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1898, L’ESPOSIZIONE NAZIONALE DI TORINO.

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1898, L’ESPOSIZIONE NAZIONALE DI TORINO.

§ 1. Le ricerche luministiche e il divisionismo nella pittura toscana.

I festeggiamenti per il cinquantesimo anniversario della rivoluzione quarantottesca e della promulgazione dello Statuto Albertino, fondamento dello Costituzione del Regno d’Italia, furono celebrati in tutta Italia con diverse iniziative397. In un contesto economico poco florido e in un clima politico-sociale denso di tensioni, a Torino si celebrò tale ricorrenza con un’esposizione generale nazionale delle arti e delle industrie, prevista fin dalla fine del 1895, da tenersi nello spazio circostante il parco del Valentino398.

L’ingresso principale in stile neobarocco, che si apriva su Corso Raffaello, era costituito da un portico ellittico a colonne trabeate, alternate ad archi a pieno centro, sormontato da una balaustra con statue allegoriche e, nel ricordare ai visitatori il motivo celebrativo dell’esposizione di quell’anno, dava accesso a quella che si configurava ancora come un’esibizione architettonica eclettica di padiglioni e chioschi399. Lungo l’asse maggiore dell’ellissi si aprivano gli ingressi all’edificio delle Belle Arti, costruito in stile rinascimentale veneziano che comprendeva anche il monumentale Salone dei Concerti in stile Luigi XV, e a quello delle industrie manifatturiere400. All’interno della mostra pittorica che metteva in rassegna tutti gli indirizzi stilistici sviluppatisi negli ultimi venti anni, la critica nazionalista relegò la pittura toscana nel limbo di un provincialismo sognante i movimenti europei più innovativi che tuttavia non dovevano essere pedissequamente osservati401.

397

Per le iniziative promosse a Milano, Venezia, Firenze e Palermo vedi gli articoli pubblicati in L’Illustrazione Italiana, 1898, n. 4, pp. 55-61, n. 13, pp. 219-223, n. 14, p. 242, n. 17, pp. 285-289.

398

F. Musso, L’esposizione di Torino a volo d’uccello, in «Natura ed Arte», n. 14, fasc. XIII, 1897-1898, p. 50;Esposizione nazionale 1898. Guida ufficiale, 1898, pp. 19-26; G. I. Armandi, Le mostre industriali, in L’esposizione generale italiana e d’arte sacra. Rassegna popolare illustrata, 1898, n. 8; D. Orsi, L’idealità patriottica, in L’esposizione generale italiana e d’arte sacra. Rassegna popolare illustrata, 1898, n. 3; Picone Petrusa, Pessolano, Bianco 1988, pp. 104-106.

399

Sulla trabeazione risaltava l’iscrizione “MDCCCXCVIII – Restitutatae Libertatis Anno Quinquegesimo ob Caroli Alberti Regis Magnanimi, Populique Concordiam et Fidem” cfr. Esposizione generale italiana. Torino 1898. Bollettino Ufficiale, n. 7, p. 1, 1898; Buscioni 1990, pp. 155-158; 1898. L’esposizione generale italiana, 1999, pp. 78-79.

400

R. Brayda, L’edifizio delle Belle Arti alla mostra del 1898, in L’arte all’esposizione del 1898, 1898, p. 39.

401

Parlando della situazione artistica a Roma e Firenze Ugo Fleres affermò che le due città “ … dormono e sognano di Monaco e di Berlino, di Parigi e di Cristania; chi dorme meglio è Roma, chi più sogna è Firenze” cfr. U. Fleres, La pittura d’oggi in Italia, in L’arte

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Così accanto al naturalismo dei fratelli Gioli, di Egisto Ferroni e di Adolfo Tommasi, all’incessante sperimentalismo di Signorini e alla ‘moribonda’ pittura militare rappresentata da Giovanni Fattori, Cesare Bartolena e Luigi Gioli402, si affiancavano le vedute e le scene campestri che risentivano del nuovo clima simbolista e divisionista nelle tele di Niccolò Cannicci e di Plinio Nomellini.

L’anziano Signorini, ormai raggiunto il successo ufficiale e personale, si presentò con tre opere risalenti all’ultimo periodo caratterizzato dalle continue ricerche compositive, prospettiche e luministiche che andavano dalla forte luminosità dei paesaggi liguri ed elbani, alla foschia dissolvente le forme del Ponte di Vigo a Chioggia, tradizionalmente ritenuta la sua ultima opera403. I dipinti eseguiti all’interno di una rigida griglia prospettica, come Il bagno penale a Portoferraio e

La toilette del mattino404, si affiancavano a quelli paesaggistici dove gli scorci non convenzionali

erano ispirati alle stampe giapponesi, come nel dipinto Dal santuario di Riomaggiore (1890 ca, Roma, Ambasciata U.S.A), caratterizzato da una veduta dall’alto che tende a portare in primo piano la profondità del paesaggio, e in Prima del sole a Riomaggiore, esposto a Torino nel 1898 (fig. 3.1), nel quale la linea diagonale della ringhiera del terrazzo guida l’occhio dell’osservatore verso la piazza antistante la chiesa, la cui facciata è parzialmente nascosta dalle foglie di un albero che taglia in diagonale l’angolo sinistro dell’opera405

.

Nel corso degli anni Novanta Niccolò Cannicci, il “Giovanni Segantini delle solitudini toscane”406 , si era avvicinato, anche se non in maniera programmatica, alla pittura simbolista realizzando dipinti molto più simili a delle visioni grazie ad un uso suggestivo dell’illuminazione che, colta nelle ore

402

Né Giovanni Fattori che presentò Alt di cavalleria, un quadro “minuscolo, che tradisce la fretta lontano un miglio”, né Cesare Bartolena con Attacco alla cascina, furono ritenuti all’altezza della loro fama. Si presentava assai meglio Luigi Gioli con Dopo la

battaglia per la maestria con cui furono realizzati i cavalli, anche se non piacque “la forma larga e schiacciata del quadro” cfr. G.

Sticca, La pittura militare all’esposizione, in L’arte all’esposizione del 1898, pp. 190-191.

403

E. Spalletti, La pittura dell’Ottocento in Toscana, in La pittura in Italia, 1990, pp. 359-360; Telemaco Signorini. Una retrospettiva, 1997, scheda 130.

404

“La fredda notazione descrittiva” che si sviluppa all’interno di “un’infallibile griglia prospettica” de La toilette del mattino (1898, Milano, collezione Marianne Caprotti) fa del dipinto un’opera documentaria, dal soggetto scomodo per il perbenismo alto-borghese come lo fu già La sala delle agitate nell’Ospedale di San Bonifazio e Il bagno penale a Portoferraio (1894, Firenze, Palazzo Pitti, Galleria d’Arte Moderna) cfr. Telemaco Signorini. Una retrospettiva, 1997, schede 149-150; I Macchiaioli, 2003, scheda 115.

405

L’arte all’esposizione del 1898, 1898, p. 287; Spalletti 1994, pp. 36-41, schede 35, 40; Telemaco Signorini. Una retrospettiva, 1997, p. 28; Americani a Firenze, 2012, scheda 62; Giappone, terra d’incanti. Giapponismo, scheda 30.

406

La definizione è di Mario Foresi in un articolo apparso sulla rivista «Natura e Arte» del 1905-06 che si può leggere in Lombardi 1995, p. 10.

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più incerte del giorno, quali l’alba e il tramonto, faceva apparire i personaggi come emanazioni concrete dell’anima dei luoghi. Nel 1898 espose I primi raggi (fig. 3.2), un’opera dall’inconsueto taglio compositivo che sembra far rotolare verso lo spettatore il gregge di pecore guardato dalle due pastore mentre la luce rosata dell’alba bagna le rocce, la vegetazione e il volto della donna nella parte alta della tela407.

La “figura cardine del passaggio tra Naturalismo” e Simbolismo fu tuttavia Plinio Nomellini che, dopo i primi studi livornesi e fiorentini, si era stabilito dal 1890 al 1902 a Genova diventando il principale animatore della città e perseguendo la strada del divisionismo, precocemente sperimentata tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta408. L’adesione del pittore livornese al divisionismo fu in realtà riconosciuta come un fatto più istintivo che programmatico che lo porterà a realizzare immagini permeate di interessi di natura intimista e simbolista già a partire dal 1896 con Sera di marzo (fig. 3.3) e con Ore quiete (1898, Firenze, collezione privata) che, insieme a Notturno, Di là dal mare, L’ora della cena, Estate in Liguria e Primavera antica,fu presentato a Torino dove subì una decisa stroncatura da parte della critica nazionalista, a causa della violenza cromatica raggiunta tramite le “crude lotte e (gli) atroci miscugli di tinte che non hanno né verità, né idealità”409

.

Se la sezione toscana della mostra torinese può essere interpretata come la conclusione del percorso ottocentesco della pittura toscana410, i pochi rappresentanti della scultura presentarono opere di genere, caratterizzate da un gusto classico, tardo-bartoliniano che coinvolse anche personalità

407

L’adesione al simbolismo del Cannicci è datata agli anni seguenti al suo ricovero presso l’ospedale psichiatrico di Siena nel 1893 cfr. Lombardi 1995, pp. 28-34, tav. 31.

