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Academic year: 2021

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Capitolo 2

Spazi, luoghi, itinerari in 'Linnet Muir'.

2.1. Lo spazio nella critica letteraria: sviluppi recenti e applicazioni.

Questa sezione introduttiva offre una breve panoramica di come i concetti di spazio e luogo sono stati variamente dibattuti nella critica letteraria e ripercorre le tappe della ricerca che ha portato a scegliere e applicare gli orientamenti teorici che si sono ritenuti più pertinenti e fecondi ai fini della nostra analisi testuale. Alcuni studi seminali sulla letteratura canadese, The Bush Garden di Northrop Fyre1, Patterns of Isolation in English Canadian Fiction di John Moss2, Vertical Man/Horizontal World di Laurence Ricou3, Unnamed Country di Dick Harrison4 e Survival di Margaret Atwood5, dimostrano come lo spazio e i luoghi siano stati una presenza imprescindibile fin dallo stanziamento dei primi coloni, soprattutto per l'impatto con la wilderness, natura incontaminata ma estrema, opprimente nella sua sconfinata spazialità e, quel che più conta, profondamente diversa da quella europea. Spazio e luoghi occupano una posizione privilegiata nell'immaginario canadese, com'è evidente già nelle opere di Susanna Moodie6 e Catharine Parr Trail7, fra i primi contributi al corpus letterario del Canada anglofono. Quali luoghi privilegiati di ambientazione della narrativa seguente, alla wilderness si uniscono ben presto la realtà delle piccole comunità rurali, come nei racconti di Sinclair Ross, e, soprattutto a partire dagli anni Sessanta, la metropoli. È questo il caso non solo dei racconti di Mavis Gallant, ma anche delle opere di Margaret Atwood, Alice Munro, Hugh Hood e di molti altri.

Il luogo nelle società postcoloniali, come ricordano Ashcroft, Griffiths e Tiffin8, è una

1 N. Frye, The Bush Garden: Essays on the Canadian Imagination, Toronto, Anansi, 1971.

2 J. Moss, Patterns of Isolation in English Canadian Fiction, Toronto, McClelland & Stewart, 1974.

3 L. Ricou, Vertical Man/Horizontal World: Man and Landscape in Canadian Prairie Fiction, Vancouver,

University of Vancouver Press, 1973.

4 D. Harrison, Unnamed Country. The Struggle for a Canadian Prairie Fiction, Edmonton, The University of

Alberta Press, 1977.

5 M. Atwood, Survival. A Thematic Guide to Canadian Literature, Toronto, McClelland & Stewart, [1972] 2004.

6 S. Moodie, Roughing It in the Bush, Toronto, McClelland ant Stewart, [1852] 1970 e Life in the Clearings,

London, Richard Bentley, 1853.

7 C. Parr Trail, The Canadian Settler's Guide, Toronto, Toronto, McClelland ant Stewart, [The female emigrant’s guide and hints on Canadian housekeeping, 1855] 1969.

8 «Place and displacement are crucial features of post-colonial discourse. By 'Place' we do not simply mean

'landscape'. Indeed, the idea of 'landscape' is predicated upon a particular philosophic tradition in which the objective world is separated from the viewing subject. Rather 'place' in post-colonial societies is a complex interaction of language, history and environment. It is characterised firstly by a sense of displacement in those who have moved to the colonies, or the more widespread sense of displacement from the imported language, of a

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complessa interazione di lingua, storia e ambiente naturale, ed è caratterizzato dal senso di dislocazione avvertito sotto forme e modalità diverse da coloro che lo vivono. Avvicinarsi allo studio del luogo postcoloniale non implica semplicemente prendere in esame l'ekphrasis, la sequenza di stasi che interrompe la narrazione per introdurre topografie o prosopografie. Con particolare evidenza nei racconti di Mavis Gallant, lo spazio e i luoghi, selezionati e filtrati dall'attitudine percettiva del narratore o dei personaggi, concorrono a formare una rete complessa, ricca e capillare di significati la cui decodifica è essenziale per l'interpretazione dei testi.

Gli ultimi sviluppi della critica presentano un incremento piuttosto marcato dell'attenzione nei confronti dello spazio e dei luoghi nel testo letterario, confluiti ad esempio nella geocritica, metodologia di analisi testuale promossa e sistematizzata in tempi recenti da Bertrand Westphal9. La geocritica si propone di studiare le interazioni tra spazi umani e letteratura, per contribuire alla determinazione/indeterminazione delle identità culturali10. Per adempiere ai propri propositi la geocritica prende le mosse dalle conclusioni di Gaston Bachelard11 e di Maurice Blanchot12, dalle affermazioni di Michel Foucault13, dalle teorie di Henri Lefebvre14 per cui lo spazio è sempre prodotto da una rete di segni visivi, gestuali, architettonici e letterari, e, infine, dal presupposto postmoderno di una realtà fluida e complessa. Attraverso la dialettica spazio-letteratura-spazio, per Westphal lo spazio si trasforma in base al testo che, a sua volta, lo ha precedentemente assimilato, secondo una serie di interrelazioni dinamiche che portano alla luce virtualità altrimenti nascoste nel referente spaziale originario15. Oltre alle conclusioni di Foucault e Lefebvre, Westphal tiene

gap between the 'experienced' environment and descriptions the language provides, and, secondly, by a sense of the immense investment of culture in the construction of place», in AA. VV., The Post-colonial Studies Reader, a cura di B. Ashcroft, G. Griffiths, H. Tiffin, London, Routledge, 1995, p. 391.

9 Si veda soprattutto B. Westphal, La Géocritique. Réel, fiction, espace, Paris, Minuit, 2007.

10 «N'est-il pas temps, en somme, de songer à articuler la littérature autour de ses relations à l'espace, de

promouvoir un géocritique poétique dont l'objet serait non pas l'examen des représentations de l'espace en littérature, mas plutôt celui des interactions entre espaces humains et littérature, et l'un des enjeux majeurs une contribution à la détermination/indétermination des identités culturelles?», B. Westphal, “Pour une approche géocritique aux textes, esquisse”, in B. Westphal, La géocritique mode d'emploi, Limoges, Presse universitaire de Limoges, 2001, p. 17.

11 G. Bachelard, La poétique de l'espace, Paris, Quadrige/PUF, [1957] 1992.

12 M. Blanchot, L'espace littéraire, Paris, Gallimard, 1955.

13 «La grande hantise qui a obsédé le XIXe siècle a été, on le sait, l'histoire […]. L'époque actuelle serait peut-être

plutôt l'époque de l'espace. Nous sommes à l'époque du simultané, nous sommes à l'époque de la juxtaposition, à l'époque du proche et du lointain, du côte à côte, du dispersé. Nous sommes à un moment où le monde s'éprouve, je crois, moins comme une grande vie qui se développerait à travers le temps que comme un réseau qui relie des points et qui entrecroise son écheveau», M. Foucault, “Des espaces autres”, in Architecture, Mouvement,

Continuité, n° 5, octobre, pp. 46-49.

14 H. Lefebvre, La production de l'espace, Paris, Editions Anthropos, 1974.

15 «La géocritique, en effet, se propose d'étudier non pas seulement une relation unilatérale (espace-littérature),

mais une véritable dialectique (espace-littérature-espace) qui implique que l'espace se transforme à son tour en fonction du texte qui, antérieurement, l'avait assimilé. Les relations entre littérature et espace humains ne sont donc pas figées, mais parfaitement dynamiques. L'espace transposé en littérature influe sur la représentation de l'espace dit réel (référentiel), sur cet espace-souche dont il activera certaines virtualité ignorées jusque-là, ou ré-orientera la lecture », B. Westphal, La géocritique mode d'employi, p. 21.

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presente anche il concetto di cronotopo di Bachtin16, formulato a partire dalla teoria di Albert Einstein dello spazio come continuum quadrimensionale17.

Poste tali premesse, per studiare le funzioni delle strutture tematico-topologiche nelle sequenze di Mavis Gallant, oltre ai concetti di luogo postcoloniale, «a complex interaction of language, history and environment»18, e di dislocazione del personaggio, si farà riferimento anche ai concetti di mappa, palinsesto e appropriazione così come sono stati formulati nel corso degli studi postcoloniali19. Di grande utilità sono alcune conclusioni teoriche dell’analisi testuale proposta da Jurij Lotman20: lo spazio nella finzione letteraria è solitamente distinto, attraverso una frontiera o confine, in una porzione esterna e una interna; il superamento del limite posto da tale frontiera o confine determina il processo diegetico. Non ultimi, i concetti di spazio euforico, disforico, forico e aforico così come sono usati dall’analisi assiologica di Algirdas Greimas e la sua idea di una semiotica topologica21 hanno completano e approfondito lo studio preparatorio. Lo spazio rappresentato nel testo letterario, dunque anche nelle sequenze di racconti di Mavis Gallant, si articola in una serie di opposizioni strutturali, semantiche, simboliche, ideologiche, a seconda dei livelli di strutturazione topologica che emergono.

