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CAPITOLO III SINTESI STORICA

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CAPITOLO III

SINTESI STORICA

III.1. PRIMA DI ROMA

La città romana di Cemenelum sorse in una zona frequentata e abitata dall’uomo sin dai tempi più antichi.

Tutta la valle del torrente Paglione (Le Paillon), lungo la quale si leva la collina di Cimiez, e quelle dei suoi affluenti hanno conservato e restituito numerose testimonianze del proprio passato; queste ultime si infittiscono nella zona più prossima alla costa e consentono la ricostruzione della vita nel luogo sin dai tempi preistorici.

III.1.1. Tracce dalla Preistoria

La frequentazione da parte dei primi ominidi della zona del golfo di Nizza è attestata da due siti importanti, non solo a livello locale, ubicati alle pendici del Mont Boron, i quali conservano le tracce di spiagge pleistoceniche.

Il più antico di questi è il sito di Terra Amata, occupato 400 000 anni fa circa, anche se per breve tempo, da gruppi di Homo erectus. Si trattava con tutta probabilità di nuclei di cacciatori nomadi che si spostavano seguendo i branchi di grossi animali ( tra cui gli elefanti) e che vivevano in una sorta di capanne allestite con grossi rami, le quali potevano accogliere una ventina di individui. Proprio qui sono stati rinvenuti i resti di una di quelle capanne, innalzata su quella che allora era una spiaggia di sedimenti marini, testimonianza delle variazioni di livello dell’acqua nel tempo, causate dall’alternanza di periodi glaciali ad altri più caldi.

In questo periodo, caratterizzato da un clima caldo, il livello del mare raggiungeva quota + 26 m, e la linea di costa era sensibilmente più arretrata rispetto ad oggi; la collina del Castello

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a Nizza era una piccola isola in gran parte sommersa dall’acqua (Tav. 54, fig. 123)1. La

peculiarità del sito risiede, oltre che nell’eccezionale stato di conservazione di un segmento di storia così antico, nella presenza, al centro della capanna, dei resti di focolari, alcuni dei più antichi scoperti al mondo.

La grotta di Lazaret invece, a qualche centinaio di metri più a sud e ad una quota inferiore rispetto al sito di Terra Amata, ha restituito le tracce di un’occupazione umana più tardiva sempre da parte di gruppi di Homo erectus preneandertaliani. All’interno della grotta sono stati riconosciuti un ventina di paleosuoli sovrapposti, che coprono un periodo che va dai 230 000 ai 125 000 anni fa.

Le analisi hanno evidenziato il progressivo stanziamento dei nuclei umani nel luogo, inizialmente occupato per brevi periodi durante la stagione fredda, poi con sempre maggiore continuità, come traspare dagli strati più superficiali e quindi più recenti, occupati anche per più di un anno. Il sito è il testimone di un periodo glaciale, durante il quale il livello del mare toccava quota +23 m e la linea di costa era più avanzata: la grotta infatti si trovava ad un centinaio di metri da quest’ultima.

I resti di un riparo, una sorta di tenda delimitata da un allineamento di pietre, sono stati rinvenuti all’interno della grotta, addossati alla parete rocciosa. L’industria litica è caratterizzata da schegge bifacciali nei livelli inferiori, caratteristiche dell’Acheulano Superiore, mentre in quelli superiori nettamente preponderanti sono i rasoi, realizzati utilizzando materiali locali, come i calcari marnici. L’industria si inserisce in una fase di transizione tra Acheulano finale e Musteriano.

L’età in cui si può parlare di una vera e propria sedentarizzazione dell’uomo è quella Neolitica, epoca nella quale il clima si fa più temperato, documentata nella zona circostante Cimiez, da alcuni rinvenimenti sparsi, dei quali il più importante è quello della cosiddetta Villa Giribaldi (oggi Villa Ratti), ad 1 km circa a sud dell’attuale museo archeologico2.

Gli scavi hanno permesso di identificare un probabile villaggio datato intorno a 4500 anni a.C. e delle fosse di estrazione di argilla, utilizzata per la fabbricazione di ceramica nonché di mattoni impiegati nella costruzione delle abitazioni.

Vestigia di abitazioni e resti di armi neolitiche furono rinvenuti anche sulla collina del Castello a Nizza3.

1 Si veda : M. BUIRON 2005, pp. 9-25.

2 Situata all’incrocio posto fra l’Avenue des Arènes e l’Avenue Ratti (Tav. 7). 3 Si vedano: BRUN 1877, p. 454 ; LAMBOGLIA 1939, p. 36.

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E’ molto probabile che sia questo il periodo a partire dal quale, ebbe inizio la formazione dell’etnia cui appartengono i Liguri, qualificati da Barruol come "race méditerranéenne, des

autochtones sensu stricto"4.

III.1.2. La protostoria

L’età del Bronzo (1800-600 a.C.) è attestata nella zona della bassa valle del Paglione, immediatamente a nord della collina del Castello, grazie ad alcuni sondaggi effettuati nella piazza Garibaldi, che hanno restituito livelli con frammenti di ceramica non tornita, l’analisi dei quali ha fornito una datazione 3300 +/- 60 BP5. Tracce di frequentazione umana sono state rinvenute inoltre lungo il litorale antico, all’altezza della rue de France6, posta a circa 200 m all’interno rispetto alla linea di costa attuale, con resti di focolari e frammenti di ceramica non tornita; la datazione di questo strato al C14 fornisce una cronologia di 2570 +/- 150 BP.

Il paesaggio naturale caratteristico di quest’epoca è quello lagunare, con il fiume Paglione caratterizzato da paleoalvei anche ad est della collina del Castello7.

E’ interessante notare come le tracce relative a questo periodo si situino in zone sfruttate ampiamente anche in età romana. La piazza Garibaldi sorge infatti sopra un antico guado del Paglione, mentre l’odierna rue de France ricalca il percorso dell’antica via romana che di qui proseguiva in direzione di Antipolis8. Considerazione questa, che permette di immaginare l’esistenza di un’antica pista, precedente la conquista romana, in seguito sfruttata e perfezionata dai romani stessi.

Depositi di bronzi che hanno numerose affinità con altri provenienti dal Piemonte e dalla Valle d’Aosta, ma anche con la Valle di Taggia nella provincia di Imperia, testimonianza degli scambi e dei contatti allacciati attraverso le valli alpine, furono rinvenuti sia a Cimiez che sulla cima del Mont Gros, lungo la catena di monti a ridosso della sponda orientale del

4 Si veda BARRUOL 1969, pp. 155 e 163-165.

5 I livelli sono stati identificati ad una profondità di 12 e 15 m rispetto al suolo attuale, si veda BUIRON 2005, p.

21.

6 ARNAUD A. 2006, p. 18.

7 Il fiume Paglione si sdoppiava in due bracci, uno orientale che sfociava nell’odierno porto di Lympia, l’altro

occidentale ha tutt’ora il suo sbocco all’altezza della Place Masséna. Si veda: BUIRON 2005, p. 21.

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Paglione9.

Infine, l’età del Bronzo finale è testimoniata sulla collina del Castello, grazie al rinvenimento di numerosi frammenti di ceramica modellata, durante un sondaggio all’interno della cattedrale di Notre-Dame du Château, ed in seguito nella falesia sud-est della collina stessa10. La datazione dei vari reperti ha fornito una cronologia riferibile al Bronzo finale II-III (1000-900 a.C.)11. Per l’età del Ferro la documentazione si fonda sui resti delle numerose cinte fortificate, tipiche di questo periodo ed in maniera particolare verso la fine di esso (III sec. a.C.), al punto che è possibile parlare addirittura di una vera e propria "civilisation des

oppida"12.

La cultura di Halstatt raggiunse questi luoghi, come si ricava da un sito ubicato a pochi chilometri di distanza sulla cima del Mont Leuze13.

Al VI secolo risalgono i primi scambi commerciali con il mondo greco; alcuni frammenti di ceramica greca furono rinvenuti sulla collina del Castello, in quello che risulta essere un abitato indigeno abbandonato anteriormente alla metà del I sec. a.C.

III.1.3. I Liguri e il popolo dei “Vediantii”

La realtà indigena stanziata nella zona anteriormente alla penetrazione romana è definita "Ligure" dalle fonti antiche14. Con questo termine si identificano tutti i popoli preromani, compresi tra la valle del Rodano ed il golfo di Genova, tra la costa mediterranea ed il lago Léman15, caratterizzati da uno stile di vita ed una cultura comuni che li distinguevano dai popoli vicini16.

9 Si vedano: MOUCHOT 1989, p. 23 ; LAMBOGLIA 1939, p. 36 e bibliografia in esso citata. 10 Cfr. GOUDINEAU 1971, p. 464.

11 Cfr. ALEXANDRE 2004 che a sua volta cita ALEXANDRE 1986. 12 ARNAUD A. 2006, p. 19.

13 ARNAUD A. 2006, p. 18.

14 La menzione più antica circa la terra dei Liguri è di Ecateo di Mileto (fine VI), riportato da Stefano di

Bisanzio negli Ethnica: sono liguri le città di Massalia (Mασσαλία πόλις τής Λιγυστικής), Monoikos, Ampelos. Cfr. BARRUOL 1969, p. 148.