408

La prima opera in cui Plinio Nomellini usò la tecnica del colore diviso è considerata il Fienaiolo (1888, Livorno, Museo Civico Giovanni Fattori) cfr. Comanducci 1962, pp. 939-940; E. Spalletti, La pittura dell’Ottocento in Toscana, in La pittura in Italia, 1990, pp. 357-358; Lombardi 2002, pp. 73-74.

409

Anton Maria Mucchi constatò l’assenza dei pionieri del divisionismo italiano, come Giovanni Segantini, Angelo Morbelli e Vittore Grubicy De Dragon, e la presenza di alcuni artisti che “si allontanano dal divisionismo teorico e abbracciano il divisionismo d’intenzione” cfr. A.M. Mucchi, Il divisionismo, in L’arte all’esposizione del 1898, 1898, pp. 171, 174; U. Fleres, All’esposizione di

belle arti. XVII. Gli audaci, in L’arte all’esposizione del 1898, 1898, pp. 226-227; Bruno 1982, pp. 71-73; La pittura a Genova e in Liguria, 1987, pp. 450-451.

410

Tale interpretazione è stata proposta per l’esposizione della Festa dell’Arte e dei Fiori, svoltasi a Firenze tra il 1896 e il 1897 cfr. E. Spalletti, La pittura dell’Ottocento in Toscana, in La pittura in Italia,1990, pp. 360-361.

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provenienti da altre regioni, come Domenico Trentacoste (fig. 3.4)411, che rimase lontano sia dal ductus scultoreo impressionista del lombardo Paolo Troubetzkoy412 sia dalle innovazioni simboliste, capaci di esprimere l’inquietudine della vita moderna di fine secolo, del piemontese Leonardo Bistolfi, vincitore del premio degli artisti con Il dolore confortato dalle memorie413.

411

Tra gli espositori toscani si trovano Oreste Chilleri e Antonio Natali, entrambi autori di opere di genere e di monumenti funerari, rispettivamente con la statua bronzea Discobulus e il gruppo marmoreo Facciamo Pace, e Italo Vagnetti, figlio d’arte, autore di opere di genere e celebrative dei personaggi del Risorgimento, che presentò la statua in gesso del Pescatore, già precedentemente esposta alla Promotrice torinese cfr. Elenco degli espositori. Divisione I. Belle Arti, in Esposizione generale italiana. Bollettino

ufficiale, 1898, n. 32, p. 4; Le belle arti all’esposizione generale, in L’esposizione generale italiana e d’arte sacra, 1898, nn. 21, 23,

38; Panzetta 2003.

La scultura classicheggiante del palermitano Domenico Trentacoste è testimoniata dalla Derelitta, presentata a Venezia nel 1895 con la quale si fece conoscere dal pubblico italiano, ma anche dal busto marmoreo Ave, esposto a Torino nel 1898 la cui “educata proporzionalità … tradisce la programmatica riduzione ‘toscana’ della lezione francese” che il Trentacoste ebbe occasione di apprendere durante il suo soggiorno a Parigi tra il 1880 e il 1885. Ugo Fleres infatti parlò di lui come “uno dei pochi scultori che lavora il marmo con finitezza antica” cfr. U. Fleres, All’esposizione di belle arti. Un giglio, in L’arte all’esposizione del 1898, 1898, pp. 129-130; V. Pica, Domenico Trentacoste, in L’arte all’esposizione del 1898, pp. 243-250; Catalogo della Galleria d’Arte Moderna del

Civico Museo Revoltella, 1970, p. 144; Scultori toscani del Novecento, 1980, pp. 329-331; Panzetta 2003, pp. 910-911.

412

L’ “apparenza pittorica impressionista” è la definizione usata da Ugo Fleres per le opere di genere presentate dal Troubetzkoy cfr. U. Fleres, All’esposizione di belle arti. Scultura minuta, in idem, pp. 137-138; Le belle arti all’esposizione generale, in

L’esposizione generale italiana e d’arte sacra. Rassegna popolare illustrata, 1898, n. 22.

413

La prima opera che consacra Leonardo Bistolfi come scultore simbolista è La Sfinge, eseguita tra il 1890 e il 1892 per il Monumento funerario della famiglia Pansa nel cimitero di Cuneo. All’epoca l’opera fu salutata come “il monumento più significativo ed espressivo del concetto della morte e dell’infinito nel pensiero moderno. In essa vi è tutto lo scetticismo sentimentale e l’inquietudine quasi morbosa dell’uomo moderno che si ripiega nel pensiero della morte e pone a sé il problema dell’infinito”. La critica più all’avanguardia dell’esposizione riconobbe ne Il dolore confortato dalle memorie di L. Bistolfi, modello in gesso scolpito per il monumento funerario della famiglia Durio, realizzato in bronzo nel 1901 per il cimitero di Madonna di Campagna presso Torino, il carattere pittorico e la derivazione fisionomica e degli atteggiamenti languidi delle figure dall’ideale della donna pre-raffaellita, e scorse nello scultore piemontese il precursore in Italia del gusto floreale e della sua applicazione architettonica cfr. U. Fleres, All’esposizione di belle arti. Scultura funebre, in L’arte all’esposizione del 1898, 1898, p. 98; E. Thovez,

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129 Fig. 3.1. T. Signorini, Prima del sole a Riomaggiore. Fig. 3.2. N. Cannicci, I primi raggi. Tratta da Tratta da L’arte all’esposizione del 1898. L. Lombardi, 1995.

Fig. 3.3. P. Nomellini, Sera di marzo. 1896, collezione Fig. 3.4. D. Trentacoste, Ave. 1898, foto

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§. 2. I ‘pionieri’ dell’Art nouveau nelle arti applicate.

L’esposizione delle oreficerie, allestita in “tre salette buie, in fondo alla galleria del mobilio e della seta”, risultò essere la più povera sia per numero di espositori, dei quali si lamentava l’assenza di importanti argentieri torinesi, sia per numero di oggetti esposti tra i quali si menzionano i servizi da tavola d’argento che, “messi nuovamente in voga dall’Inghilterra”, si andavano lentamente diffondendo nelle case più ricche414.

Abbastanza numeroso era il gruppo toscano, fiorentino in particolare, che si ripresentava con molti volti noti all’interno del panorama artigianale della nazione, come l’orefice Enrico Rinaldini, premiato con la medaglia d’argento per i “lavori di argenteria di commercio”, e con una produzione che non lasciava ampio spazio a forme e decorazioni che non fossero quelle legate ai revival storicisti, segno della scarsa incidenza che la Scuola Professionale di Arti Decorative Industriali aveva esercitato sulle industrie cittadine415.

Enrico Rinaldini, il personaggio più menzionato dalle fonti dell’epoca, si presentò con diversi servizi da tavola, da toeletta, da caffè e da tè lavorati in vari stili, dal “Luigi XV e rococò fino al modernissimo” tra cui un trionfo da tavola in argento cesellato, rivestito in oro e decorato secondo lo stile del Cinquecento, una “giardiniera … di gusto arcaico” con due putti seduti sulle due estremità dell’ovale nell’atto di suonare una zampogna e “un’infinità di ninnoli in cui l’arte della cesellatura raggiunge un alto grado e si sposa al buon gusto, all’eleganza del disegno e all’originalità del concetto”416

.

Augusto Coppini ottenne la medaglia di bronzo per la discreta esecuzione dei pochi oggetti d’argenteria di uso comune dei quali vengono ricordati soprattutto i vassoi e le cuccume decorati in

414

In Inghilterra lo stile Art Nouveau non fu utilizzato tanto nei pezzi in argento massiccio, per i quali si sceglievano ancora gli stili storici, quanto negli oggetti placcati che venivano realizzati industrialmente cfr. M. Antelling, L’arte industriale nella esposizione

italiana di Torino. Oreficeria, in «Arte italiana decorativa e industriale», n. 10, 1898, p. 77; Honour, North 1981, p. 48; Capitanio

1996, p. 177.

415

Catalogo generale dell’esposizione nazionale, Torino 1898; Premi conferiti agli espositori, 1898, p. 409; Capitanio 1996, p. 33.

416

F. Musso, L’oreficeria all’esposizione, inL’esposizione generale italiana e d’arte sacra. Rassegna popolare illustrata, Torino 1898,

n. 19; Benzi 1898, pp. 85-88; L’esposizione di Torino. Le industrie toscane, in «La Nazione», 7 maggio 1898, p. 1; M. Antelling, L’arte

industriale nella esposizione italiana di Torino. Oreficeria, in «Arte italiana decorativa e industriale», n. 10, p. 78; Capitanio 1996, p.

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ogni stile, genere nel quale la ditta Coppini viene definita “maestra” ancora alla fine degli anni Venti del XX secolo417. Per l’esposizione di Arte Sacra, allestita nello spazio che si stendeva al di là di corso Massimo D’Azeglio per celebrare vari anniversari religiosi piemontesi, il Coppini presentò un turibolo d’argento cesellato418

.

