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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE UFFICIO DEL MASSIMARIO E DEL RUOLO

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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

UFFICIO DEL MASSIMARIO E DEL RUOLO

Relazione su questione di massima e di particolare importanza – ricorsi nn. 11967 e 20809/2009

Rel. n. 35 Roma, 14 aprile 2011

Oggetto: Esdebitazione e clausola di parziale soddisfacimento dei creditori:

lettera, ratio e tenuta costituzionale delle possibili letture dell’art. 142, comma 2, legge fallim.

SOMMARIO:

1.- La rimessione alla trattazione delle Sezioni Unite e la questione di massima e di particolare importanza, come affrontata nei decreti oggetto di impugnazione ed enunciata nei due ricorsi.

2.- I precedenti di legittimità e costituzionali sulle disposizioni transitorie del regime introdotto dai d.lgs. n. 5 del 2006 e 169 del 2007 e sui presupposti di legittimazione passiva.

3.- La natura e le finalità dell’esdebitazione concorsuale.

4.- Il rapporto con la riabilitazione.

5.- Le caratteristiche soggettive del beneficiario.

6.- Le condizioni di meritevolezza.

7.- La valutazione dei comportamenti collaborativi del debitore.

8.- La condizione oggettiva di ammissibilità: la misura e le proporzioni ripartitorie nel soddisfacimento ‘almeno in parte’ dei creditori concorsuali nel dialogo tra dottrina e giurisprudenza di merito.

9.- I crediti esclusi dall’esdebitazione: a) la loro natura concorsuale e speciale.

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10.- b) i rapporti estranei all’esercizio dell’impresa.

11.- c) i beni destinati solo in parte all’esercizio dell’impresa.

12.- La salvezza dei diritti dei creditori nei confronti dei coobbligati, dei fideiussori e degli obbligati in via di regresso.

13.- La dichiarazione di inesigibilità.

14.- I creditori anteriori alla apertura della procedura di liquidazione che non hanno presentato la domanda di ammissione al passivo.

15.- La ridefinizione degli effetti sui creditori concorsuali che non si sono insinuati.

16.- Considerazioni finali sulla legge delega e le valutazioni di costituzionalità.

***

1.- La rimessione alla trattazione delle Sezioni Unite e la questione di massima e di particolare importanza, come affrontata nei decreti oggetto di impugnazione ed enunciata nei due ricorsi.

1.1. La Prima Sezione civile [ordinanza n. 21641 del 21 ottobre 2010, Pres.

Carnevale; Rel. Zanichelli; P.M. Ciccolo; in causa Bianchi c/INAIL, IMS s.p.a., Fallimento Provalves High Tecnology s.a.s. di Raffaele Bianchi e RACI s.r.l.; n. Reg.

Gen. 20809/09; resa all’udienza del 28 settembre 2009; n. Reg. Sez. 112/10] ha rimesso gli atti al Primo Presidente, per l’assegnazione alle Sezioni Unite, sul presupposto della novità della questione, in tema di esdebitazione, ritenuta di massima importanza e tale da applicarsi, per la soluzione giurisdizionale adottata, ad un numero rilevante di procedure fallimentari. Il dubbio concerne la portata, in particolare, del requisito oggettivo, premesso nell’art. 142, comma 2, legge fallim., per dar corso all’istituto dell’esdebitazione: se dunque sia necessario che tutti i creditori siano stati, sia pur in parte, soddisfatti (come ritenuto dall’impugnato decreto 17 luglio 2009 della Corte d’Appello di Milano) o se invece sia sufficiente che almeno una parte di essi abbia trovato soddisfazione. Parte ricorrente, il già fallito Raffaele Bianchi, formula un unico, complesso, motivo di censura, sollevando altresì il dubbio di illegittimità costituzionale dell’art. 143 legge fallim., per eccesso di delega rispetto alla l. n.

80/2005, ove l’interpretazione al medesimo sfavorevole fosse ritenuta imposta dall’attuale assetto normativo. La trattazione alle Sezioni Unite è stata disposta in prosieguo, con decisione 14 marzo 2011, anche con riguardo al procedimento n.

11967/2009, promosso da Luca Gniuli avverso decreto App. Firenze 15 aprile 2009, per identità della questione.

1.2. La vicenda processuale comune ai due ricorsi nn. 20809/2009 e 11967/2009 [su cui cfr. la Relazione preliminare di questo ufficio, del 13 aprile 2011] attiene all’impugnativa ex art. 111 Cost., avverso i decreti pronunciati, in secondo grado di

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merito, rispettivamente dalle Corti d’Appello di. Milano 17 luglio 2009 (in conferma del decreto del Tribunale di Milano denegativo della richiesta esdebitazione) e di Firenze 15 aprile 2009 (in riforma del decreto del Tribunale di Firenze concessivo della esdebitazione), con i quali, rigettando le domande dei due ricorrenti, è stata esclusa l’ammissibilità della esdebitazione, in quanto insussistente il presupposto del pagamento almeno parziale di tutti i creditori, circostanza esclusa in entrambe le procedure fallimentari afferenti ai due già falliti.

1.3. Gli aspetti di comunanza dei due ricorsi - proposti da soggetti, persone fisiche, dichiarati falliti in proprio quali soci illimitatamente responsabili di rispettive compagini societarie parimenti dichiarate fallite - sono pertanto ravvisabili nell’unica questione, quale riassunta nella citata ordinanza 21.10.2010 della Prima Sezione civile, che, sul presupposto della sua novità e ritenuta di massima importanza, oltre che tale da applicarsi, per la soluzione giurisdizionale adottata, ad un numero rilevante di procedure fallimentari, ha esposto il dubbio sulla portata del requisito oggettivo, premesso nell’art. 142, comma 2, legge fallim., per dar corso all’esdebitazione. La formula del testo, introdotta dal d.lgs. n. 5 del 2006 e sul punto non incisa dalla successiva novella del d.lgs. n. 169 del 2007 (che pure ha modificato la disposizione), prevede che il citato beneficio non può essere concesso qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali. Una prima lettura della norma valorizza la portata esdebitatoria, connessa al positivo apprezzamento del tribunale su ogni altro requisito soggettivo del fallito, in modo oggettivo: i debiti residui incisi dal relativo provvedimento sarebbero nel loro complesso semplicemente quelli rimasti insoddisfatti, dopo la ripartizione finale dell’attivo. Per questa tesi diverrebbero inesigibili i debiti residui dopo i riparti, derivandone che per alcuni creditori si tratterebbe della differenza rispetto a quello percepito e per altri, invece, dell’intero. Una diversa opzione, per tale tesi, sarebbe inconfigurabile perché lascerebbe uno spazio talmente residuo all’istituto da svilirne la ratio premiale perseguita dal legislatore: pagare almeno in parte tutti i creditori, in presenza di un ceto di privilegiati, significherebbe postulare di questi ultimi il pagamento integrale, non potendosi altrimenti procedere a nessun pagamento in favore dei chirografari. Il che val quanto dire che l’esdebitazione avrebbe gli stessi presupposti di accesso del concordato fallimentare. Una seconda lettura, all’opposto, si colloca in continuità con l’apprezzamento più selettivo che l’istituto aveva conosciuto nei lavori preparatori, all’esito dei quali, pur essendo stata abbandonata l’iniziale previsione di una percentuale minima, la sopravvissuta clausola del soddisfacimento almeno in parte starebbe a significare un ribadito requisito oggettivo attinente a tutti i creditori. Lo stesso art. 143, comma 1, riferendosi all’inesigibilità disposta per i debiti non soddisfatti integralmente, non avrebbe senso se non nella prospettiva di abbracciare tutti i creditori, non potendo attagliarsi tale formula anche a quelli non soddisfatti per nulla. E così pure la disposizione che regola il sacrificio per i creditori non insinuatisi al passivo, nell’art. 144 legge fallim. precisa che l’esdebitazione opera per la sola eccedenza rispetto a quanto tali creditori avrebbero avuto diritto a percepire nel concorso.

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2.- I precedenti di legittimità e costituzionali sulle disposizioni transitorie del regime introdotto dai d.lgs. n. 5 del 2006 e 169 del 2007 e sui presupposti di legittimazione passiva.

2.1. Allo stato non consta alcun puntuale precedente di legittimità, né la trattazione della S.C. ha finora riguardato l’istituto oltre talune vicende normative periferiche rispetto alla questione centrale delle condizioni di accesso. Per questa ragione si affronteranno in prosieguo, ed in sintesi, nodi problematici strutturali dell’istituto che sono apparsi essenziali alla configurazione di scelte razionali altresì nel campo d’indagine più limitato, ora offerto all’indagine delle Sezioni Unite. Tali aspetti ulteriori hanno trovato sinora attenzione nel solo dialogo tra giurisprudenza di merito e dottrina, e ciò giustifica il loro richiamo nella presente sede.