Spazi, luoghi e movimenti, così come sono intessuti all'interno della trama testuale, identificano una costruzione topologica più o meno complessa. Obiettivo del nostro studio è dimostrare come le strutture tematico-topologiche, opportunamente decodificate e analizzate,

16 Bachtin riconosce il proprio debito nei confronti delle formulazioni teoriche della relatività einsteniana, pur

precisando la diversità di intenti con la quale il critico la applica al testo letterario: «Chiameremo cronotopo (il che significa letteralmente «tempospazio») l'interconnessione sostanziale dei rapporti temporali e spaziali dei quali la letteratura si è impadronita artisticamente. Questo termine è usato nelle scienze matematiche ed è stato introdotto e fondato sul terreno della relatività (Einstein). A noi non interessa il significato speciale che esso ha nella teoria della relatività e lo trasferiamo nella teoria della letteratura quasi come una metafora (quasi, ma non del tutto); a noi interessa che in questo termine sia espressa l'inscindibilità dello spazio e del tempo (il tempo come quarta dimensione dello spazio). Il cronotopo è inteso come una categoria che riguarda la forma e il contenuto della letteratura (non ci occupiamo qui del cronotopo nelle altre sfere di cultura).

Nel cronotopo letterario ha luogo la fusione dei connotati spaziali e temporali in un tutto dotato di senso e concretezza. Il tempo qui si fa denso e compatto e diventa artisticamente visibile; lo spazio si intensifica e si immette nel movimento del tempo, dell'intreccio, della storia. I connotati del tempo si manifestano nello spazio, al quale il tempo dà senso e misura. Questo intersecarsi di piani e questa fusione di connotati caratterizza il cronotopo artistico». M. Bachtin, Estetica e romanzo, Torino, Einaudi, [1975] 1979, pp. 231-2.

17 Il fisico distingue fra due concezioni dello spazio: lo spazio come qualità posizionale degli oggetti materiali nel

mondo, ovvero un luogo, da intendersi come posizione di un corpo tra gli altri corpi; lo spazio come contenente di tutti gli oggetti materiali. A queste aggiunge la teoria dello spazio come campo, che egli stesso ha formulato. Nelle sue parole: «Il nostro spazio fisico, così come lo concepiamo per il tramite degli oggetti e del loro moto, possiede tre dimensioni e le posizioni vengono caratterizzate da tre numeri. L'istante in cui l'evento si verifica è il quarto numero. Ad ogni evento corrispondono quattro numeri determinati ed un gruppo di quattro numeri corrisponde ad un evento determinato. Pertanto il mondo degli eventi costituisce un continuo quadrimensionale». A. Einstein in N. Abbagnano, Dizionario di filosofia. Terza edizione aggiornata e ampliata da Giovanni

Fornero, Torino, UTET, [1998] 2006, p. 1029. 18 Cfr. nota 8.

19 Cfr. B. Ashcroft, G. Griffiths, H. Tiffin, Key Concepts in Post-colonial Studies, London, Routledge, 1998, in

particolare le voci “Appropriation”, pp. 19-20 “Cartography (maps and mapping)”, pp. 31-34, e “Palimpsest”, pp. 174-76.

20 J. Lotman, La struttura del testo poetico, Milano, Mursia, 1972.

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costruiscano percorsi del senso nelle sequenze di Mavis Gallant, di cui due sono state scelte quali oggetto esemplificativo di analisi: ‘Linnet Muir’ e ‘Edouard, Juliette, Léna’. Nel complesso le sequenze sono quattro e, in base alla loro ambientazione prevalente, si possono suddividere in:

- racconti ambientati a Montreal:

a. ‘Linnet Muir’ [“In Youth Is Pleasure”(1975), “Between Zero and One” (1975), “Varieties of Exile”(1976), “Voices Lost in Snow” (1976), “The Doctor” (1977), “With a Capital T” (1977)];

b. ‘The Carette Sisters’ [“1933” (1985-8), “The Chosen Husband” (1985), “From Cloud to Cloud” (1985), “Florida” (1985)]22.

- racconti ambientati a Parigi:

a. ‘Henri Grippes’ [“A Painful Affair” (1981), “A Flying Start” (1982), “Grippes and Poches” (1982), “In Plain Sight” (1993)]23;

b. ‘Edouard, Juliette, Léna’ [“A Recollection” (1983), “The Colonel's Child” (1983), “Rue de Lille”(1983), “Lena” (1983)].

L'attenzione alla costruzione topologica di questi racconti, in assenza di studi specifici in merito, deriva anche dalla riflessione su quanto sostiene Gerald Lynch nel già citato The One and the Many. English-Canadian Short-Story Cycles. Preso un ciclo di racconti, personaggio e luogo sono gli elementi principali attorno ai quali il ciclo articola la propria coesione interna mediante molteplici rimandi intratestuali. Il luogo non dipende da nessun altro elemento narrativo quando, da solo, fornisce il filo conduttore dell'intero ciclo o della sequenza. Questo accade nelle raccolte In the Village of Viger (1896) di Duncan Campbell Scott, Sunshine Sketches of a Little Town (1912) di Stephen Leacock, The Kissing Man di (1962) George Elliott, Around the Mountain (1967) di Hugh Hood, The Street (1969) di Mordechai Richler, fra i cicli più conosciuti nell'ambito della letteratura del Canada anglofono.

Qualora invece siano uno o più personaggi ricorrenti a costituire l’elemento coesivo principale del ciclo, come nelle sequenze di Mavis Gallant, il luogo contribuisce in maniera determinante all’unitarietà semantica dell'intero ciclo a livello diegetico. Per Lynch un ciclo di racconti anglocanadese presenta sempre elementi di un'organizzazione indipendente e al tempo stesso interdipendente dei racconti che, sebbene inseriti in un sistema complesso, mantengono la propria separazione formale. A ciò si aggiungono le dinamiche di sviluppo ricorsivo degli eventi narrati e un movimento di ritorno esemplificato nella storia conclusiva del ciclo in cui, al di là della ripresa di tematiche già introdotte nei racconti precedenti, il

22 “1933” (Mademoiselle, February 1987), “The Chosen Husband” (New Yorker, 15th April 1985), “From Cloud

to Cloud” (New Yorker, 8th July 1985), “Florida” (New Yorker, 26th August 1985).

23 “A Painful Affair” (New Yorker, 16th March 1981), “A Flying Start” (New Yorker, 13th September 1982),

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personaggio faccia ritorno ai luoghi e alle persone del passato per rielaborarli ma anche per terminare il processo in base al quale ha riconosciuto e ristabilito il legame tra le proprie origini e la costruzione della sua identità. L’organizzazione strutturale del ciclo di racconti spesso ricalca l'esperienza del personaggio di progressiva frantumazione dell'io attraverso le strategie narrative identificate da Lynch che lo caratterizzano. Il personaggio si trova solitamente di fronte a un evento traumatico che stravolge la realtà fino a quel momento familiare e dà inizio a una dislocazione spaziale.

Nello studio di Lynch nessuna sequenza di Mavis Gallant è analizzata. Soltanto di recente ha dedicato un saggio a 'Linnet Muir', in cui non si pone problemi nel definire “ciclo”24 i sei racconti, pur con le differenze di organizzazione strutturale che presentano, come la mancanza di un movimento finale di ritorno alle origini nei termini in cui lo studioso lo definisce. L’analisi di Lynch è quindi utile nella formulazione iniziale, che pone l’accento sulla dialettica tra luogo e personaggio, mentre è adeguata soltanto in parte per la variante rappresentata dai racconti di Mavis Gallant: la stessa scrittrice preferisce definirli «interconnected stories» o «interlinked stories», escludendo ogni idea o presupposto di ciclicità. Eppure, come emerge dall'analisi dei testi, la presenza di un movimento di ritorno alle origini intessuto nel sistema testuale è innegabile.