Il carattere prettamente artistico della produzione fu riconosciuto alla mostra di Luigi Pierret, orefice romano da poco tempo stabilitosi a Firenze che partecipava però fuori concorso419. Questi era il figlio del maestro gioielliere e bigiottiere Ernesto Pierret (Parigi 1824 – Roma 1870), ritenuto il miglior fabbricante di gioielli imitanti l’antico subito dopo il Castellani, anche se, rispetto a quest’ultimo, riprendeva solo dei singoli elementi decorativi dai gioielli antichi per adattarli alla nuova struttura formale dei monili moderni dando ad essi un carattere classico420. Luigi, come già aveva fatto all’esposizione di Torino del 1884, presentò la collezione di gioielli in stile archeologico che aveva reso famosa la bottega paterna, ma propose anche arredi preziosi, trionfi e centrotavola, cesellati a sbalzo, tra i quali è ricordata una “coppa in argento rappresentante i Dioscuri e due Vittorie” a cui probabilmente si riferisce il De Gubernatis quando cita una “bellissima Coppa cesellata in argento con figure … molto ammirata” dai visitatori421

.

Per comprendere l’abilità del Pierret figlio nell’arte del cesello e nella lavorazione delle pietre, in particolare dei rubini dai quali sapeva “trarre ottimi effetti”, si può osservare la “scrivania d’argento” e pietre preziose neo-cinquecentesca, donata al Papa dagli ex militari dell’esercito

417

A., Tra le oreficerie, in L’esposizione nazionale del 1898, 1898, pp. 306-307;Catalogo generale dell’esposizione nazionale, 1898; Premi conferiti agli espositori, 1898, p. 409; F. Musso, L’oreficeria all’esposizione, inL’esposizione generale italiana e d’arte sacra. Rassegna popolare illustrata, 1898, n. 20; Salvini 1927, pp. 81-83.

418

L’esposizione d’arte sacra era amministrativamente separata dall’esposizione generale ma era ad essa collegata tramite un cavalcavia che sovrastava Corso Massimo D’Azeglio cfr.Catalogo generale di arte sacra antica moderna applicata, 1898, sala C e D,

arte applicata; La mostra dell’arte sacra, in Esposizione nazionale 1898. Guida ufficiale, 1898, p. 24.

419

Il trasferimento è menzionato dal giornale dell’esposizione e da un foglio pubblicitario, pubblicato sul catalogo della Festa dell’Arte e dei Fiori tenutasi a Firenze nel 1896, visibile anche in Online Encyclopedia of Silver Marks, Hallmarks & Maker’s Marks, sul quale si apprende che il “Cav. Luigi Pierret, orafo di S. M. la Regina d’Italia” tiene la sua bottega a Firenze, in via Tornabuoni n. 19, presso il palazzo De Larderel cfr. Festa dell’arte e dei fiori. Catalogo della esposizione di Belle Arti, 1896, categoria IX, oreficerie, gioiellerie, argenterie; A., Tra le oreficerie, in L’esposizione nazionale del 1898, 1898, pp. 306-307; Capitanio 1996, pp. 177-178;

http://www.925-1000.comforumviewtopic.phpf=38&t=28030.

420

Lenti, Belgioioso 2005 , pp. 222-223.

421

A., Tra le oreficerie, in L’esposizione nazionale del 1898, 1898, pp. 306-307; De Gubernatis 1906, pp. 376-377; Bulgari 1959, p. 278.

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pontificio in occasione del Cinquantenario della prima Messa celebrata dal pontefice, eseguita a Roma e presentata in occasione dell’esposizione mondiale vaticana del 1888 (fig. 3.5)422

.

L’oggetto, insieme a tutti gli altri doni pervenuti in tale occasione, è conservato presso la Floreria del Palazzo Apostolico Vaticano ed è simile, per struttura e materiale, alla ‘scrivania’ eseguita da Giovan Battista Cristofanetti come dono della Nobile Anticamera Segreta423. L’opera di Pierret è costituita da un basamento ligneo decorato con una conchiglia d’argento, sul quale posano un tagliacarte d’argento e d’oro con una perla sulla sommità del manico, e una penna d’oro “a cannello”, cesellata e impreziosita di diamanti, di rubini e di un topazio, inciso con lo stemma papale, posto sulla sommità della penna. Sopra una cornice a palmette si eleva il piedistallo vero e proprio costituito dalle teste di cherubini angolari e, sul lato anteriore, dai volti in rilievo entro clipei di Cristo e dei santi avvocati del Papa, San Francesco, San Leone Papa, San Tommaso e San Gioacchino, mentre su quello posteriore dai clipei rappresentanti i quattro Evangelisti affiancanti l’Agnus Dei. Due anfore d’argento, lavorate a sbalzo, ricche di gemme e istoriate con volti di cherubini e simboli sacri, posano sul piedistallo e affiancano il pilastro centrale, fulcro strutturale e di esecuzione tecnica dell’intero oggetto, decorato con lo stemma papale realizzato in smalto azzurro, circondato da una fascia orizzontale di diamanti e sovrastato dal triregno d’argento e d’oro, impreziosito di gemme e perle, e dalle chiavi dorate. Quattro festoni di alloro scendono dalle teste dei quattro cherubini, posti sulla sommità degli spigoli del pilastro sopra il quale si erge la statuetta di San Michele Arcangelo che calpesta il Demonio.

Mario Bettini, la cui fabbrica impiegava settanta operai per la produzione di bigiotterie e di lavori in argento ad imitazione dei brillanti che venivano esportati anche nelle Americhe, in Spagna e in Germania, fu forse il solo espositore che non aderì alla presentazione degli objects de vêrtu che

422

Aus., Scrivania offerta dall’ufficialità dell’esercito pontificio, in Esposizione mondiale vaticana. Giornale illustrato, 1888, pp. 68-70; U. F., Scrivania d’argento offerta dagli ex militari dell’esercito pontificio, in L’esposizione vaticana illustrata, 1888-90, p. 199; F. Musso, L’oreficeria all’esposizione. III, in L’esposizione generale italiana e d’arte sacra. Rassegna popolare illustrata, 1898, n. 20.

423

G. Sacchetti, Il dono a Leone XIII della “Nobile Anticamera Segreta” per il giubileo sacerdotale del 1888, in «Strenna dei Romanisti», n. 55, 1994, pp. 465-471, fig. p. 467. La rivista è visibile anche online sul sito dell’Università Telematica di Scienze Umane “Niccolò Cusano”: www.unisu.tv/strennaromanisti/. Nella guida pubblicata a Roma nel 1888 sono descritti ai numeri 31 e 33 come “completo servizio vescovile in argento dorato, bello sotto ogni altro aspetto” cfr. Piccola guida della esposizione vaticana

(9)

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coinvolse in generale gli altri partecipanti ma fu notato soprattutto per le “collane egiziane in oro”424

.

I motivi floreali, già molto utilizzati nella gioielleria nel corso della seconda metà del XIX secolo, in seguito alla diffusione del Naturalismo, trovarono nuovo impulso negli anni Novanta e soprattutto nei primi decenni del XX secolo con l’affermarsi dell’Art Nouveau per la creazione di vari monili, come gli orecchini, le spille a barre e i pettinini per le acconciature femminili. Sono probabilmente da annoverarsi tra questi ultimi i “fiori per testa” per la cui esecuzione Oreste Graziosi ricevette la menzione onorevole; non possedendo ad oggi nessuna fonte grafica e nessuna descrizione più specifica di tali manufatti, si può solo ipotizzare l’adesione o meno allo stile floreale del Graziosi425.

Di “vere novità” nei fiori e negli uccelli si parla invece per i mosaici esposti da Giovanni Ugolini, premiato con la medaglia d’oro per la finezza esecutiva fino ad allora mai raggiunta, ma, dato che i motivi floreali erano già stati proposti nella sua produzione di gioielli musivi, è logico domandarsi se tale ‘novità’ consistesse in un’adesione allo stile floreale o, più verosimilmente, ad un miglioramento della tecnica, a cui si fa cenno nella motivazione del premio426.

Considerando infatti l’ammissione di Federico Musso riguardo al mancato progresso nell’arte orafa, l’auspicio per un rinnovamento produttivo verso lo stile floreale che Enrico Thovez formulò proprio in occasione dell’esposizione del 1898 e la tendenza generale degli argentieri e orafi fiorentini a riproporre gli stili storici, che in alcune città come Napoli e Valenza cominciavano invece ad essere

424

Benzi 1898, pp. 85-88; F. Musso, L’oreficeria all’esposizione, in L’esposizione generale italiana e d’arte sacra. Rassegna popolare

illustrata, 1898, n. 20; Capitanio 1996, p. 178.

