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CAPITOLO II

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Academic year: 2021

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La protesi di Charnley ebbe un grande successo per le sostituzioni articolari dell'anca, ma come si evince dal registro scandinavo delle protesi dell'anca, all'aumentare del follow-up segue un progressivo incremento dei fallimenti protesici.

Ben presto si evidenziò quella che fu chiamata malattia da cemento caratterizzata da una progressiva lisi dell'osso periprotesico con successiva perdita di tenuta dell'impianto. Le soluzioni proposte per questo problema dai chirurghi ortopedici e dall'industria furono orientate sostanzialmente in 2 direzioni: [10]

1. Migliorare le tecniche di cementazione;

2. Ottenere un fissaggio osso-protesi di tipo biologico o non cementato.

Esiste una vasta letteratura nazionale ed internazionale a favore di una strada o dell'altra. In questa tesi svilupperemo e tratteremo in maniera più completa l'evoluzione che ha subito negli ultimi anni la fissazione biologica non cementata, ponendo particolare attenzione agli ultimi design protesici sviluppati per risparmiare più osso possibile e per limitare il riassorbimento periprotesico.

2.2 Distribuzione della chirurgia protesica dell'anca nella

popolazione. Incidenza e prevalenza in Italia

Le patologie dell’apparato muscolo-scheletrico sono la causa più nota e più comune di malattie croniche ad alto potenziale di disabilità ed handicap. Nel mondo sono centinaia di milioni le persone che ne soffrono. Questo è quanto dichiarato dalla Bone and Joint Decade (BJD), un iniziativa mondiale avviata nel 2000 con il patrocinio dell’OMS, dell’ONU, della Banca Mondiale e del Vaticano, cui hanno aderito 63 governi nel mondo (di cui 26 europei, l’Italia compresa), numerose società scientifiche ed istituzioni operanti nel settore delle patologie muscolo-scheletriche. In questo ambito si colloca l’intervento di protesi d’anca, che trova indicazione nell'artrosi primaria e secondaria (epifisiolisi, lussazione congenita dell’anca e coxa plana, artrite reumatoide, necrosi asettica della testa del femore, esiti di fratture del collo del femore o lussazione traumatica dell’anca, esiti di artrodesi o insuccessi di

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osteotomie) e nei tumori ossei della porzione prossimale del femore o dell’acetabolo. Sicuramente l’artrosi è la patologia per cui si ricorre maggiormente all’intervento di sostituzione protesica essendo la patologia reumatica più frequente in Italia. L'artrosi dell'anca colpisce circa quattro milioni di persone, uno su due tra i settantenni e comportando disabilità lavorativa nel 30% dei soggetti al di sotto dei 65 anni. [11]

2.2.1 La protesi d’anca

L’intervento di sostituzione protesica è una soluzione sempre più diffusa come terapia di patologie invalidanti come l’artrosi, l’artrite reumatoide e nel trattamento di fratture del collo del femore. Nel 2005 sono stati eseguiti 139.438 interventi di sostituzione protesica: circa il 63% sono sostituzioni protesiche dell’anca, il 34% di ginocchio, il 2% di spalla e l’ 1% le restanti minori. [11]

Come si evince dai dati l’intervento di protesi d’anca è quello in assoluto più eseguito e nell’ambito di questo possiamo osservare come tra i tre interventi di sostituzione protesica dell’anca (sostituzione totale dell’anca, sostituzione parziale dell’anca e revisione di sostituzione dell’anca), la sostituzione totale dell’anca sia l’intervento più eseguito. [11]

Osservando sempre i dati relativi al 2005 distribuiti secondo il sesso e l’età, nei tre interventi correlati alla protesi d’anca è evidente che le donne si sottopongono ad un intervento di protesi d’anca in numero nettamente maggiore rispetto agli uomini ed a un'età mediamente maggiore (circa 70 per le donne e 65 gli uomini per gli interventi di sostituzione totale e di revisione, mentre a 82 e 80 rispettivamente per gli interventi di sostituzione parziale dell’anca che sono effettuati più frequentemente per una frattura del collo del femore).

2.2.2 La situazione in Toscana nel triennio 2000 – 2002

In Toscana nel triennio 2000 – 2002 sono stati effettuati complessivamente, in Ospedali della Regione o in Strutture extra-regionali, 22.138 ricoveri per interventi di sostituzione protesica dell’anca o del ginocchio a favore di cittadini di tutte le età

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residenti in Toscana, con una media di circa 7.380 interventi/anno ma con un incremento, nel triennio, sia del numero assoluto, sia del tasso grezzo per 100.000 abitanti, pari al 22% circa: il numero assoluto degli interventi è infatti aumentato da 6.601 nel 2000 a 8.061 nel 2002, mentre il tasso grezzo per 100.000 è aumentato da 186,1 a 227,2. Focalizzando l’attenzione sulla protesi d’anca il tasso grezzo è aumentato del 16%, da 132,7 a 154,0 per 100.000 abitanti. [11, 12]

L’incremento è imputabile soprattutto per gli interventi di sostituzione totale dell’anca, mentre rimangono sostanzialmente stabili gli interventi di sostituzione parziale dell’anca e di revisione di sostituzione dell’anca.

Numerosi studi riportano un incremento del numero di interventi di sostituzione protesica dell'anca, uno studio pubblicato su “The Journal of Bone & Joint Surgery” ha previsto un aumento a partire dal 2005 fino al 2030 del 174% per gli interventi di sostituzione totale dell’anca e del 137% per gli interventi di revisione di sostituzione dell’anca. Questo aumento è stato attribuito ad un aumento dell’aspettativa di vita, alla stretta correlazione tra l’aumento dell’età e l’insorgenza di patologie articolari, ai continui miglioramenti della tecnica chirurgica, e dalle caratteristiche dei dispositivi impiantati che permettono di effettuare interventi in pazienti sempre più giovani. Infatti negli ultimi dieci anni l'incidenza totale di sostituzione totale d'anca è aumentata non solo nei pazienti più anziani (con più di 65 anni), ma anche in quelli più giovani (con meno di 65 anni d'età). La fascia di pazienti giovani sottoposti a sostituzione articolare d'anca è cresciuta dal 2003 al 2006 e le proiezioni indicavano che entro il 2016 gli interventi nei giovani supereranno il 50% del totale dei pazienti che si sottoporranno all'intervento e nel 2030 costituiranno il 52% degli interventi di protesi d'anca. Storicamente i pazienti giovani sono sempre stati considerati più a rischio di revisione a causa di un livello superiore di attività, per questo la tecnologia ha sempre cercato di migliorare la sopravvivenza degli impianti in questa categoria di pazienti.[13, 14 15]

2.3

Biomeccanica delle protesi d'anca

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eseguire correttamente l'intervento chirurgico e gestire con successo le complicanze che possono insorgere durante e dopo l'intervento chirurgico, ma anche per selezionare le componenti in modo intelligente e per consigliare i pazienti le attività e i comportamenti da tenere post-intervento. Le componenti di una protesi d'anca devono poter resistere ad anni di carico ciclico che a volte può superare 10 a 12 volte il peso corporeo.

2.3.1 Le forze che agiscono sull'articolazione dell'anca

Per descrivere le forze che agiscono sull'articolazione dell'anca, il peso del corpo può essere assimilato ad un braccio di leva che si estende dal centro di gravità del corpo al centro della testa femorale. I muscoli abduttori, agendo su un braccio di leva che si estende dalla faccia laterale del grande trocantere al centro della testa del femore, devono esercitare un momento uguale per tenere il bacino stabile quando siamo in carico monopodalico ed un momento maggiore per inclinare il bacino dalla stessa parte durante la deambulazione. Poiché il rapporto tra la lunghezza del braccio di leva del peso corporeo e quello della muscolatura abduttore è di circa 2.5-1, i muscoli abduttori devono esercitare una forza pari a circa 2,5 volte il peso corporeo. Il carico stimato sulla testa del femore durante la fase statica di deambulazione è pari alla somma delle forze prodotte dagli abduttori e dal peso corporeo ed è almeno tre volte il peso corporeo. [16, 17]