Finora questi racconti di Mavis Gallant non sono mai stati oggetto di uno studio sistematico in quanto sequenze: è stata prestata attenzione solo a qualche singolo racconto, talvolta con sporadici riferimenti all'insieme della sequenza grazie alla natura frammentaria della sua organizzazione strutturale. Isolare i singoli racconti limita l'articolazione del senso e dell'interpretazione che derivano da una lettura complessiva: da qui l’idea di studiarli in riferimento all’insieme testuale in cui sono inseriti.

L'esilio, com’è noto, è il tema più diffuso e articolato nell'intera produzione di Mavis Gallant, studiato soprattutto in relazione al personaggio e alle conseguenze sulle sue azioni e sulla sua stessa personalità della dislocazione subita; proprio in vista di una simile proliferazione critica, appare quanto mai strana l'assenza di studi sui livelli di strutturazione topologica del contesto in cui si compie l'esilio del personaggio. L’identità dei personaggi di Mavis Gallant è strettamente correlata al contesto in cui le loro vicende sono ambientate: i luoghi, gli spazi dell'esilio e il modo del personaggio di rapportarsi ad essi sono determinanti nella sua definizione di esule.

Spunto di riflessione per l'analisi testuale è stato offerto anche da un recente saggio di Silvia Albertazzi25 in cui, tenendo presente gli ultimi sviluppi teorico-metodologici dell'indagine sullo spazio in letteratura, la studiosa analizza tre tipi di movimenti compiuti dai personaggi nei testi presi in analisi, a seconda delle loro modalità di rappresentazione delle dinamiche spaziali. Scompone tali movimenti in base a una struttura tripartita: 1) attraverso i

24 G. Lynch, “An Intangible Cure for Death by Homesickness: Mavis Gallant's Canadian Short Story Cycle

'Linnet Muir'”, in K. Gunnars (a cura di), Transient Questions. New Essays on Mavis Gallant, Amsterdam, Rodopi, 2004, pp. 1-27

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luoghi che raccontano le storie; 2) verso casa e 3) sulla strada verso nessun luogo. Il primo movimento vuole scoprire il dove e lasciare che narri a modo suo le sue storie, per indagare su come i luoghi raccontino le storie. Il dove, dal punto di vista del fruitore di storie rimane illusorio, fittizio, poiché: «[...] raccontando a partire dall'immagine in generale e dall'immagine dei luoghi, in particolare, si smaschera la natura illusoria del racconto stesso, il suo essere non realtà, ma l'illusione di realtà»26. Il secondo movimento individua, nella narrativa contemporanea, le manifestazioni di quell’idea di casa proposta da Bachelard come luogo confortante che custodisce le memorie e i sogni del personaggio e che racchiude tematiche articolate attorno a dicotomie quali luogo lasciato vs. luogo ritrovato o protezione vs. assenza. Il terzo movimento descrive il rapporto del personaggio con quel luogo immaginato o immaginario irraggiungibile ma percorribile con il pensiero, cui tende indefinitamente il suo cammino. Frequenti riscontri nelle sequenze di Mavis Gallant trovano soprattutto i primi due movimenti, attraverso i luoghi che raccontano le storie e verso casa, macrocategorie di organizzazione topologica della dimensione spaziale nelle sequenze.

I movimenti dei personaggi attraverso gli spazi e i luoghi creano un itinerario del senso fondamentale per lo studio della narrativa di quest'autrice: è a partire dalla percezione dell'alterità del luogo che si crea il senso di dislocazione e di smarrimento dell'io sofferto dai personaggi. A partire dal rapporto che instaurano con i personaggi principali in base anche al binomio percezione vs. esperienza e ai legami intratestuali profondi che emergono dall’analisi del sostrato tematico-topologico dei vari racconti e con i dovuti rimandi agli strumenti teorico-metodologici fin qui menzionati, vogliamo ora interrogarci sulle funzioni dei luoghi in cui si svolgono le sequenze di Mavis Gallant.

2.2. 'Linnet Muir'

In base alla cronologia delle prime edizioni dei racconti di Mavis Gallant, 'Linnet Muir' è la prima sequenza ambientata a Montreal, come abbiamo detto città natale della stessa scrittrice. I primi cinque racconti che la compongono [“In Youth Is Pleasure”(1975), “Between Zero and One” (1975), “Varieties of Exile”(1976), “Voices Lost in Snow” (1976), “The Doctor” (1977)], sono stati pubblicati originariamente sul New Yorker, mentre il sesto e ultimo [“With a Capital T” (1977)] sul numero del Canadian Fiction Magazine interamente dedicato alla scrittrice. La sequenza corrisponde, come già ricordato, alla terza e ultima sezione di Home Truths e alla quartultima sezione di Collected Stories, ed è l'unica identificata come gruppo unitario di racconti da un frame circumtestuale nella prima edizione in raccolta, edizione di riferimento per l'analisi a seguire.

La sequenza presenta molteplici e complessi livelli di strutturazione topologica, dal più generico al particolare, ed è dedicata al recupero della memoria del padre attraverso il ritorno a Montreal di Linnet Muir, narratore intradiegetico e omodiegetico, e al processo di

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emancipazione sociale, economica e artistica del quale è protagonista. Il lasso di tempo compreso dall'enunciazione narrativa nei sei racconti è breve, circa quattro anni, interpolata da numerose analessi in cui si ricostruisono episodi dell'infanzia attraverso i ricordi, che si sovrappongono alla vicenda portante ambientata a Montreal durante gli anni della seconda guerra mondiale e rievocata da una narratrice più matura. Linnet torna nella città natale a diciotto anni, dopo dieci anni di allontamento in cui ha dovuto seguire la madre nei suoi continui spostamenti. È decisa a riappropriarsi della verità sulla morte del padre, evento che ha innescato il processo dislocatorio da lei esperito, e sulle dinamiche interne ed esterne al nucleo familiare che l’hanno preceduto. A Montreal Linnet ricostruisce e verifica l'autenticità e l'affidabilità dei suoi ricordi, ma la città è anche luogo catartico, facendo ritorno al quale la protagonista cerca di esorcizzare le questioni insolute del suo passato.

Nell'introduzione a Home Truths, Mavis Gallant si sorprende dell'esattezza con la quale ricorda la genesi di 'Linnet Muir'. Nel corso delle ricerche intraprese per ricostruire la Parigi dei tempi di Dreyfus in vista di uno studio sulle sue vicende, gradualmente si rende conto di avere con lui un inatteso punto in comune:

[...] we had both resolved upon a way of life at an early age and had pursued our aims with overwhelming singlemindedness. He had been determined to become an officer in the French Army, over his family's advice and objections, just as I had been determined to write as a way of life in the face of an almost unanimous belief that I was foolish, would fail, would be sorry, and would creep back with defeat as a return ticket. (“Do you still have those nutty ideas of yours?” I was asked, not so many years ago).27

Giunta a questa constatazione, iniziano quindi a riaffiorare anche i ricordi della sua infanzia a Montreal: il punto di partenza, nell'ordine esatto in cui sono pubblicati su Home Truths, è l'immagine di Sherbrooke Street «at night, with the soft gaslight and leaf shadows on the sidewalk»28, la via dove abitava con i genitori prima della morte del padre e che tornerà più volte in 'Linnet Muir'. Per il personaggio di Linnet, il suo alter ego narrativo, ammette di aver preso spunto dalle sue vicissitudini biografiche e ribadisce la veridicità dell'ambientazione: «I can vouch for the city: my Montreal is as accurate as memory can make it. I looked nothing up, feeling that if I made a mistake with a street name it had to stand. Memory can spell a name wrong and still convey the truth»29. Mavis Gallant si appropria della città attraverso le immagini che ne custodisce e le traduce nella finzione narrativa: costruisce così la mappa di un'ambientazione urbana, a partire dalla quale evoca alcuni luoghi, creando un legame profondo con certi momenti significativi, più o meno remoti, del passato di Linnet, e forse anche del suo stesso passato. La natura di questo legame è quanto ci apprestiamo ad indagare.

27 M. Gallant, HT, p. xxii. 28 Ibidem.

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2.2.1. “In Youth Is Pleasure” (24 novembre 1975).

My father died, then my grandmother; my mother was left, but we did not get on. I was probably disagreeable with anyone who felt entitled to give me instructions and advice. We seldom lived under the same roof, which was just as well. She had found me civil and amusing until I was ten, at which time I was said to have become pert and obstinate (218).

It must have been a relief to her when, in the first half of Hitler’s war, I slipped quietly and finally out of her life. I was now eighteen, and completely on my own, By “on my own” I don’t mean a show of independence with Papa-Mama footing the bills: I mean that I was solely responsible for my economic survival and that no living person felt any duty toward me.