425

Tra gli orecchini ebbe un notevole successo il disegno costituito da una cascata di fiori a forma di campanula, a grandezza digradante e in diamanti, mentre a fine secolo fu creata la spilla a barra che, nella forma più semplice, presentava l’aspetto di una barretta d’oro decorata al centro o alle estremità con motivi floreali cfr. Catalogo generale dell’esposizione nazionale, Torino 1898;

Premi conferiti agli espositori, Torino, 1898, p. 409; Gioielli dell’Ottocento, 1984, pp. 74-78; Capitanio 1996, pp. 19-20; Lenti,

Bergesio 2005, pp. 155-156.

426

Giovanni Ugolini, dopo la partecipazione all’esposizione di Torino del 1884, inviò i suoi prodotti a quella di Anversa 1885, di Londra 1888 e di Palermo 1891-92. Nella prima edizione del catalogo dell’esposizione di Torino del 1898 si legge che G. Ugolini espose, oltre ai tavoli col ripiano lavorato a mosaico, anche i “mosaici montati in oro, anticaglie ed oggetti artistici” cfr. Esposizione

universale di Anversa del 1885. Catalogo generale, 1885, classe XXXIV, gioielleria e bigiotteria;Ambrosi 1888, sezione B, categoria F, lavori in mosaico; L’esposizione nazionale illustrata di Palermo, 1892, pp. 67, 70; Palermo e l’esposizione nazionale del 1891-92, 1892, p. 302; Esposizione nazionale di Palermo 1891-92, Catalogo generale, ristampa 1991; Catalogo generale dell’esposizione

nazionale. Torino 1898, 1898, prima edizione, p. 33; Premi conferiti agli espositori, 1898, p. 411; Rivista a volo d’uccello. XVII, in L’esposizione generale italiana e d’arte sacra. Rassegna popolare illustrata, 1898, n. 27; L’esposizione di Torino. Le industrie toscane, in «La Nazione», 6 maggio 1898, p. 1.

(10)

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affiancati al Liberty, è molto probabile che i motivi floreali dei due artigiani siano ancora da annoverarsi all’interno del gusto del naturalismo427

.

Fig. 3.5. E. Pierret, Scrivania offerta dall’ufficialità dell’esercito pontificio. Tratta dal giornale dell’esposizione vaticana, 1888.

Le prime manifestazioni artistiche toscane di Art Nouveau si presentarono a Torino nell’arte del mobilio, ma soprattutto nella produzione ceramica.

All’interno della galleria delle industrie manifatturiere, “dalle tappezzerie e dai tendaggi rosso cupo”, i mobili e gli oggetti in stile furono ampiamente riproposti dai maggiori stabilimenti italiani,

427

Tra i gioiellieri italiani d’avanguardia Federico Musso nominava i napoletani Vincenzo Miranda e Vittorio Emanuele Centonze, proprietari di uno studio nella città partenopea fin dagli anni Ottanta, mentreEnrico Thovez auspicava che l’esposizione del 1898 potesse rappresentare per l’Italia l’inizio di un rinnovamento rivolto verso il nuovo gusto affermatosi già in Europa e in America cfr. F. Musso, L’oreficeria all’esposizione, in L’esposizione generale italiana e d’arte sacra. Rassegna popolare illustrata, 1898, n. 18; E. Thovez, Il rinascimento delle arti decorative, in L’arte all’esposizione del 1898, 1898, pp. 30-32; Capitanio 1996, pp. 19-20; L. Lenti, Il

liberty, rinnovamento dello stile e dei modelli nella gioielleria italiana del primo novecento. La «fabbrica di oreficerie e gioiellerie Melchiorre e C.», in Gioielli in Italia, 1996 , pp. 103-107; Lenti, Bergesio 2005, pp. 71-72, 155-156, 186-187.

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ribadendo in tal modo l’attaccamento ad una tradizione secolare che faceva fatica ad essere superata, anche se le lodi e gli apprezzamenti del pubblico trovarono un avversario temibile nel nuovo gusto ‘floreale’ che lentamente dall’Inghilterra e dall’Europa centro-settentrionale si stava diffondendo anche in Italia con un ritardo di circa dieci anni428. Proprio nel 1898 infatti Camillo Boito, dalle pagine della rivista da lui diretta, l’«Arte Italiana Decorativa e Industriale»429, dava il suo beneplacito affinché l’ispirazione e lo studio diretto della natura potessero entrare negli Istituti di Belle Arti e nelle Scuole di arte applicata all’industria, affiancando lo studio dei modelli antichi. I mobili e le intere stanze arredate in stile inglese o Art Nouveau furono presentate soprattutto dalle ditte del nord Italia, Milano, Genova e Torino, che in alcuni casi esponevano prodotti innovativi non solo dal punto di vista dell’ornamentazione, ma anche da quello della forma che cominciava a semplificarsi e ad assumere linee curve430.

I mobilieri toscani si presentarono all’esposizione di Torino con una produzione di alta qualità, basata prevalentemente sullo stile quattro-cinquecentesco della quale ci offre una splendida testimonianza lo stabilimento fiorentino, artistico-industriale di Giovanni Berardi, in attività dal 1865 fino al secondo decennio del XX secolo inoltrato, premiato con la medaglia d’oro431

.

Tra i mobili in stile, il Berardi, probabilmente l’anonimo “fabbricante di Firenze” a cui fa riferimento Mara Antelling, presentò un’intera sala da pranzo in legno di noce, ispirata al gusto cinquecentesco ed ammirata per la “purezza di linee” e per la “finezza dell’intaglio” che suscitò l’ammirazione dei sovrani (fig. 3.6)432

. La sala era stata acquistata dal marchese Giulio Malenchini

428

Ercole Bonardi ricorda infatti i pochi acquisti che il pubblico fece dei mobili di Rocco Focà, come già era avvenuto all’esposizione di Bruxelles per il suo maestro Luigi Frullini, visto che “il pubblico (è attratto) dagli oggetti che rappresentano la tendenza del momento (come) la mobilia inglese … le stoffe dai fiori stilizzati … (il gusto per) l’Oriente magari cucinato in salse nuovissime” cfr. M. Antelling, L’arte industriale nell’esposizione italiana di Torino. I mobili, in «Arte italiana decorativa e industriale», n. 9, 1898, p. 69-71;E. Bonardi, Fra gli intagli artistici. Rocco Focà, in L’esposizione nazionale del 1898, pp. 130-131; G. Cena, L’arte nei mobili, in «La Stampa. Gazzetta Piemontese», 9 luglio 1898, pp.1-2; De Guttry, Maino 1983, pp. 15-16; Chiarugi 1994, vol. 1, pp. 357, 359, 484-485; 1898. L’esposizione generale italiana, 1999, pp. 80-81.

429

C. Boito, L’arte italiana e l’ornamento floreale, in «Arte italiana decorativa e industriale», n. 1, 1898, pp. 3-5.

430

De Guttry, Maino 1983, pp. 20-24.

431

Esposizione generale italiana. Torino 1898. Bollettino ufficiale, 1898, n. 48, p. 4; Chiarugi 1994, vol. 2, p. 417; Premi conferiti agli espositori, Torino, 1898, sezione X, mobili ed utensili in legno, p. 367; Salvini 1927, pp. 191-194.

432

Claudio Paolini ricorda il pericolo che “si verifica quando la finzione dell’allestimento (in stile) giunge a concretizzare così bene l’idea dell’interno rinascimentale”: sarà infatti quest’ultima “ … e non la reale testimonianza del tempo” ad essere indicata come modello cfr.L’esposizione di Torino. Le industrie toscane, in «La Nazione», 6 maggio 1898, p. 1; M. Antelling, L’arte industriale nell’esposizione italiana di Torino. I mobili, in «Arte italiana decorativa e industriale», n. 1, 1898, p. 72; G. Cena, Le riviste

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la cui famiglia si riforniva presso lo stabilimento Berardi in occasione del restauro del palazzo Malenchini Alberti di Firenze433 e può essere considerata il biglietto da visita della ditta che, produttrice di mobilia comune, si occupava anche dell’allestimento degli ambienti, dalla tappezzeria alla fabbricazione di oggetti particolarmente elaborati. La sala si presentava con le pareti rivestite di broccato rosso con pattern giallo a imitazione dell’oro che sovrastava una boiserie lignea a scomparti scolpiti e intarsiati, caratterizzata da un motivo a colonnine corinzie, alternate a cornici rettangolari sostenenti degli archi a pieno centro. Il fregio, sviluppato sotto il soffitto “a cassettoni incastonati d’intarsi ed intagli a rosoni”, era ornato da animali alati affrontati con al centro un elemento fitomorfizzante. La decorazione a intaglio e a “ … tarsia di legno giallo (d’acero) lavorato a tratti neri di penna” che caratterizzava gli ‘specchi’ delle quattro porte, il buffet, il candelabro e l’armadio “con vetri pellucidi a piombatura”, era stata realizzata sulla base dei disegni forniti da Guido Berardi, uno dei tre figli di Giovanni, fondatore dello stabilimento434.