2.2. Invero il tema oggetto di rimessione alle Sezioni Unite era stato recato una prima volta all’attenzione della S.C. all’udienza del 30.9.2009, ma Sez. 1, sentenza n.

24121 del 13.11.2009 [n.m. sul punto, cfr. il testo sub B-5] aveva – in una fattispecie del tutto simile a quella recata all’esame attuale delle Sezioni Unite, e cioè parziale pagamento dei soli creditori privilegiati in un fallimento di socio illimitatamente responsabile – dichiarata assorbita la questione, non applicandosi il nuovo istituto a fallimenti chiusi prima del d.lgs. n. 5 del 2006.

2.3. Concernendo i meccanismi di fisiologico funzionamento, gli unici interventi di legittimità – dettati in materia di disciplina transitoria e di instaurazione del contraddittorio – integrano all’apparenza in modo poco significativo, ai fini qui indagati, la ricostruzione della mappa degli interessi protetti dall’istituto. Così per Sez.

1, sentenza n. 24395 del 01/12/2010 (Rv. 615106) <<non è ammissibile l'esdebitazione per i fallimenti dichiarati chiusi in epoca antecedente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2006, nè tale limitazione, per come posta dagli artt. 19 e 22 del … d.lgs. n. 169 del 2007, giustifica alcun dubbio di costituzionalità della disciplina transitoria, così come interpretata, per contrasto con l'art.3 Cost., in quanto, come già statuito da Corte cost. nell'ordinanza n. 61 del 24 febbraio 2010, l'applicabilità ratione temporis dell'istituto corrisponde ad una scelta del legislatore, secondo un discrimine temporale che non è arbitrario, costituendo il fluire del tempo valido elemento diversificatore di situazioni giuridiche>> [B-1]. In precedenza, Sez. 1, sentenza n. 24121 del 13/11/2009 (Rv.

610685) aveva statuito che l'esdebitazione, prevista dagli artt.142 e 144 della legge fall., nel testo novellato dal d.lgs. n. 5 del 2006 e dal d.lgs. n. 169 del 2007, <<trova applicazione, secondo quanto disposto dalla disciplina transitoria, alle procedure aperte anteriormente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 5 cit., purché ancora pendenti a quella data (16 luglio 2006), e tra queste a quelle chiuse nel periodo intermedio, vale a dire sino all'entrata in vigore del d.lgs. n. 169 [del 2007] (1° gennaio 2008), purché, in quest'ultimo caso, la relativa domanda venga presentata entro un anno dall'entrata in vigore di detto ultimo decreto; ne consegue che non è ammissibile l'esdebitazione per i fallimenti dichiarati chiusi in epoca antecedente all'entrata in vigore del d.lgs. n.

5 del 2006.>> [B-2] [conf. poi Sez. 1, sentenza n. 24027 del 26/11/2010 (Rv.

614810)] [B-3].

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2.4. In realtà la rimessione alla Corte cost. era avvenuta, da parte del Trib. di Bolzano, con ord. 20.12.2006, dubitandosi degli artt. 1, comma 6), lettera a), numero 13, della legge 14 maggio 2005, n. 80 [legge delega fallimentare] e 142 legge fallim.

«nella parte in cui, in modo irrazionale, introduce l'istituto dell'esdebitazione e, in subordine, limita l'istituto dell'esdebitazione al soggetto imprenditore fallito e ai fallimenti chiusi dopo l'entrata in vigore della legge». Il Giudice delle leggi aveva però rilevato l’intrinseca contraddittorietà della rimessione, dichiarandola inammissibile [ordinanza 411/2007 Deposito del 30/11/2007] [A-2]. Successivamente, su ulteriori questioni – sollevate da Trib.

Tolmezzo 15.5.2008, Trib. Udine 27.1.2009, Trib. Lucca 24.2.2009, Trib. Alessandria 17.4.2009 – concernenti il dubbio sulle medesime disposizioni nella parte in cui

«limitano in via transitoria l’applicazione retroattiva della disciplina in materia di esdebitazione ai soli fallimenti ancora pendenti» alla data del 16 luglio 2006, anziché estenderla «a tutti i fallimenti retti dall’originario testo» del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 … a prescindere dalla data della loro chiusura>> Corte Cost. ha in parte dichiarato ancora inammissibile (sub art. 24 Cost.) ed in parte infondata (sub art. 3 Cost.) la questione: i giudici remittenti non avrebbero considerato che <<il criterio di discrimine nella applicazione di diverse discipline normative basato su dati cronologici non può dirsi, a meno che non sia affetto da manifesta arbitrarietà intrinseca, fonte di ingiustificata disparità di trattamento, poiché … lo stesso naturale fluire del tempo è valido elemento diversificatore delle situazioni giuridiche>>; dall’altro lato, la censurata scelta legislativa anzi appare <<coerente con la esigenza di compiere, al fine della concessione della esdebitazione, una serie di riscontri istruttori, volti alla verifica della effettiva meritevolezza del beneficio da parte del fallito, che ben difficilmente sarebbero possibili o, comunque, fonte di risultati attendibili, ove fossero svolti in relazione a procedure concorsuali la cui chiusura rimonti a periodi troppo risalenti nel tempo, rientrando, quindi, nella discrezionalità del legislatore la fissazione del detto limite temporale.>> [ordinanza 61/2010 Deposito del 24/2/2010] [A- 3]. Da questa più recente pronuncia si evince una chiara giustificabilità selettiva dell’istituto, apparendo ragionevole escluderlo ai falliti con procedure chiuse prima del 16 luglio 2006 (data di entrata in vigore del d. lgs. n. 5 del 2006) perchè meno prossime allo svolgimento di un’attività istruttoria che il giudice di merito deve compiere in modo efficiente su tutti quei requisiti di meritevolezza, esplicitamente citati e riassumibili nelle condizioni da 1 a 6 dei numeri di cui al comma 1 dell’art. 142 legge fallim., cui solo in astratto potrebbe aggiungersi il pagamento ai creditori concorsuali oggetto della presente questione. Apparendo infatti prevalente lo scrupolo organizzativo volto ad assicurare il buon funzionamento del procedimento, in cui non possono non essere compresi il rilascio dei pareri degli organi della procedura, in primo luogo, ex art.143 legge fallim., curatore e comitato dei creditori. Si può dunque sottolineare che anche a voler oggettivizzare tra i requisiti di meritevolezza in sé considerata la circostanza del pagamento ai creditori, la sua disamina rientra tra i fattori di agile rappresentazione, tale da non apparire nel novero degli interessi oggetto di immediata tutela della criticata disciplina transitoria. E solo un rilievo descrittivo può essere conferito ad un‘argomentazione – riportata nell’ord. n. 61/2010 ed attribuita all’Avvocatura dello Stato – per cui, richiamata tra le finalità perseguite dal

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legislatore <<quella di permettere al fallito di poter riprendere, una volta chiusasi la procedura, un’attività economica «libera dalle pressioni dei vecchi creditori», sarebbe chiaro che ciò troverebbe una sua giustificazione solo con riferimento alle procedure chiuse da poco tempo, nei casi, cioè, in cui il fallito «è in grado di ricominciare la propria attività»>>.

