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L’efficacia esimente dei modelli di Gestione della Sicurezza, una promessa mai mantenuta.

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2021/1-BIS

L’efficacia esimente dei modelli di Gestione della Sicurezza, una promessa mai mantenuta.

di Mattia Moscardini

PROBLEMATICHE E PROSPETTIVE DI RIFORMA A VENTI ANNI

DAL D. LGS. 231/2001

(2)

13 L’efficacia esimente dei modelli di Gestione della Sicurezza, una promessa mai mantenuta.

di Mattia Moscardini

Abstract

Il presente contributo mira ad evidenziare la centralità dell’art. 30 del d.lgs. n. 81/08 nelle prospettive di riforma del d.lgs. n. 231/01, alla luce dell’evoluzione organizzativa introdotta della norma UNI ISO 45001.

Si propone una panoramica del rapporto tra prevenzione e punizione con l’obiettivo di trovare una soluzione di equilibrio tra la indeterminatezza della fattispecie esimente ed il tecnicismo alla base delle certificazioni internazionali e della norma tecnica UNI, rispettivamente utili a dimostrare l’idoneità e l’efficacia del Modello.

The aim of this research paper is to point out the centrality of art. 30 of Legislative Decree no. 81/08 in the context of a possible reform of Legislative Decree no. 231/01, in light of the organizational evolution introduced by the UNI ISO 45001 standard.

It proposes an overview of the relationship between prevention and punishment aimed at finding a balance between, on the one hand, the vagueness of the exoneration clause, and on the other hand, the technicality behind international certifications and UNI standard, useful to define, respectively, the Model’s suitability and effectiveness.

Sommario

1. Premessa – 2. La genesi – 3. Lo stato dell’arte. L’art. 30 del d.lgs. n.81/08, l’interpretazione,

l’applicazione e i suoi limiti - 3.1 Il fronte del giudizio, esperienze di merito – 4. L’evoluzione – 5. La norma tecnica ISO 45001:2018, una nuova prospettiva – 6. Conclusioni e prospettive di riforma

1. Premessa

I molteplici argomenti riguardanti la responsabilità dell’ente per le morti e gli infortuni avvenuti in violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene della salute sul lavoro (art. 25 septies, d.lgs. 231/01), hanno destato e continuano a destare un discreto interesse sia nella dottrina penalistica, che nella giurisprudenza, passando addirittura per la letteratura del settore tecnico ingegneristico. Il motivo è evidente e risiede nel valore intrinseco e trasversale dell’argomento.

Incide sicuramente la relativa novità costituita dall’introduzione dei delitti colposi nel sistema di responsabilità dell’ente, ma richiama l’attenzione dei più quello che si può definire “l’orizzonte delle opportunità”.

É evidente che a fronte di un nuovo sistema punitivo con spiccate capacità sanzionatorie, definito non senza ragione “la svolta epocale”,

l’attenzione di molti è stata posta sul sistema di salvaguardia e salvezza che lo stesso legislatore ha voluto creare trovando un “compromesso” tra la finalità preventiva e quella repressiva. Il micro sistema dei modelli (MOG e SGSL).

La presenza della “fattispecie esimente” ha suscitato un nuovo interesse e conseguente fermento. Se a ciò si aggiunge che tale esimente poggia le sue basi su una normativa tecnica di settore, è facilmente spiegato l’interesse multidisciplinare.

Il presente contributo vuole essere una presa d’atto dello stato dell’arte, dove a fronte di una produzione scientifica ampia si contrappone una giurisprudenza relativamente scarsa il cui merito, però, è aver posto (e a volte risolto) problematiche profonde che paiono risiedere nelle fondamenta della costruzione del sistema.

Il momento è quantomai propizio, l’opportunità

di revisione critica rappresentata dal prossimo

ventennale del d.lgs n. 231/01 coincide con il ritiro

(3)

fatti nella relazione si limitano ai reati selezionati dagli strumenti ratificati dalla legge delega.

Insomma, al netto della giustificazione addotta dal legislatore storico che è stata motivata da un lato dai due diversi ordini del giorno delle Camere e dall’altro dalla preoccupazione di non rendere ulteriormente accidentato il percorso di adattamento della cultura aziendale ad un’innovazione dal carattere radicale

1

, i delitti colposi di cui si tratta troveranno ingresso nel sistema in una fase successiva.

Qui effettivamente si potrebbe individuare un primo vulnus, una colpa primigenia, e cioè aver definito la disciplina generale senza tenere conto (o volendo rimandare tale valutazione ad una fase avanzata) della compatibilità di quella con i delitti colposi

2

. E se tale scelta appariva come una doverosa cautela, diventa davvero poco comprensibile l’inserimento nel catalogo del d.lgs. n. 231/01 di detti reati proprio nel momento in cui la giurisprudenza e la dottrina avevano cominciato e continuavano ad interrogarsi sui principi generali del nuovo sistema.

Non v’è chi non veda come i ripetuti e gravi fatti di cronaca (su tutti l’incendio nell’acciaieria Thyssenkrupp di Torino) abbiano influenzato e forzato un iter che, con il senno del poi, avrebbe dovuto essere accompagnato da una definizione giuridica e una produzione giurisprudenziale più netta

3

.

Ed infatti, il degenerare di tale fisiologica patologia si coglie in maniera plastica da due aspetti non di poco momento: l’introduzione dell’art. 25 septies come immediatamente precettivo dalla legge delega n. 123 del 2007 e la profonda revisione, che ci interessa più da vicino, effettuata dall’introduzione del d.lgs. n. 81 del 9 aprile 2008 (c.d. “Testo unico sulla sicurezza”).

L’art. 25 septies sembra nascere quindi già sotto una potente “riserva mentale”

4

prova ne sia che nel disegno di legge 1507 del 18 aprile 2007 (base della legge delega n.123/07) tra gli oggetti della delega era annoverata anche l’introduzione della responsabilità da reato degli enti, ma è stato solo nel corso dell’iter parlamentare che ne è stato disposto al Senato lo “stralcio” e lo “sdoppiamento”

in un’autonoma e parallela disposizione immediatamente operativa.