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Illustrazione 2.3: I bracci di leva che agiscono sull'articolazione dell'anca. A) Momento prodotto dal peso corporeo applicato al centro di gravità del corpo, X, che agisce sul braccio di leva, B2, deve essere controbilanciato dal momento prodotto dagli abduttori, FAN, agendo sul braccio di leva più corto, B1. Il braccio di leva B1 può essere più corto del normale nell'anca artrosica. B) La medializzazione dell'acetabolo accorcia il braccio di leva B2, e l'uso di un collo lateralizzante allunga il braccio di leva B1. C) La reinserzione laterale e distale del grande trocantere osteotomizzato allunga il braccio di leva B1 e rafforza ulteriormente la muscolatura abduttoria. [17]

Parte integrante del concetto di Charnley di artroplastica totale d'anca è stato quello di accorciare il braccio di leva del peso corporeo attraverso l'approfondimento dell'acetabolo e di allungare il braccio di leva del meccanismo abduttore lateralizzando il grande trocantere. Cosi facendo il momento prodotto dal peso corporeo è diminuito, e la forza di controbilanciamento che il meccanismo abduttore deve esercitare è diminuita. Il braccio di leva adduttorio può essere abbreviato nell'artrite e nelle altre patologie dell'anca in cui si perde parte o tutta la testa e nei pazienti con displasia congenita dell'anca. L'aumento del rapporto tra braccio di leva del peso corporeo e quello degli abduttori può determinare una caduta nel bacino durante la deambulazione (segno di Trendelemburg) con conseguente difficoltà alla deambulazione corretta. Le lunghezze delle due braccia di leva può essere modificato chirurgicamente per rendere il loro rapporto 1:1. Teoricamente questo riduce il carico totale dell'anca del 30%.

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dell'allungamento del braccio di leva abduttore, tuttavia le attuali tecniche chirurgiche tengono questi principi in secondo piano. Il principio di medializzazione ha lasciato posto alla conservazione dell'osso della pelvi e la componente acetabolare viene approfondita solo quando è necessario ottenere una copertura ossea sufficiente per la coppa. Poiché molti degli interventi di sostituzione totale d'anca sono ora svolti senza osteotomia del grande trocantere, il braccio di leva abduttorio è modificato solo tramite la lunghezza della testa e la lunghezza e l'angolazione del collo protesico (offset femorale). Questi compromessi sui principi originali di biomeccanica della sostituzione totale d'anca si sono sviluppati per preservare il bone stock pelvico e per evitare problemi legati alla reinserzione del grande trocantere. [17]

Le forze sull'articolazione non agiscono solo sul piano coronale, ma poiché il centro di gravità corporeo (che si trova sulla linea mediana, anteriormente al secondo corpo sacrale vertebrale) è posteriore rispetto all'asse dell'articolazione, esse agiscono anche sul piano sagittale piegando lo stelo della protesi posteriormente. Le forze che agiscono in questa direzione sono aumentate quando l'anca flessa è sottoposta a carico, come quando ci alziamo da una sedia, saliamo o scendiamo le scale, oppure quando effettuiamo un sollevamento. Durante il ciclo della deambulazione le forze sono dirette contro la testa femorale protesica con un angolo polare compreso tra i 15 e i 25 gradi anteriormente al piano sagittale della protesi. Mentre salgono le scale o sollevando la gamba dritta la forza è applicata ad un punto ancora più anteriore della testa protesica. Queste forze causano una deformazione posteriore o una retroversione della componente femorale. Brand et al. hanno misurato queste cosiddette forze “out-of-plane” pari a 0.6-0.9 volte il peso corporeo.

Le componenti femorali devono resistere a notevoli forze di torsione anche nel primo periodo post-operatorio. Di conseguenza, i componenti femorali non cementati devono essere disegnati ed impiantati in modo tale che siano immediatamente stabili all'interno del femore.

La posizione del centro dell'anca da superiore ad inferiore influenza anche le forze generate intorno alla protesi. In un modello matematico, Johnston, Brand e Crowninshield hanno scoperto che la forza di reazione congiunta è inferiore quando il centro dell'anca è stato collocato nella posizione anatomica, rispetto alla posizione superiore, laterale o posteriore. Uno spostamento superiore senza lateralizzazione

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produce un aumento relativamente piccolo delle sollecitazioni dell'osso periacetabolare. Questo ha importanza clinica nel trattamento della displasia congenita e negli interventi di revisione di sostituzione articolare quando il patrimonio osseo superiore è carente. Il collocamento della componente acetabolare in una posizione leggermente craniale consente sia una copertura migliore sia un maggior contatto con l'osso vitale. Tuttavia, studi clinici hanno documentato una progressiva migrazione dei componenti nei pazienti con protrusione, displasia e quando in revisioni di sostituzione articolare il centro dell'anca non è stato posto in posizioni anatomiche.

Da quanto precedentemente esposto emerge come un buon risultato protesico sia il risultato di sofisticati equilibri biomeccanici, questi devono permettere non solo una buona cinematica articolare ma garantire anche stabilità all'impianto e ridurre al minimo il consumo delle componenti. [17]

Come è noto negli ultimi anni la tribologia ha sviluppato materiali sempre più capaci di ridurre al minimo gli attriti quindi la conseguente usura che si può verificare nello scorrimento tra testina e componente acetabolare, notevole sviluppo è stato inoltre dedicato alle teste di grande diametro al fine di aumentare l'articolarità e nello stesso tempo la stabilità degli impianti.

Approfondiremo la nostra trattazione sui materiali di rivestimento degli steli non cementati tralasciando la componente cotiloidea.

2.4 Design degli steli non cementati

L'osteointegrazione è stata definita come l'adesione di osso lamellare all'impianto protesico senza l'intervento di tessuto fibroso, questo processo richiede da quattro a venti settimane e può continuare fino a tre anni. Per ottenere una buona osteointegrazione è necessario un adeguato contatto tra osso ed impianto protesico tale da minimizzare i micromovimenti.

Generalmente questo tipo di ancoraggio iniziale (stabilità primaria dell'impianto protesico) è ottenuto mediante il press-fitting cioè il posizionamento dentro il canale femorale adeguatamente preparato con le componenti di prova di componenti

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definitive leggermente più grandi.

La stabilità primaria però è influenzata anche da numerosi altri fattori come la geometria, la ruvidezza ed il rivestimento dello stelo, nonché dalle tecniche di preparazione e dalla qualità dell'osso.

Dal punto di vista classificativo, gli steli non cementati possono essere suddivisi in base alle diverse geometrie che regolano dove sarà ottenuta la fissazione. Questo sistema si basa sulla quantità di contatto osseo e la progressione della zona di fissazione dello stelo da prossimale a distale. Si definiscono sei categorie basate sulla forma. [18]

In questa classificazione dal Tipo 1 al Tipo 4 gli steli sono dritti e al crescere del numero cresce anche la zona di fissazione. Il Tipo 1, 2 e 3 sono affusolati, disegnati per avere un fissaggio più prossimale, il Tipo 4 è completamente rivestito per ottenere una fissazione più distale. Il Tipo 5 è una protesi modulare, il Tipo 6 ha un design anatomico ed è curvo.

2.4.1 Tipo 1

Lo stelo tipo 1 od a cuneo singolo è stato disegnato per impegnarsi nell'osso corticale metafisario in un singolo piano: da mediale a laterale. Lo stelo è piatto e sottile sul piano antero-posteriore, si restringe prossimalmente sul piano medio-laterale e si assottiglia distalmente. Il rivestimento si trova classicamente tra un terzo e un quinto prossimali dell'impianto. La stabilità iniziale si ottiene attraverso la fissazione del cuneo sul piano medio-laterale oppure attraverso il fisaggio in tre punti (posteriormente in due punti, prossimale e distale, anteriormente nella porzione intermedia) lungo la lunghezza dello stelo. La stabilità rotazionale si ottiene grazie alla forma ampia del piatto. La preparazione richiede brocciatura, ma non alesatura distale. [18]

2.4.2 Tipo 2

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disegnati per prendere contatto con la corticale prossimale su due piani: antero-posteriore e medio-laterale. Questi steli sono più ampi sul piano anteroantero-posteriore rispetto al tipo 1 e la porzione distale può essere affusolata od arrotondata per riempire il canale. Per impegnare endostio distale sono utilizzate delle linguette che sono solitamente combinate con delle scanalature per diminuire la rigidità dello stelo. La preparazione necessita di alesatura distale e brocciatura prossimale.

2.4.3 Tipo 3

Gli steli tipo 3 hanno un lungo cono in entrambi i piani: mediale-laterale ed antero-posteriore. A differenza degli steli tipo 1 e 2 non ci sono bruschi cambiamenti nella geometria o nel rivestimento, ma la fissazione è ottenuta più prossima alla giunzione metafisaria-diafisaria.