2.5. Un rilievo meno indiretto alla ricostruzione della ratio dell’istituto, aiutando invero a scolpire il novero dei soggetti che, con l’acquisizione di precise prerogative processuali, si vedono sancire una connotazione anche sostanziale intrinseca alla portata finale, l’inesigibilità dei crediti, implicata dal provvedimento ammissivo, è in Corte cost. n. 181/2008, dep. il 30.5.2008 [A-1] con cui è stata dichiarata ai sensi dell’art. 24 Cost. la <<illegittimità costituzionale dell'art. 143 legge fallim. … limitatamente alla parte in cui esso, in caso di procedimento di esdebitazione attivato, ad istanza del debitore già dichiarato fallito, nell'anno successivo al decreto di chiusura del fallimento, non prevede la notificazione, a cura del ricorrente e nelle forme previste dagli artt. 137 e s. cod. proc. civ., ai creditori concorrenti non integralmente soddisfatti, del ricorso col quale il debitore chiede di essere ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei medesimi creditori, nonché del decreto col quale il giudice fissa l'udienza in camera di consiglio.>>. Si tratta di una pronuncia che, nella vicenda in esame, non casualmente ha trovato enfasi tra le difese delle parti ed in ispecie ove si è valorizzato che l’uso, da parte della Corte cost., della locuzione creditori concorrenti non integralmente soddisfatti starebbe ad indicare che, nella individuazione dei legittimati passivi e legittimi contraddittori, il Giudice delle leggi si sarebbe limitato a rimediare ad un’incompleta previsione di tutela garantistica per queste parti del procedimento, la cui individuazione come tali preesisterebbe all’intervento di illegittimità, costituendo infatti nient’altro che la ricognizione del controverso presupposto oggettivo del pagamento di una parte almeno di tutti i creditori concorsuali insinuati al passivo, ammessi e perciò in parziale misura soddisfatti. La Corte d’Appello di Venezia, con ord. 13.7.2007, aveva dubitato che la <<chiusura del fallimento, non preveda … se non la necessità «della partecipazione dei creditori concorsuali al procedimento di liberazione dei debiti, quantomeno [… la] messa a conoscenza degli stessi, con idoneo mezzo, dell'instaurazione del procedimento>> ed il sacrificio di tali creditori sarebbe ingiustificato <<a causa della mancata tempestiva informazione ai medesimi della pendenza della procedura, non [essendo] consentito a questi di tutelare in giudizio il loro diritto alla esigibilità del residuo credito vantato>>. La Corte Cost., nel premettere la rilevanza della questione, condivide la sollevazione d’ufficio del dubbio di costituzionalità dell’art. 143 cit., benché nel procedimento nessun creditore fosse intervenuto, anzi annettendo a tale mancata partecipazione il limite di organizzazione del contraddittorio: va notato che la fattispecie esplicitamente nominata dalla corte remittente è proprio quella dei creditori concorsuali non integralmente soddisfatti in sede fallimentare, non informati della intervenuta pendenza della procedura di esdebitazione, volta alla dichiarazione di inesigibilità della parte di credito rimasta insoluta all'esito della ripartizione dell'attivo fallimentare. E di seguito, il sintetico richiamo funzionale all’istituto, accenna alla sua portata materiale quale

<<disciplina applicabile, successivamente alla chiusura del fallimento, alle eventuali parti di debito che, all'esito della procedura concorsuale, a causa dell'incompleto adempimento delle obbligazioni del

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fallito, continuino a gravare su di lui>> e poi, ancor più chiaramente, prosegue il Giudice delle Leggi per cui <<l'effetto della esdebitazione [è] quello di escludere la possibilità per i creditori concorsuali rimasti solo parzialmente soddisfatti di pretendere, dopo la chiusura del fallimento, il pagamento del loro residuo credito da parte del «debitore già dichiarato fallito»>>. Si è però replicato che siffatta ricostruzione della Corte cost. appare neutra ai fini in esame: la sent. 181/08 ascriverebbe una prerogativa processuale anticipata (la notifica dell’apertura del procedimento) ai creditori già in condizione, per previsione originaria dell’art. 143, comma 2, legge fallim., di impugnare il decreto che provvede sul ricorso, facoltà che, riferita ai creditori non integralmente soddisfatti, non potrebbe certo essere intesa come esclusa ai creditori concorsuali integralmente insoddisfatti.

2.6. Del tutto coerente con l’avvenuta riscrittura dell’art. 143 legge fallim. è stata poi Sez. 1, sentenza n. 21864 del 25/10/2010 (Rv. 614440) [B-4] che ha ritenuto

<<viziata l'impugnata decisione che non ha rilevato d'ufficio la ritenuta nullità perpetrando la violazione del diritto di difesa dei creditori nei cui confronti non ha proceduto, neppure in quella sede, all'integrazione del contraddittorio>>, avendo infatti <<omesso il tribunale di avvisare tutti i creditori concorrenti in ordine all'avvenuta proposizione della domanda di esdebitazione>>. La nozione di contraddittori e legittimati passivi sulla domanda del debitore è stata nella vicenda individuata relativamente ad una domanda di esdebitazione proposta, come consentito, successivamente alla chiusura del fallimento ed entro un anno da tale evento.

3.- La natura e le finalità dell’esdebitazione concorsuale.

1. L’attenuazione delle conseguenze sanzionatorie a carico della persona del debitore è parte di un clima che ha spinto il legislatore delegante (art. 1, co. 6, lett. a) n. 13-13.6 l. 80/05) ad osare anche la carta del maggiore incentivo che gli ordinamenti offrono agli insolventi per una regolazione ordinata e tempestiva delle loro difficoltà finanziarie, senza sacrificio definitivo della propria capacità di produzione di ricchezza connessa ad una vicenda imprenditoriale rinnovabile: la prospettiva della estinzione dei propri debiti (formula atecnica in grado di ospitare, come meglio infra precisato, anche la soluzione italiana della inesigibilità dei crediti), quale stimolo a condotte non ostracistiche nella futura procedura concorsuale ovvero altresì special-preventive, cioè idonee ad accelerarvi l’ingresso volontario [FERRO 06, 15] ed anche incentivanti ad un ripristino di una soggettività economica ritenuta socialmente utile. L’istituto della esdebitazione, di derivazione europea ed americana (cd. discharge, per gli anglosassoni, ossia cancellazione dei debiti pregressi), è un beneficio concesso al fallito dal tribunale con il decreto di chiusura o anche dopo: la domanda del debitore – sempre necessaria [FERRO 06, 15; conf. PANZANI 09, 531] ed indipendente dall’avere originariamente chiesto il proprio fallimento [CAIAZZO 08,445; SANTORO 10,1865] – va presentata, secondo il nuovo art. 143, co. 1, legge fallim., al più entro l’anno successivo alla chiusura della procedura. Così il d.lgs. 5/06, sviluppando agli artt. 142- 144 legge fallim. una legge delega già sufficientemente puntuale in ogni altro elemento

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- salvo il soggetto beneficiario ed il tipo di obbligazioni da estinguere [FERRI 05, 1085]

- ha disciplinato la liberazione del debitore che sia una persona fisica dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali, cioè non soddisfatti dalla liquidazione fallimentare [PANZANI a 07, 2097; CAIAZZO 08, 445]. Il giudice collegiale decide fondando la sua istruttoria sulla valutazione dei pareri del curatore e del comitato dei creditori, cioè dei due organi di gestione della nuova procedura.

2. Si tratta di un istituto estraneo alla nostra tradizione giuridica [anche se non mancano esempi, così a Napoli ed a Firenze, di pene corporali e forme di gogna sulla piazza idonee a sgravare il debitore: v. i casi in SANTORO 10, 1865, mentre ricorda il dibattito già nella prima metà del secolo scorso su tale prospettiva FRASCAROLI SANTI

09,1407], ma presente da molto tempo – come ricordato nella Relazione al d.lgs. n. 5/06 – negli ordinamenti di altri paesi [COSTANTINO 05, 1000], di cui realizza ora una variante, anche in chiave di discontinuità, ove invero si discosta da un rapporto con il sovraindebitamento del consumatore [FALCONE 06, 841] e, per taluno, coincide con una forma (incostituzionale, perché si realizza senza indennizzo e in un quadro di compatibilità con una discutibile funzione sociale del credito) di espropriazione dello stesso credito [SCARSELLI 09, 1339 che ne lamenta la degradazione ad una sorta di interesse legittimo]. I fondamenti teorici dell’esdebitazione italiana vengono variamente (e spesso in modo congiunto) individuati: consentire ai debitori di ripartire da zero (il cd. fresh start), dopo aver cancellato tutti i debiti pregressi (cd. discharge) e quindi essere di nuovo dei soggetti economici attivi senza dover sopportare limitazioni all’iniziativa o alle proprie potenzialità di favorire la produzione di ricchezza per effetto del peso dei debiti precedenti; premiare il fallito che contribuisca con la sua attività (informativa, di aiuto nella gestione, di ricostruzione del patrimonio) [NORELLI

06, 256; PAJARDI-PALUCHOWSKI 08, 729] al massimo realizzo dell’attivo ed anche alla migliore fotografia dell’esposizione debitoria finale, favorendo una rapida ed efficiente conclusione della procedura a tutto vantaggio dei creditori; assicurare contro il rischio di insolvenza, in quanto coloro che temono di trovarsi in tale stato potrebbero decidere di non avviare l’impresa, mentre con l’esdebitazione anche tali soggetti sarebbero incentivati a divenire imprenditori, potendo contare sulla successiva liberazione dai debiti pregressi nel caso di insolvenza e dunque incoraggiandosi una propensione al rischio [cfr. SANTORO 10, 1864]; costruire una forma di responsabilità limitata per le imprese individuali, separando il patrimonio dedicato all’impresa da quello personale del titolare [FERRO 06, 15; LAZZARA 06, 646]. Nell’ambito dei modelli di astratta selezione sono anche state enfatizzate, oltre alla distinzione tra debitore-civile consumatore e debitore-imprenditore (con la contrapposizione tra l’aspirazione a riacquisire la veste di contraente di nuovi debiti e, rispettivamente, di soggetto economico ancora attivo nel mercato), altresì le procedure imperniate sul raccordo con la volontà dei creditori (e dunque omologatorie di appositi concordati generali, con specifiche eccezioni per debiti intangibili) e l’archetipo costruito su un diritto soggettivo, sottoposto a controlli, ma già appartenente allo statuto del soggetto economico stesso [FERRI 05, 2086-2087], ipotesi affacciate e poi abbandonate nel

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lungo dibattito anteriore alla riforma [COSTANTINO 05, 999-1000].