15 Si veda : BRÉTAUDEAU 1996, p. 16. 16 Si veda: BARRUOL 1969, p.155.

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A partire dall’VIII secolo a.C. la componente celtica si insinuò lungo la valle del Rodano e di qui si spinse verso est, attraverso i valichi alpini. Liguri e Celti si fusero gradualmente insieme ed i nuovi venuti fecero proprie le abitudini degli autoctoni, ma le loro tracce sono individuabili nell’onomastica e nell’organizzazione politica che insegnarono ai Liguri, i quali a partire dal III secolo almeno risultano organizzati in confederazioni17.

Assai numerose sono le tribù liguri stanziate nel territorio delle Alpi Marittime a causa della particolare morfologia dello stesso. Le molteplici valli che lo caratterizzano costituiscono infatti, come sottolinea Barruol, "une mosaïque de petites régions naturelles,

dont chacune fut le siège, à l’époque préromaine, d’une tribu"18.

Tra tutte queste tribù quella dei Vediantii controllava la zona litoranea di Nizza, compresa tra il Var ad ovest e Cap d’Ail ad est, mentre verso l’interno il loro territorio si estendeva sino all’attuale comune di Contes (comprendendo quindi anche i comuni di Falicon, Aspremont, Drap, la Trinité, Èze, Tourette-Levens, Levens e probabilmente anche Gorbio)19. L’oppidum ubicato sulla cima della collina di Cimiez costituiva il loro centro principale20. I Vediantii confinavano pertanto con il popolo dei Vesubiani a nord, con i Nerusii a ovest, con gli

Oratelli a est21.

Molteplici sono i resti di cinte fortificate, identificate all’interno di questo comprensorio, erette dagli indigeni in gran parte a partire dal III secolo a.C. Tra queste ricordiamo, per l’aspetto particolarmente imponente, quella del Mont Bastide presso Èze e del Mont des Meules a Beausoleil.

Sebbene in molti casi non sia possibile stabilire se questi resti siano riconducibili ad un vero e proprio abitato, né è possibile affermare che le cinte fossero in uso tutte nello stesso arco cronologico, stupisce in ogni caso la frequenza di simili strutture in uno spazio di pochi

17 Si vedano: BARRUOL 1969, p.163-165 ; BRÉTAUDEAU 1996, pp. 16-18. 18 BARRUOL 1969, p. 349.

19 Il limite di Contes è stato scelto in base a considerazioni linguistiche effettuate nei confronti della diversa

matrice dialettale che caratterizza i paesi rispettivamente a sud e nord di questo confine. Bretaudeau propone di collocare al di là di quest’ultimo la tribù dei Vesubiani. Si vedano: BRÉTAUDEAU 1996, pp. 20-21; BARRUOL 1969, pp. 365-367.

20 PLIN. Nat. Hist. III, 47; TOL. Geogr. III, 1, 39.

21 I Nerusii avrebbero occupato la zona di Vence compresa tra i fiumi Var e Loup, mentre gli Oratelli il territorio

dell’attuale comune di Sospel, con l’aggiunta dei comuni di Peille, Lucéram, Roquebrune-Cap Martin. Cfr. BRÉTAUDEAU 1996, pp. 19-20.

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chilometri22. Dalla costa verso l’interno si incontrano rispettivamente: ad est la cinta fortificata del Mont Vinaigrier, il sito del Mont Leuze e quello della “batterie Saint-Aubert” sul Mont Gros; a ovest, il sito della collina del Castello, di cui peraltro è poco conosciuta l’effettiva estensione, l’oppidum di Cimiez, l’oppidum del Mont Chauve e quello del Mont Revel nel comune di Tourette-Levens23. Infine numerosi resti di costruzioni identificate come “strutture quadrangolari sommitali” (SQS), databili al III-II secolo a.C., sono visibili a Falicon, Châteauneuf-Villevieille, Pelle (Tav. 16)24.

Tenendo presenti queste considerazioni risultano più chiari i motivi per cui si rese necessario l’innalzamento di simili opere:

- la ragione principale fu senz’altro la funzione difensiva che esse svolgevano nei confronti di attacchi provenienti sia dalle tribù vicine sia da intrusioni di origine straniera, greca e successivamente romana. Le strutture paiono infatti essere messe in opera all’epoca della fondazione di Nikaia e dell’arrivo dei Romani in territorio ligure e sulla costa di pertinenza massaliota25;

- un’ipotesi verisimile è inoltre quella che conferisce alle cinte il ruolo di controllo della viabilità a scopo commerciale ed in modo particolare per la sicurezza della transumanza26.

Effettivamente le creste lungo la valle del Paglione costituivano una via di penetrazione verso l’interno attraverso la quale era possibile raggiungere, ancora in età romana, il basso Piemonte, mentre lungo la valle del fiume Banquiere, affluente del Paglione, era possibile raggiungere da Cimiez la zona di Embrun27; monete coniate presso il popolo dei Salassi sono state rinvenute su entrambi i versanti alpini compresi quelli nizzardi, fatto che corroborerebbe

22 Dalla collina del Castello al paese di Contes, nell’interno della vallata la distanza è pari a 17 km. 23 Si vedano BRÉTAUDEAU 1996, pp. 405-430; MOUCHOT 1976, pp. 128-135.

24 Si ritiene che queste particolari strutture abbiano svolto una funzione di tipo cultuale. Si veda: GAZENBEEK

2004, pp. 79-84.

25 Si veda : BRÉTAUDEAU 1996, pp. 41-42. I ritrovamenti di ceramica campana e monete di provenienza

massaliota sull’altopiano di Cimiez dimostrano peraltro che, dopo un primo probabile periodo di ostilità e diffidenza nei confronti degli stranieri, i Vediantii abbiano infine accettato la convivenza pacifica con questi ultimi.

26 Ibidem.

27 Si vedano : MOUCHOT 1976, pp. 133-134, per la viabilità lungo il Paglione ; BOUQUET- BERNASCHINI

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l’ipotesi di scambi tra queste popolazioni;

- la necessità di edificare villaggi sulle alture piuttosto che nei fondi vallivi, esigenza che caratterizzò il paesaggio alpino fino ai giorni nostri, fu dettata da ragioni di mera praticità: migliore esposizione solare soprattutto in inverno e, come già sottolineato in precedenza, posizionamento lungo la viabilità che avveniva con maggiore facilità lungo le creste montane28.

Sulla costa invece sorgeva, alle pendici della collina del Castello, la piccola fortezza di

Nikaïa posta a protezione di un altrettanto piccolo porto di guerra, alle dipendenze della città

greca di Marsiglia. La sua data di fondazione si ascrive alla seconda metà del III secolo a.C., essa è quindi coeva alla fondazione degli oppida sopraccitati. Di essa non si possiedono rilevanti tracce archeologiche. L’ipotesi corrente la situa lungo la linea di costa antica, al di sotto della vecchia città di epoca medievale29.

I buoni rapporti con il popolo dei Vediantii sono suggeriti da un passo di Polibio30che riferisce dell’intervento romano nel 154 a.C. a favore di Antipolis e Nikaïa, provate dalle continue incursioni degli Oxybii e dei Deciates, stanziati ad ovest del Var. Il fatto che i

Vediantii, i vicini più prossimi al porto Nicense, non siano nominati dallo storico, è indice di

una pacifica convivenza all’epoca tra le due realtà, greca e indigena31.

III.1.4. Oppidum Vediantiorum civitatis Cemenelum

Comunemente si identifica in Cemenelum il centro principale della comunità dei

Vediantii32.

Di fatto la sua posizione si rivelava decisamente strategica già all’epoca. Ultimo baluardo ligure in direzione della costa attraverso il quale potevano avvenire gli scambi commerciali,

28 ARNAUD P. 2004a, p. 439. 29 ARNAUD A. 2006, p. 20-23. 30 POLIB., Hist. XXXIII, 7.

31 Si veda LAMBOGLIA 1939, p. 39. 32 PLINIO, Nat. Hist., III, 47.

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esso si trovava altresì all’incrocio di numerose vie di comunicazione:

- la via che lo connetteva appunto alla costa;

- la già ricordata valle del Paglione, attraverso la quale era possibile raggiungere la Valle delle Meraviglie e le sue miniere (Tav. 19), e di qui il paese dei Salassi (proseguendo lungo la

valle Roya ed il colle di Tenda, oppure attraversando il colle della Madone des fenêtres)33; - le valli della Vésubie e della Tinée, raggiungibili attraverso il vallone della Banquiere sino a Levens, anch’esse vie di raccordo sia con il Piemonte, sia con la valle dell’Ubaye34;

- infine la via di collegamento più diretta con la valle del Var che seguiva l’attuale chemin

de la Galère35.

Si tratta di un sito la cui stretta relazione con la montagna è insita nel nome stesso: la radice pre-idoeuropea *kem- possiede infatti un chiaro valore oronimico e si ritrova in numerosi toponimi montani36.

Tratti della cinta fortificata a grandi blocchi riferibile all’insediamento celto-ligure, sono visibili ancora oggi lungo il lato orientale della collinetta prospiciente l’odierno monastero di Cimiez, nominata "Bois Sacré" (Tav. 54, fig. 124).

Le diverse quote sopra le quali insistono i paramenti hanno suggerito l’ipotesi di una doppia cerchia muraria, posta a protezione dell’abitato37.

Non esistono ad oggi ulteriori testimonianze dell’occupazione indigena sulla collina; gli unici interventi di scavo, effettuati durante l’Ottocento, avevano messo in luce resti di strutture appartenenti al periodo romano38, segno che la romanizzazione si appropriò velocemente di tutti gli spazi disponibili ed affondò le sue radici in maniera profonda.