Le porte erano affiancate da due mezzi pilastri decorati col classico motivo delle candelabre che sostenevano due colonne con decorazioni fitomorfe a rilievo nella parte inferiore del fusto e con scanalature in quella superiore che terminava con un capitello corinzio. Il fregio soprastante, ornato di rilievi fito-zoomorfi, sosteneva un timpano semicircolare, spezzato al centro dove era stata scolpita in altorilievo una piccola edicola. Il motivo delle candelabre si ripeteva ad intarsio all’interno delle cornici mistilinee dei due specchi della porta, in quelle del buffet, alternate in questo caso a pilastri scanalati con capitelli ionici e a quelli più alti con capitelli corinzi, e alle strette lesene dell’armadio; così come il timpano spezzato era ripreso sulla sommità del buffet che ospitava la figura di un giovane nudo e alato, seduto su una ghirlanda nell’atto di porgere una coppa con la mano sinistra. La stanza era inoltre composta da un grazioso e alto candelabro il cui fusto era

all’esposizione. I mobili, in «La Stampa. Gazzetta Piemontese», 19 agosto 1898, pp. 1-2; C. Paolini, L’elaborazione dell’interno abitato: dall’idea pittorica e letteraria alle dimore reali, in L’idea di Firenze, 1986, pp. 180-183.

433

Chiarugi 1994, vol. 2, pp. 416-417; www.bonhams.com/eur/auction/17831/lot/59/.

434

I mobili all’esposizione generale italiana Torino 1898, Torino 1898, serie I, tav. 23; L’esposizione di Torino. Una ditta fiorentina, in

«La Nazione», 3 ottobre 1898, p. 2; F. Carandini, I mobili, in L’esposizione nazionale del 1898, Torino, 1898, pp. 270-271; Rivista a

volo d’uccello, in L’esposizione generale italiana e d’arte sacra. Rassegna popolare illustrata, 1898, n. 13; Chiarugi 1994, vol. 2, pp.

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decorato da foglie e putti, in atto di arrampicarvisi, e da un massiccio tavolo, sostenuto da una fila centrale di quattro colonne corinzie e da quattro zampe angolari, costituite da diversi elementi scultorei e unite alle due colonne delle estremità da una base lignea a più gradini.

La ditta Berardi rientrava tra quei pochi stabilimenti fiorentini che tra gli anni Ottanta del XIX secolo e il primo decennio del nuovo secolo si erano organizzati in senso industriale, abbandonando le dimensioni artigianali che ancora caratterizzavano la maggior parte delle botteghe di intagliatori e mobilieri presenti in città e nell’intera regione, grazie all’impiego dei macchinari per la lavorazione del legno e al lavoro dei nove operai impiegati435.

Oltre alla produzione in stile, i Berardi si presentarono con alcuni mobili che, dall’immagine riprodotta nell’album dei mobili esposti a Torino e dalle descrizioni a disposizione436

, si avvicinavano al gusto moderno inglese, caratterizzato dall’equilibrio tra la decorazione, spesso ispirata alla natura, la funzionalità e il comfort del mobile, come già aveva raccomandato Alfredo Melani nel 1889 e come ripeterà Mario Salvini nel 1927437; il cronista de «La Nazione» fa riferimento infatti ad una “camera Pich pine alla inglese che racchiude tutte le … trovate del comfort”438

.

L’adesione dei Berardi al nuovo stile si riscontra in alcuni mobili in larice chiaro verniciato di una camera, riprodotta sull’album precedentemente menzionato (fig. 3.7 a), in particolare nei due cassettoni con specchio e nell’armadio costruiti secondo una semplicità e una linearità nei volumi

435

I mobili all’esposizione generale italiana Torino 1898, 1898, serie I, tav. 23; L’esposizione di Torino. Una ditta fiorentina, in «La

Nazione», 3 ottobre 1898, p. 2; Chiarugi 1994, vol. 1, pp. 18-19.

436

I mobili all’esposizione generale italiana Torino 1898, 1898, serie I, tav. 22; Chiarugi 1994, vol. 2, p. 416.

437

Alfredo Melani, uno tra i sostenitori del rinnovamento artistico delle arti decorative insieme a Camillo Boito, Enrico Thovez e Vittorio Pica, individuava il carattere artistico dell’oggetto “ … nel savio e stabile contemperamento dell’utilità con la bellezza” che i moderni artefici non perseguono cadendo così “ … nel difetto di sacrificare l’uso all’arte … : così si vedono sedie e panchetti troppo ornati, dove mettersi a sedere è pericoloso …”. La sovrabbondanza degli ornati ‘pericolosi’ , riscontrata anche da un anonimo espositore intervistato da Giovanni Cena nel 1898, era già stata espressa da Camillo Boito in occasione dell’esposizione nazionale di Milano del 1881 e sarà ripresa da Mario Salvini anche nel nuovo secolo. Quest’ultimo infatti caratterizzerà i mobili moderni come “tutti lisci, a linee dritte, senza intagli, o per lo meno con intagli bassissimi … (La linea, le masse dei volumi e i materiali impiegati) possono contribuire alla bellezza estetica; per esempio: le più ricche e rare qualità di legnami, le colorazioni delle varie radiche, la disposizione dei pannelli e delle venature del legname, la parsimonia degli intarsi e le filettature in metallo, le applicazioni delle bocchette delle chiavi e delle maniglie … ma soprattutto la perfetta tecnica del lavoro e la nessuna finzione, in modo che il mobile non sia ben eseguito e ornato soltanto di fuori, ma che lo sia anche nell’interno … e che sia solidamente costruito. Questo è uno dei grandi meriti degli inglesi“ cfr. G. Cena, L’arte nei mobili, in «La Stampa. Gazzetta Piemontese», 9 luglio 1898, p. 2; De Guttry, Maino 1983, p. 18;Salvini 1927, pp. 190-191.

438

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che veniva ulteriormente sottolineata dall’inserimento, sui cassetti e sugli sportelli, di mattonelle quadrangolari in ceramica bianca, recanti un disegno centrale azzurro, delle quali Francesco Carandini auspicava un utilizzo anche sui ripiani del cassettone, della toeletta e dei tavolini da notte, in sostituzione del più classico marmo439. Per le ceramiche Simone Chiarugi ha ipotizzato una provenienza fiorentina, in particolare dalla manifattura di Galileo Chini la cui collaborazione con diversi costruttori di mobili è testimoniata dai primi decenni del XX secolo ma alla quale vengono attribuite le ceramiche a motivi floreali stilizzati che decorano un comodino e un cassettone in pitch pine datati tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, riproposti alla mostra su Galileo Chini svoltasi a Viareggio nel 2010440 (fig. 3.7 b).

La timida sperimentazione del nuovo gusto che si ebbe in Toscana alla fine del XIX secolo s’inseriva comunque in un contesto culturale nazionale che, nonostante la consapevolezza che il rinnovamento industriale necessitasse di una drastica rottura con i modelli del passato, sarebbe rimasto legato alla tradizione storicista ancora per diversi anni, in parte visibile anche alla mostra di Torino del 1902, la prima esposizione interamente dedicata alle arti decorative e al gusto floreale441, alla quale partecipò lo stabilimento Berardi insieme alle altre realtà regionali che non erano rimaste immuni a tale rinnovamento stilistico, come la ditta dei fratelli Morandi di Firenze, l’officina Staccioli di Cascina442 e quella di Franco Spicciani a Pescia443.

439

F. Carandini, I mobili, in L’esposizione nazionale del 1898, 1898, p. 270.

440

Il comodino e il cassettone fanno parte dell’arredamento di una camera per la cui realizzazione sono state ipotizzate la ditta Spicciani di Pescia e la Società per Azioni Aemilia Ars, fondata ufficialmente a Bologna nel 1898 da un gruppo di artigiani che, coordinato dall’architetto Alfonso Rubbiani, si era già reso protagonista dei lavori di restauro e di decorazione delle cappelle della chiesa di San Francesco e di alcuni palazzi e castelli cittadini fin dalla seconda metà degli anni Ottanta, affiancando ai revival storici, le più moderne tendenze stilistiche “floreali-simboliche” cfr. Chiarugi 1994, vol. 1, p. 359, vol. 2, p. 416; G. Cefariello Grosso, Galileo

Chini e la rinascita delle arti decorative, in Galileo Chini. Ornamenti ceramici per architettura e arredamento, 1983, tavv. 31-32; O.

Ghetti Baldi, Arts and Crafts a Bologna, in Aemilia Ars, 2001, pp. 54-72; Galileo Chini e la Toscana, 2010, tavv. 34-35, p. 280.

441

M. Antelling, L’arte industriale nell’esposizione italiana di Torino. I mobili, in «Arte italiana decorativa e industriale», n. 9, p. 71; De Guttry, Maino 1983, pp. 19-21; Paolini, Ponte, Selvafolta 1994, pp. 477-479; R. Bossaglia, La sezione italiana, in Torino 1902, 1994, pp. 411-419.

442

L’officina Staccioli fu fondata nella seconda metà del XIX secolo a Cascina dove l’intagliatore livornese Jacopo Staccioli si era trasferito nel 1870 da Livorno per dirigere la fabbrica di mobili di Emilio Bertini, prima di aprire un proprio opificio. Lo stabilimento Staccioli partecipò all’esposizione di Torino del 1902 sotto la direzione del figlio di Jacopo, Egisto cfr. Chiarugi 1994, vol. 1, p. 20, vol. 2, p. 552.