3. Rilevante, ancorchè non immediata, è divenuta la consapevolezza che l’istituto realizza, sul piano ordinamentale, un’eccezione al principio della responsabilità patrimoniale generale di cui all’art. 2740 cod. civ. [SANTORO 10, 1864], considerando la sua estraneità ad ogni meccanismo direttamente o anche solo indirettamente negoziale. Va tenuto infatti conto che il beneficio viene sì concesso dal tribunale all’esito di un procedimento valutativo dei comportamenti solutori del debitore e sulla base di un apporto degli altri organi concorsuali (in eccezionale ultrattività quando la domanda sia successiva alla chiusura del fallimento), ma proprio l’assenza di un vincolo del parere del comitato dei creditori e del curatore, oltre che di un qualsiasi congegno di consultazione preventiva ed approvativa, sia pur a maggioranza, dei creditori stessi, rafforza la tesi dell’autonomia della figura in esame.

Non a caso anche le voci che, in dottrina, contrastano i dubbi di costituzionalità, elevano le basi di giustificazione dell’esdebitazione al piano di un interesse superiore, o più semplicemente “dell’economia in generale” [FRASCAROLI SANTI 09, 1408], essendo ben diverse le basi che nella tradizione italiana assicuravano il medesimo effetto – com’era prima della riforma – ai soli concordati, preventivo e fallimentare. Con la riforma, infatti, il beneficio dell’esdebitazione cui perviene

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l’insolvente in concordato prescinde del tutto da condizioni ostative di tipo etico- giuridico.

4.- Il rapporto con la riabilitazione.

1. L’art. 128 del d.lgs. 5/06 prescrive che il Capo IX della legge fallim. sia rubricato con il nuovo istituto, con una riscrittura integrale di tipo sostitutivo- soppressivo rispetto alla previgente riabilitazione: quest’ultima, tuttavia, è stata abrogata per effetto dell’attuazione, sul punto, di un diverso principio della legge delega, fissato all’art. 1, co. 6, lett. a) n. 4 (eliminazione delle sanzioni personali e modifica delle conseguenze personali del fallimento), con parziali effetti già anticipati – tra l’altro e secondo l’art. 153 d.lgs. 5/06 – sin dal 16.1.06, se si considera che da tale data il registro dei falliti è stato abolito (e sono stati riscritti gli artt. 48 e 49 legge fallim.).

L’art. 129 d.lgs. 5/06 ha a sua volta espressamente abrogato anche l’art. 145 legge fallim., che riguardava le condanne penali ostative alla riabilitazione [per il difetto di coordinamento con l’art. 217 legge fallim. v. LAZZARA 06, 646 e, più in generale, in critica della considerazione della repressione penale come oggetto di norme scorporabili dal sostrato normativo civilistico, ora D’ALESSANDRO 11, 202], per cui si è detto che – secondo una tesi che, in bonam partem, ne procrastina la vigenza anche oltre la piena entrata in vigore del d.lgs. 50/06 – la riabilitazione potrebbe trovare applicazione (solo) per i fallimenti dichiarati fino al 16 gennaio 2006 [GROSSI 06, 1903]. In ogni caso tra esdebitazione e riabilitazione civile non sussiste alcun rapporto di continuità essendo del tutto diverse condizioni e finalità: se è vero che si tratta di istituti a valenza premiale, con la figura introdotta dalla riforma si agisce sull’inesigibilità nei confronti del fallito dei debiti concorsuali insoddisfatti integralmente [un mero impedimento all’azione per [ZANICHELLI 06, 310] mentre la riabilitazione pone termine alle cd. incapacità personali [TEDESCHI 06, 480; CAIAFA

06, 508; GROSSI 06, 1903]. A sua volta l’alternativa tra i due istituti è evincibile anche dalle prime pronunce di legittimità, sopra richiamate, che hanno escluso l’applicazione in modo indistinto dell’esdebitazione ai fallimenti dichiarati sotto il vigore della precedente disciplina: perché l’istanza può essere deposita solo entro un anno dalla chiusura e comunque è incongruo che un fallimento regolato dalla vecchia legge fallim. sino alla chiusura sia suscettibile di essere poi assoggettato alle nuove norme ancorché non pendente al momento della loro entrata in vigore anche ai sensi dell’art.

150 d.lgs. 5/06. In ogni caso solo la riabilitazione conteneva il limite di soddisfacimento del 25% dei chirografi da

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pagare in sede di concordato fallimentare, mentre l’esdebitazione non implica alcuna percentuale minima [così LAZZARA 06, 550].

5.- Le caratteristiche soggettive del beneficiario.

1. Il beneficio è concesso, dunque, solo alle persone fisiche e non anche alle società di capitali, in quanto mentre le prime, anche dopo la chiusura del fallimento, continuano ovviamente ad esistere e, dunque, le pretese dei creditori rimasti insoddisfatti potranno trovare soddisfazione sul patrimonio del debitore, eventualmente ricostituito con il frutto delle sue attività svolte dopo la chiusura della procedura, la società di capitali – di regola – dopo (ed anzi con) la chiusura del fallimento viene cancellata dal registro delle imprese (dal curatore ex art. 118, co. 2, legge fallim.) e dunque si estingue la sua personalità giuridica, ciò rendendo sostanzialmente vane ed irrealizzabili anche successivamente le pretese dei creditori rimasti insoddisfatti, anche se formalmente continua a vigere l’art. 2740 cod. civ. che impegna il debitore a rispondere delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e, appunto, futuri. Questa sostanziale differenza di trattamento tra il creditore di un debitore imprenditore commerciale persona fisica (o un socio illimitatamente responsabile: FERRO 06, 16; conf. GROSSI, 06, 1921; LAZZARA 06, 648; PAJARDI-PALUCHOWSKI 08, 729) e il creditore di un debitore imprenditore commerciale persona giuridica viene rimossa nel nostro ordinamento con l’introduzione dell’istituto in esame, che attribuisce anche alla persona fisica una responsabilità limitata sopravvenuta, al ricorrere di determinate condizioni.

2. È stato però sostenuto che la esclusione del beneficio anche in favore della società corrisponde all’esigenza di non riattribuire per la seconda volta ai suoi soci un vantaggio equivalente alla limitazione della responsabilità, posto che comunque anche la citata conseguenza estintiva sarebbe piuttosto la derivazione non dalla chiusura del fallimento, bensì dall’atto formale della cancellazione dal registro delle imprese [SANTORO 10, 1868].

3. La latitudine soggettiva dell’estensione del beneficio è strettamente dipendente dalla pregressa qualità di imprenditore commerciale (non piccolo fino al 31.12.2007) – fallito e perciò dalla ricorrenza, al momento della decisione (ovvero dell’instaurazione dell’istruttoria), dei requisiti soggettivi – connessi alla misura dell’attivo ovvero dei ricavi medi del triennio anteriore ovvero anche, per tesi già affacciate e minoritarie, da parametri residuali di derivazione codicistica e tuttora imperniati sull’art. 2083 cod. civ.. (ma v. per l’abrogazione tacita della figura, ai fini fallimentari, S.C. 13086/10 [B-6]; 23052/10 [B-7]). Non possono accedere all’esdebitazione, pertanto, né il piccolo imprenditore commerciale (fino a quando tale distinzione operava e, all’attualità, quanto alle domande per fallimenti chiusi dopo il d.lgs. n. 5/06, fino alla sostituzione del d.lgs. n. 169/07 nei presupposti soggettivi della dichiarazione di fallimento), né il debitore civile o l’imprenditore non commerciale, senza limiti connessi all’entità dell’indebitamento che, in generale, non

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costituisce una condizione nemmeno nei casi positivi di ammissibilità. L’identità di status del socio, ora solo di quello delle società di persone e della s.a.p.a., sembra pertanto consentire l’allargamento della platea dei fruitori dell’istituto altresì ai soci illimitatamente responsabili dichiarati falliti [le due vicende all’esame delle Sezioni Unite si riferiscono proprio a tale fattispecie;conf. FERRO 06, 16; PANZANI 07, 2099 espressamente per i soci di società di persone e per l’accomandatario di s.a.p.a., 2109].