Gli steli tipo 3 si suddividono in 3 sottogruppi:

• Tipo 3A: i componenti sono affusolati, con un design conico e la maggior parte hanno un rivestimento poroso nei due terzi prossimali e si fissano in 3 punti. Possono esserci delle alette per aumentare la stabilità rotazionale. La preparazione richiede alesatura distale e brocciatura prossimale.

• Tipo 3B: lo stelo è di forma conica con delle linguette sollevate longitudinali per la fissazione. Il bordo tagliente si incunea nell'osso ed aumenta la stabilità rotazionale. Dato il profilo stretto dello stelo prossimale, c'è libertà nella versione di controllo; questo lo rende ideale per i casi complessi con disordini dell'anatomia prossimale del femore. La preparazione richiede alesatura distale e brocciatura prossimale.

• Tipo 3C: lo stelo è rettangolare, affusolato, conico ed è sabbiato per la sua intera lunghezza. Ha una sezione rettangolare in grado di impegnarsi in tre punti sulla giunzione metafisaria-diafisaria e sulla parte prossimale della diafisi. La sua sezione fornisce quattro punti di fissaggio per la stabilità rotazionale. La preparazione richiede solo una brocciatura prossimale.

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2.4.4 Tipo 4

Questo design si affida alla fissazione lungo tutta l'intera protesi, impegnando l'osso corticale alla diafisi. La maggior parte della protesi è rivestita da una superficie a crescita interna ed il collo è posto prossimalmente. La preparazione richiede una brocciatura prossimale ed una alesatura distale.

2.4.5 Tipo 5

Gli steli tipo 5 hanno un design modulare e permettono una preparazione indipendente e separate delle componenti per la metafisi e la diafisi, offrono varie combinazioni e sono solitamente riservati per le operazioni più complesse. Le indicazioni includono anomalie anatomiche e mal allineamenti rotazionali. La preparazione richiede alesatura diafisaria e lavorazione metafisaria.

2.4.6 Tipo 6

Le protesi sono anatomiche e combaciano con la geometria dell'endostio femorale prossimale, sono più ampie sia prossimalmente, sia lateralmente e sia posteriormente. Sul piano laterale, si piega posteriormente nella metafisi e anteriormente nella diafisi. Questi steli hanno un antiversione del collo, distalmente invece sono affusolati o cilindrici. La stabilità è ottenuta attraverso il riempimento metafisario e la curvatura distale. La preparazione consiste in alesatura distale e brocciatura metafisaria.[18]

Gli impianti a presa metafisaria ed a risparmio di collo esulano da questa classificazione.

Questi si collocano a metà strada tra le protesi di rivestimento e gli steli standard ed il loro impiego sta diventando sempre più frequente ed i modelli disponibili nel mercato sono sempre più numerosi.

Grazie al loro design conservano più possibile il bone-stock e, caricando in maniera più fisiologica il femore, riducono lo stress shielding prossimale. La conservazione

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prossimale del femore assicura la stabilità meccanica triplanare ed in particolare rotatoria dello stelo che, occupando contemporaneamente due cilindri ossei (collo e diafisi) non coassiali, acquista una grande stabilità primaria e resistenza alle forze torsionali. [19, 20]

2.5

Superfici e rivestimenti delle protesi d'anca non

cementate

Le leghe più utilizzate per il design per gli steli femorali non cementati sono la lega cobalto-cromo-molibdeno e la lega titanio-alluminio-vanadio. L'elasticità delle leghe al titanio è più vicina a quella dell'osso rispetto alle leghe cobaltocromo, teoricamente questo dovrebbero produrre meno dolore alla coscia e meno stress-shielding; inoltre il cromo-cobalto è noto essere citotossico e molti lo considerano un potenziale agente cancerogeno. Il dolore alla coscia, tuttavia, si crede non sia dovuto solo alla rigidità del metallo ma anche alla geometria ed alla lunghezza dello stelo e dovrebbe essere assente o quasi negli impianti a presa metafisaria. [18]

Un'altra caratteristica fondamentale per il successo di un impianto sono le superfici di rivestimento.

Esse svolgono un ruolo importante per la stabilità primaria grazie alla rugosità di superficie che ne aumenta l'attrito e quindi la tenuta.

Un'altra funzione molto importante e forse fondamentale che deve possedere il rivestimento di uno stelo e che ne condiziona il successo a lungo termine, è la capacità di determinarne la stabilità secondaria.

Dobbiamo da principio distinguere due fenomeni l'ingrowth (microfissazione) e l'ongrowth (macrofissazione).

Il primo rappresenta la crescita di tessuto osseo all'interno del materiale impiantato; questa caratteristica è ottenuta soprattutto con materiali di ultima generazione come ad esempio il titanio poroso a poro aperto o il trabecular metal.

L'ongrowth è invece il fenomeno di crescita del tessuto osseo attorno al materiale impiantato. [18]

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La tipologia delle superfici di rivestimento regola tali fenomeni.

Esistono diversi tipologie di superficie che hanno lo scopo di aumentare l'ingrowth; ricordiamo l'applicazione di grani di cobalto o titanio, la ricopertura di fibre di titanio e l'utilizzo di metalli porosi.

Immagine 2.4: A sinistra struttura microscopica di trabecular metal, un metallo poroso che riproduce la struttura dell'osso trabecolare. A destra ingrandimento di fibre di titanio

Le superfici di rivestimento sviluppate per favorire l'ingrowth hanno come costante la presenza di pori di una dimensione compresa tra i 100 e i 700 μm e di mantenere una percentuale di vuoti nel rivestimento tra il 30% ed il 40%, in modo tale da mantenere una adeguata resistenza meccanica. I metalli porosi hanno una rete tridimensionale uniforme con un alta interconnettività tra i vuoti ed una porosità che varia dal 75% all'80%. [18, 21]

L'ongrowth è invece aumentato utilizzando tecniche come lo spray plasma e la sabbiatura dello stelo. Lo spray plasma consiste in un mix di polveri di metallo (generalmente sono polveri di titanio) e gas inerti pressurizzati ed ionizzati che formano una fiamma ad alta energia. Il materiale fuso viene spruzzato sull'impianto creando una superficie rugosa che aumenta l'osteointegrazione. La sabbiatura crea una superficie rugosa attraverso il bombardamento dell'impianto con piccole particelle abrasive di corindone (ossido di alluminio).

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circonferenziale di rivestimento (completa od incompleta) e l'area di rivestimento (prossimale o diffusa). Per quanto riguarda quest'ultima variante (area di rivestimento prossimale o diffusa), molti chirurghi preferiscono un rivestimento prossimale per diminuire lo stress-shielding. [18]

Immagine 2.5: stelo Parva.

Lo stelo femorale PARVA argomento di questa tesi è realizzato in lega di titanio ( Ti6Al4V – ISO 5832/3 ASTM F136).

Stelo a conservazione del collo femorale, prevede per il suo impianto una minima resezione ossea e la preservazione di tessuto spongioso in regione metafisaria e del gran trocantere per permettere un’adeguata trasmissione delle forze e dei carichi. L’ancoraggio nella zona del calcar e l’appoggio corticale sulla superficie laterale del femore garantiscono un’ottimale fissazione ed un’adeguata compensazione delle

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forze in varo.

La modularità del collo permette inoltre una sempre adeguata ottimizzazione di off-set e lunghezza per ottenere un preciso centro di rotazione e il massimo range di movimento (R.O.M ).

L’impianto utilizza i colli Modula S.C, presenti in 15 versioni, che permettono la variazione dei parametri di lunghezza, off-set e versione in modo indipendente uno dall’altro.

Realizzato con innovativa tecnica di produzione (Electron Beam Melting), da unica lavorazione, lo stelo presenta sulla sua superficie una struttura reticolare, ideale per permettere un efficace attecchimento delle trabecole ossee allo stelo (Bone in growth) e di conseguenza un ottima osteointegrazione secondaria.

Lo stelo e’ prodotto in 12 taglie, per ottenere sempre un adeguato riempimento femorale ed un’ottima stabilità primaria.