443

La ditta di Franco Spicciani ebbe origine dalla bottega di falegnameria aperta a Pescia nel 1875 ma si sviluppò solo a partire dal 1898 con l’entrata in bottega dei figli Luigi, amministratore e coordinatore delle attività commerciali, e Carlo, direttore artistico. Esordì in ambito nazionale all’esposizione di Torino del 1902 partecipando al gusto Liberty cfr.Chiarugi 1994, vol. 1, pp. 359, 368; A. Belluomini Pucci, Franco, Luigi e Carlo Spicciani. Storia di una produzione esemplare, in Belluomini Pucci, Borella 2006, pp. 63-69.

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La ditta Morandi fu fondata negli anni Ottanta e il pregio dell’intaglio nei mobili e negli arredi le valse la medaglia di bronzo in occasione dell’esposizione torinese dove si presentò con la produzione in stile, moderna e da giardino444. Nel primo e nel terzo caso sono menzionati rispettivamente il “sedile pompeiano”, ritenuto “un gioiello per trovata di linea e per esecuzione scultorea e d’intarsio”, e il “bellissimo sedile scolpito con Fauno” che apparteneva alla produzione dei mobili da giardino445. Per quanto riguarda invece la mobilia moderna il riferimento è ad un tipo di sedia realizzata in legno curvato e compensato, del quale i fratelli Morandi avevano il brevetto, che era allora in uso nei locali pubblici della città facendo così concorrenza ai prodotti importati da Vienna, ma di cui non fu fatta nessuna menzione in occasione dell’esposizione446

.

La riconferma in ambito nazionale dell’abilità delle botteghe d’intaglio toscane è testimoniata dalla medaglia d’argento con la quale la giuria premiò il cofanetto con quattro figure d’angolo, intagliato secondo lo stile del Cinquecento447, presentato da Tito Corsini, proprietario della sola bottega d’intaglio che, negli anni Novanta, era riuscita a rimanere in attività a Siena con una certa continuità, seguendo la tradizione dei mobili in stile grazie soprattutto alle richieste del mercato straniero448.

La Nuova Sala delle Adunanze del Monte dei Paschi di Siena, progettata da Giuseppe Partini449 e inaugurata nel 1897, è l’esempio di come tale tradizione si fosse radicata nella città, trovando ancora molti consensi tra il pubblico ma facendo rimanere l’attività dell’intaglio praticamente al di fuori del nuovo gusto internazionale. L’esecuzione dell’arredamento ligneo della Sala, che come la sua decorazione si voleva “ … in perfetto accordo con la mobilia e con lo stile architettonico

444

G. Cena, Le riviste dell’esposizione. I mobili, in «La Stampa. Gazzetta piemontese», 19 agosto 1898, p. 1; Premi conferiti agli

espositori, Torino, 1898, p. 374; Chiarugi 1994, vol. 2, p. 514.

445

I mobili, in L’esposizione generale italiana e d’arte sacra. Rassegna popolare illustrata, n. 44; Rivista a volo d’uccello, in L’esposizione generale italiana e d’arte sacra. Rassegna popolare illustrata, 1898, n. 13, n. 23.

446

Gli artigiani austriaci e tedeschi, interpreti dello stile Biedermeier, erano i maggiori produttori di mobili in legno compensato e curvato, insieme agli statunitensi cfr.Salvini 1927, pp. 200-202; Chiarugi 1994, vol. 2, p. 514; Fleming, Honour 2004, p. 380.

447

Premi conferiti agli espositori, 1898, pp. 371, 375; Catalogo generale dell’esposizione nazionale, 1898, prima edizione, p. 23.

448

Bollettino ufficiale, n. 48, p. 4; Chiarugi 1994, vol. 1, p. 313.

449

Giuseppe Partini (1842-1895) fu il principale esponente dell’architettura purista e del restauro in stile neotrecentesco e neoquattrocentesco. Allievo ed erede di Lorenzo Doveri, insegnante di architettura presso l’accademia di belle arti di Siena, fu l’autore dei restauri degli edifici pubblici e privati sparsi nella provincia di Siena, dei quali si può ricordare quello del Duomo (1867-95). Nel corso degli anni Ottanta fu insignito di diversi incarichi da parte del Governo Italiano, rivolti sia allo sviluppo e all’insegnamento dell’arte industriale sia alla conservazione del patrimonio storico-artistico cfr. Giuseppe Partini, 1981.

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dell’edificio nel quale è situata …”, fu affidata a scultori già affermatisi come Carlo Bartolozzi450 e Tito Corsini che nel corso dell’ultimo decennio del XIX secolo riforniva il mercato estero con le sue cornici intagliate ed eseguiva lavori ex novi e di restauro per le istituzioni religiose e laiche della città451.

Giovacchino Corsi, doratore e costruttore di oggetti in pastiglia452, presentò al pubblico dell’esposizione delle cornici dorate che facevano parte del repertorio della sua bottega che spesso lambiva i confini della falsificazione delle opere d’arte (fig. 3.8). Il pittore-falsario Icilio Federico Joni, in un passo delle sue Memorie, ricorda infatti un episodio legato alla sua collaborazione col Corsi nel Palazzo Comunale quando quest’ultimo, dopo essere stato attratto da un cofanetto in pastiglia e granito, ne aveva rilevato dei calchi di cera ai quali successivamente si sarebbe ispirato per eseguirne di nuovi. Gli anni tra il XIX e il XX secolo, prima del lento declino che si abbatté sulla bottega Corsi dal 1910, furono quelli di maggior fortuna per la sua attività grazie alle richieste che provenivano dal tessuto artistico, artigianale e antiquariale di Siena, dai restauratori di dipinti italiani e dai musei stranieri453.

Con l’affermarsi del gusto moderno nell’arredamento, anche a Firenze i mobili in stile eseguiti dalle botteghe cittadine, a quanto riferisce amaramente Gian Battista Prunaj nei primi anni del XX secolo parlando della bottega di Andrea Baccetti, sembrano interessare soltanto “i miliardari d’oltreoceano”. L’intagliatore fiorentino Baccetti, presentatosi a Torino con alcuni mobili e

450

Carlo Bartolozzi, agli inizi degli anni Sessanta, aveva aperto una società per la fabbricazione di mobili artistici insieme a Nicodemo Ferri, con sede a Siena e con succursali a Roma e Firenze aperte negli anni successivi. La società fu però osteggiata da Luigi Mussini per l’uso sovrabbondante e ‘realistico’ degli elementi decorativi che si scontrava con le teorie del Purismo elaborate dal vecchio maestro e, al suo scioglimento agli inizi degli anni Ottanta, C. Bartolozzi fece ritorno a Siena dove alla fine degli anni Novanta gli furono assegnati i lavori più importanti della Nuova Sala delle Adunanze come il parietale a destra dell’ingresso, le porte lignee intagliate, il caminetto e il mobile in mezzo alle due finestre. Tito Corsini si occupò invece del banco e del seggio presidenziale e di quelli dei funzionari cfr. Giuseppe Partini, 1981, pp. 187-188; Chiarugi 1994, vol. 1, fig. 420, vol. 2, pp. 412, 470; E. Spalletti, La definizione dell’immagine della città. Il tramonto dell’ “unità di indirizzo” e le nuove vie della ricerca artistica

(1875-1890), in La cultura artistica a Siena nell’Ottocento, 1994, pp. 406-407, 475-476.

451

E. Spalletti, La definizione dell’immagine della città. Il tramonto dell’ “unità di indirizzo” e le nuove vie della ricerca artistica

(1875-1890), in La cultura artistica a Siena nell’Ottocento, 1994, pp. 471-472, 567-569.

452

La pastiglia è un impasto di gesso, polvere di marmo e colla che veniva steso su una tela, precedentemente applicata sulla superficie lignea, e poi dipinto. Fu utilizzata prevalentemente per eseguire gli ornamenti dei mobili tardo-gotici e rinascimentali che venivano modellati a bassorilievo prima di essere dipinti o dorati. La lavorazione dello stucco a pastiglia era impiegata anche nella decorazione dei cofanetti usati per contenere il denaro e gli oggetti preziosi, delle cornici e dei tabernacoli cfr. Enciclopedia

universale dell’arte, vol. 13, 1965, pp. 317-318, 332-333.

453

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bassorilievi lignei, era considerato, non a torto, l’erede di Luigi Frullini data la sua abilità nell’attività dell’intaglio in legno454

. La sua capacità di realizzare mobili in ogni stile e di caratterizzarli in senso fantastico e monumentale455 gli valse la collaborazione con Gabriele D’Annunzio che si rivolse a lui per l’arredamento scenico della Francesca da Rimini, tragedia in cinque atti che debuttò a Roma nel 1901456.

Fig. 3.6. Stabilimento artistico-industriale Berardi, Sala da pranzo. Tratta da I mobili all’esposizione generale

italiana, tav. 23, 1898. © Copyright Comune di Milano – tutti i diritti di legge riservati.