Altri, già in sede di commento alla legge delega, aveva messo in luce che la fruizione dell’istituto è riservata alle persone fisiche non in quanto tali ma in correlazione alla possibilità di liberarsi dai debiti residui nei confronti dei debitori concorsuali non soddisfatti [COSTANTINO 05, 1000]. Si tratta di una suggestione che il d.lgs. 5/06 non ha in realtà sviluppato, per l’assoluta identità dei due testi. La disciplina di favor debitoris così varata sembra ritenere sufficiente che la condizione di fallito persona fisica sia raccordabile ad un passivo concorsuale, circostanza pienamente compatibile con il fallimento per ripercussione a carico dei soci illimitatamente responsabili ed ogni qual volta l’esposizione debitoria che si riflette sul singolo fallito sia l’effetto automatico dell’insolvenza di un altro soggetto collettivo, determinativa a sua volta anche del fallimento in proprio – pur se a titolo diverso dalla partecipazione societaria – della singola persona fisica.

4. Per un autore la condizione di fallito deve appartenere allo stesso in modo definitivo, essendo dunque il beneficio precluso a colui nei cui confronti sia stata emessa sentenza dichiarativa di fallimento se poi il fallimento è stato revocato ex art.

18 legge fallim. [NORELLI 06, 256]. Con parallelo rigore, andrebbe escluso il beneficio in caso di soci illimitatamente responsabili che non siano però anche persone fisiche, come invece potrebbe accadere nelle attuali società di persone ex art. 2361 cod. civ. partecipabili in tale veste da altrettante società [SANTORO 10, 1869].

6.- Le condizioni di meritevolezza.

1. Le ulteriori condizioni stabilite dall’art. 142, comma 1, legge fallim., perché il debitore possa fruire del beneficio, sono di natura soggettiva, attenendo alla condotta del fallito, pregressa o successiva all’apertura del concorso [PANZANI 07, 2100] ed intercettano un giudizio oscillante tra constatazione obiettiva e valutazione di merito;

esse non sono alternative ma si cumulano, dovendo sussistere contemporaneamente [NORELLI 06, 260] e riflettendo, secondo parte della dottr., la recezione normativa di un’ostatività di comportamenti opportunistici del debitore [SANTORO 10,1871]:

1) aver cooperato con gli organi della procedura, collaborando non solo con la formale consegna di ogni elemento documentale [tra cui la contabilità per PANZANI

07, 2102] ma anche ausiliando gli organi (dunque curatore, comitato e giudice) nelle attività tipizzanti il concorso, ove il legislatore pone al primo posto proprio la verifica dei crediti, cui si affianca in modo più generico l’insieme delle altre; così sembrerebbero implicati i doveri di cui agli artt. 16, co. 2, n. 3, 41, co. 5, 49, 86, co. 1, 89 co. 1 (e 49, co. 2) [NORELLI 06, 260] ma anche un atteggiamento ostruzionistico o

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disinteressato che abbia inciso negativamente sulle possibilità di realizzo dell’attivo [PANZANI 07, 2103]; anche l’inerzia ed il disinteresse possono essere causa ostativa, se essi hanno operato in modo negativo sulla possibilità di realizzo dell’attivo o i suoi tempi [CAIAZZO 08, 446]; l’accertamento del passivo dovrebbe essere favorito non tanto da una contabilità regolare quanto da un flusso informativo ordinato e tempestivo dei dati, compresa la partecipazione alle udienze se richiesta dal curatore [ZANICHELLI 06, 310]; in realtà la norma non condiziona testualmente il predetto giudizio ad una sicura relazione di strumentalità tra apporto informativo del debitore (e sua cooperazione organizzativa) ed effettivo deposito dello stato passivo, all’apparenza risultando sufficiente la rilevazione nella predetta condotta di una mera idoneità all’allestimento dello stato passivo (si ritiene, non solo il progetto del curatore ma altresì le attività provvedimentali del giudice, in primo luogo quelle lato sensu istruttorie), il cui deposito non è infatti prescritto; resta l’interrogativo, tuttavia, di una procedura che si chiuda senza alcun deposito del decreto del g.d., eventualità astrattamente non esclusa dalla disposizione ma praticamente incompatibile con un sicuro accertamento del montante dei debiti concorsuali (si pensi all’insufficiente realizzo come prognosi altamente attendibile fondativa di un esonero dalla formazione dello stato passivo ex art. 102 ); in difetto di stato passivo, però, non si ha un’inaccessibilità all’istituto per questa sola ragione diretta, cui invece sembra doversi pervenire per la ripetuta nozione di pagamento dei creditori concorsuali cui presta attenzione il successivo art. 144 legge fallim., parendo invero del tutto inconfigurabile una vicenda esdebitatoria che, muovendo dal mancato deposito dello stato passivo, ricostruisca l’esposizione dei crediti in altro modo, di necessità incidentale ed indiretto;

2) non aver fatto ritardare lo svolgimento della stessa procedura, scopo che peraltro non incentiva l’anticipazione della sua apertura e sembra riferirsi, secondo una formulazione negativa, ad ogni attività di intralcio [almeno colposa: NORELLI 06, 261] non giustificata all’ordinato organizzarsi della procedura; nel precetto sembrano trovare collocazione l’omessa risposta alla convocazione o la non collaborazione nella ricerca dei beni o anche la proposizione di gravami meramente defatigatori [con la cautela di non comprimere la legittima tutela degli interessi del fallito per PANZANI 07, 2103];

3) non aver violato la consegna al curatore della corrispondenza relativa ai rapporti patrimoniali compresi nel fallimento (art. 48); si tratta di una consegna che attiene anche alle email e ad ogni altro genere di comunicazioni e sembrerebbe trovare il suo limite nella tempestività con cui assolvere al precetto, oltre che nel carattere personale della corrispondenza, ovviamente esclusa dalla consegna stessa;

4) non aver beneficiato di altra esdebitazione nei dieci anni precedenti la domanda; l’intervallo temporale mette in rapporto l’istanza con il precedente provvedimento e dunque sembra assommare nella buona condotta imprenditoriale anche tutto il tempo di durata del fallimento [ZANICHELLI 06, 311], calcolando il decennio a ritroso dall’inoppugnabilità del primo provvedimento di esdebitazione, non dalla sua mera pronuncia [NORELLI 06, 261];

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5) non aver distratto l’attivo, simulato il passivo, aggravato l’insolvenza, fatto ricorso abusivo al credito, eventi che senz’altro possono situarsi (soprattutto) nella fase anteriore all’apertura del processo concorsuale e sono indipendenti da un’eventuale condanna penale, né il giudice civile deve attendere l’esito del procedimento o è vincolato dal proscioglimento, salvo gli effetti del giudicato [PANZANI 07, 2102], benché esse integrino normalmente i reati di cui agli artt. 216, co.

1, n. 1, 217 n. 4 e 224, 216, co. 2, e 218 legge fallim.; se tali condotte per lo più coincidono [PANZANI 07, 2102] (anche) circa la causazione o l’aggravamento del dissesto si richiede l’elemento in più dell’evento consistente nell’obiettiva difficoltà nella ricostruzione di patrimonio e affari del debitore [come previsto nell’art. 216 per la bancarotta fraudolenta]. E tuttavia si è detto che l’applicazione di tale circostanza come effetto obiettivo delle prime condotte assicurerebbe l’esdebitazione all’autore di condotte già di per sé gravemente dannose per i creditori, proponendosi così – all’opposto – di leggere la disposizione come se tale circostanza fosse in realtà del tutto autonoma e condizione ostativa a se stante [ZANICHELLI 06, 312];

6) non aver subito una condanna con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta, per delitti contro l’economia pubblica, l’industria, il commercio o connessi all’esercizio dell’impresa, a meno che non sia per essi intervenuta la riabilitazione; se è in corso il procedimento penale per uno di tali reati il procedimento di esdebitazione (e non anche quello di chiusura: ZANICHELLI

06, 312-313) viene sospeso fino all’esito di quello penale; causa di sospensione è dunque anche la sussistenza di una condanna penale di primo o secondo grado non ancora divenuta irrevocabile; la condanna penale può intervenire sia prima che dopo il fallimento. Si può ritenere che la causa di esenzione del tipo, introdotta all’art. 217-bis [cfr. D’ALESSANDRO 11, 201], influenzi il solo aspetto strettamente penale, non impedendo una rivalutazione dei medesimi fatti alla stregua dei nn. 2 e 5 dell’art. in esame, dunque in chiave ostativa alla concessione della esdebitazione. È stato ritenuto che la condotta delittuosa dev’essere stata finalizzata o compiuta in collegamento con l’attività d’impresa, non bastando una mera contestualità [CAIAZZO 08,447].