Nessuna concertazione, nessun accorgimento, nessuna armonizzazione, come forse aveva sperato il legislatore delegato del 2001.

Come sarebbe stato possibile ricostruire i profili oggettivi di vantaggio e interesse in delitti mancanti di volizione? Ed ancora, come sarebbe possibile pensare che l’assenza di volontà o meglio l’imprudenza, la negligenza o l’imperizia possano essere compatibili con la volontaria elusione fraudolenta di una procedura?

della norma tecnica che, come detto, costituisce (o avrebbe dovuto costituire) la base del sistema utile all’esimente per i delitti di interesse.

Una preliminare e rapida analisi sulla introduzione dell’art. 25 septies nel catalogo dei reati presupposto della responsabilità degli enti condurrà ad evidenziare quanto fragile sia la tenuta del sistema di responsabilità rispetto ai reati colposi, tale da fare ipotizzare come prematura la loro introduzione nel catalogo. Parallelamente si evidenzierà la portata di “riequilibrio” del d.lgs. 81/08.

Successivamente si tenterà di evidenziare quanto l’applicazione pratica delle norme potenzialmente salvifiche sia naufragata tra le ondivaghe pronunce di merito a causa di una indeterminatezza normativa diventata patologica.

Saranno evidenziati i tentativi di recupero paralegislativi di normazione secondaria e settoriale, i conseguenti tentativi di riforma (non a caso dopo il primo decennio) ed infine le future prospettive, tentando di abbozzare un tracciato verso iniziative di riforma che mirino al recupero della fase di prevenzione grazie alla entrata in vigore di una nuova norma tecnica di rango internazionale.

2. La genesi

Come noto, l’introduzione nel catalogo dei reati previsti dal d.lgs. n. 231/01 dei delitti di omicidio colposo e lesioni colpose avvenuti in violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro (art. 25 septies, d.lgs. n.

231/01) si deve alla legge delega 3 agosto 2007, n.123.

È evidente quindi che in sede di introduzione del nuovo sistema di responsabilità da reato dell’ente, questi delitti non fossero presenti.

Eppure l’art. 11 della legge 29 settembre 2000, n.300, con il quale veniva delegato il Governo all’intervento in materia, non escludeva anzi richiedeva espressamente (art. 11, comma 1, lett. c) che la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche riguardasse anche i reati relativi alla tutela dell’incolumità pubblica previsti dal Titolo IV del Libro II del codice penale. Pertanto, la delega consentiva di espandere l’area del nuovo sistema tanto sui reati dolosi quanto su quelli colposi.

Alla lettura delle premesse della relazione al decreto

legislativo 8 giugno 2001, n.231, invero si coglie

quella che lì viene definita come “sopravanzamento

della illegalità di impresa sulle illegalità individuali”,

un profilo che facilmente si sarebbe accostato a tale

tipologia di reati colposi. Eppure nella descrizione

della “economia illegale”, gli esempi che vengono

(4)

Il riequilibrio cui si faceva cenno in premessa, si sostanzia prima nella portata esimente del modello previsto dall’art. 30 del d.lgs. n.81/08 e poi nella capacità di questo di adempiere efficacemente al trasferimento di funzioni del delegante come sancito dall’art. 16, comma 3, d.lgs. n. 81/08 (compendiato nella formula attuale e di specifico interesse con il c.d. decreto correttivo n. 106/2009).

Questo rapido excursus vuole tracciare un percorso che dia prova della centralità del “nuovo” sistema di gestione della sicurezza sul lavoro (SGSL) in quel delicato equilibrio tra prevenzione e repressione che permea il sistema di responsabilità degli enti.

In maniera suggestiva il titolo del presente contributo parla di “promessa mai mantenuta” in quanto è stata posta, al centro del sistema, una fattispecie esimente dai tratti indefiniti a fronte di una apertura ai reati colposi che ha avuto oggettivamente una portata dirompente verso le aziende.

Purtroppo lo scarso riconoscimento dell’esimente sembra dare dimostrazione del fallimento della prognosi postuma nella valutazione di idoneità dei modelli di gestione del rischio, consentendo di incorrere sistematicamente nel bias: post hoc propter hoc. Il fatto è accaduto pertanto, ed in quanto, il modello è inidoneo. Se a questo si accosta il superamento giurisprudenziale della incompatibilità tra interesse o vantaggio e delitto colposo, gli spazi argomentativi si restringono notevolmente.

Ma qualche luce compare all’orizzonte.

3. Lo stato dell’arte. L’art. 30 del d.lgs. n.81/08, l’interpretazione, l’applicazione e i suoi limiti.

Per comprendere dove si è arrivati è forse necessario capire da dove si è partiti.

La rilevanza dell’introduzione dei “Modelli di organizzazione e di gestione” nel TUSL deve essere colta specificamente nella sua funzione esimente rispetto alla responsabilità dell’ente, al rapporto quindi con il modello ex art. 6 del d.lgs. 231/01 e alla natura dello stesso come sancita dalla norma.

Per meglio chiarire. I modelli, chiamati inizialmente sistemi di Gestione e Sicurezza del Lavoro esistevano e venivano applicati già da tempo nelle realtà aziendali, invero in quelle più complesse ed in determinati settori merceologici. La scelta compiuta dal legislatore delegato è stata quella di mirare a far evolvere quel sistema per poterlo adattare ad ogni realtà aziendale (emblematico in tal senso il “modello semplificato” per le piccole e medie imprese introdotto dal d.lgs. n. 106 del 3 agosto 2009) dotandolo di efficacia esimente È doveroso riportare come la giurisprudenza

di merito troverà poi alcune soluzioni, dovendo alla fine esercitare la giurisdizione, vagliate e condivise dalla Cassazione a Sezioni Unite: prima la qualificazione di interesse dell’ente in detti reati colposi nel “risparmio derivante dai mancati investimenti, economici e di risorse organizzative, nel settore della prevenzione degli infortuni sul lavoro” e dalla riferibilità dello stesso alla sola condotta causale e non all’evento (Cass. Pen., Sez.