On a bright morning in June I arrived in Montreal, where I’d been born, from New York, where I had been living and going to school. My luggage was a small suitcase and an Ewardian picnic hamper – a preposterous piece of baggage my father had brought from England some twenty years before; it had been with me since childhood, when his death turned my life into a helpless migration (219).

Racconto di apertura della sequenza, “In Youth Is Pleasure”30 imposta i percorsi tematici e le coordinate spazio-temporali in base ai quali si sviluppano i cinque racconti successivi, com’è già evidente dai paragrafi d’apertura sopracitati. Il racconto segue il viaggio di Linnet da New York fino al suo arrivo a Montreal, ricostruisce parte dei ricordi della sua infanzia e coglie i suoi primi movimenti al ritorno in città. Dopo la morte del padre, che ha trasformato la vita della protagonista in una «helpless migration» (219), il viaggio verso Montreal segna il distacco definitivo dalla madre. Subito si instaurano opposizioni topologiche tra Stati Uniti e Canada, New York e Montreal, quindi tra la madre e Linnet. New York e gli Stati Uniti rappresentano per Linnet l'ultima tappa delle peregrinazioni sulla scia di quelle materne e considera quella parte della propria esistenza inappellabilmente chiusa. Montreal e il Canada offrono la prospettiva di una nuova vita indipendente, lontana dalle ipocrisie di coloro che hanno minato la sua esistenza fino a quel momento: perfino la morte del padre le era stata nascosta, ripetendole che aveva abbandonato moglie e figlia per far ritorno nella sua amata Inghilterra. Si instaura quindi un’ulteriore opposizione tra Canada e Inghilterra, quindi tra colonia e madrepatria, che si articola, come le altre, lungo l’intera sequenza. Il viaggio di Linnet verso Montreal inizia fin da subito a deludere le sue aspettative, poiché è accompagnato dalla sensazione di entrare in un paese più povero, più vuoto rispetto agli Stati Uniti; tuttavia non si lascia scoraggiare dalle prime impressioni e si mantiene salda nei suoi propositi:

As my own train crossed the border to Canada I expected to sense at once an air of calm and grit and dedication, but the only changes were from prosperous to shabby, from painted to unpainted, from smiling to dour. I was entering a poorer and curiously empty country, where the faces of people gave nothing away. The crossing was my sea change. I silently recited the vow I had been preparing for weeks: that I would never be helpless again and I would not let anyone make a decision on my behalf (222).

30 M. Gallant, “In Youth Is Pleasure”, in HT, pp. 218-37. I numeri indicati fra parentesi alla fine delle citazioni

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L’attraversamento del confine attiva una serie di opposizioni tematico-topologiche che danno alla metamorfosi appena intrapresa da Linnet un’immediata connotazione negativa, ripresa nel paragrafo successivo. Arrivata alla Windsor Station, viene infatti molestata da un uomo:

When I got down from the train at Windsor Station, a man sidled over to me. He had a cap on his head and a bitter Celtic face, with deep indentations along his cheeks, as if his back teeth were pulled. I thought he was asking a direction. He repeated his question, which was obscene. My arms were pinned by the weight of my hamper and suitcase. He brushed the back of his hand over my breast, called me a name, and edged away (222-23).

Oltre ad essere traumatico, l’episodio è di ulteriore cattivo auspicio per il percorso intrapreso: «The first sight of the city must be the measure for all second looks» (223). Ed è a questo punto che la ragazza confessa che non è quello il suo primo incontro con la città. La strutturazione topologica dell’intreccio inizia a complicarsi, poiché quello che finora era connotato solo come un viaggio di allontamento dalla madre verso la propria indipendenza, è per Linnet anche un processo di riavvicinamento al passato. E se, come sostiene Lotman, è il passaggio del limite, rappresentato in questo caso dal confine nazionale canadese, a innescare il processo diegetico, allora siamo in presenza di un duplice attraversamento dello stesso confine in due momenti diversi del racconto, quindi della sovrapposizione di due processi diegetici: otto anni prima per lasciare il Canada, adesso per farvi ritorno. Il viaggio in treno riporta Linnet nei luoghi in cui ha vissuto la sua infanzia: la situazione tematico-topologica del periodo antecedente di permanenza a Montreal è raccontata a più riprese nelle frequenti analessi che si aprono nei sei racconti. Il movimento di ritorno indicato da Lynch non si concentra solo nel racconto conclusivo, ma è quindi alla base dell'intera sequenza; è un ritorno fisico della protagonista a Montreal, ma anche mentale, poiché le permette di ricostruire le memorie passate relative alla città. Da questo punto in poi si esplicita la simultanea connotazione della città come palinsesto esistenziale, luogo del presente e luogo del passato, che costituisce l'asse semantico-topologico portante dell'intera sequenza.

Se l'anonima cittadina dell'Ontario, «a place full of mean judgements and grudging minds, of paranoid Protestants and slovenly Catholics» (223), rappresenta il momento peggiore dell'esilio di Linnet prima del trasferimento a New York, là prende forma il ricordo di Montreal che l'accompagnerà per tutta la vita:

My memory of Montreal took shape while I was there. It was not a random jumble of rooms and summers and my mother singing “We've come to See Miss Jenny Jones”, but the faithful record of the true survivor. I retained, I rebuilt a superior civilization. In that drowned world, Sherbrooke Street seemed to be glittering and white; the vision of a house upon that street was so painful that I was obliged to banish it from the memorial. The small hot rooms of a summer cottage became enormous and cool. If I say that Cleopatra floated down the Chateauguay River, that the Winter Palace was stormed on Sherbrooke Street, that Trafalgar was fought on Lake St. Louis, I mean it naturally; they were the natural backgrounds of my exile and fidelity (223).

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È una Montreal edenica quella ricostruita da Linnet durante il suo esilio; connotata quasi miticamente, è teatro plausibile di qualsiasi evento storico, poiché per la bambina è il fulcro del suo mondo perduto. La ricostruzione del ricordo avviene secondo un movimento dal luogo più grande a quello più intimo, che investe dapprima la città, poi la strada, fino a toccare i recessi dolorosi della memoria che ospitano le immagini più amate della casa dell'infanzia, similmente al percorso della topoanalisi bachelardiana: immagini così dolorose suscitano una così acuta nostalgia che Linnet stessa sceglie di ometterle dalla propria rievocazione. Si tratta tuttavia di una sublimazione del ricordo in cui il reale è filtrato secondo la mitopoiesi tipica dell'immaginario umano nei riguardi dei luoghi dell'infanzia che rende perciò inaffidabile il ricordo.

Eppure Linnet offre immediatamente, all'interno della stessa porzione di testo, la prova della base di veridicità di quanto ha appena descritto:

I saw now at the far end of Windsor Station – more foreign, echoing and mysterious than any American station could be – a statue of Lord Mount Stephen, the founder of the Canadian Pacific, which everyone took to be a memorial to Edward VII. Angus, Charlotte and the smaller Linnet had truly been: This was my proof; once upon a time my instructions had been to make my way to Windsor station should I ever be lost and to stand at the foot of Edward VII and wait for someone to find me (223-24).

Il discrimine l’incertezza e l’affidabilità dei ricordi è la statua di Lord Mount Stephen all'interno della Windsor Station, in cui Linnet è certa di riconoscere il luogo, il punto d'incontro in cui, da piccola, doveva aspettare di essere ritrovata nel caso in cui si fosse smarrita. La stazione, luogo eterotopico e usualmente inospitale soprattutto per una bambina, si carica così di un forte significato d'intimità, poiché, oltre a rappresentare un luogo sicuro in cui è certa di ricevere l'aiuto dei genitori, è il luogo a partire dal quale sa di poter fare uso dei propri ricordi come frammenti affidabili per ricostruire quel mondo dal quale è stata strappata. Tuttavia l'episodio di tentata molestia appena subito inquina il processo di riappropriazione del passato, quasi un ammonimento prolettico affinché si ricordi che nella città in cui è appena arrivata dovrà confrontarsi anche con il lato più vile, squallido e meschino dell'animo umano.

Linnet sceglie di rintracciare per prima Olivia Carette, la sua bambinaia, che vive nella zona francese alla periferia orientale e più povera della città; per bussare alla porta di Olivia, Linnet deve percorrere « […] two flights of dark brown stairs inside a house that must have been built soon after Waterloo» (224), ma è presso di lei, nelle due stanze non riscaldate e spoglie, che la ragazza trova immediata ospitalità.

