping allo Shilla Duty Free entrambi di proprietà Samsung26.

Samsung medical center -Seul-

Hotel Shilla -Seul-

A questo oblio contribuisce la possente mobilitazione della forza lavoro che crea crescente sradicamento geografico e sociale generando residenti e non abitanti: lo straniero, l'immigrato, il nomade; la condizione di massificato diviene prevalente nel

26 Internazionale, 10\16 maggio 2013, n° 999, anno 20, articolo di Sam Grobart tratto dal Bloomberg Buisnessweek, NY

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modello insediativo metropolitano con la rottura della relazione tra etnia,linguaggio e territorio; i residenti della periferia vengono dislocati a caso in siti resi indifferenti alla loro storia e senza possibilità di ri-territorializzare.

Nonostante un crescente apparato di controlli, limitazioni e barriere, i migranti a livello mondiale, secondo le statistiche dell'ONU sono cresciuti di 16 mln di unità tra il 2000 e il 2005 aggirandosi intorno ai 200 mln di cui 28 mln nell' UE che raggiungono i 50 mln se aggiungiamo i naturalizzati.

Questo nuovo fenomeno di massa nasce sotto le spinte di processi strutturali grazie ad attori come le multinazionali, questo nuova ondata migratoria viene definita globalizzazione dal basso27 ossia la globalizzazione delle persone comuni, delle famiglie e delle loro reti di relazione che cercano fortuna da altre parti. Ma c'è un'ulteriore spinta a migrare, infatti queste persone sono attirate non solo per cercare scampo nel mondo ricco ma arrivano anche perché ricercati dalle economie sviluppate per occupare i vuoti creati nel mondo del sistema occupazionale quello delle cinque P: precario, pesante, pericoloso, poco pagato, penalizzato socialmente; il mercato globale assorbe più rapidamente gli immigrati rispetto al sistema politico.

Il grande flusso di persone ha notevoli ripercussioni demografiche e sociali sia sul paese di provenienza,calo demografico e rimesse economiche, che in quello di destinazione, aumento demografico e integrazione) dove le politiche dovrebbero andare oltre al problema della semplice assistenza sociale e guardare anche verso sistemi complessi di inclusione nei diritti locali di cittadinanza.

Condizioni abitative degli immigrati a Rosarno (Reggio Calabria)

27 Maurizio Ambrosini, Un'altra globalizzazione, la sfida delle migrazioni internazionali, Il Mulino, Bologna, 2008

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