Un., 18 settembre 2014 (ud. 24 aprile 2014) n.

38348, Imp. Espenhahn e altri), e poi definendo il vantaggio “qualora la mancata osservanza della normativa cautelare consenta un aumento della produttività” (Cass. Pen., Sez. IV, del 14 giugno 2016 (ud. 20 aprile 2016) n. 246967, imp. Mazzotti e altri).

Sul diverso tema invece della fraudolenta elusione nel caso di soggetto apicale, la sola via che consentirebbe ai sensi dell’art. 6 del d.lgs.

231/01 l’esenzione di responsabilità dell’ente, il Supremo Collegio non ha avuto ancora una possibilità concreta di esprimersi, lasciando spazio al confronto dottrinale. Posizioni che oscillano da una incompatibilità strutturale del reato colposo con l’elusione fraudolenta

5

, alla qualificazione dell’elusione come volontà di conseguire il risultato e cioè l’omissione della cautela antinfortunistica

6

, ancora addirittura elevando la sola efficace adozione dei modelli organizzativi (per i reati colposi) come scusante

7

. In questo panorama la giurisprudenza di merito

8

, pur coltivando dubbi sulla compatibilità generale, ha aderito alla soluzione “volontaristica”

della elusione tralasciando l’accezione di raggiro insita nella fraudolenza.

Nemmeno il tempo di pubblicare in Gazzetta il decreto n.123/07 per introdurre l’art. 25 septies, che otto mesi dopo lo stesso è stato profondamente riformato dal d.lgs. n. 81 del 9 aprile 2008 (tempo sufficiente perché la dottrina ne cogliesse molteplici criticità addirittura di rango costituzionale).

Un tentativo, sia concesso, di riequilibrio di un sistema che rischiava di crollare da una parte a causa dell’incompatibilità genetica dell’imputazione oggettiva di interesse e vantaggio con la struttura del reato colposo e dall’altra dal difficile adeguamento, a tali reati, dell’art. 6, comma 1, lett. c) del d.lgs.

n. 231/01 di esenzione di responsabilità dell’ente nella elusione fraudolenta dei soggetti apicali al modello di organizzazione e gestione (MOG).

L’intervento innovatore del d.lgs. n. 81/08, per

quanto di interesse, ha riguardato l’introduzione

degli artt. 16 e 30 (e l’art. 2, comma 1, lett. dd) che

ha natura definitoria) estendendo invero la portata

di possibile tutela dalla responsabilità dell’ente

alla responsabilità delle persone fisiche

9

.

(5)

5 dell’art. 30 del d.lgs n. 81/08 recita “in sede di prima applicazione, i modelli di organizzazione aziendale definiti conformemente alle Linee guida UNIINAIL per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (SGSL) del 28 settembre 2001 o al British Standard OHSAS 18001:2007 si presumono conformi ai requisiti di cui al presente articolo per le parti corrispondenti”.

Il dettato sembra chiaro, se l’ente si conforma agli standard il modello sarà conforme ai requisiti con efficacia esimente.

Sono necessarie due precisazioni preliminari per poi addentrarsi nella valutazione più approfondita del reale portato della norma.

La prima concerne la locuzione iniziale “in sede di prima applicazione” resta così infelice da far sorgere dubbi sulla durata entro la quale operi la presunzione di conformità, e se il termine sia da riferire all’applicazione delle Linee Guida (o al BS) fino alla loro modifica

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oppure se ciò si riferisca ai soli modelli già esistenti prima della promulgazione del d.lgs. 81/08. La questione di per sé non ha ancora avuto una reale ricaduta pratica ma, come vedremo alla fine, potrebbe addirittura creare un vero vuoto normativo.

La seconda concerne la conclusiva espressione

“per le parti corrispondenti”. Il tema, suscettibile di una ampia trattazione non oggetto del presente contributo, può essere racchiuso considerando questa espressione come il punto di raccordo e contatto tra i MOG 231 (modello organizzativo) e SGSL (modello prevenzionistico). Non basta dotarsi di un SGSL conforme agli standard indicati dalla norma per dotarlo di efficacia esimente, è necessario un quid pluris che lo collochi all’interno o quanto più vicino possibile al modello previsto dall’art. 6 del d.lgs. n. 231/01. Sostanzialmente, ai fini dell’efficacia esimente, l’SGLS deve prevedere il controllo da parte dell’Organismo di Vigilanza ex d.lgs. 231/01

13

, nonché la sottoposizione al sistema disciplinare (per alcuni rileva anche l’indicazione delle modalità di gestione delle risorse finanziarie

14

).

La rilevanza (e il tecnicismo) della disposizione è stata tale che il maggior organo tecnico istituzionale è intervenuto a sostegno della chiarezza della norma con la nota lettera circolare del 11/07/2011 prot.15/VI/0015816/MA001.

A001 creando la “tabella di correlazione” tra l’art.

30 d.l.gs. n. 81/08 – linee Guida Inail e BS OHSAS 18001:2007, ponendo l’attenzione sugli strumenti (processi) utili a verificare l’effettività e conformità del Sistema di Gestione stesso e cioè “monitoraggio e audit interno” e “riesame della direzione”.

Si aggiunga da ultimo un tema a chiusura dell’elencazione delle caratteristiche dei modelli ad rispetto al reato dell’ente.

Le caratteristiche del modello come riportate nelle lettere del comma 1 dell’art. 30 del d.lgs. n.

81/08 depongono tutte nel medesimo senso, e cioè dell’intero cambio di paradigma del sistema di sicurezza sul lavoro dall’approccio della legislazione degli anni ’50, in quanto viene posta al centro del sistema la valutazione del rischio

10

.

Ebbene, il funzionamento sicuro dei processi aziendali di produzione di beni o fornitura di servizi, passa quindi attraverso valutazioni e conseguenti procedure standardizzate o regole di comportamento che trovano il loro fondamento in riferimenti normativi, nelle disposizioni di leggi speciali, addirittura nei manuali tecnici.

Cardine e gestore di quel rischio diventa il datore di lavoro, soggetto normativamente definito, onerato di obblighi indelegabili.