7.- La valutazione dei comportamenti collaborativi del debitore.

1. L’art. 143 legge fallim. aggiunge, al rispetto dei requisiti più tassativi indicati all’art. 142., una ulteriore griglia valutativa: viene invero imposta al tribunale una verifica finale di compatibilità di merito del beneficio imperniata sullo scrutinio – al plurale – dei comportamenti collaborativi del debitore, dunque all’intero arco delle condotte – da presumersi interne alla procedura concorsuale – di leale apporto materiale ed informativo in un quadro di tempestività, completezza e adeguatezza rispetto alle molteplici necessità degli organi concorsuali, secondo un grado

«massimo» di diligenza [NORELLI 06, 271]. Si tratta di un elemento di ampia discrezionalità che si innesta su una doverosa acquisizione istruttoria del fascicolo fallimentare e si affianca alle previste audizioni, divenendo dunque in sé autonomo

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passaggio argomentativo del decreto [T Enna 7.11.06]. Un comportamento non collaborativo è stato ipotizzato con riguardo ad uno stile di vita eccessivo (indiziante di un occultamento di cespiti) o ad una documentazione (non completa), a sua volta sintomatica di una concausazione di ritardo nella dichiarazione di fallimento [SANTORO 10, 1878]. Altri ritiene si tratti di un requisito solo rafforzativo degli obblighi oggetto di scrutinio nell’art. 142 legge fallim., senza autonomia [MAFFEI ALBERTI 09, 803].

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8.- La condizione oggettiva di ammissibilità: la misura e le proporzioni ripartitorie nel soddisfacimento ‘almeno in parte’ dei creditori concorsuali nel dialogo tra dottrina e giurisprudenza di merito.

1. Secondo la ricostruzione più rigorosa, per debiti residui occorre fare riferimento ad una quota-parte delle obbligazioni non pagate e di cui siano titolari tutti i creditori, nel senso che l’esdebitazione non sembrerebbe prospettabile quando anche solo alcuni di essi, per effetto della liquidazione fallimentare, non fossero riusciti a conseguire almeno un pagamento parziale [A Palermo 9.2.10; A Milano 17.7.09; A Brescia 21.5.09; T Roma 21.9.10; T Bergamo 11.10.10; T Pescara 9.7.10; T Bari 15.3.10; T Rovigo 22.1.09; T Ancona 18.6.2008 e senza alcuna distinzione fra le diverse categorie, quali prededucibili, privilegiati o chirografi A Brescia 21.10.09]. Per questa tesi, dunque, la chiusura del fallimento per insufficienza di attivo sarebbe inconciliabile con l’istituto [RONCO 07, 550], apparendo presupposto indefettibile invece la ripartizione finale dell’attivo [NORELLI 06, 258, 266] ed il suo stretto collegamento con l’ammissione al passivo [NORELLI 09, 1197]: come si ricava dal fatto che occorrono comunque un provvedimento di chiusura, un collegamento relativo alla nozione di debiti che restano (dunque al netto di altri che sono pagati) ed un effetto di inesigibilità per i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente (art. 143, co. 1, v. infra), anche per i creditori concorsuali non insinuatisi (art. 144, v. infra). Tale tesi è stata – più genericamente propendendo per un pagamento parziale per tutti i creditori – sviluppata anche da chi ha ricostruito l’istituto ricordandone la coerenza – che qui diviene, si aggiunge, direttiva ermeneutica – con il fondamento della liberazione stessa del fallito dai suoi debiti: il legislatore vorrebbe anche così incentivarlo a favorire, con suoi comportamenti tempestivi e poi collaborativi con la liquidazione concorsuale, la più piena emersione di cespiti su cui i creditori si possano soddisfare [SANTORO 10, 1869]. Dal che deriva, come ineludibile corollario, che al beneficio non è ammesso il debitore che non disponga di alcun bene, rectius di alcun attivo utile alla liquidazione per come avvenuta nel fallimento e così valutabile al momento della decisione, che si colloca, senz’altro, alla chiusura della procedura stessa. A tale approdo, su un piano più generale, mostra di riferirsi in modo critico l’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite [S.C. 21641/10], ove enuncia il dubbio che l’istituto, così inteso, poco si giustifichi sul piano sistematico se l’interprete finisce con l’esigere <<una situazione patrimoniale che avrebbe consentito l’accesso al concordato>>, obiezione istituzionale che tuttavia non dà l’opportuno rilievo alle profonde differenze tra i due istituti: con il concordato fallimentare, viene invero evitata la liquidazione fallimentare o comunque la sua prosecuzione in capo agli organi della procedura, il proponente (e tra essi il debitore ma solo dopo un anno dal fallimento e non oltre due dallo stato passivo ex art.124 legge fallim.) presenta un progetto di soddisfacimento dei creditori non necessariamente strutturato sul pagamento (tali essendo le opportunità delle plurime forme di esso), ricorrono fasi contrattualistiche essenziali (S.C. 3274/11), spicca un’inedita acausalità (il processo non verifica alcuna

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meritevolezza del debitore ma registra ovvero regola, in caso di opposizioni, la convenienza dei creditori), ha un suo costo processuale la cui giustificazione poggia su una prospettiva satisfattiva migliore rispetto al fallimento; con l’esdebitazione, la liquidazione concorsuale ha il suo corso ed al suo successo non è estraneo del tutto il comportamento del fallito (che non vi partecipa in modo diretto, ma le cui omissioni o condotte ostruzionistiche rilevano quali ostacoli – per immeritevolezza – alla concessione del beneficio), la proposta può provenire solo dal fallito, il fallito deve risultare meritevole altresì per condotte tipiche anteriori al fallimento, il vantaggio è scrutinato con esclusivo riguardo al fallito stesso e non ai creditori (essendo esaurito il processo di fallimento e rideterminandosi, con una riduzione proprio all’esito del riparto fallimentare, il residuo credito, altrimenti di nuovo esercitabile), il suo costo processuale è solo eventualmente ipotizzato, e sia pur alla fine, nella procedura fallimentare (potendo anche intervenire dopo, entro un anno dalla chiusura), il fallito non presenta alcun progetto né assume obbligazioni future o estingue le precedenti con nuovi impegni (non sussiste alcun congegno negoziale estintivo di novazione, remissione, compensazione o confusione) ma chiede una misura umanitaria per sé (che non necessariamente lo condurrà a ripresentarsi nel mercato come soggetto economico, essendo questa – come anticipato – una ratio nota nei lavori preparatori ma del tutto priva, qui si osserva e per le ragioni appena dette, di qualsiasi tangibile collegamento con la vita futura dell’esdebitato, dunque svalutabile a mera proiezione).

2. Su tale indirizzo converge anche la spinta ad una lettura restrittiva delle norme che, derogando al principio generale di cui all’art. 2740 cod. civ., andrebbero intese nel senso del minore sacrificio possibile a carico dei creditori [così anche SCARSELLI 10, 678]. Da un punto di vista testuale, poi, il richiamo all’art. 144 – pur frequente – esige una sistemazione ordinata della nozione di ‘creditori di pari grado’, locuzione che – rinviando alla regola esdebitatoria per i creditori concorsuali non concorrenti e costituendone anzi il parametro, per cui la misura residua di soddisfacimento ancora possibile di essi viene fatta coincidere con la stessa attribuita nel concorso a quelli appunto di pari grado – dovrebbe perciò staccarsi dal riferimento all’alveo dei crediti assistiti da prelazione, e per i quali si utilizza la comune espressione sulla ‘graduazione dei creditori’ (es. nell’art. 596 cod. proc. civ.). Va constatato infatti che la graduazione parrebbe operare essenzialmente con riguardo ad una pluralità di crediti assistiti da prelazione che appunto prendono un ‘grado’ diverso, e così potendosi soddisfare in scala decrescente o al massimo equiordinata, avuto riguardo all’oggetto della garanzia, sia essa il generale patrimonio mobiliare o un bene specifico. Tanto più che anche altre disposizioni, pure nel r.d. n. 267/1942, sembrano accoppiare graduazione e cause di prelazione: così l’art. 111-quater che regola il concorso tra crediti assistiti da privilegio generale mobiliare, ove si parla di unica graduatoria e di grado previsto dalla legge, quest’ultimo manifestamente assente in caso di chirografo. A sua volta per l’art.