2.6

La protesi d'anca: componenti

La protesi è composta da 2 componenti principali:

 La componente acetabolare (cotile o coppa acetabolare o acetabolo protesico):

è la parte che viene fissata al bacino mediante viti, cemento, avvitamento o forzamento meccanico dell'acetabolo (press fit). Può essere filettato, poroso o rivestito di idrossiapatite per aumentare l'ancoraggio biologico. Prima dell'avvento della protesi di Charnley (1960) le coppe protesiche acetabolari di metallo si articolavano direttamente con la testa metallica della componente femorale. Questo tipo di interfaccia era però gravato da un alto attrito con conseguente usura della protesi e come stadio finale alla perdita della stessa. L'uso del polietilene ad alta densità da parte di Charnley ha ridotto questi problemi. Oggi la coppa acetabolare è costituita generalmente da polietilene ad altissimo peso molecolare, di ceramica, di metallo o di un guscio con parte posteriore in metallo , unito ad un incamiciatura con superficie portante in metallo, ceramica o polietilene. Tuttavia la ricerca è ancora in continua evoluzione per cercare di trovare materiali più resistenti e più

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biocompatibili. [22]

Immagine 2.6: Componenti acetaboiari.

 La componente femorale: è formata da una testa (o epifisi protesica): di forma

sferica (può essere di diversi diametri, a seconda delle esigenze), è la parte più prossimale della componente femorale e si accoppia con la parte interna della coppa acetabolare per formare l'articolazione protesica. Può essere un tutt'uno con lo stelo (vecchi impianti, ormai non più utilizzati) oppure può essere modulare, cioè separata dallo stelo femorale e fissata durante l'intervento. La testa può essere costituita in materiale metallico (leghe di cromo-cobalto) o ceramico (ossido di alluminio o zirconio).

Immagine 2.7: Componente femorale.

A seconda della scelta dei materiali della testa e della coppa, sono possibili le seguenti combinazioni: metallo-polietilene (testa in metallo e coppa in polietilene, la più frequente), metallo-metallo, ceramica-polietilene, ceramica-ceramica.

Il collo è la porzione di stelo che unisce la testina al corpo dello stelo, esso può essere modulare con diverse lunghezze ed inclinazioni (varo, valgo, standard) o, soprattutto negli impianti di ultima generazione, mobile. Per collo mobile si intende la

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possibilità di avere un collo completamente svincolato dallo stelo protesico, con la possibilità di essere posizionato dopo lo stelo permettendo all'operatore di poter modificare non solo il varo/valgo e la lunghezza, ma anche l'anti-retro versione.

Immagine 2.17: Colli modulari.

La possibilità di disporre di colli modulari mobili è utile per ripristinare la corretta biomeccanica articolare soprattutto nei casi più difficili dove è presente una elevata aberrazione anatomica.

Lo stelo è la parte che va ad inserirsi nella cavità femorale, è fissato tramite cemento o meccanicamente ed in quest'ultimo caso solitamente è rivestito da materiali particolari che ne permettono l'osteointegrazione.

Lo scopo principale della componente femorale è quello di assicurare una biocompatibilità a lungo termine ed un'alta resistenza ai carchi ciclici a cui andrà incontro l'articolazione protesica. I metalli più comunemente utilizzati per la componente femorale sono leghe di acciaio inossidabile, leghe di titanio e leghe cromo-cobalto. I sostenitori del titanio ritengono che sia il metallo più inerte e quello che si avvicina di più all'elasticità della corticale femorale permettendo una più fisiologica distribuzione delle forza di carico. La corretta distribuzione delle forze di carico è anche strettamente legata alla forma dello stelo e gioca un ruolo fondamentale nel riassorbimento osseo periprotesico, noto come fenomeno dello

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stress shielding, di cui si parlerà in seguito.

2.7

Impianti di nuova concezione

2.7.1 Protesi a risparmio d'osso

Nonostante gli ottimi risultati ed i sempre più lunghi follow-up degli impianti di tipo tradizionale, la ricerca di una sempre minor invasività, soprattutto nei pazienti più giovani, ha spinto le industrie ed i chirurghi ortopedici allo sviluppo di nuovi modelli di protesi volti a ridurre il fenomeno dello stress-shielding e a risparmiare quanto più osso possibile. Le protesi di rivestimento e le protesi a stelo corto sono state ideate proprio per l'utilizzo nel paziente giovane e per ottenere il maggior risparmio d'osso possibile. Dopo una piccola discussione circa le protesi di rivestimento ci soffermeremo in maniera più precisa ed approfondita sulle protesi a stelo corto. Le protesi di rivestimento consistono in una minima resezione della testa femorale sulla quale viene poi applicata una testa in metallo di grande diametro che si accoppia con una coppa anche essa metallica. Gli obiettivi di questo tipo di impianto sono quelli di ristabilire il più possibile la naturale biomeccanica dell'articolazione e nel contempo preservare il bone-stock. Questo tipo di protesi è indicata soprattutto nei pazienti giovani ed attivi (maschi con meno di 65 anni d'età e femmine con meno di 60 anni) con una buona qualità ossea. [23]

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Attualmente l'accoppiamento metallo-metallo, tipico di questi impianti, è argomento di accesi dibattiti soprattutto a causa della possibile insorgenza di metallosi, pseudo-tumori e malattia da ioni. Altri possibili svantaggi in questo tipo di impianto sono un intervento più invasivo sulle parti molli e la difficoltà nel corretto posizionamento delle componenti, che a volte può essere responsabile di precoci fratture periprotesiche.

2.7.2 Le protesi a stelo corto a presa metafisaria

L'allargamento delle indicazioni cliniche per la sostituzione totale d'anca e quindi l'aumento di pazienti giovani che vengono sottoposti ad intervento ha spinto i chirurghi a trovare opzioni che fossero il più conservativo possibile. Questo fa parte di una nuova filosofia inspirata a principi di conservazione (sia per quanto riguarda l'approccio chirurgico sia per l'impianto protesico), detto Chirurgia a Risparmio Tissutale. In particolare il risparmio d'osso è dovuto alla comprensione che il risparmio di una struttura anatomica integra può essere utile alla stabilità tissutale, alla biomeccanica articolare ed alla futura revisione della protesi. Implicita nella definizione sta però anche una controindicazione: un'alterata struttura anatomica (congenita o acquisita) che non permette l'applicazione della protesi. [23, 24]

Gli steli corti a presa metafisaria possono prevedere o meno il risparmio del collo femorale che, come dimostrato nel 1995 da Whiteside et al. [25], è in grado di opporsi alle forze torsionali che agiscono sullo stelo. Gli autori testarono in vitro diversi livelli di osteotomia del collo e la capacità di quest'ultimo di opporsi alle forze torzionali che agiscono sullo stelo: la conservazione del 50% o più del collo produce dei micro movimenti accettabili, mentre meno del 15% esitano in macro movimenti.

Inoltre nel 1993 Jasty et al. in uno studio sperimentale osservarono che il tratto diafisario di una protesi tradizionale non è necessario per la stabilità una volta che è stata ottenuta una fissazione prossimale. [26]

Si deve comunque a Morrey, con lo sviluppo nel 1982 dello stelo Mayo, la nascita ed il successivo sviluppo di questa tipologia di impianti.

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trasversale trapezoidale per ottenere punti di contatto multipli con l'osso corticale del femore. Questa forma innovativa permette di stabilizzare l'impianto e di preservare l'osso spongioso prossimale (la presa all'interno di un guscio corticale aumenta la stabilità torsionale e la stabilità assiale). Per questo motivo è obbligatorio un appropriato livello dell'osteotomia in modo tale da lasciare intatto un anello di corticale dove si può fare presa anche sull'osso spongioso prossimale.

La parte finale dello stelo è curva inferiormente per fornire una superficie piana per il contatto con la corteccia laterale del canale femorale. La rigidità del fissaggio su tutti i piani risulta del tutto simile alle protesi con fissaggio cementato.

Lo stelo Mayo rappresenta l'evoluzione del principio già testato dal tempo per gli steli retti standard, infatti, la modificazione della forma prossimale è stata necessaria per ottenere la stabilità torsionale ed assiale. Infatti l'estrema riduzione del segmento diafisario è funzionale solo per l'allineamento varo-valgo lungo la corteccia laterale del femore, lasciando il canale diafisario praticamente libero.

Sulla base dei risultati clinici e dei principi di fissazione primaria di questo stelo successivamente, sono state sviluppate altre protesi ricordiamo lo stelo Nanos (Plus Orthopedics, Arau, Switzerland), lo stelo Metha (Bbraun, Melsungen, Germany) e lo stelo Parva.