Nella prima sezione del racconto sono introdotte le tematiche portanti che, intersecandosi, si dipanano attraverso i sei racconti, ovvero l'esilio, la dissoluzione dei legami famigliari e la lotta per affermare la propria indipendenza, e vengono presentati i luoghi fondamentali che ricorrono lungo la narrazione, attribuendo loro un primo livello di significazione secondo il

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confronto tra Stati Uniti e Canada, New York e Montreal, che incarna una serie di opposizioni tra luoghi del passato remoto, del passato recente e del presente, luoghi rifiutati e luoghi agognati, e tra zona anglofona e zona francofona della città canadese. Quest'ultimo conflitto è qui appena accennato, ma tale problematica culturale, sociale e linguistica occuperà buona parte della narrazione nei racconti a seguire, e sarà tematica fondamentale soprattutto in “The Doctor”.

Nella seconda sezione, Linnet collega direttamente i luoghi che attraversa quella prima mattina di giugno a Montreal con la sua rivoluzione personale nei confronti del mondo adulto. Tornare a Montreal per la narratrice è l'unico modo di affermare la propria identità e perseguire la propria strada senza ingerenze altrui. Teoricamente, avrebbe potuto scegliere qualsiasi altro luogo per recidere ogni rapporto con la madre: la tentacolarità metropolitana della stessa New York sarebbe stata più che sufficiente per dissolversi nel nulla. L'unico legame che non riesce a recidere è proprio quello con i luoghi della sua infanzia: connotati metonimicamente come rappresentazione del nucleo famigliare dissolto dalla morte del padre, si caricano di una valenza semantica fondamentale.

L'esperienza di più luoghi diversi e soprattutto la permanenza nella realtà più dinamica e meno claustrofobica di New York, le ha fornito una chiave essenziale per l'interpretazione di ogni realtà con la quale si viene a confrontare: ogni atteggiamento, convinzione o pregiudizio è relativo; se può essere valido e predominante in un luogo, in un altro può non esistere. In particolare, Linnet si riferisce all'ambivalenza che sussiste tra il comportamento in ambito sociale e nell'intimità, instaurando quindi un altro asse tematico-topologico portante per la sequenza, ovvero quello tra luoghi pubblici e spazi privati, tra apparenza e sostanza, che inizia a sviluppare a partire dalla terza sezione riguardo alle figure del padre e della madre.

Sempre in questa seconda sezione, la narratrice apre un'altra diramazione della rete di significati quando rammenta un suo colloquio di lavoro in un ufficio in cui chiede espressamente di non voler occupare un posto tra le ragazze assunte come dattilografe, confinate, recintate da una balaustra in legno. L'episodio sarà poi sviluppato nel secondo racconto della sequenza, “Between Zero and One”, ma già accenna alla tematica della segregazione femminile perpetrata dagli uomini, in ambito lavorativo e anche famigliare, che più volte ricorre nei suoi racconti, e non soltanto in quelli presi in esame in questo contesto.

L'incipit della terza sezione, «My father's death had been kept from me. I did not know its exact circumstances or even the date. He died when I was ten. At thirteen I was still expected to believe a fable about his being in England» (228), riprende e specifica quello della prima: «My father died, then my grandmother; my mother was left, but we did not get on» (218). La linea tematica dell'opposizione tra apparenza e sostanza, introdotta nella sezione precedente, è qui contestualizzata in relazione a ciò di cui era possibile parlare e ciò che doveva essere tenuto nascosto per convenzione socio-culturale nella Montreal dell'infanzia di Linnet. Si riferisce al comportamento della madre, fonte di disapprovazione e ostracismo nei suoi confronti:

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My mother was highly visible; she had no secrets except unexpected ones. […] She made herself the central figure in loud, spectacular dramas which she played with the houselights on; you could see the audience too. That was her mistake; they kept their reactions, like their lovemaking, in the dark. You can imagine what she must have been in this world where everything was hushed, muffled, disguised: She must have seemed all they had by way of excitement, give or take a few elections and wars. […] The dying man creeping along Sherbrooke Street was thirty-two. First it was light chatter, then darker gossip, and then it went too far (he was ill and he couldn't hide it; she had a lover and didn't try); then suddenly it became tragic, and open tragedy was disallowed (229-30).

La ragazza prende appuntamento per incontrare tre amici del padre, Archie McEwen, Stephen Ross-Colby e Quentin Keller: non si sente più una bambina, e tenta di instaurare con loro un rapporto adulto per raccogliere da loro le informazioni sulla morte del padre. È avida di notizie sugli eventi deliberatamente rimossi, sepolti nella memoria di chi ne era stato partecipe o testimone, qualcosa di cui vergognarsi: «I think what I wanted was special information about despair, but I should have known that would be taboo in a place where “like” and “don't like” were heavy emotional statements» (229). I tre uomini la ricevono sul posto di lavoro. Archie McEwen la obbliga a recarsi nel suo ufficio, nel quale non la invita neppure ad accomodarsi. Stephen Ross-Colby dapprima la attende nel suo atelier di pittore affermato, poi si affretta a condurla in un bar. La visita da Quentin Keller è pressoché inutile per i suoi scopi, dato che non riesce a trarne alcunché tranne un'idea ben precisa di come sia lo studio di un architetto conservatore. Palesemente a disagio per le domande che Linnet pone loro, i tre uomini non solo forniscono risposte vaghe e incomplete che la ragazza non riesce a far collimare in un'unica versione attendibile degli eventi, ma sembrano non riuscire a parlare con lei in spazi chiusi e isolati. Quentin Keller si rifugia nella reticenza, McEwen non le offre la possibilità di interagire con i propri spazi se non in piedi, Ross-Colby la porta fuori, in un luogo affollato, adducendo anni dopo come motivazione il timore che fosse tornata per chiedergli del denaro, oppure, come sostiene Linnet, che «[p]erhaps in the privacy of his studio I might have heard him thinking» (231). Se i primi due usano il luogo di lavoro come fortezza dentro la quale sono al sicuro, dalla quale possono respingere Linnet e i suoi interrogativi, perché sono luoghi del tutto estranei alla ragazza, la posizione di Ross-Colby è diversa: condivideva con il padre la passione per la pittura, quindi il suo atelier ha un odore familiare, inconfondibile per Linnet. Ross-Colby, che come gli altri rifugge qualsiasi riavvicinamento nei confronti della figlia dell'amico, si rende conto che gli spazi entro i quali si trovano sono per lei connotati emotivamente e si sente obbligato a riportare la conversazione in territorio neutrale. Ristabilisce così l'asimmetria a proprio favore, in quanto depositario di informazioni che rende accessibili solo in parte alla protagonista.

Il confronto con l'accoglienza di Olivia è inevitabile: benché versi in condizioni economiche peggiori rispetto ai tre amici del padre, non ha esitato a condividere i suoi spazi con lei. Si opera quindi un ribaltamento topologico, per il quale chi anni addietro si era proclamato amico volge le spalle a Linnet, rifiutandole l'accesso ai propri spazi, sociali come

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intimi, mentre colei che era stata parte della famiglia Muir in virtù di un esclusivo legame finanziario, non esita ad accoglierla in casa propria. In base alle funzioni assegnate ai luoghi in questa terza sezione del racconto, è verificabile un'altra opposizione tematico-topologica, che giustappone una povertà ospitale e dignitosa all'egoismo dell'agio che connota tutti i personaggi con i quali Linnet entra in contatto una volta tornata a Montreal, come è evidente soprattutto in “With a Capital T”.

La presenza della chiesa cattolica come luogo opprimente, contrassegno culturale della Montreal francofona, si insinua già a partire da questo primo racconto: variamente argomentata in 'Linnet Muir', è al contrario uno degli assi tematico-topologici principali per nella sequenza 'The Carette Sisters'. È il confessore di Olivia a consigliarle di non divulgare niente alla ragazza di quanto lei sa sulla morte del padre. Mentre i tre uomini con riluttanza le hanno concesso qualche indizio, pur con tutte le omissioni e gli aggiustamenti del caso, Olivia decide di non metterla a parte di eventi per affrontare i quali Linnet avrebbe necessitato di «[...] grow some outer skin it was now too late to acquire» (232). La protagonista riesce tuttavia a discernere alcune linee tematiche ricorrenti nelle tre versioni sulla morte del padre: un male incurabile, un viaggio di ritorno in Inghilterra, un suicidio.