Il perimetro della cinta sorprende per le dimensioni estremamente ridotte (4000 mq), ma i rinvenimenti di ceramica preromana nei livelli inferiori del complesso termale nord,

33 Si vedano: BENOIT 1963, p. 383; MOUCHOT 1976, p. 134.

34 BENOIT 1963, loc. cit. ; MOUCHOT 1976, loc. cit. ; BOUQUET- BERNASCHINI 1983; LAGUERRE 1975,

p. 170.

35 Quest’ultima via, utilizzata durante l’epoca romana, era verisimilmente percorsa anche in tempi anteriori, vista

la tendenza dei romani soprattutto in questa zona allo sfruttamento di antiche piste indigene. Si veda: MOUCHOT 1965, p. 101.

36 Si vedano: DUVAL 1946, p. 80, n. 1; ROSTAING 1973, pp. 129-130 ; BENOIT 1977, p. 5. 37 Cfr. BRETAUDEAU 1996, p. 407.

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suggeriscono che l’abitato si sia esteso progressivamente al di fuori della cinta, occupando l’altipiano sottostante e creando quindi una tipologia mista di insediamento, caratterizzato dall’associazione di una cinta sommitale ad un abitato aperto, che ha numerosi esempi anche nel resto della regione39. Ceramica indigena mista a ceramica a vernice nera fu rinvenuta anche nella zona dell’altipiano a sud dell’oppidum stesso40.

La cultura materiale indigena è rappresentata da frammenti di ceramica non tornita databili al III e al II secolo a.C.. Inoltre durante gli scavi condotti da Benoit furono rinvenuti frammenti di ceramica campana A, una moneta di conio marsigliese, frammenti di anfore massaliote nonché di ceramica aretina: si delinea così l’immagine di una regione influenzata dal contatto con la componente greca stanziata sulla costa, e di riflesso anche dalla penisola Italica41.

Grazie al rinvenimento di due epigrafi dedicate in età romana da soldati di legione sappiamo che qui come in altre comunità indigene erano venerate le Matres, divinità eponime della comunità, qui dette appunto "Matres Vediantiae"42.

Il fatto che il ritrovamento di entrambe sia stato effettuato nel comune di Tourrette-Levens, nell’entroterra Nizzardo, ha fatto propendere gli studiosi per una possibile localizzazione del santuario ad esse dedicato, proprio in questa zona e non a Cimiez, come inizialmente era stato supposto in virtù del suo titolo di oppidum principale43; la conformazione geografica del territorio ricca di grotte e boschi può decisamente aver suggerito la presenza delle divinità in questo luogo44. Nello specifico si è supposto che fosse Tourrette la vera “capitale” dei

Vediantii e che Cemenelum abbia ottenuto una vera e propria promozione solo dopo la

39 ARNAUD A. 2006, p. 19.

40 Per la notizia del sondaggio effettuato nella zona del cantiere di Villa Jacob si veda: MOUCHOT 1981, p. 60. 41 La datazione di questi frammenti copre il periodo dal II al I sec a.C. I frammenti furono rinvenuti negli strati

più profondi del muro a contrafforti che recinge il complesso termale nord e nelle fondazioni del frigidarium ad esso pertinente; ceramica Campana fu rinvenuta inoltre in un sondaggio nella parte occidentale della città ai bordi della rue des Arènes e negli edifici ad est delle terme orientali. Si vedano: BENOIT 1977, p. 7e ibidem n. 1 ; ARDISSON 2003. Per i rapporti commerciali tra Marsiglia e la Campania si veda : BENOIT 1966b.

42 CIL V, II, 7873, 7872; LAGUERRE 1975, pp. 14-17.

43 Si vedano: LAGUERRE 1972; ARNAUD A. 2006, p. 19. In realtà un ulteriore frammento epigrafico

interpretato come avente per dedicatarie le stesse divinità fu rinvenuto anche nella proprietà de Gubernatis, durante gli scavi intrapresi da Brun nel 1881: cfr. LAGUERRE 1975, n. 5, pp. 12-13.

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conquista romana45. Tralasciando l’ovvia considerazione che non si possa parlare di “capitale” nell’accezione romana e moderna del termine, ci sembra plausibile supporre che la presenza di un santuario abbia effettivamente costituito la discriminante per la scelta di un eventuale luogo di incontro e riunione tra centri relativamente autonomi, come spesso accadde presso i popoli antichi. Nessun dubbio in ogni caso sulla preponderanza economica di

Cemenelum rispetto agli altri.

L’azione di Augusto contro i popoli alpini non trovò ostacolo da parte di questa popolazione, anzi i Vediantii ebbero sicuramente buoni rapporti con Roma, posto che essi sono una delle popolazioni che non compaiono nell’elenco dei popoli vinti e sottomessi da Ottaviano con le armi, posto in calce al Trofeo delle Alpi e riportato da Plinio il Vecchio46. Corrobora quest’ipotesi il fatto che sia proprio Cemenelum ad essere scelta, come sede del

praefectus prima, poi come capitale della Provincia Alpium Maritimarum.

45 Cfr. ARNAUD P. 2001b, loc. cit., nonché ARNAUD P. 2002b, p. 110. 46 PLIN., Nat. Hist., III, 136-137.

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III.2. LA CONQUISTA ROMANA DELLE ALPI

La conquista romana delle Alpi Marittime e la fondazione, o meglio, rifondazione di

Cemenelum si rivela il punto di arrivo di un processo iniziato molto tempo prima quasi per

caso.

All’inizio vi fu la conquista della Spagna, in seguito alla vittoria sui Cartaginesi, ed i problemi connessi con il suo raggiungimento.

Roma poteva contare su di una rotta di cabotaggio lungo i porti di fondazione marsigliese, grazie all’appoggio fornitole dalla città greca. Nel 218 a.C. Publio Scipione si imbarcò infatti da Genova sino al delta del Rodano e di qui proseguì verso la Spagna47. I rapporti con la città focese si fecero progressivamente più stretti soprattutto dal momento in cui, intorno al 180 a.C., si compì la conquista della fascia costiera ligure (corrispondente alla futura regio IX augustea) sino alla zona di Albintimilium.

Marsiglia richiese in più di un'occasione l’intervento dei Romani contro gli atti di pirateria delle popolazioni liguri che opprimevano la città stessa o le sue colonie.

Le fasi della penetrazione romana possono essere così riassunte:

- nel 154 a.C. il console Q. Opimius intervenne contro gli Oxybii e i Deciates48

che si

accanivano contro le colonie marsigliesi di Nikaïa e Antipolis. Il territorio confiscato ai Liguri fu affidato a Marsiglia49.

Come già evidenziato precedentemente, i Vediantii non sono menzionati in questa vicenda, il che suggerisce una pacifica convivenza con la realtà greca, attraverso la quale essi potevano realizzare scambi commerciali.

- Nel 125 a.C. Marsiglia invocò nuovamente l’intervento romano, minacciata dalla pressione inflittale dalla confederazione dei Salluvii. Le operazioni condotte dai consoli M.

Fulvius Flaccus e C. Sextius Calvinus sfociarono intorno al 122 a.C. nella distruzione del

47 POLIB., Hist., III, 41, 4.

48 Oxubii e Deciates sono localizzati rispettivamente sull’altopiano dell’Estérel tra i fiumi Argens e Siagne con

"capitale" Aegitna (da situarsi lungo la costa tra La Napoule e Fréjus), e tra la Siagne e il Var i secondi. Cfr. BARRUOL 1969, pp. 211-215 ; BRÉTAUDEAU 1996, p. 19.

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baluardo ligure di Entremont, e nella conseguente fondazione di Aquae Sextiae. Il terreno confiscato ai Liguri, costretti a ritirarsi dalla costa e a lasciare libero un “corridoio” di circa due chilometri, fu affidato alla città alleata50.

- La fondazione nel 118 a.C. di Narbo Martius ed in seguito la costruzione della via

Domitia tra il Rodano ed i Pirenei sancirono la definitiva sottomissione della Gallia

meridionale (la cosiddetta “Provincia” poi ribattezzata Gallia Narbonese) a Roma, anche se non mancarono in seguito atti di ribellione. Una buona parte del litorale rimase invece sotto il diretto controllo massaliota, in virtù dell’alleanza tra la città focese e Roma.

- Con la conquista della Gallia portata a termine da Cesare nel 52 a.C., l’esigenza di una viabilità sicura attraverso le Alpi per il rapido raggiungimento dei territori sottomessi si fece decisamente più sentita. Le Alpi risultavano essere ormai sempre più una zona circoscritta all’interno dello stato romano.

- Nel 49 a.C., all’epoca della guerra civile, Cesare si scontrò con Marsiglia, schierata dalla parte di Pompeo. Egli stabilì una base nella futura Forum Iulii (Fréjus) e sconfisse i suoi avversari, lasciando in ogni caso alla città greca molti dei suoi territori ed una relativa autonomia.

In tale occasione la presenza di Cesare è attestata altresì alla foce del Var, dove egli fece pervenire e disarmò le legioni di Afranius 51.

Risulta chiaro come la zona oggetto di studio sia stata ad un certo punto circondata dallo stato romano su più fronti, oltre che penetrata dall’influenza e dal contatto con quest’ultimo da lungo tempo: a oriente pochi chilometri la separavano dalla città di Albintimilium, da tempo gravitante sotto l’orbita romana e promossa municipium di diritto romano sotto Cesare52, mentre ad occidente l’influenza romana si estendeva oramai, si è visto, sino al corso del fiume Var53.