2.7.3 Lo stelo Nanos

Figura 2.19: a sinistra Stelo Nanos, a destra Stelo Metha.

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design dritto e corto e presenta una sezione trasversale per la maggior parte arrotondata. Altre differenze dallo stelo Mayo le possiamo ricercare nella tecnica d'esecuzione dell'intervento e nelle modalità di fissaggio. Lo stelo Nanos richiede un osteotomia del collo femorale alta ed un riempimento più prossimale per ottenere una buona stabilità primaria, sia assiale che torsionale. Lo stelo Nanos rappresentano senza dubbio un passo avanti anche per quanto riguarda il rivestimento, infatti propone un rivestimento osteoinduttivo, circonferenziale di ultima generazione, che sostituisce la sabbiatura con le fibre di rete di titanio dello stelo Mayo; rivestimento che non essendo circonferenziale è criticato per la possibilità di formare un corridoio per la migrazione distale dei detriti.

2.7.4 Lo stelo Metha

Lo stelo Metha è una protesi a stelo corto utilizzata nella chirurgia a risparmio tissutale, permette infatti una maggiore conservazione del collo femorale (è classificata nelle protesi a risparmio di collo) ed è utilizzata soprattutto nei giovani o comunque nei pazienti con una buona qualità ossea. Lo stelo Metha è una protesi modulare, caratterizzata da una dimensione minima dello stelo e, come lo stelo Nanos, presenta un design dritto e corto, ma a differenza di quest'ultima presenta una sezione trasversale trapezioidale. Questo design è stato ideato per un risparimo tissutale del collo femorale e del grande trocantere, dei tessuti molli e muscolari. La superficie della protesi è rivestita circonferenzialmente con Plasmapore μ-Cap. La stabilità primaria è ottenuta tramite il concetto dei punti di contatto multipli con l'osso corticale del femore, mentre la stabilità secondaria è ottenuta tramite il rivestimento dello stelo che ne permette l'osteointegrazione.

La protesi Metha si fissa sia alla metafisi che all'interno dell'anello formato dal collo femorale, occorre infatti effettuare un accurata osteotomia del collo ad un livello tale che la spongiosa riesca a mantenere una buona stabilità torsionale. La regione del grande trocantere rimane praticamente intatta; anche questo tipo di impianto possiede le caratteristiche per essere utilizzato attraverso una via di accesso mini invasiva risparmiosa quindi dei tessuti molli e dell'apparato muscolo ligamentoso.

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diversi e da concetti biomeccanici differenti. Facciamo in seguito alcuni cenni a questi impianti.

Nel 1978 Huggler e Jacobs impiantarono la prima “thrust plate prosthesis” (TPP), una protesi disegnata per caricare la corteccia mediale del collo femorale più fisiologicamente possibile. La TPP si è evoluta attraverso tre generazioni. L'ultima versione ha un piatto ovale attaccato al perno. È da notare la somiglianza di design con la protesi progettata da Philip Wiles nel 1937 .

Figura 2.20: La radiografia mostra la protesi l'impianto di una protesi TTP.

Nel 1995 Santori disegnò uno stelo corto su misura. Questo stelo ha una forma anatomica a livello metafisario, con delle scanalature longitudinali per implementare la stabilità rotazionale, con una svasatura laterale, e non impegna il femore distale. L'evoluzione successiva di questo impianto è lo stelo Proxima.

Depuy e successivamente Permedica hanno sviluppato anche una protesi cilindrica a forma di cuneo, che va impiantata nel collo femorale per ottenere una stabilità primaria. La stabilità secondaria è data dalla ricrescita ossea nei pori del rivestimento della protesi.

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Immagine 2.21: Stelo Proxim.

Un altro design protesico di recente utilizzo è li stelo Vitae, Adler Ortho, stelo a presa metafisaria in titanio poroso Ti Pore monoblocco.

Immagine 2.22: Stelo vitae

2.7.5 Lo stelo Parva

Lo stelo femorale PARVA Adler Ortho e’realizzato in lega di titanio ( Ti6Al4V – ISO 5832/3 ASTM F136).

Stelo a conservazione del collo femorale, prevede per il suo impianto una minima resezione ossea e la preservazione di tessuto spongioso in regione metafisaria e del gran trocantere per permettere un’adeguata trasmissione delle forze e dei carichi. L’ancoraggio nella zona del calcar e l’appoggio corticale sulla superficie laterale del femore garantiscono un’ottimale fissazione e un’ adeguata compensazione delle forze

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in varo.

La modularità del collo permette inoltre una sempre adeguata ottimizzazione di off-set e lunghezza per ottenere un preciso centro di rotazione e il massimo range di movimento (R.O.M ).

L’ impianto utilizza i colli Modula S.C , presenti in 15 versioni , che permettono la variazione dei parametri di lunghezza, off-set e versione in modo indipendente uno dall’ altro.

Realizzato con innovativa tecnica di produzione (Electron Beam Melting), da unica lavorazione, lo stelo presenta sulla sua superficie una struttura reticolare, ideale per permettere un'efficace attecchimento delle trabecole ossee allo stelo (Bone in growth) e di conseguenza un'ottima osteointegrazione secondaria.

Lo stelo e’ prodotto in 12 taglie , per ottenere sempre un adeguato riempimento femorale ed un’ottima stabilità primaria.

Figura 2.23: Lo stelo Parva

2.8

L'intervento Chirurgico

2.8.1 Indicazioni alla terapia chirurgica

I pazienti sono considerati candidati all'intervento chirurgico di sostituzione totale dell'anca quando ogni altro tipo di tentativo d'approccio più conservativo è fallito. Le indicazioni dell'intervento sono la perdita di mobilità articolare, la presenza di dolore, i segni radiografici di artrosi avanzata ed una qualità di vita non più accettabile.

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La terapia chirurgica si pone come obiettivo quello di eliminare il dolore e migliorare la mobilità articolare. É importante informare correttamente il paziente sull'intervento, per non creare false aspettative sul risultato chirurgico.

Le controindicazioni assolute all'intervento sono rappresentate da scadute condizioni generali e la presenza di infezioni; le relative controindicazioni sono: alcune malattie neurologiche e psichiatriche da non trascurare, inoltre, l'obesità per il carico meccanico che andrà a gravare sulla protesi.

Un requisito necessario all'impianto di una protesi d'anca non cementata è una buona qualità ossea, infatti, quando l'indice corticale (cortical index), definito come il rapporto tra il diametro esterno del femore ed il diametro del canale midollare all'altezza dell'istmo (misurati su una radiografia antero-posteriore) del femore, è minore del 48% o l'indice di svasatura del canale (flare index) è minore del 3% è raccomandata una protesi di tipo cementato. [27, 28]

2.8.2 Studio radiologico e pianificazione preoperatoria

Ogni paziente che si sottopone ad intervento deve eseguire uno studio radiologico. Sono consigliate una proiezione antero-posteriore (AP) del bacino che mostri entrambe le anche, una proiezione AP dell'anca da operare che si estenda sotto l'istmo e una proiezione laterale.

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Lo studio preoperatorio viene eseguito con delle tavole trasparenti sulle quali è riportato il profilo dell'impianto che andremo a posizionare.

L'acetabolo viene studiato utilizzando una radiografia antero-posteriore del bacino, posizionando le tavole in modo da coincidere con l'osso subcondrale, si ristabilisce il centro anatomico dell'anca e si inclina la coppa di 40-45° in orizzontale. Nei casi di notevole alterazione anatomica della zona superolaterale si deve prendere in considerazione la necessità di eseguire un l'innesto di osso autologo per riposizionare il centro di rotazione anatomico dell'anca. [29]

Lo studio della componente femorale si effettua sia sulla proiezione anteroposteriore che latero-laterale. Nel caso di protesi a presa metafisaria la dimensione della componente si basa sul press-fit mestafisario, mentre per gli steli a presa distale, la dimensione si basa sul press-fit diafisario. Dopo aver selezionato la dimensione della componente femorale si determina il livello ottimale a cui praticare l'osteotomia del collo.

Uno studio TC non è generalmente necessario nella maggioranza dei pazienti, può essere utile in quelli con quei pazienti con grave deformità dell'anca e per quelli che necessitano una protesi fatta su misura.

La risonanza magnetica (RM) è utile solo per la diagnosi di osteonecrosi.