La quarta sezione si apre con una riflessione sulle morti in tempo di guerra, più accettabili perché investono tutta una comunità, mentre le «[p]eacetime casualties are not like that. They are lightning bolts out of a sunny sky that strike only one house. All around the ashy ruin lilacs blossom, leaves gleam. Speculation in public about the disaster would be indecent. Nothing remains but a silent, recurring puzzlement to the survivor: Why here and not there?» (234). Il tema è proposto attivando come referente spaziale la casa, e instaurando un'opposizione tra la casa in cui si consuma la tragedia come metonimia della famiglia che la abita, della quale non restano altro se non rovine coperte di cenere e, oltre alla natura rigogliosa che la circonda incurante di quello che è successo, le altre case che non sono state toccate. È sintomatica dell'importanza attribuita ai luoghi dalla narratrice anche la domanda che si pongono i sopravvissuti, poiché non è formulata in termini di autoreferenzialità rivolta alla propria persona, ma è espressa in relazione al luogo in cui si è verificata la disgrazia. Linnet arriva ad una sua versione dei fatti: alla casa come luogo irrimediabilmente perduto sono imputabili tutte le ragioni del malessere paterno. L'uomo è morto per la nostalgia della casa in Inghilterra, della terra natia; tutte le varie ipotesi, compreso il suicidio, sono così incluse. La protagonista anticipa quindi la figura del remittance man che sarà il fulcro attorno al quale si articola la diegesi del terzo racconto, “Varieties of Exile”31.

A questo punto, la Montreal vagheggiata in quel «dream past» (235) speciale, favoloso, mitico di Linnet si dissolve, per lasciar spazio all'insipienza della Montreal reale, alla banalità

31 In effetti, una prima menzione del remittance man è presente già qualche pagina prima, quando Linnet parla

dell'estrema riservatezza del padre e della sorpresa al ricordo di una frase che le dà a intendere come fosse in procinto di rivelargliene uno: «When he asked, “Would you like to spend a year in England with your Aunt Dorothy” I had no idea what he meant and I still don't. His only brother, Thomas, who was killed in 1918, had not been married; he'd had no sisters, that anyone knew. Those English mysteries used to be common. People came out to Canada because they did not want to think about the Thomases and Dorothys anymore» (230).

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del suo quotidiano. Svanita l'illusione, quando la trasfigurazione operata dalla memoria va in frantumi, Linnet è in grado di rintracciare e identificare i luoghi della sua infanzia con quelli che ora la circondano:

My dream past evaporated. Montreal, in my memory, was a leafy citadel where I knew every tree. In reality I recognized nearly nothing and had to start from scratch. Sherbrooke Street had been the dream street, pure white. It was the avenue poor Angus descended leaning on a walking stick. It was a moat I was not allowed to cross alone; it was lined with gigantic spreading trees through which light fell like a rain of coins. One day, standing at a corner, waiting for the light to change, I understood that the Sherbrooke Street of my exile – my Mecca, my Jerusalem – was this. It had to be: There could not be two. It was only this. The limitless green where in a perpetual spring I had been taken to play was the campus of McGill University. A house, whose beauty had brought tears to my sleep, to which in sleep I'd returned to find it inhabited by ugly strangers, gypsies, was a narrow stone thing with a shop on the ground floor and offices above – if that was it, for there were several like it. Through the bare panes of what might have been the sitting room, with its deep private window seats, I saw neon strip-lighting along a ceiling. Reality, as always, was narrow and dull (235-36).

Svanito l'incanto si materializza la realtà: la serie di opposizioni semantiche instaura un confronto tra il luogo dell'infanzia, idealizzato mediante la mitopoiesi della nostalgia, e il luogo rivissuto nell'età adulta che perde la sua aura di fronte al disvelarsi della realtà nella sua rappresentazione più banale. Il vivace cromatismo del luogo ricordato e il grigiore della strada cittadina che anticipano lo sfondo climatico e urbano del racconto successivo, “Between Zero and One”, sottolineano e ampliano sensorialmente tale contrasto semantico.

Nei paragrafi conclusivi sono introdotti altri motivi ricorrenti della sequenza, che ritornano in “The Doctor”: l’educazione e l’istruzione impartite a Linnet in un convento giansenista e le ragioni, rimaste insondabili, che hanno spinto i genitori a iscrivervi la figlia, nonostante fossero entrambi molto lontani da qualsiasi forma di religiosità. Il convento, demolito all’epoca del suo ritorno, si trovava su Sherbrooke Street. La strada assume una duplice connotazione: positiva, in quanto è stata lo sfondo della sua infanzia felice; negativa, se si considerano la scuola e la malattia del padre. Sherbrooke Street diventa metafora dell'infanzia di Linnet; è evidente come il processo diegetico prenda spunto dai luoghi e dai ricordi che questi evocano per ricostruire il passato della narratrice. I riferimenti alla Windsor Station, a Sherbrooke Street, al collegio giansenista, alla Montreal francofona e all'ufficio diviso dalla balaustra in legno preparano un reticolato topografico che anticipa sia l'ambientazione dei racconti successivi che le articolazioni tematiche principali: il confronto socio-culturale tra zona anglofona e francofona, la dissoluzione dei legami famigliari, la condizione lavorativa della donna, la passione di Linnet per il socialismo, la maturazione di una sensibilità artistica, il Canada durante la seconda guerra mondiale, l'esilio e la ricerca di indipendenza intesa come autonomia economica e dignità professionale ma, soprattutto, personale. Significativo, a questo proposito, l'excipit, un'esortazione alla fuga pur di non essere obbligata a piegarsi ad alcuna imposizione: «Time had been on my side, faithfully, and unless you died you were always bound to excape» (237).

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“In Youth Is Pleasure” attiva una serie di tematiche e motivi fondamentali per la sequenza; una simile ricchezza contenutistica e i livelli di strutturazione topologica finora rinvenuti giustificano da sé la necessità di considerare incipitario questo racconto, e invalidare quindi il frame circumtestuale in base al quale nelle Collected Stories la sequenza è presentata secondo un criterio di organizzazione cronologica dei racconti: dislocando numerosi nodi focali della fitta rete di rimandi intratestuali sui quali si fonda la coesione della sequenza, la comprensione globale ne risulta profondamente alterata.

2.2.2. “Between Zero and One” (8 dicembre 1975)32.

When I was young I thought that men had small lives of their own creation. I could not see why, born enfranchised, without the obstacles and constraints attendant on women, they set such close limits for themselves and why, once the limits had been reached, they seemed so taken aback. I could not tell much difference between a man aged thirty-six, about, and one forty or fifty; it was impossible to fix the borderline of this apparent disappointment. There was a space of life I used to call “between Zero and One” and then came a long mistery (238).

Il secondo racconto si apre con una riflessione sul passaggio tra due stadi, lo zero e l'uno, associati da Linnet all'esistenza umana, e su come gli uomini, nonostante l'ampio ventaglio di possibilità loro offerto rispetto a quello delle donne, si impongano limiti innaturalmente angusti di realizzazione personale. È dunque fondamentale riconoscere il binomio cambiamento vs. conservazione sotteso alla diegesi. La vicenda è prevalentemente ambientata nell'ufficio dove Linnet lavora l'anno successivo al suo arrivo a Montreal:

I worked in a building belonging to the federal government – it was a heavy Victorian structure of the sort that exists on every continent, wherever the British thought they'd come to stay. This one had been made out of the reddish-brown Montreal stone that colors, in my memory, the streets of my childhood and that architects have no use for now (238-39).

La narratrice accenna alle caratteristiche del luogo di lavoro per riprendere alcune delle opposizioni tematico-topologiche già introdotte nel precedente racconto e qui ulteriormente sviluppate, attivando così il frame intratestuale necessario alla coesione delle due porzioni della sequenza. Si riconosce la contrapposizione tra colonia e madrepatria instaurata attraverso il riferimento all’architettura vittoriana imposta dagli inglesi nelle ex-colonie, dove credevano di essersi stabilmente insediati: identica a quella della madrepatria, ne differisce tuttavia per i materiali di costruzione, prelevati sul posto. Di tali edifici, espressione del potere coloniale, dopo la dissoluzione dell'impero non sono stati più riproposti né modelli né materiali. Per Linnet sono un legame diretto con i luoghi dei suoi ricordi e con il cromatismo legati alla rappresentazione della città nella sua infanzia, che si contrappone al grigiore della Montreal cui ha fatto ritorno. Ma è impossibile non attribuire all’edificio in cui Linnet lavora un ulteriore livello semantico giustificato dall'ultima sezione del primo racconto, a partire

32 M. Gallant, “Between Zero and One”, in HT, pp. 238-60. I numeri indicati fra parentesi alla fine delle

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proprio dall'opposizione colonia vs. madrepatria britannica: tali edifici rappresentano una porzione di civiltà anglossassone trapiantata su un altro continente, proprio come il padre di Linnet, lacerato tra la nostalgia per l'Inghilterra e l'impossibilità di farvi ritorno. È evidente come già nei paragrafi iniziali di “Between Zero and One” la ricerca intorno alla figura paterna sia un motivo portante anche di questo racconto, e che, quando non esplicitata, sia espressa attraverso il riferimento a più ordini di luoghi diversi.