A fronte di tale nuovo paradigma normativo rispetto alla prevenzione dei rischi, la norma, avendo sullo sfondo la neo introdotta responsabilità dell’ente per i delitti colposi commessi con violazione delle norme previste da quel decreto, apre ad una salvifica protezione con efficacia esimente

“dell’adozione ed efficace attuazione” del modello.

La prima e rilevantissima questione emerge immediatamente sulla natura del modello già al comma 1 dell’art. 30 del cit. d.lgs. il quale, con riferimento alla portata esimente, utilizza l’espressione “deve essere adottato” aprendo quindi il dubbio tra un possibile obbligo di adozione o una mera individuazione tassativa delle caratteristiche del modello stesso. Propende la dottrina maggioritaria per la seconda ipotesi riconoscendo una non sistematicità nella obbligatorietà di adozione di tale modello solo per la materia antinfortunistica, a fronte della facoltatività dei modelli organizzativi ex d.lgs. n. 231/01

11

.

Il senso ultimo, quindi, è nella semplice considerazione che laddove fosse intenzione adottare (o adattare) un SGSL con efficacia esimente della responsabilità ex crimine dell’ente per i reati di omicidio e lesioni con violazione delle cautele antinfortunistiche, questo deve avere le caratteristiche indicate nelle lettere da a) a h) del primo comma dell’art. 30 e dei successivi commi 2 (sistema di reporting), comma 3 (compartimento funzionale e sistema disciplinare) e comma 4 (sistema di riesame e revisione).

E si arriva così al tema centrale: se sono chiari e positivizzati obiettivi e funzionalità, come si individua il doveroso e quindi corretto contenuto?

Come visto sopra, i modelli esistevano già nelle

realtà aziendali e il legislatore ha quindi previsto

una presunzione di conformità tra la migliore

tecnica e il modello con efficacia esimente. Il comma

(6)

codici di comportamento, asseverato dagli OP e certificato da enti accreditati, anche la più accorta dottrina arriva ad ipotizzare una presunzione iuris tantum suscettibile, al più, di invertire l’onere della prova – addossandolo alla pubblica accusa – anche nelle ipotesi di reati commessi da soggetti in posizione apicale

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(presunzione che, per quanto noto, al momento non ha trovato largo riscontro in giurisprudenza).

3.1. Il fronte del giudizio, esperienze di merito.

La realtà è che il “terreno dello scontro” riguarda la valutazione riservata al Giudice penale circa l’efficace attuazione del modello e su questo piano la totale indeterminatezza della fattispecie esimente fallisce clamorosamente.

Nella recente esperienza normativa italiana, quando si è tentato di definire i profili delle esimenti, purtroppo, si è caduti in meccanismi presuntivi che complicano l’esercizio della giurisdizione. La recente esperienza sulla legittima difesa è emblematica. La volontà politica era dichiaratamente creare una esimente che impedisse l’accertamento e con la riforma è stato creato un automatismo che, invece, si presta sempre ad essere verificato.

Sperando di poter relegare a mero accidente quella riforma, è però condivisibile che la presenza di fattispecie indefinite sia un vulnus del sistema penale e se è vero che il nostro sistema rifugge tendenzialmente da modelli di accertamento presuntivi e dal conseguente automatismo applicativo delle disposizioni che li contengano, recente dottrina

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eccepisce come gli stessi possano però essere “empiricamente fondati, sostenuti da ragionevoli esigenze preventive e sempre relativi, aperti cioè alla possibilità di essere contraddetti”.

Forse la chiave potrebbe essere questa, trovare una forte base empirica con ragionevole esigenza preventiva.

Gli elementi, in realtà, nel caso della esimente ex art. 30 d.lgs. 81/08 sembrerebbero già esserci tutti, non manca la base empirica e pressano oltremodo le esigenze preventive.

In tal senso si apprezzano due pronunce di merito piuttosto recenti che hanno fatto un ottimo uso dei principi già condivisi e dato atto della possibile linea interpretativa circa i modelli.

Entrambe le sentenze riguardano la responsabilità dell’ente R.F.I., gestore unico della rete ferroviaria italiana in virtù di concessione statale, ed entrambe per decessi colposi aggravati dalla violazione di norme antinfortunistiche nell’ambito di due incidenti ferroviari (Motta S.Anastasia, Trib. Catania, Sez. IV, del 14 aprile 2016, n. 2133, Giud. Benanti e Scala di Giocca, Trib. Sassari, Sez.

Pen., del 26 settembre 2018 (ud .28 giugno 2017), efficacia esimente. Proprio il d.lgs. n. 81/08 come

modificato dal d.lgs. n. 106/09 prevede ai sensi del comma 3-bis dell’art. 51 che il modello possa essere asseverato dagli organismi paritetici definiti di cui all’art. 2, comma 1, lett. ee)

15

. Chiare sembrano solo le intenzioni della norma perché in realtà i requisiti di tale attività non risultano ben definiti.

Se l’asseverazione è attività necessaria a garantire la veridicità, correttezza, conformità, di determinate documentazioni, progetti e si effettua davanti ad un Tribunale è pur vero che essa è definita nelle sue forme dalla legge e non rimessa alla valutazione di organismi privati (per quanto ampiamente rappresentativi). Cioè non si comprende il reale valore di questa attività in quanto, come osservato, se il modello è creato in conformità a norme tecniche individuate per legge e compendiato, nel resto, con codici di comportamento indicati da organizzazioni di rappresentanza (presentati al Ministero della Giustizia ai sensi dell’art. 6, comma 3, d.lgs. n. 231/01) l’asseverazione non ha gran ragione di essere. Se efficacemente adottato l’asseveratore naturale è perciò, ai sensi del d.lgs.

n. 81/08, proprio il sistema di controllo interno delle organizzazioni

16

.