I reperti radiografici possono differire in base alla causa dell'artrosi, tuttavia un'artrosi in fase avanzata ha un aspetto caratteristico. La maggior parte delle radiografie evidenzia una riduzione dello spazio articolare; osteofiti, in particolare sul bordo superiore dell'acetabolo; cisti subcondrali e sclerosi sia dell'acetabolo che della testa del femore.

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Immagine 2.25: Planning preoperatorio della componente acetabolare

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2.8.3 Accesso chirurgico

Esistono molti tipi di accessi chirurgici per la sostituzione totale d'anca, tutti con i loro vantaggi e svantaggi, è necessario che il chirurgo conosca i limiti di ogni tecnica e che in base anche alla tipologia di paziente scelga quella più adatta. Tra i più utilizzati ricordo il laterale di Hardinge, il posteriore, l'antero laterale, l'anteriore ed il postero laterale. [27, 29]

Per brevità tratterò in maniera più approfondita l'accesso postero laterale tipo Gibson Moore, accesso chirurgico utilizzato per la totalità dei casi trattati presso la II clinica Ortopedica ed in tutti i pazienti analizzati in questa tesi.

L'accesso postero laterale ha il vantaggio di una minore dissezione, da una buona esposizione dell'acetabolo e del femore, dalla mancata disinserzione dei muscoli abduttori e da un recupero postoperatorio più breve. Lo svantaggio principale che viene riportato da molti autori circa l'utilizzo di questa tecnica è il rischio di lussazione ma questa complicanza può essere minimizzata da un corretto orientamento delle componenti protesiche, da una accurata riparazione dei tessuti molli della loggia posteriore e da precauzioni comportamentali da adottare durante la fase di riabilitazione che evitino il movimento di lussazione. Si posiziona il paziente in decubito laterale e si esegue un'incisione 1-2 cm posteriormente al gran trocantere e la si continua prossimalmente per circa 3 cm con una linea curva a concavità posteriore.

Per via smussa si raggiunge la fascia e la si seziona longitudinalmente, si esegue quindi split delle fibre del grande gluteo. Si incide la borsa trocanterica per visualizzare i muscoli extrarotatori (piriforme, gemelli, otturatorio interno e quadrato del femore) e, ad arto intraruotato si incide il tricipite dell'anca (muscoli gemelli e l'otturatorio interno) risparmiando il quadrato del femore quando possibile. Si esegue quindi sezione del piriforme e capsulotomia posteriore oppure si procederà alla creazione di un lembo capsulare posteriore.

Si posiziona un divaricatore inferiormente al collo del femore e si esegue lussazione del femore ed esecuzione dell'osteotomia del collo come da planning preoperatorio e rimozione della testa.

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con un divaricatore a punta che fa leva sul margine anteriore dell'acetabolo, si posiziona un divaricatore sul legamento acetabolare trasverso e a livello del muro supero-laterale.

Si prepara quindi con le apposite frese l'acetabolo e si posiziona la componente cotiloidea.

Si passa quindi alla preparazione del femore posizionandolo a 90° di intrarotazione, flessione e adduzione, utilizzando un divaricatore inserito subito al di sopra del piccolo trocantere si eleva il femore per separare il collo femorale dai tessuti molli posteriori.

Si protegge sempre il medio gluteo con apposito divaricatore posizionato sul margine anteriore del gran trocantere in corrispondenza della fossetta del piriforme.

Si prepara il femore con le apposite brocce e si posizionano le componenti femorali di prova.

Si valuta quindi la geometria e la stabilità dell'impianto con le componenti di prova eseguendo manovre di lussazione, abduzione ed extrarotazione. Si valuta inoltre la corretta lunghezza dell'arto.

Dopo l'impianto delle componenti definitive, si suturano gli extrarotatori brevi e, se presente, il lembo capsulare sul gran trocantere, attraverso fori effettuati con un trapano. La sutura della fascia e degli strati superficiali pone fine all'intervento.

Immagine 2.27: Illustrazione accesso postero laterale.

2.8.4 Sostituzione dell'acetabolo

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cartilagine residua, identificando i punti di repere ossei. Si deve identificare l'ischio, il pube e il legamento acetabolare trasverso. Si posiziona un divaricatore sotto il legamento acetabolare trasverso e dietro la parte inferiore del muro mediale. Se è presente un osteofita a livello del pulvinar va rimosso per identificare correttamente il muro mediale, che è un importante punto di repere per determinare la profondità dell'alesatura dell'acetabolo. [27, 29]

L'alesatura iniziale stabilisce la profondità e deve essere diretta medialmente. Si procede ad alesaggi sequenziali, aumentando ogni volta le dimensioni dello strumento (2 mm o 1 mm per volta). Le dimensioni della componente acetabolare è limitata dal diametro anteroposteriore dell'acetabolo. Il fine dell'alesatura è quello di trasformare l'acetabolo in una semisfera di osso subcondrale sanguinante, salvaguardando il vero pavimento acetabolare e garantendo il massimo contenimento protesico. La perdita di osso subcondrale indebolisce significativamente la resistenza dell'osso, occorre quindi asportarne il meno possibile. In alcuni pazienti l'osso subcondrale è di scarsa qualità soprattutto in quelli che hanno tenuto l'anca in scarico per un certo periodo, nei pazienti affetti da osteoporosi e nei pazienti affetti da artrite infiammatoria, soprattutto se in terapia con steroidi. A volte invece l'osso subcondrale può essere talmente sclerotico da contrastare l'alesatura, in questo caso si deve direzionare attentamente l'alesatore ed in alcuni casi rimuovere l'osso sclerotico con una fresa prima di continuare ad alesare.

Terminato il processo di alesatura, si posiziona la componente acetabolare che solitamente è di 1 mm o 2 mm di diametro periferico massimo più grande dell'ultimo alesatore utilizzato (nei giovani e con un osso resistente può essere sufficiente 1 mm). Questo passaggio però è variabile da impianto ad impianto in funzione del rivestimento, della geometria e della fissazione primaria. L'inserimento corretto della componente acetabolare avviene attraverso delle guide, la loro utilità tuttavia dipende dalla corretta posizione del bacino (che varia comunque a seconda della via di accesso). Il posizionamento ideale della componente acetabolare è a 30°-40° di abduzione sul piano orizzontale e massimo 15°-25° di antiversione. Una volta posizionata la componente acetabolare devono essere rimossi tutti gli osteofiti.

L'utilizzo di mezzi aggiuntivi per la fissazione è tutt'ora controverso. Alcuni studiosi hanno dimostrato che le viti possono migliorare la fissazione, dimostrando che la

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maggior parte della ricrescita ossea si verifica attorno a queste ultime. Il chirurgo che utilizza le viti deve conoscere la zona di fissazione migliore, che è stato dimostrato essere l'ileo superiore. É stato dimostrato anche che la fissazione bicorticale è migliore di quella unicorticale. Altri invece preferiscono utilizzare le viti solo quando è necessario un mezzo aggiuntivo di fissazione, per la paura della messa in circolo di frammenti particolati. [27 29]

2.8.5 La componente femorale

Il primo passo per la ricostruzione femorale è l'osteotomia del collo. Questo viene generalmente determinato durante la pianificazione preoperatoria.

Il secondo passo è l'alesaggio del canale intramidollare che ha lo scopo di modellare l'osso per accogliere la protesi. Il tipo di alesatore che utilizzeremo varierà in base alla forma della componente femorale. Nel caso di steli dritti, progettati una fissazione prossimale, si utilizzano alesatori rigidi, cilindrici o conici; alesando il femore a misura o poco di più dello stelo da impiantare. Nel caso di steli progettati per fissazione distale o diafisaria si utilizzano alesatori cilindrici e si deve alesare 0,5-1 mm meno della misura dello stelo. In questa fase se il chirurgo non percepisce una significativa resistenza ad una misura inferiore a quella prevista è necessario che rivaluti la direzione di alesatura ed il foro pilota; un errore può provocare la perforazione del canale femorale e/o la frattura del femore. Occorre fare attenzione anche alla tendenza dell'alesatore di andare in varo, oppure ad una eccessiva flessione od estensione dell'alesatore rispetto al femore. [27, 29]

Il terzo passo consiste nella preparazione del femore prossimale utilizzando una serie di brocce. Per gli steli a fissazione prossimale, la misura corretta della broccia è quella che riempe completamente la metafisi prossimale del femore e che garantisce la migliore stabilità rotatoria. Per gli steli a fissazione distale, la misura della broccia è valutata in base all'alesatore utilizzato per ottenere la migliore tenuta diafisaria. Occorre porre molta attenzione alla valutazione della stabilità rotatoria, un errore potrebbe causare la frattura del femore. Se si dovessero incontrare difficoltà a posizionare una broccia di misura corretta, occorrerebbe valutare il livello dell'osteotomia del collo femorale. Un'osteotomia bassa può dare la falsa impressione

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di una broccia non posizionata bene. [27, 29]

Si effettua a questo punto la riduzione di prova per valutare la stabilità dell'anca, si flette e si intraruota l'anca per controllare che vi sia una corretta antiversione della componente acetabolare e di quella femorale, si effettua poi una estensione e una extrarotazione per controllare che le componenti non siano troppo antiverse.