Dopo la breve descrizione dell'edificio, Linnet prosegue con il ritratto di alcuni colleghi reduci della prima guerra mondiale che introduce come segue: «The office was full of old soldiers from one war before: Ypres (pronounced “Wipers”) and Vimy Ridge were real, as real as this minute, while Singapore, Pearl Harbour, Voronezh were the stuff of fiction. It seemed as if anything that befell the young, even dying, was bound to be trivial» (239). In rapporto ai luoghi si instaura quindi l'opposizione realtà vs. finzione, asperità vs. banalità che i veterani applicano alle due guerre, operando un degradamento semantico nei confronti dei combattimenti che vedono impegnate le giovani generazioni. Gli eventi passati che li hanno coinvolti, e i luoghi che ne sono stati testimoni, sono reali, vividi alla memoria dei colleghi di Linnet, proprio come per lei è vivido il ricordo infantile di Montreal. Il passato si configura come realtà, mentre il presente, banale, assume le caratteristiche più evanescenti della finzione: si ribadisce ulteriormente l'asse semantico inaugurato da Linnet nel racconto precedente, secondo il quale il passato è la terra di avvenimenti mitici, che deve confrontarsi con un presente scialbo, insignificante, del quale sono espressione proprio i suoi colleghi.

In ufficio Linnet, l’unica donna, si trova isolata, esposta agli scherzi e ai giochi di potere dei colleghi. La sua scrivania, il suo territorio sono una barriera simbolica, ma estremamente porosa, poiché delimita il suo territorio di lavoro, il suo raggio di azione, ma al tempo stesso non le offre protezione dal contatto né verbale né visivo degli altri. Significativo, a tal proposito, è l'episodio in cui un frustrato Assistant Chief Engineer, Macaulay, si produce in uno scherzo di cattivo gusto nei confronti della ragazza, introducendosi nel suo territorio e posando sulla scrivania delle foto pornografiche amatoriali affinché le esamini, con il pretesto dell'attrazione di Linnet per l'arte moderna. Questo attraversamento del confine imposto dalla barriera offerta dalla scrivania è indice dell'ostilità che la ragazza si trova a dover affrontare una volta assunta, e che connota l'ufficio come luogo esterno, inospitale, nonostante si tratti di un luogo chiuso, e quindi potenzialmente sicuro:

And so, in an ambience of doubt, apprehension, foreboding, incipient danger, and plain hostility, for the first time in the history of the office a girl was allowed to sit with the men. And it was here, at the desk facing Bertie Knox's, on the only uncomfortable chair in the room, that I felt for the first time that almost palpable atmosphere of sexual curiosity, sexual resentment, and sexual fear that the presence of a woman can create where she is not wanted (243-44).

Linnet non è tuttavia la sola ragazza ad essere stata assunta: «A few girls equipped with rickety typewriters and adding machines sat grouped at the far end of the room, separated from the men by a balaustrade. I was the first woman ever permitted to work on the men's

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side of this fence. A pigeon among the cats was how it sometimes felt» (242). Il rimando intratestuale è qui al paragrafo di “In Youth Is Pleasure” in cui Linnet introduce la tematica del lavoro femminile come sfruttamento, anticipando l'ambientazione di “Between Zero and One” e la propria determinazione a non essere assimilata all'esercito di anonime dattilografe: «[...] penniless, sleeping in a shed bedroom behind the kitchen of Olivia's cold-water flat, still I pointed across the wooden balaustrade in a long open office where I was being considered for employment and said, “But I won't sit there”. Girls were “there”, penned in like sheep» (226). La balaustra in legno rappresenta il confine interno all'ufficio al di là del quale le ragazze, scelte da un donna che ha come sola occupazione quella di fare loro da supervisore e assumerle, sono sì al riparo dagli sguardi, dalle parole e dalle eventuali attenzioni moleste dei colleghi, ma non possono aspirare a un miglioramento della propria posizione lavorativa o sociale. In più Linnet non può avere contatti con loro, poiché sceglie di non lasciarsi assimilare e di attraversare il limite imposto dalla balaustra, simbolo della repressione e della reclusione contro le quali ha deciso di lottare, innescando così il processo diegetico che la rende di per sé un precedente per la storia dell'ufficio e la indirizza verso il compimento della propria indipendenza.

Quell'ufficio, se paragonato agli impieghi successivi, è un luogo anonimo, in cui l'unico scopo dei dipendenti era ammuffire lentamente fino all'età pensionabile; eppure aveva destato la curiosità di Linnet perché si trattava di un ambiente con il quale non era mai entrata in contatto prima, e perfino l'appartenere a una folla di pendolari è per lei fonte di novità. Se il contesto umano è insolito, la protagonista riconosce nell'edificio un odore che associa alla sua esperienza scolastica, quindi al suo passato: si accenna così nuovamente alla sovrapposizione di più livelli tematico-topologici associati ai luoghi di Montreal, in base all'opposizione passato remoto vs. passato recente che attraversa tutta la sequenza. L'odore dell’edificio e i ritratti dei capitani d'industria che ne adornano le pareti offrono a Linnet lo spunto per soffermarsi sulle profonde differenze che tracciano un solco invalicabile tra la componente anglofona e quella francofona di Montreal, già a partire dai principi sui quali si basa il sistema educativo delle due popolazioni:

Having had both French and English schooling in Quebec, I knew that these pink-cheeked marauders were what English-speaking children were led to admire (without much hope of emulation, for the feast was over). They were men of patriotism and of action; we owed them everything. They were in a positive, constructive way a part of the Empire and of the Crown; this was a good thing. In a French education veneration was withheld from anyone except the the dead and defecate, ranging from General Montcalm expiring at his last battle to a large galaxy of maimed and crippled saints. Deprivation of the senses, mortification of mind and body were imposed, encouraged, for phantom reasons – something to do with a tragic past and a deep fear of life itself. Montreal was a city where the greater part of the population were wrapped in myths and sustained by belief in magic. I had been to school with little girls who walked in their sleep and had visions; the nuns who had taught me seemed at ease with the dead. […] In an English school visions would have been smartly dealt with – cold showers, the parents summoned, at least a good stiff talking to. These two populations, these two tribes, knew nothing whatever about each other (244-45).

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L’ostentata estraneità tra quelle che Linnet chiama le due tribù suggerisce un livello socio-culturale di lettura del testo e anche della figura della protagonista. In base alla sua storia personale, Linnet è una figura dal retroterra frammentario a livello famigliare, scolastico e anche di appartenenza territoriale: alla sua città d’origine manca un’identità unica e condivisa, che è invece frutto della convivenza di due solitudini divise da barriere molteplici, lingua, cultura, religione, che hanno un’origine comune nella storia europea. Di seguito Linnet instaura un'altra opposizione tra la propria tensione verso il cambiamento e l'immobilità dei colleghi, limitati al quadrato invisibile composto dalla propria postazione in ufficio e dalla quotidiana gestualità rituale, terrorizzati dall'idea del cambiamento e intenti a conservare i propri privilegi e la propria posizione sociale:

Why didn't they move, walk, stretch, run? Each of them seemed to inhabit an invisible square; the square was shared with my desk, my graph paper, my elastic bands. The contents of the square were tested each morning: the drawers of my own desk – do they still open and shut? My desk lamp – does it still turn on and off? Have my special coat hanger, my favorite nibs, my drinking glass, my calendar, my children's pictures, my ashtray, the one I brought from home, been tampered during the night? (246).