454

Andrea Baccetti si presentò a Torino con alcuni mobili e bassorilievi lignei. La sua adesione al recupero decorativo neorinascimentale è ben visibile nelle riproduzioni di alcuni suoi mobili che illustrano l’articolo del Prunaj, riprodotte e datate tra gli anni Ottanta e Novanta del XIX secolo in Chiarugi 1994. In particolare è evidente il modello del maestro Luigi Frullini sia in alcuni bassorilievi con le rappresentazioni di putti quali allegorie dell’autunno, dell’estate e della primavera, sia nelle decorazioni vegetali di alcuni pannelli che ricordano gli ornamenti eseguiti dal Frullini per alcune sedie presentate all’esposizione di Vienna del 1873, precedentemente ricordate cfr. Catalogo generale dell’esposizione nazionale, 1898, prima edizione, p. 62; G. B. Prunaj, Andrea

Baccetti e la scultura in legno, in «Natura ed arte», n. 25, 1903-1904, pp. 247-254; Chiarugi 1994, vol. 1, pp. 316-317, 359-370.

455

Simone Chiarugi fa qui riferimento alla sala da pranzo, databile agli inizi degli anni Novanta, piuttosto che all’armadio-libreria riprodotto nel volume di A. M. Cito Filomarino che risulta molto più fedele ai prototipi strutturali e decorativi del Cinquecento. Le sedie, il caminetto e il tavolo della sala da pranzo sono sostenuti da elementi zoomorfi, come le zampe e il muso di un leone, oppure da vari mascheroni che decorano il fregio del camino; cfr.G. B. Prunaj, Andrea Baccetti e la scultura in legno in «Natura ed arti», n. 25, p. 251; Cito Filomarino 1969, p. 231; Chiarugi 1994, vol. 1, p. 359, vol. 2, p. 397.

456

La tragedia fu rappresentata per la prima volta al Teatro Costanzi di Roma dalla Compagnia di Eleonora Duse e Gustavo Salvini e fu pubblicata in volume dall’editore Treves in quello stesso anno con un’edizione curata dallo stesso D’Annunzio e corredata dalle xilografie di Adolfo de Carolis.Alla prima di Torino del 1902, che aveva seguito le rappresentazioni fiorentine e romane, la stampa giornalistica, nel ricordare gli interpreti e tutti i collaboratori che avevano realizzato lo spettacolo, menziona in maniera generica gli “artefici fiorentini”, responsabili di “parte dell’arredo” che costò al Baccetti “ … studio e … ricerche (per) molti degli oggetti formanti cornice alla tragedia … (che fingono) si squisitamente il vero con la forza dell’illusione che proveniva, ad esempio, dall’arca istoriata, di che fiorisce il mistico rosario, nelle case dei Polentani al primo atto” cfr. Arti e scienze. La “prima” di Francesca da Rimini

, in «La Stampa. Gazzetta Piemontese», 15 gennaio 1902, p. 2; Francesca da Rimini, tragedia in 5 atti, in versi di Gabriele D’Annunzio , in «La Nazione», 28 dicembre 1901, pp. 2-3;Prunaj 1903-1904, p. 253; Chiarugi 1994, vol. 2, pp. 397-398; De Vendittis 2005, pp. 59-84; http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerAnnoSintesi.php?year=1901.

(18)

142 Fig. 3.7 a. Mobili con mattonelle in ceramica (particolare). Stabilimento artistico-industriale Berardi.

Tratto da I mobili all’esposizione generale italiana, tav. 22, 1898. © Copyright Comune di Milano – tutti i diritti di legge riservati.

(19)

143 Fig. 3.8. G. Corsi, Cornice. 1900 ca, Siena. Foto d’epoca. Tratta da S. Chiarugi, 1994.

Fulcro spaziale della galleria delle industrie manifatturiere era “il tempio dei sogni”457

, la sala ottagonale “di sorprendente novità architettonica” che richiamava vagamente alla memoria una costruzione moresca con le tre arcatelle minori che sovrastavano l’arcata semicircolare dell’anello interno sorretta da pilastri compositi e con l’ordine di archeggiature minori che salivano fino alla lanterna in ferro e vetro della cupola458. Qui si trovavano esposti i prodotti dell’arte vetraria e ceramica che, grazie soprattutto alle tradizionali case ceramiche come la Cantagalli o la Richard-Ginori, e alle manifatture sviluppatesi di recente come quella di Signa e la ditta Salvini, riproducevano tutti gli stili e le opere d’arte del passato459

.

La manifattura delle terrecotte artistiche di Signa ottenne proprio a Torino il suo primo importante successo in ambito nazionale dopo che nel 1895 la vecchia fornace di laterizi impiantata da Angelo Bondi era stata trasformata dal fratello Camillo, uomo di vasta cultura, estimatore del Quattrocento e animatore del salotto di Camerata, in una fabbrica volta alla riproduzione delle opere più note del

457

Musso 1897-98, p. 54; Gli edifizi dell’esposizione, in Esposizione generale italiana. Torino 1898. Bollettino ufficiale, 1898, n. 12, p. 1.

458

M. Ceradimi, I tre maggiori edifici, in L’esposizione nazionale del 1898, 1898, pp. 69-70.

459

L’ottagono. Ceramica e vetreria in L’esposizione italiana generale e d’arte sacra. Rassegna popolare illustrata, 1898, n. 27; 1898. L’esposizione generale italiana, 1999, p. 82.

(20)

144

passato. Nel 1896 i fratelli Bondi parteciparono alla Festa dell’Arte e dei Fiori di Firenze dove esposero per la prima volta vasi, sedili, busti e statue da interno e da giardino basati su un repertorio di modelli classici e quattrocenteschi che trovarono un largo consenso all’interno della cultura preraffaellita della città460.

A Torino l’apprezzamento della critica e del pubblico, così come quello ottenuto a Barcellona dove nello stesso anno conquistarono la medaglia d’oro, era dettato da diversi fattori, come la capacità di riproduzione delle opere d’arte, ottenute tramite gessi selezionati che, in alcuni casi, venivano ricavati direttamente dall’originale, il prezzo modico, ma soprattutto la patinatura che veniva eseguita sui manufatti461. Quest’ultima era la caratteristica che contraddistingueva la produzione in terracotta di Signa da quella di altre manifatture perché, oltre a imitare i più svariati materiali, come il marmo o il bronzo, essa ricreava anche la patina che con il tempo si era andata a creare sulle opere. Le riproduzioni dall’antico, che potevano essere eseguite in scala seguendo fedelmente l’originale, riprodotte solo in alcune parti o reinterpretate in funzione di oggetti di uso comune, costituivano un “obbligo commerciale di sopravvivenza” che consisteva nell’assecondare un’immagine dell’Italia, e della Toscana in particolare, ormai perfettamente assestatasi in ambito internazionale462.

460

Premi conferiti agli espositori, Torino, 1898, p. 402; La manifattura di Signa, 1986, vol. 1, pp. 5-6.

461

A. Ferrero, Le terrecotte artistiche di Signa, in L’arte all’esposizione del 1898, pp. 103-104; Mosca 1898, pp. 300-301; M. Antelling, L’arte industriale nell’esposizione italiana di Torino. Ceramica, in «Arte Italiana Decorativa e Industriale», n. 11, 1898, p. 87; M. Antelling, Esposizione nazionale di Torino. Le terrecotte di Signa, in «Emporium», n. 46, pp. 295-298; G. Cena, Riviste

dell’esposizione di Torino. L’ottagono, in «La Stampa. Gazzetta Piemontese», 7 giungo 1898, p. 3; L’esposizione di Torino. Le industrie toscane, in «La Nazione», 6 maggio 1898, p. 1; La manifattura di Signa, 1986, vol. 1, pp. 6-9.

462

Nel corso del XIX secolo, sulla scia dell’estetica ruskiniana, dei romanzi storici di Walter Scott e del volume di Bernard Berenson,

The Florentine Painters of the Renaissance (1896), si formò nell’ambiente anglo-americano il mito di Firenze come il luogo dove

l’Arte, la Natura e la Vita convivevano felicemente ma anche come la “città artigiana nelle cui botteghe rivivevano le tecniche e i modelli ereditati dalla tradizione gotica e rinascimentale”, un’immagine che può essere estesa anche all’intera Toscana. Tale mito era ricreato e rivissuto nelle ville che gli anglo-americani eressero e/o ristrutturarono sulle colline di Firenze introducendovi “un austero e romantico medioevo ed un ideale Umanesimo, popolato di tavole (e sculture) autentiche o di copie di pittori” e di scultori tre-quattrocenteschi cfr. La manifattura di Signa, 1986, p. 12; G. Gentilini, Arti applicate, tradizione artistica fiorentina e

committenze straniere, in L’idea di Firenze, 1989, pp. 155-176; S. Berresford, Preraffaellismo ed Estetismo a Firenze negli ultimi decenni del XIX secolo, in L’idea di Firenze, 1989, p. 193; G. Gobbi Sica, Nell’occhio anglo-americano: Firenze tra Ottocento e Novecento, in I giardini delle regine, 2004, pp. 50-51; G. Trotta, Gli Anglo-Americani e l’invenzione della florentinitas nelle ville e nelle dimore di città, in I giardini delle regine, 2004, pp. 70-72; F. Bardazzi, American forever, in Americani a Firenze, 2012, p. 41; C.