Se tutto dovesse essere corretto, si toglierebbero le componenti di prova e si impianterebbero le componenti definitive.

Nel caso di steli a fissazione prossimale, si avvertirà una piccola resistenza all'inserimento fino agli ultimi 1-2 cm dal termine. Gli steli a fissazione distale richiedono una forza notevole per vincere la resistenza.

2.9

Complicanze

La protesi totale d'anca costituisce una delle più efficaci procedure della chirurgia ortopedica, tuttavia esistono delle complicanze precoci e tardive che ne possono determinare l'insuccesso. Le complicanze precoci si possono dividere in relative al paziente e relative alla protesi. Tra le varie complicanze tardive che si possono presentare ci concentreremo di più sulla mobilizzazione settica e la mobilizzazione asettica.

2.9.1 Complicanze precoci relative al paziente

• Trombosi venosa profonda ed embolia polmonare: è la causa principale di morbidità e mortalità nei pazienti sottoposti ad intervento. In assenza di profilassi l'incidenza di trombosi venosa sarebbe del 70%, mentre il 20% andrebbe incontro ad embolia polmonare. La profilassi si esegue con somministrazione di anticoagulanti (l'eparina a basso peso molecolare è più utilizzata in Europa mentre il warfarin è più utilizzato negli Stati Uniti) calze elastiche post-intervento e mobilizzazione precoce.

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2.9.2 Complicanze precoci relative alla protesi

• Lesioni nervose e vascolari: il nervo più frequentemente interessato è lo sciatico (ma possono essere colpiti anche l'otturatorio, il gluteo ed i nervi femorali); la lesione può essere transitoria o permanente. Per quanto riguarda il versante vascolare i vasi più colpiti sono l'arteria e la vena iliaca esterna, l'arteria e la vena otturatoria. Le lesioni neurologiche sono generalmente dovute a trazione, compressione da ematoma o divaricatori mal posizionati. Le lesioni vascolari sono per lo più da correlare al posizionamento delle viti per la fissazione della componente cotiloidea.

• Lussazione dell’impianto: La dislocazione della protesi può essere sia una complicanza precoce che tardiva. la fuoriuscita della testa femorale dalla coppa acetabolare si verifica mediamente nell'1-3% degli interventi primari. La causa principale è l'inadeguata compliance dei pazienti alle limitazioni precauzionali post-operatorie (es. evitare intrarotazione e flessione oltre 90° dell'arto operato nelle vie di accesso posteriori), oppure può essere dovuta a malposizione delle componenti (più frequente la malposizione di quella acetabolare). La maggior parte dei casi si verifica entro 6 mesi dall'intervento e la maggior parte sono trattati conservativamente. Le dislocazioni ricorrenti necessitano di revisione. La lussazione può essere tardiva quando segue all'usura delle componenti dell'impianto con conseguente instabilità. [30, 31]

• Complicazione della ferita chirurgica: le più frequenti sono l'ematoma e l'infezione. L'incidenza di ematoma post-operatorio si aggira attorno al 3.5%, ed è dovuto ad un sanguinamento più importante del solito. Per evitare che un ematoma rimanga a lungo in sede vengono posizionati solitamente uno o due drenaggi aspirativi per 24 - 48 ore. L'infezione può essere una complicanza secondaria, poiché l'ematoma può essere un mezzo per la crescita batterica.

• Dismetrie: L'arto sottoposto all'intervento può andare incontro ad una variazione della lunghezza. Solitamente l'artrosi accorcia progressivamente l'arto interessato. Con l'intervento l'arto è rimesso a livello del controlaterale, a volte quindi il paziente avrà l'impressione di avere una lunghezza dell'arto aumentato. A volte il chirurgo è costretto ad allungare lievemente l'arto per evitare il rischio di lussazione.

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• Limitazione della mobilità dell'anca: Dovuto solitamente ad un eccesso di tessuto cicatriziale.

• Fratture intraoperatorie: Le fratture intraoperatorie sono più frequenti nell'impianto di componenti non cementate rispetto a quelle cementate. La ragione di maggiore incidenza di fratture femorali è dovuta alla necessità di dover ottenere una fissazione iniziale rigida, che richiede un contatto molto stretto tra protesi ed osso. Il piccolissimo range di tolleranza tra protesi e canale femorale può produrre lo sviluppo di notevoli forze di compressione provocando la frattura. Il tipo di frattura dipende dal tipo di stelo scelto. Gli steli a fissazione prossimale tendono a causare fratture a livello prossimale che vengono trattate solitamente con un cerchiaggio. Gli steli a presa distale provocano fratture più distali. Il femore è più frequentemente colpito, mentre più raramente la complicanza fratturativa colpisce l'acetabolo ed i rami pubici anche perché può essere difficile farne diagnosi radiografica. [30, 31] I pazienti con dolore continuo postoperatorio e radiografia normale, hanno probabilmente una frattura occulta. A seconda dei sintomi e dell'aspetto radiografico si dovrà indicare un adeguato periodo di scarico.

2.9.3 Complicanze tardive

2.9.3.1 Mobilizzazione settica (od infezioni)

L'infezione continua ad essere una delle più temibili complicanze dell'intervento chirurgico, portando a nuovi ed invalidanti dolori ed una grave limitazione funzionale. Possiamo definire un'infezione postoperatoria precoce quando questa si manifesta entro tre o quattro settimane dall'intervento chirurgico, mentre definiamo un'infezione tardiva od ematogena tardiva, quelle che si verificano dopo mesi od anni dall'intervento; infine definiamo un infezione cronica quando si ha una lunga storia di dolore relativo all'impianto protesico, fin da quando è stato impiantato, senza mai periodi liberi da dolore. Secondo recenti studi l'incidenza nella sostituzione primaria è dell'1% o meno, mentre è del 3% o maggiore nell'intervento di revisione. Queste incidenze sono significativamente più basse rispetto a molti anni fa, infatti nel 1972

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l'incidenza di infezione era circa il 10%. [32, 33]

La diagnosi di infezione acuta (postoperatoria precoce ed ematogena tardiva) è semplice. L'esaminatore dovrà rilevare i segni ed i sintomi locali (l'area è arrossata, calda, gonfia, dolente ed eventualmente con presenza di un ascesso o tragitti fistolosi) e, se presenti, sintomi e segni sistemici (ad esempio febbre). Gli esami di laboratorio più indicativi sono: VES (velocità di eritrosedimentazione), PCR (proteina c reattiva) ed il numero di globuli bianchi. Prima di procedere alla terapia antibiotica occorre individuare l'agente patogeno responsabile, mediante prelievo di materiale purulento e successivo antibiogramma. La diagnosi di infezione cronica deve essere sospettata ogni volta che un paziente riferisce dolore cronico all'anca. Molto spesso l'indagine radiografica non evidenzia nessuna alterazione in corso di infezione, ma la presenza di una marcata o rapida erosione endostale o di una reazione periostale attorno al femore è diagnostico. A differenza dei tessuti molli, un'infezione periprotesica è molto difficile da eradicare, infatti è scarsamente aggredibile da parte del sistema immunitario del paziente perché la protesi è isolata all'interno dell'osso. Inoltre alcuni tipi di patogeni sono in grado di produrre un film polisaccaridico intorno alle colonie batteriche detto glicocalice, che blocca la penetrazione di cellule infiammatorie, degli anticorpi e dei possibili anticorpi somministrati. Questo meccanismo porta quindi alla progressione dell'infezione che cronicizzando determina la continua degenerazione del tessuto osseo periprotesico ed infine al fallimento dell'impianto. [34, 35]

Oggi l'incidenza relativamente bassa è dovuta alla profilassi antibiotica contro lo stafilococco (si usa generalmente vancomicina o una cefalosporina), in aggiunta all'utilizzo di aria ultrafiltrata e talvolta all'aggiunta di antibiotico al cemento (nelle protesi cementate).