Altro aspetto è quello della certificazione volontaria del SGSL resa possibile dalla conformità del modello alle Linee Guida UNI INAIL o al BS OHSAS 18011:2007. Un vero e proprio universo parallelo quello della certificazione in quanto fonda, diversamente dalla asseverazione, il proprio operare su una esperienza internazionale in continua evoluzione. Sarà utile solo indicare come il meccanismo di certificazione passi attraverso degli organi accreditati e che tale accreditamento avviene attraverso un unico ente nazionale per ogni Paese europeo (in Italia, dal 2010, è ACCREDIA). L’ente di accreditamento (AB – Accreditation Body) quindi

“certifica la capacità di certificare” secondo norme e protocolli condivisi a livello internazionale e quindi mutualmente riconosciuti. Nel caso specifico degli SGSL ad oggi esiste un modo di accreditare gli enti certificatori costruito a livello mondo ed oggetto di specifica attenzione, cioè esiste un unico modo per capire se un ente è in grado e come deve fare a certificare l’idoneità e l’efficacia di un SGSL.

L’Italia è tra i primi Paesi al mondo sia per qualità dello standard di verifica (il famoso RT12) che per numero di certificati rilasciati e gestiti

17

.

Quale che sia l’attività “a valle” della creazione del modello, la realtà è assai meno rosea delle aspettative in quanto il vero banco di prova della esimente è da tutt’altra parte.

Insomma, anche laddove l’azienda avesse seguito il

dettato della norma, e quindi adottato un modello

conforme agli standard, compendiato secondo i

(7)

Seppur riportate solo nei tratti estremamente essenziali, si coglie nelle pronunce il pregio di aver colto i tratti salienti del sistema prevenzionistico e la strada per la verifica del suo funzionamento effettivo.

Come si è detto sopra, proprio questo è il

“terreno di scontro” e cioè la verifica in concreto dell’efficacia del modello tale da riuscire a liberare realmente la valutazione del Giudice dall’assioma (già richiamato) dell’inefficienza dimostrata dal verificarsi del fatto.

In tal senso ancora non ha avuto degna centralità l’innovazione portata dall’art. 16, comma 3, secondo periodo, d.lgs. 81/08, del quale la dottrina ha valorizzato il solo rapporto causale tra modello e responsabilità del datore di lavoro

21

.

Tale norma si pone invero come vera norma di raccordo e chiusura del sistema di responsabilità dell’ente.

In definitiva, il “sistema 231” è concepito come controllo anche sul SGSL, ed in effetti è proprio l’art. 16 d.lgs. n. 81/08 a dare il metro di questo rapporto prevedendo come assolto l’obbligo di vigilanza sull’incaricato nella “sola” adozione del modello. Sebbene non manchino le forti critiche a questa presunzione assoluta ritenuta addirittura

“paradossale”

22

, è da rilevare il ruolo fondamentale dell’ODV previsto dal d.lgs. n.231/01 cioè uno strumento di controllo la cui finalità è proprio verificare l’idoneità (non può che intendersi concreta) del modello ex art. 30, comma 4, del d.lgs.

n. 81/08. In tal senso, lungi dal vedere un limite nel lavoro dell’ODV, è sostenibile o quantomeno desiderabile che l’attività dell’organo di vigilanza sia posta a fondamento della valutazione di efficacia del SGLS anche ai fini della scriminante.

La strada è ancora lunga.

4. L’evoluzione

Avvicinandosi le conclusioni è momento di bilanci e diventa necessario prendere atto di alcuni dati incontrovertibili dai quali procedere verso una possibile idea di riforma.

Il sistema di prevenzione degli SGSL funziona, prova ne sia la riduzione degli infortuni nelle aziende certificate pari a circa il 16%, che nel 40% dei casi sono meno gravi rispetto a quelli che avvengono nelle imprese non certificate

2324

.

A fronte di una efficacia oggettiva di questo sistema (o forse in ragione di ciò) il sistema punitivo arretra. Le iscrizioni delle Procure nei confronti degli enti si riducono drasticamente e spesso, è necessario dirlo, si limitano ad una iscrizione formale che tecnicamente non fa altro che ricalcare l’imputazione della persona fisica ed aggiunge una Giud. Nuvoli est.). Forse non solo per un puro caso

l’evento è il medesimo che in Gran Bretagna (altra isola) nel 1842 determinò la prima sanzione penale ad un ente (R. v. Birmingham and Gloucester Railway), ma l’esito qui sarà diverso.

Condurrebbe troppo lontano dall’oggetto del contributo una analisi approfondita delle due sentenze

20

, ma ciò che più interessa sono i tratti comuni alle pronunce che valorizzano le certificazioni del modello e si addentrano nella valutazione di efficacia evidenziandone gli elementi tipici.

La sentenza del Tribunale di Catania compie una importante disamina in merito alla certificazione rilasciata al modello di R.F.I. adottato nel 2001, redatto per la parte di interesse secondo lo standard OHSAS 18001, e certificato nel 2006 da ente accreditato (TÜV Italia). In questo caso il precipuo interesse del Giudice era motivato dal problema di un mancato aggiornamento del MOG a causa di quel susseguirsi di norme che avevano introdotto la responsabilità degli enti per i reati colposi di cui si tratta. Insomma, nonostante il mancato aggiornamento, attraverso l’esame dei documenti aziendali inerenti all’attenzione verso la problematica causalmente connessa al fatto- reato (riunioni ODV, DVR, note dei dirigenti, ecc…) e valorizzando la certificazione di quel sistema di controllo, l’ente non è stato ritenuto responsabile di alcuna colpa.

Ancor di più il Tribunale di Sassari che con una organica e analitica motivazione muove dalla certificazione del modello come fosse una base inamovibile circa l’idoneità prevenzionistica astratta tale da consentire un vaglio ulteriore.

Questo vaglio viene compiuto alla ricerca invece dell’efficacia in concreto trovando specifici indicatori quali: procedure di valutazione del rischio assorbite nel modello, strutturazione analitica in materia di sicurezza con compiti definiti e capacità consone, flussi informativi verso l’ODV e l’utilizzo del sistema disciplinare predisposto. Tutti gli elementi sono stati valorizzati per l’esclusione della responsabilità (addirittura con la condanna, invece, delle persone fisiche).