Nonostante a Marsiglia fosse stato concesso di mantenere i suoi possedimenti, essa era ormai di fatto soggetta all’autorità di Roma, di conseguenza lo erano anche le sue colonie. Lo

50 Cfr. STRAB., Geogr., IV, 6, 3; BENOIT 1977, p. 3. 51 Cfr. CAES., B. C., I, 86-87.

52 Secondo Nino Lamboglia (LAMBOGLIA-PALLARES 1985, p. ) Albintimilium sarebbe stata promossa a

municipio di diritto latino nell’89 a.C., mentre nel 49 a.C. avrebbe ottenuto la cittadinanza romana da Cesare.

53 Si veda ARNAUD 2001, pp. 56 e 68. L’autore suppone che le stesse fortezze greche di Nikaia e Monoikos

fossero già nelle mani dei Cesariani.

Per quanto riguarda Monaco, P. Arnaud (ARNAUD P. 2001, p. 59) sostiene che all’epoca di Cesare il suo porto costituisse il vero limite tra Italia e Gallia Narbonese sulla base di un passo di Lucano (Phars., I, 404).

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dimostra il fatto che Antipolis fu dopo breve tempo sganciata dall’autorità della polis focese e venne costituita municipio di diritto latino54. Inoltre, sebbene formalmente autonoma,

Massalia era ormai da tempo profondamente romanizzata a causa dei suoi stretti rapporti con

Roma e degli scambi che essa intratteneva con la penisola italica. Una conferma in questo senso ci è data dal suo diretto coinvolgimento nei confronti della guerra civile tra Cesare e Pompeo.

Tenuto conto di queste premesse è assai verisimile che il popolo dei Vediantii abbia avuto modo di entrare in contatto con Roma da antica data, in ogni caso prima della guerra di Augusto contro i popoli alpini, e che dopo una prima probabile fase di ostilità55 abbia infine intrattenuto rapporti amichevoli con essa. Quest’ultima ipotesi è avvalorata dai rinvenimenti sparsi di numerose monete tardo-repubblicane ed alto-imperiali, tra cui ricordiamo quello, effettuato nel 1901, di un tesoro di 120 denari d’argento, databili tra il 139 a.C. e gli anni successivi alla battaglia di Azio56. Inoltre frammenti di ceramica campana e aretina nella zona sottostante a sud dell’oppidum ligure datano le fondazioni di un probabile terrazzamento atto a contenere la scarpata rocciosa al decennio compreso tra 30 e 20 a.C57.

In tale contesto verisimilmente si imbatté Augusto allorché intraprese la pacificazione delle Alpi.

- La pacificazione della Gallia condotta a termine da Cesare e l’espansione romana promossa da quest’ultimo nella Germania, allo scopo di rendere sicura l’Italia da possibili invasioni nemiche, rendevano necessaria la sottomissione delle tribù Alpine frapposte tra la penisola ed il resto dell’Europa. Questa operazione aveva lo scopo di garantire la sicurezza delle vie di comunicazione, attraverso le quali avvenivano ormai non solo la mobilitazione delle truppe verso le zone di confine, ma anche e con sempre maggiore frequenza gli scambi, commerciali e non, con le terre di recente acquisizione.

Nel 25 a.C. furono sottomessi i Salassi con la conseguente fondazione di Augusta

Praetoria. Dal 16 al 13 a.C. Augusto promosse e condusse a termine, sotto la sua personale

guida, la sottomissione dei popoli alpini. I popoli delle Alpi Marittime furono vinti nello specifico proprio nel 14 a.C., come si ricava dalla testimonianza di Cassio Dione58; da qui egli

54 Ciò avvenne sotto Augusto. Cfr. BENOIT 1977, p. 9. 55 Cfr. supra, § III.1.4., p. 59.

56 Si vedano : BENOIT 1977, p. 7; GUEBHART 1904. 57 MOUCHOT 1981, p. 60.

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mosse verso nord contro l’ultimo baluardo di resistenza sostenuto dal re Cozio I59.

- Al termine dell’operazione, nel 13 a.C., Augusto fece pavimentare l’antica pista costiera che univa la Liguria occidentale alla Gallia Narbonese e la munì di miliari. Da Piacenza sino al Var essa prese il nome di via Iulia Augusta.

Il territorio recentemente conquistato fu suddiviso e organizzato in circoscrizioni autonome, le future province alpine, amministrate da un praefectus di ordine equestre e presidiate militarmente. Dal 7 al 6 a.C. infine, fu eretto il trofeo commemorante l’importanza dell’impresa presso l’odierno agglomerato urbano di La Turbie, che da esso deriva il suo nome60.

Il "Trofeo delle Alpi" (Tav. 21, fig. 35) sorse lungo la nuova via Iulia Augusta, sul colle

attraverso il quale essa superava il tratto delle Alpi Marittime più prossimo al mare, nonché probabile confine tra penisola italica e Gallia prima della istituzione definitiva presso il Var61. Di qui la strada proseguiva in direzione del fiume, costeggiando nel tratto intermedio l’oppidum di Cemenelum, il quale dovette proprio a questo passaggio, alla sua posizione di contatto con Italia e Gallia e alla probabile fedeltà dimostrata dai Vediantii nei confronti di Augusto, la propria elezione a sede amministrativa del distretto delle Alpi Marittime.

III.2.1. L’istituzione della prefettura

Decisamente labili sono le conoscenze relative ai primi anni di dominazione romana nel territorio in esame. In particolare risultano incerte le fasi attraverso le quali si giunse alla creazione di una prefettura – più o meno stabile nel tempo – con sede a Cemenelum e successivamente alla costituzione della Provincia Alpium Maritimarum, con la suddetta città promossa a "capitale" del distretto.

Si organizzano qui di seguito in maniera diacronica i dati fornitici dalle fonti letterarie ed epigrafiche:

L’elenco dei popoli ostili vinti da Augusto, presente nell’iscrizione del Tropaeum Alpium,

59 Si veda LETTA 1976, p. 58.

60 Da Tropaia Sebastou la località derivò i nomi di Tropaea, Torpea, Torbia, Turbia infine francesizzato in

Turbie. Si veda: LAMBOGLIA 1983.

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riportata da Plinio62, tace il nome dei Vediantii (Tav. 20, fig. 34).

Nel IV libro della Geografia, composto verisimilmente intorno al 18 d.C., lo storico greco Strabone afferma che, relativamente ai Liguri stanziati tra Varo e Genova, quelli della fascia costiera godono del medesimo statuto degli Italioti, mentre quelli stabiliti nella zona montana sono sottoposti ad un governatore di rango equestre63.

Un’epigrafe proveniente da Iulium Carnicum e datata al regno di Claudio ci restituisce la carriera di C. Baebius Atticus il quale ricoprì, verosimilmente sotto il medesimo imperatore, la carica di "praefectus in Alpibus Maritumis"64.

Negli Annales Tacito riferisce la notizia del conferimento dello ius Latii ad opera di Nerone a tutte le Alpi Marittime, intorno al 63 d.C.65. Nelle Historiae invece, lo storico descrive gli scontri avvenuti nel 69 tra Vitelliani e Otoniani, cui prese parte l’allora procuratore della provincia Marius Maturus66, con l’ausilio della “Ligurum cohors, vetus loci auxilium”67. La notizia della presenza di contingenti militari stanziati nella zona da lungo

tempo è confermata dai dati archeologici: numerose stele funerarie, datate soprattutto su base onomastica ad epoca giulio-claudia, attestano la presenza in loco di soldati appartenenti alla

cohors Ligurum, ma anche alla cohors Gaetulorum e alla cohors Nauticorum68.

Nel III libro della Naturalis Historia, pubblicata intorno al 77 d.C., Plinio il Vecchio elenca città e popoli presenti sulla costa a partire dal fiume Var: "Igitur ab amne Varo Nicaea

a Massiliensibus conditum, fluvius Palo, Alpes populique Inalpini multis nominibus, sed maxime Capillati, oppido Vediantiorum civitatis Cemenelo, portus Herculis Monoeci, Ligustina ora"69.

62 PLIN., Nat. Hist., III, 136-138. 63 STRAB., Geogr., IV, 6, 4. 64

CIL V, 1838; ILS, 1349; SUPPL. IT., 1994, 10, pp. 120-121; infra, § III.3.1., p. 98. Letta suggerisce che questa

carica possa essere stata ricoperta anche prima, quando egli cioè era ancora primipilus (LETTA 2002, p. 2095).

65 TAC., Ann., XV, 32.

66 TAC., Hist., II, 12-15 ; III, 42-43. 67 TAC., Hist., II, 14.

68 Si vedano: LAGUERRE 1969; LAGUERRE 1975, pp. 62-82; GAYET 2001 ; infra § II.3.2. 69 PLIN., Nat. Hist., III, 47.

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Dall’analisi di tutte queste fonti molti autori70 hanno sostenuto l’ipotesi dell’elevazione di

Cemenelum a sede di una prefettura, esattamente all’indomani della definitiva sconfitta dei

popoli alpini, in virtù della sua pacifica sottomissione ad Augusto. Le varie coorti stanziate nella zona avrebbero garantito il controllo da eventuali disordini o ribellioni. La città avrebbe ottenuto in seguito lo ius Latii da Claudio71, posto che essa risulta iscritta alla tribù omonima72, diritto successivamente esteso a tutte le Alpi Marittime da Nerone, come si è visto, il quale avrebbe altresì costituito la provincia vera e propria ed infine sostituito la figura del praefectus con quella del procurator.