143 vengono dichiarati inesigibili i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente:

argomento tradizionale per sostenere che essi, tutti, dovrebbero essere stati

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soddisfatti. Un’interpretazione che muova da tale lessico dovrebbe dunque indurre a considerare semplicemente necessario il riferimento alla graduatoria, ma non tale da spiegare influenza sulla latitudine dei crediti in comparazione: svolgendo il mero compito di raccordo con l’ipotesi in cui un pagamento sia stato disposto verso creditori con cause di prelazione, e per restare nell’ambito della tesi in commento, graduatoria significherebbe solo criterio di riferimento per misurare quanto conseguito da tali creditori. E perciò graduazione – in modo più riduttivo – starebbe ad indicare mera pluralità di creditori e conseguente necessità di operare la distribuzione, secondo un riparto che di necessità non può contemplare – come avviene ai sensi dell’art. 510, co. 1, cod. proc. civ. – l’assegnazione (in senso materiale) della somma ricavata dalle vendite al solo creditore insinuato ed ammesso.

3. Va peraltro puntualizzato che – a prescindere dalle tesi con cui ricostruire la nozione di pagamento almeno parziale – sembrerebbe inammissibile un’istanza proveniente dal fallito che chiedesse di dimostrare di aver pagato una certa quantità di creditori al di fuori della procedura fallimentare, sia prima che durante il suo svolgimento, ma non attraverso il soddisfacimento attuato in base alle regole del processo e dunque dai suoi organi (e nemmeno nel concordato fallimentare, che ha altra dinamica di instaurazione). Se, in altri termini, a chiusura del fallimento, nulla rimane da distribuire e nulla è stato distribuito, il debitore non può accedere a tale procedura: la sua meritevolezza non è solo di tipo etico-organizzativo (la cooperazione da egli prestata ai sensi del n.1 del co.1 alle attività degli organi) ma si correla ad una condizione patrimonial-finanziaria oggettiva ed inoltre tale da essersi sviluppata refluendo in un riparto ai creditori, secondo la cennata interpretazione del soddisfacimento parziale. In questo, come si vedrà, si potrebbe anche annidare una perplessità costituzionale, per ingiustificata compressione del patrimonio del fallito, inevitabilmente esposto anche alla capacità di gestione efficiente del curatore, al punto da non potere proporre l’istanza di esdebitazione se l’intero attivo, ancorchè rinvenuto, non sia stato destinato in alcun modo al pagamento dei creditori ovvero non sia stato efficientemente recuperato. E tuttavia, si tratta di obiezioni che vanno probabilmente canalizzate entro altri istituti: il conflitto con l’attività amministrativa del curatore e del comitato dei creditori ovvero le opportunità che comunque la legge fallim. assegna al debitore stesso, ammesso, se crede, al concordato di cui all’art. 124 legge fallim.

4. Inoltre, la nozione di debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti di cui alla legge delega, da ultimo, potrebbe validare la tesi esposta, in quanto la porzione di credito per il quale opera l’esdebitazione si ricava in modo simmetrico: i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente, oggetto della pronuncia giudiziale di cui all’art.

143, da un lato e l’operatività della esdebitazione per la sola eccedenza alla percentuale attribuita nel concorso ai creditori di pari grado, dettata dall’art. 144 con riguardo ai creditori concorsuali non concorrenti, dall’altro, sembrano far leva su una vicenda che collega

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in modo positivo, nel fallimento, rispettivamente l’accertamento della concorsualità dei crediti ed il loro soddisfacimento almeno parziale, così da determinare per ciascuno di essi sia una nozione di residuo sia una indicazione di percentuale attribuita. Il che è materialmente possibile a condizione che tutti siano stati trattati nell’ambito delle ripartizioni: se solo qualcuno non fosse stato contemplato in un piano di ripartizione dell’attivo, non avrebbero senso né l’espressione di residualità del credito insoddisfatto, né quella relativa alla percentuale di attribuzione, compatibili invece con un trattamento che abbia coinvolto, per quanto con pagamenti non satisfattivi, quelli cui infatti l’art. 142, co. 2, si rivolge come i creditori concorsuali e non una parte di essi. A questa stessa tesi sembra addurre un contributo indiretto la prosa con cui la cit. Corte cost. n. 181/08 ha identificato l’istituto come introduttivo di una

<<disciplina applicabile, successivamente alla chiusura del fallimento, alle eventuali parti di debito che, all'esito della procedura concorsuale, a causa dell'incompleto adempimento delle obbligazioni del fallito, continuino a gravare su di lui.>>, per cui si determinerebbe

<<l'effetto … di escludere la possibilità per i creditori concorsuali rimasti solo parzialmente soddisfatti di pretendere, dopo la chiusura del fallimento, il pagamento del loro residuo credito da parte del debitore già dichiarato fallito>>: ciò mettendo in luce <<l'effetto pregiudizievole che, sotto l'aspetto sostanziale, l'applicazione dell'istituto ha sulla posizione soggettiva dei creditori concorsuali non integralmente soddisfatti.>>. E la stessa pronuncia di incostituzionalità (cui fa espresso riferimento allo scopo predetto T Bergamo 11.10.10) sempre si riferisce a tale tipologia di creditori nella considerazione della loro legittimazione ad avere notizia del ricorso del debitore e del decreto di convocazione camerale.

5. Se è pacifico che il soddisfacimento pregresso può essere parziale, per cui è opinione diffusa che non occorra una percentuale minima (un‘asserzione indipendente dalla condivisione o meno della prima tesi sinora esposta), né debba essere assicurato il pagamento integrale ai privilegiati [PANZANI 07, 2104], si osserva che la scala delle cause di prelazione – se rispettata – garantisce pagamenti parziali ai chirografi solo in determinati casi di insoddisfazione parziale dei privilegiati [CAIAFA

06, 510], per incapienza dei beni oggetto della garanzia (più in generale ponendosi altrimenti la regola del riparto ai chirografari come successivo al pagamento integrale dei creditori con privilegio generale). Ciò sembra significare che le posizioni soggettive dei creditori, al fine del computo del loro soddisfacimento parziale, vanno considerate in modo unitario, senza distinguere tra crediti in privilegio ed in chirografo, solo verificando che comunque vi sia stata oggettivamente una liquidazione satisfattiva almeno in parte del credito (di ciascuno) nel suo complesso ammesso al passivo. Per altri l’adempimento parziale è ancorato ad un criterio sostanziale che deve mediare con quanto il debitore era in grado di versare nel fallimento, quale funzione della sua collaborazione per il miglior soddisfacimento dei creditori [LAZZARA 06, 649], in una prospettiva che invoca dalla giurisprudenza l’individuazione di «limiti ragionevoli», perché una percentuale minima non possa giovare al fallito [GROSSI 06, 1921]. Molto più rigorosamente, tuttavia e sempre all’interno della prima tesi, si ritiene che l’istituto

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confligga per sua natura con l’idea minimale di una coincidenza con il mero pagamento, sia pur integrale, ai privilegiati: in tal caso, nessuna collaborazione potrebbe mai dirsi aver prestato il debitore, venendo contrastata la ratio della norma che è proprio quella di premiare un comportamento effettivamente collaborativo del fallito, del quale non ci sarebbe bisogno se la procedura si limitasse a realizzare i beni oggetto di garanzia delle cause di prelazione [e dunque i soli creditori dotati di privilegio, segnatamente reale, per SANTORO 10, 1869]. Ciò giustifica anche lo sfavore verso un mero soddisfacimento pro forma ed altresì l’irrilevanza della tesi che dubita della coerenza costituzionale di tale indirizzo sol perché in concreto la liquidazione (ed il conseguente pagamento) ben potrebbero darsi come dipendenti da fattori esogeni rispetto all’impegno dell’imprenditore: è a carico della diligenza esigibile da un imprenditore prudente l’assicurazione anche di tali rischi, in funzione dell’interesse dei creditori e del proprio [ancora SANTORO 10, 1870].

6. Una seconda tesi, induce a captare altri segnali – di tipo testuale – per cui la sopra citata espressione relativa al pagamento dei creditori di pari grado (ex art. 144 legge fallim.) potrebbe intendersi come regola di disciplina del riparto ai privilegiati, ma sempre che essi vi fossero e siano stati pagati, dunque secondo una considerazione di sufficienza, per cui, pagati almeno quelli, l’istanza di esdebitazione sarebbe ammissibile. In altri termini, la disposizione citata atterrebbe solo ad una regola di funzionamento eventuale, anche con riguardo all’eccedenza, senza fissare le condizioni dell’esdebitazione [così ora PANZANI 10, 832], avendo il legislatore come punto di riferimento [è la ricostruzione anche dall’ordinanza di rimessione alle S.U. n.