(21)

145

Il vasto repertorio della manifattura contemplava le opere d’arte sparse in tutto il mondo, dalle anfore romane ai vasi medicei, dai busti quattrocenteschi e sei-settecenteschi, come quello della

Costanza Bonarelli di Gian Lorenzo Bernini463, fino alle produzioni moderne (fig. 3.9 a-b).

Nel catalogo illustrato della Manifattura, datato agli inizi del XX secolo, sono numerose le opere ricavate da Desiderio da Settignano che, con la loro “grazia” e leggiadra “semplicità”, raggiunsero l’apice della fortuna commerciale negli ultimi anni dell’Ottocento quando venivano utilizzate come modelli per gli istituti professionali e le scuole di arti e mestieri e come pezzi di arredamento da esterno e da interno per i palazzi di aristocratici e borghesi464.

Anche la manifattura Salvini, fondata a Careggi dallo scultore fiorentino Mario Salvini nel 1890 e rimasta in attività fino al primo decennio del XX secolo, si distinse nella riproduzione delle ceramiche imitanti l’antico aggiudicandosi la medaglia d’argento, alla quale dovette contribuire anche il vaso monumentale in ceramica, alto tre metri e mezzo che fu eseguito dal Salvini nei primi sei mesi del 1898 per celebrare il Cinquantesimo anniversario dello Statuto Albertino. Il vaso “dalla forma slanciata” poggiava su una base color avorio e, sul corpo dipinto di celeste, presentava i ritratti dei primi due sovrani del Regno, sormontati dall’allegoria dell’Italia, in atto di commemorare lo Statuto, e circondati da rilievi eburnei in stile Cinquecento465.

I primi elementi del rinnovamento liberty erano invece visibili nella produzione della Richard-Ginori e della Cantagalli anche se non furono notati per il travolgente successo ottenuto dall’Arte

463

Il busto di Costanza Bonarelli, amante di Gian Lorenzo Bernini, oggi conservato presso il Museo Nazionale del Bargello dal 1873 quando vi fu trasferito dalla Galleria degli Uffizi, fu eseguito dal Bernini nella seconda metà del XVII secolo e conservato nel suo studio per lo meno fino alla metà degli anni Quaranta, quando probabilmente passò nella Galleria fiorentina. Esso rappresenta il culmine della sua attività scultorea nel realizzare ritratti in marmo che fossero in grado di imitare l’epidermide, e quindi rivaleggiare con la pittura, ma anche l’affermazione di autonomia dell’arte nei confronti della committenza ufficiale. Per la storia legata al busto e per le diverse ipotesi che portarono il busto nelle collezioni medicee vedi T. Montanari, Il colore del marmo. I busti di Bernini tra

scultura e pittura. Ritratto e storia, funzione e stile (1610-1638) in I marmi vivi, 2009, pp. 125-130, scheda 29, pp. 326-331.

464

Diverse sono le riproduzioni di opere di Desiderio che si potevano trovare alla villa della Capponcina di D’Annunzio alla fine del secolo, testimoniateci da fotografie d’epoca, così come sopra un mobile esposto dallo stabilimento Berardi a Torino nel 1898 è riconoscibile il busto del Bambino ridente (1453-55, Vienna, Kunsthistoriches Museum) che solo nel 1887 fu attribuito a Desiderio da Settignano, piuttosto che al più anziano Donatello, come si credeva fino ad allora cfr. I mobili all’esposizione generale italiana

Torino 1898, 1898, serie I, tav. 22; Vasari 1942, p. 783; Cardellini 1962, p. 178-179; A. Baldinotti, Desiderio et Florence au XIX siècle: décors pour un Mythe, in Desiderio da Settignano, 2007, pp. 103-109, scheda 9, pp. 164-167.

465

U. Matini, Le ceramiche artistiche toscane. Ginori, Cantagalli, Salvini e Arte della Ceramica, in L’esposizione nazionale del 1898, 1898, p. 263; Rivista a volo d’uccello, in L’esposizione generale italiana e d’arte sacra. Rassegna popolare illustrata, 1898, n. 19;

(22)

146

della Ceramica di Galileo Chini che, insieme alla Manifattura di Signa dei fratelli Bondi, fu una delle rivelazioni della mostra466.

Nelle varie imprese ceramiche fiorentine si assiste infatti ad una “ripresa del quattrocento fiorentino” filtrato attraverso la visione preraffaellita che, muovendosi verso lo stile floreale, “giunge ad accettare, all’inizio del secolo, i dettami del modernismo”. Tuttavia se per i Cantagalli fu specificata l’adesione al ‘modernismo’ europeo nella decorazione “preraffaellita a fiori (e frutti) stilizzati” (fig. 3.10 a, b)467

, per la Richard-Ginori, la nuova società ceramica sorta nel 1896 dalla fusione delle due maggiori aziende produttrici di ceramiche d’Italia, la Giulio Richard di Milano e la manifattura Ginori di Doccia468, le cronache del tempo prese in considerazione469, non ne fanno nessuna menzione esplicita.

L’unica novità a cui si riferiscono le fonti sono dei “vasi decorati a lava dorata” che, caratterizzati da una brillante policromia costituita da “strisce, lampi, bagliori d’oro”, somiglianti a “una pioggia di sottile finissima lava aurifera” che cade al di sopra dell’ornamentazione del corpo, sono riconducibili a quelli di gusto modernista presentati all’esposizione di Torino del 1902470. È noto infatti che l’adeguamento della produzione Richard-Ginori allo stile Art Nouveau fu incentivato dal direttore Luigi Tazzini che, conscio dell’affermazione di tali novità, si recò all’esposizione universale di Parigi del 1900471.

466

M. Antelling, L’arte industriale nell’esposizione italiana di Torino. Ceramica, in «Arte Italiana Decorativa e Industriale», n. 11, 1898; La manifattura Richard-Ginori di Doccia, 1988, p. 122; C. Paolinelli, Regesto delle principali manifatture ceramiche italiane

dell’Ottocento, in «DecArt», n. 7, Firenze, 2007, p. 73.

467

U. Matini, Le ceramiche artistiche toscane. Ginori, Cantagalli, Salvini e Arte della Ceramica, in l’Esposizione nazionale del 1898, 1898, p. 262-263; C. Ravanelli Guidotti, La passione per il Rinascimento delle ceramiche maiolicate nella storiografia tra Ottocento e

Novecento, in Il Risorgimento della maiolica italiana, 2011, p. 27.

468

Diverse furono le cause che portarono la famiglia Ginori a vendere la secolare azienda ad Augusto Richard che nella regione Toscana aveva già acquistato lo stabilimento di terraglie dei Palme a Pisa nel 1886 cfr. Ceramiche dal Museo della Manifattura di

Doccia, 2007, p. 73.

469

L’esposizione di Torino. Le industrie toscane, in «La Nazione», 6 maggio 1898, p. 1; G. Cena, Riviste dell’esposizione di Torino. L’Ottagono, in «La Stampa. Gazzetta piemontese», 7 giugno 1898, pp. 2-3; M. Antelling, L’arte industriale nella esposizione italiana di Torino. Ceramica, in «Arte Italiana Decorativa e Industriale», n. 11, 1898, pp. 85-87.

470

U. Matini, Le ceramiche artistiche toscane. Ginori, Cantagalli, Salvini e Arte della Ceramica, in l’Esposizione nazionale del 1898, 1898, pp. 262-263; R. Bossaglia, La sezione italiana, in Torino 1902, 1994, pp. 472-477.

471

Alcuni bozzetti colorati, non datati né autografati ma databili ai primi decenni del XX secolo sono conservati nel Museo di Doccia e danno la dimensione del rinnovamento ivi operato a partire dalla fine del XIX secolo, secondo l’iconografia tipica dell’Art Nouveau francese dalla quale traspaiono matrici di origine giapponese nell’adozione di lunghi steli e foglie nastriformi, nel calligrafismo con cui spesso tali motivi vengono riportati e nelle uniformi campiture cromatiche cfr. La manifattura Richard-Ginori di Doccia, 1988, pp. 107-114, 202 e sgg., 261; Il Museo delle porcellane di Doccia, 1967, pp. 46-47.

Figura

Fig. 3.3. P. Nomellini, Sera di marzo. 1896, collezione   Fig. 3.4. D. Trentacoste, Ave
Fig.  3.5.  E.  Pierret,  Scrivania  offerta  dall’ufficialità  dell’esercito  pontificio
Fig. 3.6. Stabilimento artistico-industriale Berardi, Sala da pranzo. Tratta da I mobili all’esposizione generale  italiana, tav
Fig. 3.7 b. Comodino e cassettone. Inizio XX secolo, collezione privata.
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