Entrambe le sentenze si sono poi pronunciate in

merito ad interesse e vantaggio, nonostante le

considerazioni sul profilo soggettivo, escludendo

entrambi: da un lato perché il risparmio economico

di un ente che opera in concessione statale e sulla

base di risorse concordate con lo Stato stesso non

trova ontologicamente fondamento, dall’altro in

quanto nessun vantaggio organizzativo sarebbe

derivato dalla attivazione delle procedure utili

al finanziamento per predisporre i sistemi di

protezione che avrebbero impedito l’evento.

(8)

e situazione accertata (di talché un accertamento giudiziale sarebbe stato comunque necessario).

Assai più interessante però è che il sistema di certificazione avrebbe dovuto essere definito e gestito dal Ministero della giustizia. Il Ministero avrebbe dovuto fissare con regolamento i criteri generali per la certificazione, determinandone:

il contenuto, le modalità di rilascio, l’efficacia e la periodicità del rinnovo alla luce dei codici di comportamento delle associazioni rappresentative.

Non solo, il regolamento avrebbe dovuto individuare anche gli enti in grado di rilasciare la certificazione creandone un elenco e vigilando sull’attività di questi.

Tale proposta è stata oggetto di critica

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ed invero lo è stato l’intero sistema di certificazione (sebbene lo stesso autore comprenda il valore potenzialmente risolutivo della certificazione).

Probabilmente un limite risiedeva nell’ipotizzare una certificazione unica, in mancanza delle norme di riferimento e poggiandosi, di fatto, sui codici di comportamento il cui scarso successo a livello interpretativo è una triste ma onesta considerazione. Forse la proposta AREL mirava alla creazione di un sistema simile alla responsabilità medica, regno incontrastato delle linee guida, ma che avrebbe necessitato comunque di una elaborazione normativa dei principi generali.

Pur considerando limiti e qualità, purtroppo va rilevato che questi atti sono gli unici ad avere il pregio di aver indicato una nuova via e aver spinto tutti i soggetti coinvolti al confronto. Sia permesso notare però che ognuna di queste proposte recava con sé ciò che all’inizio è stata arditamente definita logica del “compromesso”.

Il disegno Della Vedova prevedeva a fronte della innovazione un innalzamento delle sanzioni, la proposta AREL addirittura un nuovo reato. La provenienza squisitamente politica ha lasciato la sua traccia ma, se qualcosa insegnano i precedenti (alcuni qui riportati), sarebbe più utile avere percorsi condivisi già nella formulazione della proposta piuttosto che cercare la quadratura nell’iter legislativo.

Ed è su questo piano, con questo auspicio, che si rassegano le conclusioni.

5. La norma tecnica ISO

45001:2018, una nuova prospettiva

Ripartiamo dalla fine. La proposta AREL ha colto con notevole anticipo l’evoluzione che avrebbe avuto la materia delle certificazioni, soprattutto nel ristretto ma ampio ambito dei delitti colposi aggravati dalla violazione delle norme antinfortunistiche.

È pur vero che quel tentativo “imbrigliava” la qualche sterile formalistica locuzione come “con

interesse e vantaggio costituito dal risparmio di spesa”.

Conseguenza è il numero esiguo di pronunce di mancanza di responsabilità, in genere, ma ancora meno di “assoluzione” per mancanza di colpa di organizzazione.

Ed è in tal senso che diventa necessario individuare indicatori specifici della buona organizzazione e della implementazione del sistema di sicurezza del lavoro, in modo da aiutare e supportare il giudicante nella decisione finale liberandolo dall’onere di dover creare ogni volta un percorso motivazionale autonomo.

Questo in parte l’obiettivo dei due più noti tentativi di riforma del d.lgs. 231/01: lo schema di disegno di legge redatto dalla AREL (Agenzia di Ricerche e Legislazione) su iniziativa dell’allora ministro Alfano e la proposta di legge n.3640 del deputato Della Vedova, entrambe dell’estate del 2010.

Per quanto di interesse, cogliendo tra le due proposte evidenti analogie, si evidenzia un tentativo regolatore e, sia concesso, “pacificatore”.

Entrambe le proposte prevedevano la sottrazione degli enti alle misure interdittive cautelari. Il disegno AREL, a fronte dell’adozione di un modello certificato (tra un attimo si vedrà tale peculiarità) escludeva le misure in via generale se non per esigenze di eccezionale rilevanza (art. 7-bis, comma 3, disegno AREL). La proposta Della Vedova le escludeva anch’essa in via generale, con eccezione delle c.d. imprese illegali e la comminazione in via cautelare solo dopo il primo grado con approvazione (sic!) della Corte di Appello e solo nel caso di grave pericolo di reiterazione (art. 2, commi 1 e 2, proposta di legge n. 3640/2010).

Non solo.

La proposta Della Vedova, spingendo l’orizzonte più avanti possibile, arrivava a positivizzare l’inversione dell’onere probatorio rispetto all’efficacia dei MOG conformi alle linee guida e codici di comportamento (art. 1, comma 1, lett c) proposta di legge n. 3640/2010). Proposta che mirava, dichiaratamente, ad eliminare la differenza nella disciplina generale tra apicali e sottoposti.

Sebbene astrattamente condivisibile la proposta sembra presentare notevoli lacune tecniche, anche di formulazione della norma, e forse il maggior valore risiede proprio nell’arrivo in parlamento di un tema di riforma oggettivamente complesso.

Diversamente la proposta AREL ha ipotizzato un meccanismo di notevole interesse (al tempo): la certificazione preventiva del modello.

Tale certificazione avrebbe consentito l’esclusione

della responsabilità dell’ente tout court a meno di

disallineamenti considerevoli tra modello certificato

(9)

n. 81/08, anche a fronte del ritiro della norma OHSAS 18001 potrebbe indicare ulteriori modelli di organizzazione e gestione con efficacia esimente, è scaduta e al momento di redazione del contributo non rinnovata (oltre alle complicazioni attuali dovute alla pandemia).