Recentemente C. Letta ha formulato una nuova teoria che metterebbe in discussione l’idea dell’effettivo protrarsi nel tempo della prefettura delle Alpi Marittime, comunemente accettato73.

Il punto di partenza è fornito dalla nota iscrizione presente sull’arco di Susa (Tav. 20, fig. 33)e dedicata intorno al 9/8 a.C. nella quale compaiono, tra le gentes sottoposte a Cozio I, i

nomi di sei popolazioni, nominate anche sul Trofeo delle Alpi e quindi ostili alla penetrazione romana74. Le otto restanti75 farebbero parte delle "Cottianae civitates XV, quae non fuerant

hostiles", secondo quanto afferma Plinio76. Limitatamente all’identificazione delle altre sette

(o quattro) civitates non ostili, al loro statuto giuridico ed alla loro identificazione sul territorio, gli studiosi si sono interrogati e si interrogano tuttora con risultati assai diversi. Le

70 Si vedano a titolo esemplificativo: LAMBOGLIA 1939; BARRUOL 1969, pp. 180-182; BENOIT 1977, pp.

7-11; PRIEUR 1976; da ultimo: ARNAUD P. 2004c; ARNAUD P. 2005; ARNAUD A. 2006, pp. 25-27.

71 Si vedano: ARNAUD P. 2004c p. 459 e gli autori citati nella nota precedente. Di parere contrario:

LAMBOGLIA 1965, p. 347. Effettivamente la tribù Claudia è una tribù di lunga tradizione e l’iscrizione ad essa della città di Cemenelum deve essere considerata con tutta probabilità disgiunta dal possibile conferimento dello

ius Latii ad opera dell’imperatore omonimo.

72 Così Mommsen (CIL V, p. 909) sulla base delle epigrafi: CIL V, II, 7872-7888-7930-7934. La tribù Claudia

figura anche in: LAGUERRE 1975, 62-66-109. Stesse conclusioni in: DE RUGGIERO 1895, p. 154 e p. 288.

73 Si vedano LETTA 1994, LETTA 2001, LETTA 2004, LETTA 2005.

74 CIL V, 7231. Le popolazioni presenti su entrambi i monumenti sono rispettivamente: Medulli (Maurienne),

Caturiges (Cohorges, Embrun), Adanates o Edenates (Seyne), Egdini o Ectinii (alta valle della Tinée), Veamini

(bassa valle della Tinée), Vesubiani (Valle della Vesubie), come si ricava da LETTA 2005, p. 86, n. 6.

75 Segusini (Susa), Segovii (Cesana ?), Belaci (Oulx - Bardonecchia ?) Tebavii (?), Quariates (Queyras),

Savincates (Ubaye), Venisami (?), Iemerii (?) (LETTA 2005, p. 87, n. 8).

76 PLIN., Nat. Hist., III, 138. Se invece si accetta la variante di “dodici” anziché “quindici” civitates, i popoli da

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posizioni più recenti sono espresse da P. Arnaud77 da un lato e da C. Letta dall’altro, in questo secondo caso con implicazioni rilevanti per quanto riguarda il popolo dei Vediantii che in questa sede a noi più interessa.

Secondo Letta:

1) Alcune popolazioni sottomesse da Augusto in maniera pacifica, precedentemente estranee al regno di Cozio I, sarebbero state temporaneamente affidate a quest’ultimo, in qualità di

praefectus, per un periodo compreso tra il 13 a.C., data di stipula del foedus con i Romani, ed

il 9/8 a.C., data della dedica apposta sull’arco di Susa, dalla quale si evince che questi popoli gli erano allora già stati sottratti. Tra le possibili civitates sottoposte ad un simile regime amministrativo egli annovera da ultimo: Ceutrones, Avantici, Adunicates, Graioceli, Veneni,

Turi, Bagienni, Caburri78. Lo studioso puntualizza peraltro che anche i Vediantii potrebbero

essere presi in considerazione, previa la necessaria ammissione "… che la provincia

procuratoria delle Alpi Marittime sia stata creata nel riordinamento generale che l’area subì in età Neroniana, probabilmente nel 63 d.C. …"79.

2) Dal 13 d.C. al 44 d.C. il figlio Donno II ereditò la prefettura del padre con l’aggiunta, nuovamente, dei territori che a quest’ultimo erano stati sottratti, come si evince dall’iscrizione di Torino80.

3) Alla morte di Donno II la prefettura passò al figlio di questi, Cozio II, cui l’imperatore Claudio conferì nuovamente il titolo di rex e accrebbe i territori sotto la sua giurisdizione, secondo la testimonianza di Cassio Dione81, annettendogli probabilmente l’intera prefettura delle Alpi Marittime82.

4) Cozio II morì senza eredi nel 63 d.C., motivo per cui l’imperatore Nerone intervenne nel riordino della zona e costituì le province procuratorie delle Alpi Cozie, delle Alpi Graie e

77 ARNAUD P. 2002 e 2005. 78 LETTA 2005, p. 87.

79 LETTA 2005, p. 87, n. 9. Sullo stesso argomento si vedano anche: LETTA 2001, p. 159 e LETTA 2004, p.

538.

80 AE 1899, 209. Si veda LETTA 1976, nonché LETTA 1994. 81 C. D., Hist., LX, 24.

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delle Alpi Marittime, concedendo inoltre a queste ultime il diritto latino.

5) In questo periodo si collocherebbe la temporanea prefettura di Albanus sui popoli dei

Capillati, Savincates, Quariates e Brigianii di cui abbiamo notizia grazie ad una stele

funeraria rinvenuta a Les Escoyères, nella regione del Queyras (Tav. 21, figg. 36, 37):

Q(uintus) Vari[nius] / [Buss]ulli f(ilius) [Primus?] / [sibi et B]ussu[llo] / [---f(ilio)] patr[i et] / [---]cae Lut[evi? f(iliae)] / matri [et] Albano Buss[ul]li f(ilio) fratri / praef(ecto) Capillat(orum), Savincat(ium) / Quariat(ium) Bricianiorum / Qu[art]o Bussulli f(ilio) fratri / [Vari]niae Bussulli f(iliae) sorori83.

Secondo Letta la prefettura di Albanus, che egli ritiene cittadino romano84, sarebbe da collocarsi con maggiore probabilità sotto il regno di Galba anche sulla base delle riforme territoriali che egli attuò nella zona a favore della Narbonese85. Nel 69 d.C. la carica sarebbe stata soppressa; Brigianii e Savincates furono definitivamente annessi alla provincia cozia, mentre i Capillati divennero parte integrante delle Alpi Marittime.

Si noti che sotto il termine generico "Capillati"86 si annoverano comunemente i popoli degli Egdinii, dei Veaminii e dei Vesubiani87, ma lo studioso suggerisce la possibilità che vi fossero compresi anche i Vediantii, i quali pertanto sarebbero stati inclusi nella prefettura di

Albanus88.

83 CIL, XII, 80. Il testo qui riproposto segue le integrazioni di Letta (LETTA 2001). Questa invece la

ricostruzione di ROTH-CONGÈS 1994 : Quart[inus / Buss]ulli f(ilius) [fecit ? vivus ? / sibi et ? B]uss[ullo/---

f(ilio)] patr[i et /?---]cae Lut[evi ? f(iliae)] / matri [et?] Albano Buss[ull]i f(ilio) fratri / praef(ecto) Capillat(orum) Savincat(ium) / Quariat(ium) Bricianiorum / Qu[int]o Bussulli f(ilio) fratri / [---]niae Bussulli f(iliae) sorori.

84 Si vedano LETTA 2001, pp. 152-153; LETTA 2002, p. 2094 e segg. Di parere contrario ROTH-CONGÈS

1994 e ARNAUD 2002, pp. 192-193.

85 "…adiecit formulae Galba Imperator ex Inalpinis Avanticos atque Bodionticos, quorum oppidum Dinia…".

PLIN., Nat. Hist., III, 37. Avantici e Bodiontii sarebbero stati sottratti al distretto cozio ed alle Alpi Marittime rispettivamente (LETTA 2005, p. 89).

86 PLIN, Nat. Hist., III, 47 citato supra, p. 75; "Sunt praeterea Latio donati incolae… Capillatorumque plura

genera ad confinium Ligustici maris..."( Id., III, 135 ); "In capite animalium cintorum homini plurimus pilus, iam quidam promiscue maribus ac feminis, apud intonsas utique gentes; atque etiam nomina ex eo Capillatis Alpium incolis, Galliae Comatae…" ( Id., XI, 135).

87 Si vedano: LAMBOGLIA 1943, pp. 135-146; BARRUOL 1969, pp. 175-177 e 364. 88 LETTA 2001, p. 158; LETTA 2005, p. 88.

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Le ipotesi di Letta fin qui esposte, per quanto seducenti, sollevano però alcuni quesiti.

Per quanto concerne il punto 1, la supposizione che i Vediantii siano stati temporaneamente affidati alla tutela di Cozio I, nell’attesa che si compissero le operazioni militari nella zona e che, aggiungiamo noi, fosse condotta a termine la messa in opera della futura via Iulia Augusta, rischia di lasciare "scoperte", ossia senza un controllo amministrativo centralizzato, tutte quelle civitates ostili che invece figurano sul Trofeo delle Alpi89. Per risolvere il problema bisognerebbe supporre l’esistenza di prefetture tuttavia a noi ancora sconosciute, per la mancanza di dati archeologici, com’è il caso della prefettura di

Albanus, altrimenti ignota.