Linnet, invece, usa l'ufficio anche per scrivere, opponendosi al paradigma di staticità espresso dai colleghi: la giovane sta cercando di saggiare la propria vocazione letteraria, preoccupata dall'idea di aver ereditato dal padre, pittore mancato, la vocazione alla scrittura senza tuttavia possedere un dono reale: «I was afraid I had inherited a poisoned gene from him, a vocation without a gift» (249). L'ufficio, oltre a rappresentare il luogo di contatto con il mondo esterno e soprattutto con il pregiudizio maschile, è per Linnet anche un tramite verso la parte più di intima di se stessa, in cui il metro di paragone è la figura del padre, e la possibilità di riuscire dove egli non era stato in grado di farlo per mancanza di una vena artistica fertile. La somiglianza è ribadita anche da un punto di vista somatico: Linnet incontra un conoscente del padre che la scambia per la sorella, credendo morta la figlia. La giovane decide di non farsi riconoscere, non vuole più entrare in contatto con persone che rappresentano vicende a lei estranee e, soprattutto, dolorose. L'impatto emotivo profondo che questo incontro desta in lei ha riscontro nella precisione con la quale si è impresso nei suoi ricordi il luogo esatto in cui era avvenuto l'incontro:

I was so like him in some ways that a man once stopped me in front of the Bell Telephone building on Beaver Hall Hill and said, “Could you possibly be Angus Muir’s sister?” That is how years telescope in men’s mind. That particular place must be the windiest in Montreal, for I remember dust and ragged papers blowing in whirlpools and that I had to hold my hair. I said, “No, I’m not”, without explaining that I was not his sister but his daughter. I had heard people say, referring to me but not knowing who I was, “He had a daughter, but apparently she died”. We couldn’t both be dead. Having come down on the side of life, I kept my distance (249).

Ai luoghi è assegnato il compito di tessere una trama attorno ai frammenti della storia di Linnet ed è per questo che sono rappresentati con maggiore precisione in base a quanto

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profondo è il grado di coinvolgimento emotivo di Linnet nei confronti dell’evento che vi avviene o cui sono collegati. Talvolta i dettagli della loro collocazione sono a tal punto accurati da permettere di rintracciarli su una qualsiasi mappa della città: persino le vie citate in ‘Linnet Muir’ e in ‘The Carette Sisters’ esistono e conservano tutt’ora gli stessi nomi. L’unico cambiamento rispetto ai racconti è la sostituzione dell’inglese con la traduzione francese: sulle mappe, anche su quelle consultabili telematicamente, Sherbrooke Street ad esempio è indicata come Rue Sherbrooke. Un'altra motivazione all'impulso verso la scrittura è la mancanza della fervente attività culturale di New York, teatri, musica, musei. Si ribadisce quindi l'opposizione tematico-topologica tra New York come luogo di libertà, in cui la cultura è in continuo fermento, e Montreal come il suo esatto contrario. Città prigioniera di un clima politico e culturale immobile, Montreal complica il percorso di Linnet verso la maturazione del proprio dono letterario, che fino a quel momento ha espresso nel luogo circoscritto e autoreferenziale dei suoi diari, chiusi a chiave in ufficio nel cassetto della scrivania e ad esclusiva fruizione personale. Perfino la biblioteca, a Montreal, è considerata «[...] a sinister joke» (249), poiché la censura cattolica e governativa esercita un potere opprimente sull'organizzazione del catalogo e sulle acquisizioni dei testi di cui la popolazione dovrebbe in teoria disporre liberamente:

There was a persistent, apocryphal story among English Canadians that an American philantropic foundation (the Carnegie was usually mentioned) had offered to establish a free public lending library on condition that its contents were not to be censored by the provincial government of Quebec or by the Catholic Church, and that the offered had been turned down. The story may not have been true but its persistence shows the political anc cultural climate of Montreal then. Educated French Canadians summed it up in shorter form: their story was that when you looked up “Darwin” in the card index of the Bibliothèque de Montréal you found “See anti-Darwin” (249-48).

Il clima di censura, di paralisi culturale e sociale, che forma uno degli assi semantici principali di questo secondo racconto, non è quindi limitato all'ambiente misogino, asfittico dell'ufficio; al contrario, si insinua capillarmente e si radica nel contesto di Montreal, di cui l'ufficio rappresenta uno dei tanti esempi possibili. Gli spazi claustrofobici della vita pubblica di Montreal si contrappongono a quelli di New York, instaurando un'antinomia fra luoghi del dinamismo e luoghi della staticità in base alla quale si approfondisce il divario tra tra Linnet e il resto dei personaggi con i quali entra in contatto nel racconto.

Alla fine della seconda sezione, per sottolineare ulteriormente il contrasto tra New York e Montreal in base all'opposizione appena citata, Linnet rammenta la sua audizione per la Canadian Broadcasting Corporation. Ha appena terminato di leggere The Skin of Our Teeth, inviatole da New York da un'attrice canadese con la quale è rimasta in contatto, e se ne appassiona a tal punto da prepararlo per l'audizione, non avendo il coraggio di proporre il proprio testo. La possibilità di interpretazioni plurime di quel testo teatrale è ciò che la affascina maggiormente, soprattutto per quanto riguarda l’era glaciale menzionata nel testo, in cui Linnet non tarda a veder rappresentate le dittature che assoggettavano vaste aree del

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mondo: «I read it in the year of Dieppe, in a year when “Russia” meant “Leningrad”, when Malta could be neither fed nor defended. The Japanese were anywhere they wanted to be. Vast areas of the world were covered with silence and ice» (250). La metafora spaziale rende la sterile immobilità delle regioni sotto l'egida dei totalitarismi. Sono ancora i luoghi ad essere investiti di significato, a funzionare da punti di riferimento sia dal punto di vista degli eventi storici in generale, sia per ricostruire le coordinate temporali delle vicende di Linnet: mai reso esplicito mediante l'indicazione esatta degli anni in cui si svolgono, lo sviluppo cronologico della sequenza nei primi tre racconti e nell'ultimo è scandito dagli eventi della seconda guerra mondiale, mentre nel quarto e nel quinto racconto in riferimento alla prima.

Eppure, quando Linnet recita a Miss Urn il testo nella sua «small room of a dingy office suite on St. Catharine Street» (250), la donna la interrompe e le consiglia di provare con Dear Octopus di Dodie Smith: oltre a ritenerlo spazzatura, il fatto che The Skin of Our Teeth provenga da New York lo rende sospetto:

Oh, fool. The worst thing to say. If only I had said, “Tallulah Bankhead”, adding swiftly, “London before the war”. Or, better, “An Edwardian farce. Queen Alexandra, deaf though she was, much appreciated the joke about the separation of m and n”. “A play in New York” evoked a look Canada was making me familiar with: amusement, fastidious withdrawal, gentle disdain. What a strange city to have a play in, she might have been thinking (251).

Invece di associarlo a un'attrice o ad un'ambientazione nella Londra pre-bellica, o addirittura mentendo sul contenuto, classificare il testo teatrale in base alla sua provenienza geografica newyorkese provoca un istintivo moto di repulsione, come se New York, e tutto ciò che da essa arriva, rappresentasse una fonte di potenziale sovvertimento di qualsiasi ordine consolidato. Proponendo un testo contemporaneo a forte valenza sociale, Linnet, agli occhi di Miss Urn, è assimilata alla cultura di cui il testo è espressione, e per questo respinta. Montreal è preda di una censura paralizzante: l'immobilità culturale è metonimizzata dal luogo in cui avviene l'audizione, un ufficio angusto e spoglio, dove Linnet è la sola ad essersi presentata. È evidente la tendenza degli abitanti di Montreal al conservatorismo in aperto contrasto con la spinta verso il cambiamento insita nella realtà newyorkese in cui Linnet è stata immersa fino a poco tempo prima e della quale si è appropriata.

Dopo un breve ampliamento della prospettiva spaziale, nella terza sezione la narrazione fa ritorno all'interno dell'ufficio. L'arrivo di Mrs. Ireland da Toronto e il suo rifiuto di adeguarsi alle dinamiche preesitenti altera gli equilibri fra gli impiegati, inaspettatamente, a favore di Linnet. Mrs. Ireland si pone in aperta ostilità nei confronti della ragazza fin dall'inizio: «She tossed a paper on my desk and said, “Check this, I'm in a hurry”. […] In the afternoon she said, “Haven't you done that yet?”. […] Mrs. Ireland called, to the room in general, “Well, is she supposed to be working for me or isn't she?” Oh? I opened the bottom drawer of my desk, unlocked the middle drawer, began to pack up my personal affairs» (251-52). Mrs. Ireland è convinta di poter disporre della ragazza a suo piacimento, considerandola sua diretta sottoposta. Linnet, in risposta alla prevaricazione, reagisce all'intrusione nel suo spazio

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