Sebbene, come detto, la nuova 45001 costituisce sviluppo fisiologico della 18001 si potrebbe facilmente sostenere una continuità normativa, ma la complessità dell’argomento, soprattutto in una fase transitoria chiamata appunto di “migrazione”

dei sistemi di sicurezza, avrebbe richiesto un supporto tecnico istituzionale più definito anche perché, come nuvola nera, sull’orizzonte si staglia la locuzione del comma 5 dell’art. 30 del d.lgs. n.

81/08 “in sede di prima applicazione”, condizione che certamente non ricorrerebbe per la norma 45001:2018.

6. Conclusione e prospettive di riforma

Ciò che conclusivamente si può osservare è che gli elementi utili a definire l’esimente esistono già.

Data questa premessa un serio intervento di riforma dovrebbe “accontentarsi” di definire una volta per tutte la idoneità astratta dei modelli attraverso le certificazioni esterne, abbandonando il meccanismo delle asseverazioni.

Questo potrebbe aprire alla inversione dell’onere probatorio per i reati contestati agli apicali, ponendolo nella giusta prospettiva accusatoria, almeno riguardo ai delitti di omicidio e lesioni commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene della salute sul lavoro.

Sarebbe necessario prendere però atto della impossibilità di sottrarre alla valutazione giudiziale l’efficacia in concreto del modello e tentare di positivizzare gli elementi che obbligatoriamente sono previsti dalla norma tecnica in modo da indirizzare la valutazione del Giudice.

Insomma, al fine di decidere se il modello sia efficacemente implementato il Giudice dovrà verificare, per esempio, se i sistemi di reporting sono utilizzati, se esistono le funzioni di controllo e come sono state attivate, se sono state comminate sanzioni disciplinari, se il ruolo dell’ODV è attivo e sono attivi i flussi informativi verso questo, quali e quante risorse (umane ed economiche) sono state destinate alla sicurezza. Sono ormai

“scienza comune” i fattori utili a verificare l’efficace attuazione di un modello prevenzionistico ed è forse il momento di utilizzare tale scienza tecnica nel sistema penale (in parziale analogia con le linee guida mediche).

certificazione nell’ambito nazionale, addirittura ministeriale, con il chiaro intento di trovare una fondatezza latu sensu politica.

Ma oggi viene da chiedersi perché fare in house qualcosa che esiste e come visto: funziona a livello sovranazionale, ha un fondamento empirico e tecnico, nella realtà aziendale italiana è particolarmente diffuso.

Il momento è cruciale, in quanto a marzo 2021 verrà ritirata la norma BS OHSAS 18001:2007 per fare posto alla norma ISO 45001:2018, sua evoluzione condivisa a livello internazionale con il lavoro degli organi tecnici di circa 80 Paesi.

Una vera e propria norma non più uno standard riconosciuto come migliore esistente.

Non è sufficiente lo spazio in questo contributo per un esame dettagliato della norma e delle differenze con la precedente ma sarà sufficiente tratteggiare le caratteristiche salienti ed utili allo scopo esimente.

Sia detto che la nuova norma ha fatto esperienza dei limiti della 18001 ed è stata modificata ponendo al centro il concetto di risk based thinking e redatta utilizzando come riferimento le strutture di alto livello, onerandole direttamente del compito di “valutazione e miglioramento della prestazione”, declinando addirittura la gerarchia di controlli (in analogia alle “misure generali di tutela” di cui all’art. 15 del d.lgs. n. 81/08).

Il continuo riferimento della norma a processi piuttosto che procedure avvicina molto la norma al dettato normativo dell’art. 30, d.lgs. n. 81/08 ed anche al modello previsto dal d.lgs. n.231/01.

Si potrebbe dire che riduce le parti “non corrispondenti” in quanto nel ricondurre ai vertici aziendali la valutazione delle prestazioni li onera di un intervento di correzione (manca sempre il sistema disciplinare).

In particolare il punto norma 9 contiene i requisiti relativi alla valutazione delle prestazioni, articolate nelle diverse componenti che tradizionalmente costituiscono il processo di check: il monitoraggio e la misurazione, la valutazione della conformità, l’audit interno, il riesame della direzione.

Se a questo si associa il “miglioramento continuo”

del punto norma 10 diventa chiaro quanto detto in premessa rispetto alla completezza operativa della norma.

Insomma, la nuova norma tecnica (adattabile nella sua appendice NA alla legislazione nazionale) prevede riesame e report obbligatori verso l’alta dirigenza. Un sistema simile, se non uguale, a quello del MOG ideale.

Ebbene a fronte del momento così delicato,

rileviamo un rischio importante in quanto la

Commissione Consultiva Permanente che, ai sensi

dell’art. 30, comma 5, secondo periodo del d.lgs.

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Se tutto questo non fosse condivisibile o implementabile, sarebbe molto più efficace e efficiente prendere atto del fallimento del meccanismo di esonero di responsabilità in virtù dell’adozione ed efficace attuazione dei modelli e non “promettere” alle imprese un effetto salvifico, a fronte di investimenti economici e organizzativi rilevanti, puntualmente disatteso.

Se, come veniva scritto nella relazione accompagnatoria al d.lgs. n. 231/01, “l’elaborazione di un sistema di responsabilità dell’ente, altro non faccia che razionalizzare l’esistente” in quanto “una risposta sanzionatoria nei confronti di quest’ultimo [l’ente NdR] già oggi esiste nei fatti, se si pensa che il costo del processo e delle pene applicate al suo esito viene di massima sostenuto dall’impresa, piuttosto che dal singolo”, l’attuale sistema si distinguerebbe per una doppia sanzione all’ente, compromettendo la stessa efficacia deterrente del sistema punitivo.

Ed allora sarebbe forse necessario confrontarsi con le legislazioni straniere più avanzate sul tema e osservare come alcuni sistemi di common law abbiano coniugato il binomio responsabilità oggettiva/modelli come attenuanti

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delineando un quadro più “rozzo ma onesto” di responsabilità.

Si potrebbe, inoltre, pensare di mantenere alta e

stimolare comunque l’attenzione verso la sicurezza aziendale valorizzando l’adozione del modello come causa impeditiva di sanzioni cautelari interdittive per evitare, almeno in una fase preliminare, quella

“doppia sanzione” dovuta al procedimento verso l’ente e i suoi apicali.