In ogni caso nessuna città si presterebbe meglio di Cemenelum allo svolgimento di un simile compito, tenuto conto che essa sorse in un luogo strategico, come si è sottolineato più volte, e che l’archeologia attesta la presenza, per tutto il I secolo, di contingenti militari decisamente consistenti e superiori alla stessa Segusium90.

E’ infine nuovamente arduo pensare che i soli Vediantii possano essere stati inglobati nella prefettura di Albanus, per il fatto che anche in questo caso numerosi popoli risulterebbero sprovvisti di un centro amministrativo e di un relativo prefetto cui far riferimento, eventualità che in ogni caso l’archeologia non ha ancora rivelato. Per accettare una simile ipotesi occorrerebbe supporre uno sganciamento del popolo dal controllo di Cemenelum, che Plinio afferma essere suo oppidum principale, conducendo così un’operazione peraltro troppo macchinosa.

Inoltre dalla lettura di Tacito si evince che subito dopo Galba, a Cemenelum è presente la figura del procuratore Marius Maturus, mentre l’espressione relativa alla cohors Ligurum – “vetus loci auxilium”– suggerisce che la zona non abbia subito in realtà grandi cambiamenti nel suo assetto, cambiamenti che diversamente sarebbero stati frequenti, repentini e soprattutto motivo di possibile instabilità.

Che i Vediantii e con essi Cemenelum, fossero annoverati tra i Capillati è espresso peraltro più o meno esplicitamente da Plinio in due diversi passi, come si è visto91. Occorre pertanto risolvere preliminarmente il problema dei popoli effettivamente inseriti entro tale

89 Tra le quali ricordiamo a titolo esemplificativo, limitatamente ai popoli più o meno localizzati: Sogionti, Egui,

Brodiontii, Nemaloni, Gallitae, Triulati, Vergunni, Nemeturii, Oratelli, Nerusii, Velauni, Suetri. Per la

distribuzione dei popoli nell'area alpina cfr. Tavv. 17, 18.

90 Si veda GAYET 2001, p. 440.

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raggruppamento al fine di operare una possibile ricostruzione. Innanzitutto è chiaro il fatto che la designazione “Capillati” è un termine conferito dai Romani e non sembra riferirsi ad una possibile confederazione preesistente; tale designazione è inoltre, secondo Arnaud, di origine recente, vicina alla data in cui Plinio scrisse il suo libro, per il fatto che essa non compare né sul trofeo delle Alpi, né presso Strabone92.

Lo scoglio potrebbe essere in parte aggirato, a mio avviso, se si annoverano tra Capillati, oltre ai tre popoli degli Ecdini, Vesubiani e Veamini, anche quelli delle Alpi Marittime, che appunto rimarrebbero senza prefettura, nei casi ipotizzati dell’annessione temporanea a Cozio I, Donno II e della prefettura di Albanus; in tal modo sarebbe tenuto in conto anche quanto espresso da Plinio.

Una tale ipotesi permette di considerare Albanus, civis Romanus, come uno degli ultimi prefetti delle Alpi Marittime sotto Nerone, nel momento compreso tra la morte di Cozio II e la definitiva costituzione delle province procuratorie delle Alpi Cozie e delle Alpi Marittime, rispettivamente. Egli avrebbe ricevuto sotto il suo controllo, i territori del versante francese delle Alpi, precedentemente amministrati da Cozio II, nell’attesa di un definitivo riordinamento generale.

Il fatto che la stele a lui riferita sia stata rinvenuta in un luogo tanto impervio e discosto, a 1500 mt. di altitudine, non pone problemi in quanto la dedica risulta essere fatta dal fratello di

Albanus per tutta la famiglia. Questa considerazione permette di presupporre che la famiglia

fosse originaria del luogo e che lì abbia scelto di essere sepolta, analogamente a quanto accadde per altri indigeni93. Porre a capo della prefettura con sede a Cemenelum un indigeno, proveniente da uno dei luoghi recentemente annessi e decisamente lontani rispetto alla capitale, avrebbe avuto oltretutto l’immediato vantaggio di una più veloce integrazione di questi ultimi nella nuova dimensione. Infine una tale ipotesi avrebbe il merito di concordare con la datazione proposta da A. Roth-Congès, sulla base di considerazioni epigrafiche, e non esclusa da Letta94.

Per quanto concerne i popoli dei Vesubiani, Veamini ed Ecdini considerati come facenti parte dei Capillati da Lamboglia e Barruol, gli stessi autori ammettono che sia proprio nel

92 ARNAUD P. 2002a, p. 192.

93 Si veda a titolo esemplificativo : OCTOBON, LAMBOGLIA 1959.

94 ROTH-CONGÈS 1994, p. 92 : "Cette datation de la préfecture entre 44 et 63 est confirmée par la gravure et

la mise en page soignées de l’inscription des Escoyères, sa paléographie, l’absence d’invocation aux dieux mânes et d’adjectifs louant les défunts, qui en font un monument encore julioclaudien".

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periodo delle riforme attuate da Nerone che essi siano stati distaccati dall’ex regno cozio e affidati alle Alpi Marittime95.

Un’ulteriore ipotesi era stata avanzata recentemente anche da P. Arnaud. Secondo lo studioso il termine "Capillati" designa "génériquement les peuples des Alpes méridionales

françaises"96. Relativamente alla formula con la quale si descrive la carica di Albanus

nell’iscrizione di Les Escoyères, egli interpreta il genitivo Capillatorum nel senso di un partitivo. Albanus pertanto sarebbe stato prefetto, tra i Capillati, dei soli popoli dei

Savincates, dei Quariates e dei Briciani.

La brillante intuizione ha il merito di ovviare in tal modo allo spinoso problema dei popoli effettivamente governati da Albanus. Ma anch’essa non è esente da obiezioni. Si noti che per quanto Arnaud non neghi la possibilità che il nostro personaggio sia stato civis Romanus, egli propende tuttavia maggiormente per la sua condizione di peregrinus.

Utilizzare un termine come Capillati, che come si è detto è una designazione verisimilmente nata in seno ai Romani in un periodo successivo all’organizzazione augustea, in un’iscrizione funeraria per giunta, composta nel territorio di uno dei popoli sottoposti a tale prefettura, suona quantomeno strano ed incorre in una contraddizione. Il fratello di Albanus avrebbe semplicemente potuto enumerare i popoli governati da quest’ultimo, senza specificare che essi facevano parte di un gruppo più esteso, tanto più che si tratta di popoli vicini tra loro. La necessità di indicare tale termine su un monumento privato, quindi in parte sganciato dalle direttive imposte da Roma limitatamente al formulario, presuppone una valenza politico-amministrativa dello stesso97. Viene pertanto a cadere, secondo me, il valore partitivo del genitivo "Capillatorum", ritenendo più corretta l’idea che i Capillati abbiano costituito al tempo di Albanus una realtà amministrativa dalla quale Quariates, Briciani e

Savincates erano in realtà sganciati.

95 Si vedano : LAMBOGLIA 1944, pp. 135-146; BARRUOL 1969, pp. 175-176. 96 ARNAUD P. 2002a, p. 193 e ARNAUD P. 2005, p. 97.

97 Infine se "Capillatorum" avesse davvero una valenza partitiva, esso dovrebbe essere posto più opportunamente

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III.2.2. La romanizzazione degli indigeni

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L’arruolamento di un cospicuo numero di indigeni nei ranghi dell’esercito, la concessione della cittadinanza ad alcuni Liguri, dopo il congedo militare o per merito, ed il conseguente conferimento ai medesimi di cariche amministrative, si rivelano alcuni dei principali atti attraverso i quali è possibile seguire il realizzarsi del processo di romanizzazione nei confronti delle terre di recente conquista.

Il progressivo conformismo dei locali nei confronti del "modus vivendi" romano, innescato da tali fattori, si esplicò già a livello onomastico. Quest’ultimo aspetto si rivela tuttora l’unico indizio utile per seguire le fasi di questa graduale assimilazione, soprattutto durante i primi anni di dominazione romana.

Inizialmente si osserva la presenza di un nome preso in prestito dall’onomastica latina, mentre per quanto concerne il patronimico ed il cognome, si latinizzano semplicemente i nomi indigeni degli individui; il cognome in particolare, spesso traduce in forma latina la provenienza della persona.

E’ interessante sottolineare il fatto che una delle iscrizioni più antiche, tra quelle che a noi interessano in questa sede, proviene da Tourettes-Levens, ossia dall’immediato entroterra, indizio che sin da principio la romanizzazione tentò di irradiarsi nel territorio in maniera omogenea. Essa riporta la dedica di una moglie e di alcuni dei figli, al marito e ad altri due figli defunti:

Gaio Clementis f(ilio) / Clementi Eraconis f(ilio) / Publio Clementis f(ilio) / Vectinia Enimanui f(ilia) / co(n)iugi et fileis et / Posila Quarta Quinta / patri et fratribus / b(ene) m(erentibus). (LAGUERRE 1975, n. 97, p. 150).

L’iscrizione fa riferimento a individui tutti di condizione peregrina e mostra come la moglie, Vectinia Erimanui filia, abbia semplicemente latinizzato nella forma il proprio nome e quello del padre, chiaramente indigeni. Il marito, figlio anch’egli di un indigeno, ha invece romanizzato il suo nome in Clemens. I figli di entrambi infine, possiedono nomi tipicamente romani99. Si può ragionevolmente ritenere che i genitori appartengano alla generazione

98 Per la stesura di questo paragrafo si prende spunto e ci si avvale in parte dei contributi di Lamboglia:

LAMBOGLIA 1941; 1947; AUDRAS, LAMBOGLIA 1951; OCTOBON, LAMBOGLIA 1959.