21641/10] una nozione di ‘residui’ coincidente con quella di ‘rimasti non soddisfatti’, insinuati o meno, ma comunque concorsuali. In base ad una differente prospettiva, proprio per evitare che l’esdebitazione si confonda con le medesime condizioni del concordato preventivo o di quello fallimentare esigendo un pagamento integrale ai privilegiati (regola peraltro, si osserva, del tutto attenuata e che pur tuttavia ancora è posta in modo espresso, ove si chiariscono i requisiti per derogarvi, ex art. 124, co. 3, legge fallim.), la novella si limiterebbe perciò a fissare come indefettibile il pagamento per intero dei crediti prededucibili [contra TEDESCHI 06, 482 che li inserisce tra i crediti concorrenti perché ammessi al passivo] e delle spese di procedura (ex artt.

118, co. 1 e 4, e 144), indipendentemente dal numero dei creditori insoddisfatti, mentre i crediti concorsuali – cioè sorti anteriormente al fallimento o, si può aggiungere, non qualificati ex art. 111 legge fallim. benché pregressi – vanno pagati in misura non irrisoria, ma senza la pretesa che tutti siano stati almeno in parte soddisfatti, bastando che ciò sia avvenuto anche solo per taluni, indirizzo meglio compatibile con la fisiologia dei riparti [ZANICHELLI 06, 313; conf. ora FRASCAROLI SANTI

09,1420; PANZANI 10, 833 in raccordo alla legge delega; per T Taranto 22.10.08 basta il pagamento in favore di taluni, anche se non tutti, i creditori concorsuali; conf. T Piacenza 22.7.08 che interpreta la locuzione come «parte dei crediti concorsuali», ma specifica che ciò deve avvenire «secondo l’ordine di legge»; per T Mantova 3.4.08 è

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stato ritenuto sufficiente il pagamento di una parte dei crediti privilegiati; T Vicenza 1.12.09 ritiene sufficiente anche un riparto parziale; T Terni 9.3.11; conf. A Bologna 8.7.08; non è necessario alcun riparto ai chirografi, bastando il pagamento parziale dei privilegiati per A Bari 14.4.09]. Si tratta di un indirizzo che, per attuarsi in presenza del riferimento ai creditori di pari grado di cui all’art. 144 legge fallim, potrebbe o adottare la cennata ricostruzione esemplificativa (l’espressione si giustifica solo se vi siano stati privilegiati) oppure enfatizzare una nozione atecnica della graduazione, idonea a ricomprendere sia la diversa attribuzione a creditori, parimenti garantiti sullo stesso bene, di somme ritratte dalla relativa liquidazione sia l’attribuzione delle somme in sé.

7. Va soggiunto che, in tal modo, l’espressione di cui all’art. 144 l. f. direbbe meno di quel che il legislatore in realtà ha inteso, essendovi stata omessa una precisione che invece, ad esempio nell’art. 111-bis ult. co., l. f., non è mancata ove, a proposito del pagamento ai prededotti incapienti, si formula la doppia regola della graduazione e della proporzionalità, conformemente all’ordine assegnato dalla legge. Per completezza, si riporta infine il punto della legge delega che, all’art. 1, co. 6, lett. a), n.

13 conferiva all’Esecutivo il potere di <<introdurre la disciplina dell'esdebitazione e disciplinare il relativo procedimento, prevedendo che essa consista nella liberazione del debitore persona fisica dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti>>: una proposizione che, è stato notato, non prescrive la necessità del pagamento integrale dei privilegiati e di tutti i concorsuali almeno in parte [PANZANI 10, 833]. Pertanto, per l’ambiguità dell’espressione di cui al d.lgs. – che in effetti non si riferisce a tutti i creditori –, si avrebbe ingiustificatamente una lettura restrittiva ove diversamente apprezzata. Ed in tale direzione non mancherebbe un possibile dubbio di costituzionalità. Questa stessa seconda tesi, tra gli argomenti sistematici, può anche annoverare talune significative salvezze dell’autonomia dell’esdebitazione rispetto ad altri istituti: per cui è vero che

“con la chiusura … i creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta dei loro crediti per capitale e interessi”, ma appunto “salvo quanto previsto dagli articoli 142 e seguenti”, così potendo legittimare la citata compressione del diritto dei creditori, almeno in una lettura di giustificazione definitiva del sacrificio, dopo l’esito comunque non satisfattivo, anche in toto, della procedura esecutiva concorsuale [T Terni 9.3.11].

9.- I crediti esclusi dall’esdebitazione: a) la loro natura concorsuale e speciale.

1. La modifica introdotta con il d.lgs. n. 169/07, intervenendo sull’area oggettiva esentata dall’esdebitazione, ha trovato giustificazione nella Relazione illustrativa alla stregua di scelta di adeguamento, «allo scopo di individuare più appropriatamente taluni debiti»

per i quali l’istituto appariva privo di ragionevole sostenibilità [critica la modifica CAIAFA 08, 674; ricostruisce la novella come conferma di una voluta moderazione dei comportamenti opportunistici del fallito SANTORO 10, 1871; riprende la tesi che le esenzioni, se non previste, agevolerebbero illeciti civili, penali ed amministrativi

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CAIAZZO 08, 447]: sul piano interpretativo, ad una clausola generale parzialmente ancorata ad un presupposto circoscritto dal perimetro dell’art.46 legge fallim. si viene peraltro a sostituire una nozione di minore determinatezza. Invero dalle obbligazioni discendenti dai rapporti non compresi nel fallimento ai sensi dell’art. cit. (che a sua volta in realtà descrive il catalogo dell’attivo non compreso nella procedura liquidatoria) la migrazione concettuale, per quanto non ampia, richiama una inedita nozione di estraneità all’impresa. La novità, cogliendo l’emancipazione dai «beni» di cui all’art. 46 legge fallim., permette di instaurare una relazione identificativa fondata sui «rapporti»: ove essi siano coltivati dalla persona fisica del fallito (imprenditore o socio; ora anche NORELLI 06, 689; contra T Milano circ. 24.7.07), la generazione di debiti che ne consegue resta consegnata all’alveo delle obbligazioni che non si consolidano con l’esdebitazione.

2. Per esse comunque, si può aggiungere, anche lo stesso giudizio di meritevolezza di cui al co. 1, mantiene ogni autonomia: la formazione di un passivo extraimprenditoriale destinato a non estinguersi con il beneficio in esame non pone il fallito al riparo dalla disamina rigorosa delle condizioni-filtro menzionate, tra cui i nn. 2) (ritardo nell’avvio o nello svolgimento della proc.) e 5 (distrazione di attivo o esposizione di debiti inesistenti). Si può dunque dare l’ipotesi di una massa passiva cospicua, protetta dalla nuova clausola generale in esame e che tuttavia entra nella valutazione di riprovevolezza del cit. co. 1, in quanto il debitore non ha curato, promuovendo un proprio sollecito fallimento, di contenerne l’ammontare. In questa fattispecie la considerazione unitaria della massa passiva anticipa un giudizio negativo sulla condotta pregressa del debitore e pertanto nemmeno consente di pervenire alla fase di più puntuale selezione delle obbligazioni escluse dall’esdebitazione. La formula del legislatore del decreto correttivo permette peraltro con maggiore agilità di superare taluni dubbi prima sorti con riguardo al collegamento con l’art. 46 legge fallim.: solo ora, con la nozione di estraneità all’esercizio dell’impresa, potrebbe essere affermata la natura concorsuale dei debiti esclusi dall’esdebitazione che prima invece potevano essere quelli sorti dopo il fallimento, dunque in tesi non soggetti a concorso [secondo l’interpretazione restrittiva di BONFATTI-CENSONI 08, 65]. Si può peraltro sottolineare che la progressiva eliminazione delle conseguenze afflittive della dichiarazione di fallimento [il portato di un più generale principio fondato sull’insolvenza come fatto privato fra debitore e creditore: LO CASCIO 07, 865] ed il recupero delle più ampie prerogative di attitudine soggettiva economica del fallito [cfr.

l’art. 20 d.lgs. n. 169/07 per l’iscrizione ora consentita del fallito al registro delle imprese, come titolare di una nuova attività comm.: RICCI 07, 115] non eliminano in prospettiva la sempre più diffusa coesistenza di debiti concorsuali con debiti maturati posteriormente all’instaurazione del concorso, senza tuttavia che alle due categorie corrisponda una netta differenziazione di trattamento: sia l’art. 111, co. 1, n. 1) che ammette al rango di prededucibili crediti sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali del r.d. 267/42 sia la disposizione successiva che ne regola l’accertamento, per il quale disciplina generale e tendenziale è quella riservato ai

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