Si assisterebbe però ad una inversione di tendenza e si arresterebbe una evoluzione, tutto sommato, costante anche perché come lungimirante ed illuminata dottrina

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ha avuto modo di scrivere “a fronte di questo contesto e di questa configurazione di responsabilità senza colpa, da status, occorrono iniziative privatistiche di creazione di normativa secondaria e settoriale. Un’opera di normazione che cerchi di produrre e recuperare la certezza perduta e con essa un minimo di quella prevedibilità applicativa che la legge non è più in grado da sola di assicurare”.

Smarrire questa strada sarebbe un danno irreparabile pari almeno a percorrerla senza il necessario spirito critico che dovrebbe prendere le mosse da una analisi dell’attuale sistema troppo spessa divisa, come visto, tra l’interesse di tutela delle imprese e la finalità deterrente della punizione, tale da invertire l’asse dal societas delinquere non potest a “societas semper delinquunt”.

1 S. Dovere, Articolo 25 septies Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, in M.LeviS - A. Perini, La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, Zanichelli, 2014, p. 617

2 L. Stortoni, I reati per i quali è prevista la responsabilità degli enti, in AA.vv., Responsabilità degli enti per i reati commessi nel loto interesse, in Cass. Pen., 2003, suppl. al fascicolo 6, p.70

3 G. AMAreLLi, La sicurezza sul lavoro tra delega legislativa e responsabilità delle imprese per le ‘morti bianche’: la legge 123/2007 (prima parte), in Studium Iuris, 2008, 3, p.255

4 Ibid.

5 P. ieLo, Lesioni gravi, omicidi colposi aggravati dalla violazione della normativa antinfortunistica e responsabilità degli enti, in Resp. amm. soc. enti, 2008, 2, p. 66

6 t. vitAreLLi, Infortuni sul lavoro e responsabilità degli enti: un difficile equilibrio normativo, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2009, p.708

7 M. APAro, I reati presupposto, in A. D’Avirro – A. Di AMAto, La responsabilità da reato degli enti, in Trattato di diritto penale dell’impresa (diretto da A. Di AMAto), vol. X, Cedam, 2009, p.446

8 G.U.P. Tribunale di Cagliari, sent. 4 luglio 2011, n. 1188/11, in Corr. Merito, 2012, 2, p.169 con nota di G. GentiLe 9 Cosi S. Dovere, cit., p. 619

10 S. Dovere, cit., p. 633

11 A. PreSutti – A. BernASconi, Manuale della responsabilità degli enti, Giuffrè, 2018, p. 140

12 P. ieLo, Lesioni gravi, op cit., p.70 e r. Lottini, I modelli di organizzazione e gestione, in F. GiuntA – D. MicheLetti (a cura di), Il nuovo diritto penale della sicurezza nei luoghi di lavoro, Giuffrè, 2010, p. 189

13 Sul punto permane qualche dubbio rispetto alla corrispondenza tra ODV e Organismo di Vigilanza interno previsto dalla norma BS OHSAS 18001:2007

14 A. PreSutti – A. BernASconi, op. cit., p. 150

15 “organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, quali sedi privilegiate per: la programmazione di attività formative e l’elaborazione e la raccolta di buone prassi a fini prevenzionistici; lo sviluppo di azioni inerenti alla salute e alla sicurezza sul lavoro; l’assistenza

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alle imprese finalizzata all’attuazione degli adempimenti in materia; ogni altra attività o funzione assegnata loro dalla Legge o dai Contratti collettivi di riferimento”

16 P. FerrAri, “Modelli di organizzazione e di gestione per salute e sicurezza sul lavoro. Note sul problema dell’efficacia esimente e dell’asseverazione”, in PuntoSicuro.it, 2011.

17 Fonte sito ACCREDIA

18 F. D’ArcAnGeLo, La responsabilità da reato degli enti per gli infortuni sul lavoro, in Resp. Amm. soc. enti., 2008, n.2, p.77 19 F. conSuLich, La legittima difesa assiomatica. Considerazioni non populistiche sui rinnovati artt. 52 e 55 c.p., in Giur. Pen.

Web, 2019, 5, p.13

20 Si rimanda ad un pregevole contributo sulla sentenza Trib. Catania, Sez. IV, del 14 aprile 2016, n. 2133 giud. Benanti (incidente di Motta S. Anastasia) di A. orSinA, Il caso “Rete Ferroviaria Italiana s.p.a.”: un’esperienza positiva in tema di colpa di organizzazione, in Dir. Pen. Cont.- Riv. trim., 2017, 1

21 A. PreSutti – A. BernASconi, op. cit., p. 144

22 t. vitAreLLi, La disciplina della delega di funzioni, in F. GiuntA – D. MicheLetti (a cura di), Il nuovo diritto penale della sicurezza nei luoghi di lavoro, Giuffrè, 2010, p. 49

23 Addirittura il 98,4% delle aziende, dopo la certificazione del proprio sistema di gestione, hanno verificato un miglioramento della sicurezza, misurato attraverso il numero di infortuni e malattie professionali (74,6%) e dei mancati infortuni (70,1%), le ore di formazione (63,3%) e le non conformità gestite (55,6%)

24 I dati di riferimento sono estratti dal quaderno dell’Osservatorio Accredia sulla sicurezza sul lavoro, reperibile on line dal sito https://www.inail.it/cs/internet/docs/all-infografiche-osservatorio-accredia-2018.pdf

25 S. BArtoLoMucci, Lo strumento della certificazione e il d.lgs. 231/01: polisemia ed interessi sottesi nelle diverse prescrizioni normative, in Resp. Amm. soc ed enti, 2011, p.47

26 Per un’analisi comparatistica G. GALLuccio Mezio, Diritto e procedura penale degli enti negli U.S.A., Cedam, 2018, in particolare sul meccanismo sanzionatorio p. 88

27 F. SGuBBi, Il Diritto penale totale, il Mulino, 2019, p. 78

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