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immediatamente successiva alla conquista delle Alpi.

Un discorso simile può essere fatto per la stele di Dugia, rinvenuta invece nella necropoli Nord:

Dugiae / Albiali f(iliae) / matri, P(ublio) Ven/trio Maximo/ Quinto Ventrio Clementi/ fratribus / L(ucius) Ventrius Celer / fecit. (LAGUERRE 1975, n. 94, p. 147. S161).

Anche in questo caso la madre ed il nonno possiedono un nome chiaramente indigeno, prettamente "alpino"100. I figli invece possiedono tutti e tre la caratteristica forma dei tria

nomina, sebbene il gentilizio sia attestato solo in un unico altro caso101. Prenome e cognome

sono invece tipicamente romani. Si può pensare quindi ad un passo ulteriore nell’evoluzione dell’onomastica. Analizzando più approfonditamente i nomi e tenendo presente quanto a suo tempo dimostrato da Chastagnol, relativamente alla composizione degli stessi e al valore rivestito ai fini dell'identificazione della condizione sociale degli individui102, ciò che salta agli occhi è il fatto che la madre dei tre fratelli, tutti cittadini romani, non abbia ricevuto anch'essa la cittadinanza. Il semplice nome seguito dal patronimico, indica infatti la condizione peregrina di quest'ultima. I tre figli possiedono tutti la cittadinanza ereditata verisimilmente dal padre, il quale sposò la madre evidentemente in un momento successivo a quello del conferimento della cittadinanza, motivo per cui ella non poté assurgere alla medesima condizione sociale, mentre di quest'ultima poterono beneficiare i figli103.

Il contesto archeologico in cui fu rinvenuta la tomba data la stessa, e conseguentemente l’iscrizione, al I secolo d.C.

Vipus Sca/evaei f(ilius) / Mercuri / v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito). (CIL V, 7874.

LAGUERRE 1975, n. 4, pp. 7-8 – dall’abbazia di S. Ponzio. S235).

Questa iscrizione mostra il nome chiaramente latinizzato del padre del dedicante. Entrambi sono peregrini. Degno di nota è il genitivo Scaevaei: il nome latino Scaeva è infatti attestato, ma lo stesso non può dirsi della forma Scaevaeus, che risulta essere un'hapax104. Interessante è anche la forma in –i di Mercuri in luogo di Mercurio. Queste particolarità nascondono

100 Cfr. LAGUERRE 1975, p. 147. 101 Ibidem; CIL VI, 8707.

102 Si vedano CHASTAGNOL 1990.

103 Per un confronto con numerosi altri casi dello stesso tipo si veda CHASTAGNOL 1993. 104 Cfr. CIBU 2005, p. 752; § III.3.4.

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verisimilmente un ambiente in via di romanizzazione ancora non pienamente raggiunta: un desiderio, o forse un dovere, di uniformarsi al modello di vita romano, non ancora pienamente raggiunto.

Molti esempi ci giungono dalle stele dei soldati arruolati nella cohors Ligurum, sepolti a

Cemenelum, motivo che conferma l’idea di un reclutamento di individui quasi esclusivamente

"in loco". Il fatto che molti di essi presentassero un formulario composto di prenome e gentilizio ha indotto gli studiosi a ritenere che le loro epigrafi siano databili ad epoca anteriore a Claudio105. A partire dalla censura del 47-48 d.C. infatti, si precisa la regola secondo la quale i cittadini romani esibiscono i tria nomina. In realtà poco sappiamo relativamente a quanto velocemente queste regole si diffondessero ed il loro uso si stabilizzasse nelle province. Più verisimilmente questi nomi esibiscono il desiderio dei loro portatori di uniformarsi al modello di vita romano restando tuttavia dei peregrini106.

Lucenius Ru/tani f(ilius) Bodi(onticus) / mil(es) co[h](ortis) Lig(urum) / [(centuria)] Domi[ti(i)] / h(eres) ex t(estamento) f(ecit). (CIL V, 7890; LAGUERRE 1975, n. 50, pp.

68-70 – da San Ponzio, prima metà del I secolo d.C. S181)107.

Ritroviamo ancora il nome di probabile origine celtica (LUCENIUS), mentre il patronimico (RUTANUS) rivela un’origine ligure. “BODI” viene generalmente ricondotto all’origine etnica del soldato e connesso al popolo dei Bodiontici “…quorum oppidum Dinia”, secondo le parole di Plinio108.

L(ucio) Sucio Velaci f(ilio) / militi corniclario cohorti(s) Ligur(um) / Maxsimus fra/ter fecit.

Maximus Ve/laci f(ilius) mil(es) cohor(tis) Ligur(um) vivus / fecit sibi. (CIL V, 7897;

LAGUERRE 1975, p. 73, dalla collina del Castello a Nizza).

Secondo Lamboglia, seguito da G. Laguerre, “SUCIUS” sarebbe il nome indigeno del soldato adattato a gentilizio, previa latinizzazione. Il fratello esibisce invece un unico nome

105 Si vedano LAGUERRE 1969, p. 168; GAYET 2001, p. 436. 106 Si veda in proposito CHASTAGNOL 1993, p. 167.

107 Sulla stele inoltre si vedano: OCTOBON 1946; DUVAL 1946, pp. 129-135; LAMBOGLIA 1947.

108 PLIN., Nat. Hist., III, 37. La città di Dinia fu sottoposta alla giurisdizione di Cemenelum per il periodo

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derivato da un cognome romano109. Anche in questo esemplare il nome del padre è tipicamente indigeno e semplicemente latinizzato nella forma. G. Laguerre si domanda se il fratello abbia ottenuto la cittadinanza romana dal momento che figura con il solo nome, ma si tratta in realtà anche in questo caso di due peregrini che hanno voluto uniformare il nome allo stile romano.

Mario Sace (?) f(ilius) / gen(te) Dareus coh(ortis) / nautic(orum) (centuria) Pacati h(eres) e(x) t(estamento) / h(ic) s(itus) e(st).(LAGUERRE 1975, n. 48, pp. 62-63 – dalla necropoli

Nord, datata al I secolo d.C. S160).

Trovata nella necropoli Nord questa tomba è datata dal contesto archeologico al I sec. d.C. "Marius" è il nome dell'individuo di condizione peregrina, la scelta di un gentilizio di origine romana, adattato a nome unico dell'individuo, testimonia anche in questo caso la volontà di uniformarsi allo stile di vita romano; “SACE”, nome del padre del defunto, non è attestato altrove, ma suggerisce un’idea di sacralità; inoltre la formula GEN. DAREUS è stata interpretata come una possibile indicazione di carattere etnico.

In una fase successiva il formulario introduce la triplice ripartizione del nome, nel caso di individui che abbiano ottenuto la cittadinanza romana, ma si osserva ugualmente la persistenza dell’elemento ligure nel patronimico e nel cognome:

T(ito) Aurelio Demencelonis f(ilio) Bodion[t]io coh(ortis) Lig(urum) / T. Eripone her(e)d(es) e(x) t(estamento). (CIL V, 7885; LAGUERRE 1975, p. 72 – dalla "vinea

Carolinorum")110 (S166).

Prenome e gentilizio sono ormai tipicamente romani, ritorna la provenienza in luogo del cognome, mentre il nome del padre è ancora una volta indigeno. Trattandosi di un soldato forse egli assunse prenome e nome del proprio benefattore, forse proprio il suo centurione. L'erede è chiaramente un peregrino.

L’evoluzione successiva vede la presenza dei tre nomi e del patronimico completamente latinizzati:

109 LAMBOGLIA 1947, p.25.

110 La vinea Carolinorum va identificata con i terreni delimitati a sud dall'Avenue du Monastère e a est

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Sex(tus) Iulius Mo/ntani f(ilius) Fron[t]o / miles coh(ortis) Ligur(um) / (centuria) Nigri

Com[an(ipulus)]111 / Sex(tus) Iulius Optat(us) / posuit ob merita eius. (CIL V, 7889;

LAGUERRE 1975, p. 74 – "vinea Carolinorum").

Di questa iscrizione è interessante notare il nome del padre, Montanus, sicuramente un indigeno, il quale compare in molte iscrizioni utilizzato, sempre dai locali, come cognomen con significato di provenienza112. Il padre del soldato appartiene pertanto alla generazione di coloro che avevano iniziato a latinizzare il loro nome.

[F]l(avius) Montanus / [Vo]l(tinia tribu) Vocontius / coh(ortis) Lig(urum) missicius / v(ivus) f(ecit). (CIL V, 7822; LAGUERRE 1975, p. 71 – dal territorio di Monaco, nei pressi di

La Turbie).

Ci troviamo in presenza di un soldato che dopo aver terminato il servizio militare ha ottenuto la cittadinanza. In questo caso il cognomen, supportato da una sorta di agnomen che indica l’appartenenza al popolo dei Vocontii, non ha valore etnico ma qualificativo. I Vocontii erano infatti una popolazione "essentiellement montagnard"113.

P(ublius) Variu[s] / C(aii) f(ilius) Vo[l(tinia tribu)] / Rusticus v[?] / Anniensis ? m[il(es)] / cohortis A[lp(inorum)?] hic situs e[st]. (CIL V, 7820; LAGUERRE 1975, p. 82 – da Laghet).