Il trattamento delle infezioni può essere conservativo e/o chirurgico. Il trattamento medico ha in genere un ruolo limitato: si utilizza nei pazienti sottoposti ad intervento di revisione di protesi per mobilizzazione asettica e le culture intraoperatorie risultano positive, oppure nei pazienti defedati che non possono essere operati od in pazienti che non vogliono sottoporsi di nuovo ad intervento chirurgico. In alcune occasioni il trattamento antibiotico può essere proseguito per tutta la vita.

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cemento antibiotato da parte di Buchholz et al. ha portato un notevole miglioramento al trattamento delle protesi infette, con una eradicazione dell'infezione del 73%. La gentamicina utilizzata assieme al cemento, è stata il primo antibiotico, successivamente anche altri antibiotici sono stati aggiunti con successo al cemento (tobramicina, vancomicina, penicillina G, clindamicina, eritromicina, cefalosporine). Esistono delle proprietà che l'antibiotico deve possedere per poter essere addizionato al cemento: deve essere termostabile, deve essere disponibile come polvere e non deve avere un alto potenziale allergenico. Il chirurgo che deve revisionare una protesi infetta può scegliere tra quattro procedure, ognuna con i suoi vantaggi e svantaggi da poter applicare.

• Débridement e conservazione delle componenti: questa procedura è indicata per le infezioni acute, mentre è controindicata per le infezioni croniche (quando le componenti non sono ben fissate), infatti, più precocemente viene applicata e migliori saranno i risultati. Nelle infezioni postoperatorie precoci l'accesso chirurgico è quello dell'intervento precedente, mentre nelle ematogene tardive è preferibile un accesso diverso attraverso i soli tessuti molli per via laterale o posterolaterale. Successivamente vengono prelevati i tessuti necessari per le colture, l'anestesista somministrerà un adeguato antibiotico endovena e verranno rimossi tutti i tessuti infetti. A questo punto si lussa l'anca e si rimuovono, se è possibile, l'inserto in polietilene e la testina della protesi. Infine si eseguono abbondanti lavaggi dell'articolazione con soluzione salina. Al termine dell'intervento i tessuti devono somigliare a tessuti non infetti. Si monta un nuovo inserto in polietilene, una nuova testina, si sutura per piani e si posizionano drenaggi aspiranti. Dopo l'intervento chirurgico la terapia antibiotica andrà prolungata per sei settimane. È però da tener presente che uno studio ha dimostrato una scarsa efficacia di questa tecnica in pazienti con protesi non cementate perché le superfici senza cemento favorirebbero l'attecchimento del batterio. Con questa tecnica circa il 71% sono eradicate con questa tecnica.

• Revisione in uno stadio: la sostituzione dell'impianto protesico in uno stadio, associata a débridement e lavaggio è indicata in pazienti con infezione protesica cronica in cui non è stato efficace il solo débridement e lavaggio e non siano candidati alla revisione in due stadi. Solitamente non è una tecnica molto utilizzata

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perché i pazienti candidati devono soddisfare i seguenti criteri: infezione sostenuta da microrganismi poco virulenti, assenza di tramiti fistolosi, adeguata riserva di osso per la fissazione femorale cementata, deve essere utilizzato cemento antibiotico e deve seguire all'intervento una terapia antibiotica di sei settimane.

La scelta dell'approccio chirurgico dipende dalla complessità dell'intervento, devono però essere evitati accessi troppo demolitivi per i tessuti molli. Nel caso di steli non cementati è indicata un'estesa osteotomia trocanterica. Durante l'intervento devono essere rimossi tutti i dispositivi impiantati, si devono effettuare abbondanti lavaggi e devono essere ricercati con attenzione tutte le possibili raccolte ascessuali, in particolare per il tendine del muscolo ileopsoas e per gli adduttori. Occorre particolare attenzione anche a non devascolarizzare troppo l'osso. Le componenti mobilizzate sono semplici da rimuovere mentre le componenti ben impiantate rappresenteranno una sfida più impegnativa per il chirurgo. Uno stelo ben fissato prossimalmente senza cemento viene rimosso con l'ausilio di osteotomi flessibili inseriti nell'interfaccia tra la superficie porosa ossea di nuova formazione e il femore prossimale. Uno stelo non cementato fissato per tutta la sua lunghezza richiede un adeguato planning preoperatorio. Si esegue solitamente un'ampia osteotomia trocanterica fino alla zona dello stelo che diviene cilindrica ed a questo punto lo stelo viene tagliato con una fresa. La porzione prossimale verrà estratta con l'aiuto di una sega di Gigli. La porzione distale dello stelo viene estratta utilizzando trivelle ed estrattori. La rimozione delle componenti acetabolari fissate senza cemento si effettua mediante l'utilizzo di osteotomi curvi sequenziali, con particolare attenzione alla dissezione tra osso e metallo. Per il nuovo impianto sono indicate nuove componenti di tipo cementato, in quanto il cemento antibiotato fornisce un maggior controllo delle infezioni. Il 70 – 80% delle infezioni sono eradicate con questa tecnica.

• Artroplastica di Girdlestone: Questo tipo di tecnica è indicato nei pazienti anziani, che non possono sopportare una procedura più demolitiva o che comunque hanno scarse possibilità di tornare a deambulare. É indicata in pazienti immunocompromessi o con limitata aspettativa di vita. La tecnica chirurgica è identica alla precedente, con la differenza che non viene impiantata una nuova protesi. Viene resecato il collo femorale a livello del piccolo trocantere e la porzione

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superiore dell'acetabolo, se crea impingment con il gran trocantere, viene rimossa. Si crea una pseudoartrosi stabile che non provoca dolore. In questa fase occorre prestare attenzione a non sezionare il tendine dell'ileopsoas per non creare una eccessiva risalita dell'arto. Si esegue un débridement, successivamente si inserisce un bolo di cemento antibiotato nella cavità acetabolare e una serie di palline di cemento antibiotato nel canale midollare del femore (le palline possono essere marcate, con clorofilla o blu di metilene, per poter permettere una più agevole identificazione e rimozione se ce ne dovesse essere la necessità). Al termine dell'intervento, l'arto sarà accorciato di circa 5 cm. I pazienti hanno solitamente sollievo dal dolore, ma la funzionalità riacquisita sarà scarsa, e si deteriorerà con la perdita di massa ossea femorale. La deambulazione sarà possibile con ausili, come bastoni canadesi e girelli associando un rialzo nella scarpa dell'arto più corto.

• Revisione in due stadi: La revisione in due stadi è la procedura più comune per il trattamento delle protesi totali d'anca infette. È indicata nei pazienti in buona salute ed in quelli che si voglia ottenere la migliore ottimizzazione del trattamento contro l'infezione, mantenendo una certa flessibilità nella riprotesizzazione.

La prima parte della tecnica chirurgica è uguale all'artroplastica di Girdlestone. Dopo la rimozione delle componenti precedentemente impiantate si posiziona un bolo di cemento antibiotato o delle palline di cemento collegate tra loro mediante un filo a livello acetabolare e delle palline di cemento antibiotato a livello del canale midollare del femore. in modo da agevolare la diffusione dell'antibiotico nell'articolazione. Come spaziatore funzionale ed articolato si utilizza cemento antibiotato, permettendo cosi al paziente di effettuare alcuni movimenti e di mantenere la lunghezza dell'arto. L' uso dello spaziatore sarà necessario nei casi di grande perdita di massa ossea, si utilizza solitamente uno spaziatore di cemento antibiotato acrilico, che consiste in una serie di calchi di femorali con armatura in metallo. In questo modo si riproduce un facsimile della componente femorale con cemento antibiotato. Per la componente acetabolare si inserisce un componente cementato di 45x32 mm. Durante le due procedure al paziente sarà permesso solo un carico strisciante, con l'ausilio delle stampelle. Durante la seconda parte dell'intervento tutti gli spaziatori temporanei saranno rimossi, si effettueranno prelievi di tessuto per le colture ed infine si eseguirà la riprotesizzazione utilizzando componenti cementate addizionate ad antibiotico.

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