Ci troviamo in presenza di un individuo che esibisce i tria nomina, nonché l'appartenza alla tribù Voltinia, che pertanto risulta essere civis Romanus. Incerta è la ricostruzione delle parole comprese tra Rusticus e miles, che ipoteticamente potrebbero indicare la provenienza del soldato.

Ti(berio) Iulio Vell/aconis fi(lio) / Cl(audia tribu) Viaco I miles coh(ortis) / naut(icorum) / (centuria) [T]i(berii) Iu[l(ii)] R[e]s[t(ituti)?] / hered(es) ex tes(tamento) h(ic) s(itus). (CIL

V, 7888; LAGUERRE 1975, p. 65 – dal convento di St. Barthélémy. S235).

Il soldato, appartenente alla cohors nauticorum, risulta aver ottenuto la cittadinanza, e

111 Da integrarsi più correttamente come Com[an(ipularis)] (LETTA).

112 Montani deve considerarsi termine con valore etnico riferibile ai popoli stanziati sulla montagna, nelle alte

valli del Roya, del Bormida e del Tanaro, tra il Col di Tenda ed il Colle di Cadibona. Gli Alpini invece, che troveremo più avanti, erano verisimilmente stanziati sulla costa tra Savona e Monaco. Tali ipotesi, formulate da Lamboglia, sono accettate da Barruol: si veda BARRUOL 1969, p. 364 e n. 4 per ulteriori citazioni bibliografiche.

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quindi il suo nome completo, verisimilmente dal suo comandante, il quale a sua volta può divenne civis Romanus al tempo di Tiberio; il patronimico rivela anche qui l’origine indigena dell’individuo.

Q(uintus) Vibius Ex/omni f(ilius) Capito / Decius Maturras / (centuria) Iulli / G(aius) Pudens / P(ublius) Calvisius Cato / h(eredes) e(x) t(estamento). (LAGUERRE 1975, n. 57, p.

85 – necropoli Nord. S159).

Siamo nuovamente di fronte ad un soldato che ha ottenuto la cittadinanza e possiede un nome completamente romanizzato, figlio di un indigeno che al contrario mantiene il suo nome indigeno. La Laguerre suggerisce che MATURRAS possa considerarsi il nome indigeno della famiglia materna del soldato.

C(aius) Marius C(aii) f(ilius) Mogio miles / cohortis Ligurum hic situs est. (CIL V, 7891;

LAGUERRE 1975, pp. 73-74 – da S. Ponzio. S165).

Il formulario è qui presente nella forma romana classica, con il patronimico espresso tramite il caratteristico prenome romano, peraltro tra i più frequenti. Lamboglia in realtà vede nel cognomen un’origine ancora ligure114.

Ad un periodo successivo appartengono le stele di soldati della cohors I Ligurum, la quale fa la sua comparsa probabilmente sotto Vespasiano e infine quelle della cohors I Ligurum et

Hispanorum115. Esse mostrano ormai consolidato il formulario dei tria nomina nonché

l’usanza di indicare la provenienza del soldato la quale diviene vero e proprio cognomen, oppure è aggiunta come agnomen:

[P?] Verduccio [P(ublii) f(ilio)?] / Alpino mil(iti) coh(ortis) I L(igurum) [h]ere(des) [et] / P(ublius) Ver(duccius) P(ublii) [f?] Patern(us) / fecer(unt). (CIL V, 7899; LAGUERRE

1975, p. 87 – da Falicon).

Sex(to) Vibio C(aii) [f(ilio)] / Severo Suetrio / militi coh(ortis) I Lig(urum) et Hisp(anorum) / c(ivium) R(omanorum) (centuria) Muci stip(endiorum) XI / h(eres) ex t(estamento) f(ecit). (CIL V, 7900; LAGUERRE 1975, p. 91 – dalla chiesa di S. Francesco a

Nizza).

114 Si veda LAMBOGLIA 1947, p. 25. 115 Si veda § III.3.2.

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Chiudiamo questa carrellata con un'epigrafe datata intorno alla seconda metà del I secolo d.C.:

Lapideum os(s)u[arium] / Valeria Alpin[a Iu]/lio Valerio Silvi[no] / fratri suo chari[s(s)imo] / et pientis(s)imo qu(i) / vixit an(n)os XXCIII et / menses VIII et dies XII. (CIL

V, 7958; LAGUERRE 1975, pp. 183-184 – zona del Rayet a Falicon, datata intorno alla fine del I secolo).

Alpina e Silvinus giocano nuovamente il ruolo di etnico degli individui i quali risultano

originari del territorio. Singolare la mancanza del patronimico. Non mancano le stele relative a cariche amministrative:

[F o M]anni / [D(iis)] M(anibus) / [P(?)] Secundio / [Pu o Pru]denti / [se(?)]viro et / [sace]rdoti / [Secu]ndi Silva/[nus] et Amaecus / [p o fr]atri bene / [mer]enti. (AE 1953,

191)116.

L’epigrafe proviene da Saint-Dalmas-Valdeblore, un comune montano distante circa 70 km da Nizza e sito a 110 mt. di altitudine, in una valle di raccordo tra quelle della Tinée e della Vesubie. In questa zona si localizzano comunemente i Vesubiani, i quali inizialmente furono annessi, come è noto, al distretto cozio. Lamboglia data l’iscrizione al I secolo d.C. avanzato, suggerendo che essa possa ascriversi ad epoca Flavia117, periodo in cui questi territori erano già parte integrante delle Alpi Marittime. Si osserva qui un magistrato municipale, che ottenne la cittadinanza romana verisimilmente dopo aver rivestito la questura, il quale possiede un nome completamente romanizzato, così come romanizzato è il nome del

116 Questa l'integrazione a suo tempo proposta da Lamboglia (AUDRAS-LAMBOGLIA 1951): [---]anni /

[D(iis)] M(anibus) / [P(ublio)] Secundio / [P(ubli) f(ilio) Pru]denti / [Q(uaestori) Duum]viro et / [sace]rdoti / [Cento]ndi Silva/[ni filius] et amaecus / [fecer(unt) p]atri bene / [mer]enti. Lo studioso integrava, nella lacuna

precedente [ ]ndi, il nome della divinità Centondis, e interpretava la parola seguente come il nome del dio di cui il defunto era stato sacerdote. In questo modo Lamboglia immaginava la possibile integrazione delle due divinità, indigena e romana, e vi rintracciava una testimonianza del forte processo di romanizzazione innescato "in loco". Tale interpretazione non fu completamente rifiutata dalla Laguerre, che si limitò a sottolineare la difficoltà di ricostruzione del testo a causa dello stato della pietra (LAGUERRE 1966, p. 93). In realtà è certo che al posto di Centondis occorre vedere un gentilizio, il quale dal confronto con quello esibito dal defunto non può essere altro che [Secu]ndi(i) (LETTA), intendendo così Silva[nus] et Amaecus i figli o i fratelli (AE 1953,

cit.) dell'uomo.

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padre di quest'ultimo che verisimilmente ottenne la cittadinanza di riflesso grazie al figlio. L’interesse di tale iscrizione risiede non solo nella menzione della carica di duumviro cui egli adempì per un municipium a noi purtroppo ignoto118, ma anche nel nome di uno dei dedicanti, Amaecus, attestato solo in questo caso119.

Anche l’opportunità che la presente epigrafe sia databile al periodo in cui il luogo già apparteneva alle Alpi Marittime poco importa in questa sede: si tratta in ogni caso di una zona indigena recentemente sottomessa che offre una testimonianza ulteriore per la comprensione del processo di integrazione delle aree indigene anche più discoste. Lamboglia non manca di far notare l’accuratezza con cui le lettere dell’epigrafe sono eseguite, fatto decisamente inusuale soprattutto per un luogo quale è quello del rinvenimento.

Sulla stessa linea si pone l’epigrafe già citata di Albanus Bussulli filius e della sua famiglia120, nella quale si ha un esempio di come il figlio di un indigeno non ancora romanizzato abbia potuto ottenere una carica di prestigio e come egli ed i suoi fratelli abbiano invece accolto la tradizione dei conquistatori.

Per concludere il discorso sul diffondersi della romanizzazione in questa zona è utile focalizzare l'attenzione su alcune stele funerarie, appartenenti a soldati, per il fatto che esse sono riconducibili ad una categoria ben definita: si tratta delle cosiddette stele-porta o Porta

Ditis. Su tale classe esiste un'ampia bibliografia in merito121 che a noi interessa per poter

meglio contestualizzare gli esemplari di Cemenelum nel quadro storico della città e appunto nell'ambito della romanizzazione.

Nel corso degli scavi della necropoli Nord122, dalla quale proviene la maggioranza degli epitaffi relativi a soldati militanti nelle diverse coorti, furono rinvenute due stele-porta appartenenti ad Epicadus Velox della coorte dei Liguri (S157)123 e ad un soldato della coorte

118 Lamboglia (AUDRAS, LAMBOGLIA 1951, p. 218) conclude un po’ troppo frettolosamente che il

municipium in questione sia Cemenelum, che l’epigrafia attesta essere anch’esso retto da duumviri, ma questo

non basta a dimostrare la fondatezza di questa opinione.

119 Cfr. LŐRINCZ, REDŐ 1994, p. 87. 120 Si veda § III.2.1.

121 RIGHINI 1965; LETTA, D'AMATO 1975; GELICHI 1979; DAVIES 1978; CHRISTOL, DREW-BEAR

1998; VERZÁR-BASS 1985.

122 Si veda BENOIT 1964, pp. 605-606. 123 LAGUERRE 1975, n. 49, p. 66.

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